2
Il primo capitolo propone una sintesi del percorso storico dei 
rapporti tra Italia e Ungheria, dalle origini agli avvenimenti 
decisivi del diciottesimo secolo fino a toccare gli inizi del 
Novecento, epoca intorno alla quale si concentra il cuore della 
ricerca. 
Il secondo capitolo affronta invece la vita letteraria ungherese 
all’inizio del secolo scorso, connessa al grande fermento 
culturale della capitale, Budapest. In quella fase nascono le 
università, i teatri, i musei, e in particolare i caffè, luogo 
prediletto di scrittori provenienti dalla provincia che qui 
compongono poesie, scrivono romanzi, opere teatrali, e danno 
vita alla rivista letteraria «Nyugat» (Occidente). 
Il primo collaboratore della rivista, Endre Ady, dal suo 
viaggio parigino del 1903 porta in patria il nuovo linguaggio 
poetico dei simbolisti francesi, in particolare Baudelaire e 
Rimbaud, pubblicando nel 1906, le Új versek [Poesie nuove]. 
Il titolo stesso della rivista svela chiaramente le tendenze e le 
finalità dei nuovi poeti: introdurre e diffondere tutte le correnti, le 
novità e le idee dell’Occidente, dalla Francia all’Inghilterra, dalla 
Germania all’Italia. 
 3
Dopo Ady, saranno i poeti Mihály Babits e Dezső 
Kosztolányi a portare avanti il rinnovamento poetico, attraverso 
traduzioni di opere straniere, in particolare di autori italiani. 
La poesia italiana ebbe, infatti, una importanza fondamentale 
per gli scrittori legati alla rivista. 
Lo stesso Mihály Babits dopo aver tradotto, tra il 1908 e il 
1913, la prima cantica, “A pokol” [L’Inferno] della Divina 
Commedia di Dante, dichiara: «ho voluto ridare il dolce “stil 
novo” di Dante con il mio nuovo stile»
1
. 
E ancora Dezső Kosztolányi traducendo Foscolo, Carducci, 
Pascoli, confessa: «Traducendo poesie straniere noi 
dirozzavamo, raffinavamo la nostra propria poesia, per 
raggiungere un linguaggio ricco e leggero, capace di esprimere 
nuovi contenuti e nuovi pensieri, adatto a esprimere il nostro 
nuovo e complicatissimo stato d’animo. Abbiamo imparato 
molto da questi poeti, ma prima di tutto abbiamo imparato a 
restare fedeli a noi stessi. 
                                                 
1
 AA. VV., Storia della letteratura ungherese, Bruno Ventavoli (a cura di), 
II. vol., Lindau, Torino 2002, cit., p. 124. 
 4
Quando la poesia moderna non era ancora apparsa sul 
maggese ungherese, noi con versi stranieri, abbiamo reso feconda 
questa terra, così che potesse assorbire la nostra poesia»
2
. 
Nel terzo capitolo si analizza il “sentimento d’amore” per 
l’Italia di Mihály Babits, il poeta che asseriva di avere due patrie, 
l’Ungheria e, appunto, l’Italia. 
A parlare sono, così, i suoi versi, versi colorati, pervasi d’ 
azzurro, l’azzurro del cielo della sua regione, la Pannonia, 
confrontato con quello dei cieli italiani, in particolare di Venezia. 
Con Endre Ady, Dezső Kosztolányi, Antal Szerb, 
ripercorreremo quindi un lungo viaggio che tocca Venezia, 
Bologna, Siena, Roma, per rivivere in tal modo l’esperienza del 
pellegrinaggio intellettuale compiuto da questi autori nella 
penisola.  
Grazie alla comparazione tra le loro poesie, emergeranno i  
sentimenti più profondi e reconditi, e quale tratto comune leghi i 
poeti ungheresi all’Italia. 
                                                 
2
 Ibidem, p. 125. 
 5
Nell’ultimo capitolo la rilettura di alcune delle poesie già 
proposte consentirà di cogliere gli elementi che le accomunano, 
nonché il loro significato simbolico. 
La dissertazione si chiude svelando come tale sentimento 
tragga origine da ragioni storiche precise, oppure sia invece da 
ascrivere allo spirito individuale di ciascun poeta. 
 6
Capitolo I 
RAPPORTI STORICI TRA ITALIA E UNGHERIA 
 
I rapporti tra l’Italia e l’Ungheria hanno radici storiche, 
politiche, religiose, culturali e anche geografiche. 
La honfoglalás [conquista della patria] da parte delle tribù 
magiare del condottiero Árpád che le guidò dalle pianure 
sarmatiche all’attuale Ungheria, avvenuta nell’anno 896, fu 
molto significativa per la sorte del popolo ungherese per due 
fattori: da una parte le catene dei Carpazi costituivano un 
ostacolo alla penetrazione della cultura orientale e, dall’altra, 
invece, la frontiera verso sud e verso ovest era aperta ad eventuali 
influssi della civiltà occidentale. 
Una data particolarmente significativa nella storia 
dell’Ungheria è il 25 dicembre dell’anno 1000, anno in cui István 
(Stefano I) della dinastia árpádiana venne incoronato re 
d’Ungheria con la corona inviatagli dal papa Silvestro II. 
Il regno di Stefano I sancì anche la conversione del suo 
popolo al cristianesimo, con la scelta della Chiesa di Roma e il 
ripudio di quella bizantina. 
 7
Dal Duecento e sino alla fine del Settecento molti studenti 
ungheresi decisero di trasferirsi presso le Università italiane. Una 
scelta, questa, che, oltre a stimolare vivaci rapporti, assicurò un 
timbro schiettamente “italiano” alla formazione degli uomini di 
lettere dell’Ungheria nel periodo dell’Umanesimo, del 
Rinascimento e poi, ancora, nell’epoca della Controriforma; allo 
stesso modo l’uso della lingua latina diventa un segno di 
appartenenza alla cultura occidentale europea. 
La grande stagione della permanenza di umanisti ed artisti 
italiani in territorio ungherese ebbe inizio nel Trecento sotto i re 
angioini dell’Ungheria Carlo Roberto e Luigi il Grande di 
Napoli. Questa presenza culturale in Ungheria proseguirà fino al 
Seicento, quando la vita civile e culturale del Regno ungherese 
viene travolta dalle continue guerre antiturche e dalle guerre 
religiose. Nel Rinascimento, infatti, il grande re Mattia Corvino 
Hunyadi (1458-1490), arricchisce la sua corte di illustri umanisti 
italiani e di una schiera di studenti e studiosi magiari, tra i quali il 
primo poeta ungherese Janus Pannonius
3
, favorendo e 
                                                 
3
 Janus Pannonius (1434-1472), grande figura della letteratura umanistica 
ungherese. Fu inviato a Ferrara nel 1447 per seguire gli insegnamenti 
dell’umanista ed educatore Guarino da Verona, la cui scuola divenne uno 
dei centri più vivi dell’Umanesimo. Gli otto anni passati nella città degli 
estensi furono decisivi per la sua vita, per il suo modo di pensare e 
 8
promuovendo la conoscenza e la diffusione della cultura e delle 
arti italiane.  
In special modo, dopo il suo matrimonio con Beatrice 
d’Aragona, penetrano in Ungheria, rapidamente, non soltanto 
forme esteriori di vita eleganti, quali, vestiti, giuochi, musica, ma 
anche, la scienza e l’architettura militare, tanto che a coprire i 
ruoli diplomatici o di cancelleria, come pure le alte cariche 
ecclesiastiche, vengono chiamate persone che hanno compiuto i 
loro studi in Italia e si ispirano dunque, nella pratica e nella 
teoria, a principi e tendenze acquisiti in Italia. 
Nonostante l’origine uralica degli ungheresi, la civiltà del 
popolo magiaro è dunque profondamente caratterizzata da una 
propensione verso la cultura dell’Europa occidentale e in 
particolare quella italiana. L’Ungheria continua a nutrirsi dello 
splendore italiano per tutto il Settecento. 
                                                                                                                            
naturalmente per la sua formazione letteraria. Da Ferrara si trasferì poi a 
Padova. Ritornato in Ungheria non incontrò alcun compagno spirituale 
adatto alla sua esigenza artistica e umanistica, il pubblico magiaro non era 
ancora in grado di apprezzare appieno la sua poesia. In Ungheria soffrì una 
profonda nostalgia perché, come disse Guarino, Pannonius, “fu italiano nei 
suoi costumi”. Al centro della sua poesia c’era l’uomo che “deve rendere 
bella e felice la vita”. Cfr. Folco Tempesti, La letteratura ungherese, 
Sansoni-Accademia, Firenze-Milano 1969, pp. 23-24. 
 
 9
In seguito alla liberazione dai Turchi da parte delle armate 
imperiali asburgiche (1686), condotte dal principe Eugenio di 
Savoia, e alla contemporanea penetrazione austriaca in Italia, i 
rapporti tra i due popoli riprendono grazie anzitutto alla presenza 
dei gesuiti e poi degli scrittori. 
Il Regno d’Ungheria, diventa parte integrante dell’Impero 
asburgico, al quale vengono affidate tutte le questioni politiche 
ed economiche, mentre la riorganizzazione della vita culturale 
del Paese è assegnata alla Chiesa cattolica. 
Nella prima metà del XVIII secolo tanto i giovani 
aristocratici ungheresi quanto i giovani intellettuali meno 
abbienti, per la propria istruzione prediligono Roma o altre città 
italiane che raggiungono tramite il mandato di un ordine religioso 
o di un capitolo ricco. 
Nella seconda metà del Settecento, invece, i giovani 
aristocratici e nobili ungheresi, effettuano i loro “viaggi di 
studio” in terra italiana, come ufficiali della guardia nobile 
ungherese nelle province settentrionali appartenenti all’Impero 
asburgico. 
 10
Con l’attività mecenate del più alto clero ungherese nelle 
accademie italiane, delle quali spesso diventano membri, prende 
il via un animato risveglio culturale. La stessa attività viene  
seguita dagli altri membri delle stesse famiglie aristocratiche che, 
vivendo per molti anni alla corte imperiale viennese, 
profondamente permeata degli influssi artistici italiani, anche nei 
loro palazzi e negli svaghi finiscono col seguire gli stessi modelli 
di cultura e di vita sociale. 
Nei primi decenni del XVIII secolo, il risveglio culturale 
dell’Italia, ben rappresentato dal movimento dell’Arcadia, 
estende la propria grandissima influenza nei Paesi dell’Europa 
centro-orientale, e quindi, di riflesso, sulla poesia ungherese. Gli 
intellettuali appartenenti al movimento, propongono di introdurre 
le nuove basi del pensiero moderno europeo e di rinnovare le 
gloriose tradizioni della cultura italiana tramite opere storiche e 
morali. 
L’Arcadia influisce sulla formazione di uno stile poetico, 
grazie al quale si costituirà definitivamente la lingua letteraria 
ungherese, e un nuovo concetto di poesia che non si identificherà 
 11
più con lo scopo morale e col ragionamento utilitaristico bensì 
con l’intensità sentimentale del poeta. 
L’insegnamento dell’Arcadia italiana e l’interesse degli 
scrittori ungheresi, quali Kazinczy e Csokonai, a tradurre l’opera 
poetica dell’italiano Metastasio
4
, costituiscono la scoperta di 
qualcosa di nuovo e importante dal punto di vista dell’evoluzione 
della letteratura, del rinnovamento di un gusto e di uno stile, di 
una maniera espressiva sentita, intuita e cercata da tutto il 
sentimentalismo ungherese. 
Durante la Rivoluzione Francese e l’epoca napoleonica, 
politicamente, i due Paesi si schierano su fronti opposti, con gli 
ungheresi al fianco degli Asburgo. 
                                                 
4
 Pietro Trapassi, conosciuto come Pietro Metastasio, (Roma, 1968-Vienna, 
1782). Appena undicenne inizia a comporre versi attirando l’attenzione di 
uno dei fondatori dell’Accademia dell’Arcadia, Gian Vincenzo Gravina che, 
dopo averlo adottato, ne grecizza il nome in Metastasio, lo educa al culto dei 
classici e gli fa conoscere la filosofia cartesiana, sperando di farne un grande 
autore tragico. Dopo la morte di Gravina (1718), si trasferisce a Napoli, 
dove entra in contatto con gli ambienti teatrali. Nel 1730 viene chiamato a 
Vienna come successore di Apostolo Zeno come poeta di corte, e li trascorre 
tutta la vita, ammirato e protetto da Carlo VI e poi da Maria Teresa. Con gli 
ideali aristocratici, l’ambientazione classica, i conflitti tra ragione e 
sentimento, i suoi melodrammi si adattano perfettamente alle esigenze 
dell’opera seria settecentesca: Alessandro in Siria (1731), Olimpiade 
(1733). Metastasio è convinto che l’opera moderna in musica riproduce la 
tragedia greca classica, perciò dà al proprio melodramma un solido impianto 
drammatico, basando l’azione sull’inconciliabilità tra amore e dovere e 
conferendo all’opera una connotazione seria: tragica, solenne e eroica. 
Quest’ultima è un pretesto per conferire una dimensione mitica all’amore. 
Cfr. Giuseppe Petronio, L’attività letteraria in Italia, Palumbo Editore, 
Firenze 1988, pp. 376-377.