Nel complesso processo migratorio, la propria identità femminile, la propria identità nazionale o 
etnica, la tensione all'emancipazione coinvolgono la donna al livello di tutto il suo sistema culturale 
di riferimento, producendo esiti che vanno dalla tormentata integrazione, all'adattamento definito 
nel tempo per motivi economici, alla strenua lotta contro l'assimilazione globale. 
Un piccolo spazio viene dedicato infine alla legislazione italiana che più da vicino si occupa di 
immigrazione e che vede la donna coinvolta a pieno titolo. 
Uno degli scopi principali del lavoro svolto è quello di comprendere meglio il mondo delle 
donne migranti mettendo in evidenza alcune specificità del processo migratorio e delle strategie di 
permanenza assunte nel Paese di arrivo. Quella che si vuole far emergere è una figura di donna che, 
pur vivendo una condizione di scarsa visibilità sociale rispetto ai maschi, è fortemente determinata a 
"riuscire" nel proprio progetto migratorio e a custodire/mantenere la propria identità culturale e di 
genere. 
La fotografia di queste donne immigrate è stata ottenuta dai ricercatori italiani soprattutto grazie 
alla ricostruzione di storie di vita, narrate dalle dirette protagoniste, che presenta forme e strategie 
d'inserimento dinamiche e inedite per l'universo maschile e - altro risultato che si è cercato di 
raggiungere - ci restituisce un'immagine articolata e meno stereotipata dell'immigrazione femminile. 
Le donne assumono un ruolo prezioso all'interno delle comunità di immigrati perché, come in 
ogni luogo del mondo, per tradizione, educazione e sapere, mantengono le redini della vita affettiva 
di un gruppo (familiare, etnico, ...). Le donne immigrate si fanno carico della comunicazione tra due 
mondi molto diversi, sforzandosi di fare da tramite tra le due culture per impedire sia la chiusura 
etnica, sia la perdita dell'identità collettiva. 
Si sono volute evidenziare le ragioni che spingono le donne ad emigrare (di tipo economico, 
politico, familiare - per ricongiungersi al marito - o individuale - per esplorare il mondo, per 
rompere con determinati legami o per sfuggire a condizioni di vita connotate da scarsa libertà per le 
donne), le condizioni di vita in Italia (accanto a storie di successo economico, di famiglie ricostruite 
e di figli inseriti, convivono storie di solitudine, isolamento e nostalgia), la natura del progetto 
migratorio (scelto o subito, indefinito nel tempo o breve) e le aspettative nei confronti del nostro 
Paese. 
Le donne migranti rivelano comportamenti in cui l'assunzione del cambiamento dei sistemi di 
riferimento, dei nuovi costumi, di nuove percezioni di sé, implica fatiche e piaceri, in cui la 
modernità convive, inevitabilmente, con la tradizione. La migrazione è, infatti, uno degli eventi 
della vita degli individui e dei gruppi che, più di altri, comporta forti riaggiustamenti, cambiamenti, 
ricostruzioni e ridefinizioni di un'identità personale e culturale. 
 Capitolo  1 
LE MIGRAZIONI 
 
1.1. La migrazione come avvenimento epocale 
 
Le migrazioni sono un fenomeno cronico nella storia della civiltà umana, e le manifestazioni 
nelle quali ci troviamo coinvolti in questa epoca non sono altro che una modifica direzionale 
rispetto al passato, anche se le migrazioni odierne si distinguono dai primi movimenti migratori in 
più di un aspetto. Innanzitutto negli ultimi duecento anni è enormemente aumentata la mobilità. 
Tendenzialmente la libera circolazione del capitale porta con sé quella della forza lavoro. Con la 
globalizzazione del mercato mondiale, che è stata compiutamente realizzata solo nel passato più 
recente, anche i movimenti migratori acquisteranno perciò una nuova qualità. Al posto delle guerre 
coloniali, delle guerre di conquista e delle proscrizioni organizzate dagli stati compariranno 
presumibilmente migrazioni molecolari di massa. 
Così come tra le correnti migratorie  di massa prodottesi nell'arco dei millenni non vanno 
dimenticate quelle delle tribù nomadi dell'Europa e dell'Asia centrale verso l'Occidente, nel passato 
più recente anche le popolazioni europee hanno dato un contributo notevole ad un costante flusso 
migratorio verso altre regioni del mondo, ed insieme all'emigrazione africana si sono dirette verso il 
Nord e il Sud America e l'Oceania, a causa di carestie, epidemie, miseria, sovrappopolazione, 
guerre, religione, politica, ricerca di lavoro. 
Con una tendenza inversa, ma che conferma la costanza dei movimenti migratori, soprattutto 
negli anni Cinquanta, i Paesi industrializzati diventano invece una meta per coloro che vogliono 
sfuggire alla sempre maggiore precarietà che opprime il Sud del mondo. I primi spostamenti 
interessano dapprima i Paesi d'immigrazione tradizionale (Francia, Svizzera, Gran Bretagna, RFT), 
cioè quei Paesi verso i quali già precedentemente si erano dirette fasce migratorie provenienti dal 
Sud dell'Europa, non esclusa l'Italia, ma poi, in tempi più recenti, ha finito per interessare anche 
quei Paesi europei tradizionalmente esportatori di lavoro manuale ed intellettuale. Le cause di 
queste nuove migrazioni sono dovute a fattori d'espulsione presenti nei Paesi di esodo ed a fattori 
d'attrazione presenti nei Paesi d'accoglienza. 
Tra i maggiori fattori d'espulsione dai Paesi più poveri gioca un ruolo importante la esplosiva 
realtà demografica, con le sue conseguenze economiche. La progressiva pauperizzazione nei 
villaggi e nelle campagne ha spinto gli abitanti verso i concentramenti urbani, oggi soggetti a 
preoccupanti fenomeni di urbanizzazione incontrollata, producendo gli effetti dell'implosione che 
sta gonfiando a dismisura gli informi agglomerati del Terzo mondo. Questo processo si deve, in 
gran parte, alla trasformazione di molti centri piccoli e medi in città con oltre un milione di abitanti 
o addirittura in vere e proprie megalopoli. Ne è derivato un gravissimo degrado dell'ambiente e il 
tracollo dei trasporti, delle comunicazioni e di tutti gli altri servizi (igienici, sanitari ed educativi), 
con un ulteriore deterioramento delle già precarie condizioni di vita e un forte impulso alle 
manifestazioni di aggressività e violenza. Ciò basta a dare un'idea dell'insostenibile pressione 
demografica e sociale che si sta accumulando nelle megalopoli del Terzo mondo. Carenti 
d'infrastrutture, perché proliferate al di fuori di ogni piano urbanistico, e in gran parte prive di 
un'effettiva funzione produttiva, queste città diventano un'inarrestabile fucina di migranti. Ma i 
processi di inurbamento e di socializzazione nei Paesi d'origine inducono anche l'apprezzamento di 
un modello di vita più moderno, che rappresenta una motivazione ulteriore per affrontare 
l'avventura migratoria nei Paesi industrializzati. Gli inurbati, dopo avervi assaporato un modello di 
vita che li accultura alla modernità, anche se insoddisfatti non ritornano infatti quasi mai ai loro 
villaggi o campagne. Piuttosto spiccano il balzo per le grandi città dell'Occidente. 
Tra i fattori d'espulsione hanno un peso specifico significativo i conflitti razziali ed etnici, i colpi 
di stato militari e situazioni di notevole degrado ecologico. 
Anche le donne sono interessate da questi processi, e si trovano coinvolte nella scelta migratoria, 
indirizzata verso ben precise attività lavorative. 
Per quanto concerne i fattori d'attrazione, determinanti sono, altre al desiderio di ricongiungersi 
ai familiari già emigrati, anche le motivazioni di ordine economico, sollecitate da una sostenuta 
richiesta di manodopera, anche se dequalificata, esistente nel basso terziario o nell'agricoltura in 
nero, determinata anche dalla caduta del tasso di natalità e dall'invecchiamento della popolazione 
nei Paesi industrializzati. 
L'Italia è divenuta Paese d'immigrazione più tardi rispetto ad altre nazioni europee. L'arrivo delle 
prime consistenti migrazioni nel nostro territorio nei primi anni Settanta, coincide con l'attuazione 
di misure restrittive da parte dei Paesi d'immigrazione tradizionale, al fine di limitarne il flusso. 
Numerosa è la presenza di donne provenienti da diversi Paesi, impiegate per lo più nell'ambito dei 
lavori domestici, ma a volte coinvolte in attività alternative del terziario che, in taluni casi e per 
alcune etnie in particolare, coincidono con le attività legate alla prostituzione ed alla piccola 
criminalità. L'immigrazione femminile è un fenomeno che coinvolge maggiormente alcuni Paesi 
piuttosto che altri ed ognuno di loro si caratterizza, inoltre, per la diversità della tipologia 
migratoria. 
Esistono dunque delle dinamiche non solo economiche, ma anche sociali e politiche, tanto a 
livello dei Paesi di partenza che di quelli di arrivo, che determinano la distribuzione delle donne 
migranti, per gruppi etnici, in determinati settori occupazionali. 
Differenti sono le politiche migratorie adottate dai diversi Paesi della UE, tra i quali la situazione 
italiana è considerata 'anomala'. Quelle dei Paesi europei con un'antica tradizione d'immigrazione si 
sono basate su una politica sociale atta a gestire sia il flusso degli immigrati in entrata, sia la 
presenza già consolidata nel proprio territorio. 
La realtà migratoria in Francia, si è caratterizzata per il suo "assimilazionismo etnocentrico", 
utile sia per fronteggiare la progressiva crisi demografica del Paese, fenomeno comune in tutta 
l'Europa occidentale, sia per sopperire alla carenza di manodopera autoctona. Il progetto 
assimilazionista si fonda sull'assunto che gli immigrati, per integrarsi positivamente, debbano 
abbandonare la cultura d'origine per la cultura, le abitudini e la lingua francese, in perfetta 
consonanza con l'idea che della nazione ha la Francia. Nella centralizzazione dello stato esclude nei 
fatti le minoranze etniche, alle quali arriva a concedere anche la cittadinanza ma solo se 
perfettamente assimilate, indifferente alle esigenze culturali delle diverse popolazioni provenienti in 
maggioranza dalle ex colonie. 
La politica immigratoria britannica, caratterizzata da una strategia libertaria e autonomistica, è 
disponibile, a certe condizioni, ad accettare la specificità e il particolarismo. Le minoranze etniche 
possono godere della propria autonomia, conservare le proprie tradizioni culturali, in quanto si da 
per scontata l'impossibilità che i propri membri possano mai diventare autentici britannici. Di fatto 
ghettizzati nella loro inferiorità, li si emargina in posizioni che possano nuocere il meno possibile, e 
attraverso i margini di autonomia concessa viene a evidenziarsi una libertà fittizia che non è altro 
che una delle forme del "pluralismo ineguale". Anche l'impostazione culturale della politica 
immigratoria britannica risente della caratteristiche del suo passato coloniale. L'autonomia veniva 
concessa solo se i colonizzati riconoscevano la superiorità e sovranità del governo britannico. La 
flessibilità di questo sistema ha potuto dare, fino a pochi decenni fa,  risposte adeguate alle 
domande che le mutevoli situazioni sociali ponevano, ma attualmente è costretta a scontrarsi con i 
problemi posti dalla seconda e terza generazione di immigrati, che nella consapevolezza dei propri 
diritti sociali e politici, coniugati con la difesa della propria specificità culturale, non sono più 
disposti ad accettare la condizione di subalternità nella quale sono stati relegati da sempre. 
La società italiana, che si distingue per la sua anomalia immigratoria, ha visto questo fenomeno 
presentarsi in forme consistenti dagli inizi degli anni Settanta, quando cioè i Paesi di tradizionale 
immigrazione avevano dato avvio ad una 'politica degli stop'. In questo mutato panorama europeo, 
la soluzione italiana adottata per l'immigrato non ha rappresentato l'opzione da privilegiare, quanto 
piuttosto una soluzione di ripiego non particolarmente accettata e desiderata, a causa della 
progressiva crisi economica nazionale, e della disoccupazione crescente anche tra gli stessi 
autoctoni. Per la migrazione extracomunitaria proveniente dall'Africa e dall'Asia, determinanti nella 
scelta migratoria verso l'Italia sono stati soprattutto i fattori d'espulsione dai Paesi di esodo, 
piuttosto che quelli di attrazione del Paese di accoglienza. Problemi politici, insofferenza alle 
restrizioni della propria cultura, legata ad una voglia di emancipazione, esigenza lavorativa. 
Gli immigrati nel nostro Paese hanno trovato nelle attività meno qualificate l'unica offerta di 
lavoro presente nel mercato degli anni Settanta come in quello odierno: attività nel settore 
domestico, che, rifiutate dagli autoctoni, hanno contribuito alla femminilizzazione dei flussi 
migratori che hanno per meta l'Italia. Questo elemento caratterizza ulteriormente il nostro tipo di 
immigrazione femminile, rispetto agli altri Paesi europei dove invece le donne sono per lo più 
arrivate per ricongiungimento familiare, senza diritti riconosciuti di lavorare o senza contratti di 
lavoro già stipulati. 
Il fenomeno migratorio ha indotto, nell'ultimo ventennio, una modificazione progressiva 
nell'ottica socio-politica, mettendo in evidenza un'organizzazione sociale e culturale non più basata 
sulla 'solidarietà di classe', considerata prevalente sul 'fattore etnico', ma una realtà in cui la 'lotta di 
classe' non è più dovunque e comunque prevalente sui 'conflitti etnici'. 
L'idea di un tipo di società progressivamente ed irreversibilmente avviata verso processi lineari 
di assimilazione e integrazione etnica, sembra perdere sempre più terreno. 
 
 
1.2. Le migrazioni al femminile 
 
La progressiva femminilizzazione dei flussi migratori, particolarmente ma non solo in Italia, è un 
fenomeno recente ed estremamente significativo, se consideriamo che circa il 50% della 
immigrazione nel nostro Paese è costituita da donne, mentre negli anni Sessanta la percentuale 
femminile, nell'universo della migrazione, si aggirava intorno al 30%. In considerazione inoltre che 
per molti gruppi etnici (maghrebini e di religione musulmana in genere) la emigrazione in coppia o 
il ricongiungimento familiare è prassi accertata, si evince che esiste una notevole presenza sul 
territorio nazionale di donne immigrate sole, spesso appartenenti agli stessi gruppi di provenienza 
etnica ben determinata. Ciò mette in evidenza la rilevanza del sesso come categoria analitica di base 
per le dinamiche migratorie. La selettività per sesso - nella distribuzione dei migranti nei Paesi di 
destinazione e nei rispettivi mercati del lavoro - affetta diversamente i gruppi nazionali ed etnici. 
Fenomeni di segregazione sessuale ed etnica si combinano e si sovrappongono. Data anche la sua 
presenza statisticamente rilevante, la funzione della donna nei processi migratori è particolarmente 
significativa. Costituiscono, come già detto, circa la metà dei soggetti migranti, con una previsione 
di aumento quantitativo nei prossimi anni per il crescente bisogno, nelle società industrializzate, di 
lavoro nei servizi di assistenza domestica e familiare. 
Ma nonostante le indispensabili funzioni alle quali assolve sia nella attività lavorativa esterna 
alla propria famiglia, sia all'interno del proprio nucleo familiare e del proprio gruppo etnico, la sua 
figura permane in una posizione di invisibilità, che non le attribuisce alcun riconoscimento ufficiale 
e che non tiene conto di tutta una serie di fondamentali ruoli, necessari ed indispensabili, ai quali 
assolve nei processi di trasformazione connessi alla migrazione. 
Fino alla fine degli anni Ottanta la presenza di donne sole immigrate è prevalente su quella di 
donne immigrate per ricongiungimento familiare. Dagli anni Novanta il fenomeno comincia a 
diventare più composito ed equilibrato per la consistente immigrazione di donne di origine araba 
che, agevolate dalle nuove norme legislative, raggiungono i mariti immigrati per motivi di lavoro in 
Italia già da tempo. Tale fenomeno implica nuove ricadute sull'organizzazione e sulla composizione 
del tessuto sociale nazionale, modificato dai figli piccoli o adolescenti che arrivano con le madri o a 
quelli nati in loco che cominciano ad inserirsi più stabilmente nelle strutture sociali ed educative 
nazionali. 
Ma in ogni caso una consistente quota del flusso migratorio complessivo evidenzia la 
caratteristica peculiare di una presenza, sul territorio nazionale, di alcune etnie composte 
prevalentemente da donne sole o con figli, che emigrano da sole piuttosto che per raggiungere le 
proprie famiglie, e non si inseriscono quindi in raggruppamento familiare classico. 
D'altro lato i processi evolutivi del costume nazionale, con un progressivo e forte inserimento 
della donna italiana nel mercato del lavoro, sviluppatosi già dagli inizi degli anni Settanta, hanno 
prodotto uno svuotamento di esigenze e di attività lavorative tradizionalmente delegate alla 
componente femminile della popolazione. Soprattutto il lavoro domestico ha visto lo svilupparsi di 
una consistente offerta di lavoro, non adeguatamente soddisfatta dalla domanda di lavoro locale, in 
quanto considerato lavoro gravoso e scarsamente qualificato. Ciò ha contribuito a mettere in moto, 
non solo in Italia, ma in tutta l'Europa, un meccanismo migratorio che ha attratto nel nostro Paese 
consistenti quote di forza-lavoro femminile, prevalentemente provenienti dai Paesi africani, asiatici 
e dell’Est Europa, indirizzate soprattutto verso le principali città italiane, con la sicurezza di trovare 
un lavoro in breve tempo. 
Tra le cause di questo fenomeno, oltre alle trasformazioni delle strutture sociali e dei ruoli 
maschili e femminili, devono essere annoverate anche le politiche migratorie dei Paesi di esodo, e 
gli incentivi psicologici che fanno da corollario a queste sollecitazioni. 
Una componente non indifferente nella scelta del percorso migratorio verso l'Italia, è certamente 
legata alla circostanza della religione professata. La migrazione legata al lavoro domestico riguarda 
le donne provenienti in prevalenza da Paesi in cui la religione cristiana, e cattolica in particolare, 
per motivi di antica dominazione coloniale e di forte influenza e presenza dell'opera delle missioni 
religiose, protrattasi fino all'epoca contemporanea, rende queste ultime tramite di sicura allocazione 
nel mercato nazionale di questo tipo di lavoro, talora con un contratto stipulato ancora prima della 
partenza. 
Oltre agli enti religiosi che hanno assunto questo ruolo di mediazione, come nel caso delle 
immigrate da Capo Verde e dalle Filippine, vi è anche una interagenza di mediatori, più o meno 
scrupolosi e disinteressati, che gestiscono il mercato della migrazione per fini di lucro, indirizzando 
la migrazione femminile in settori informali della economia illecita, ed inserendola soprattutto nel 
giro della prostituzione. Il mercato italiano non sembra invece al momento interessato 
all'acquisizione di manodopera femminile da impiegare nei settori produttivi dell'informale 'lecito'. 
La catena migratoria che agisce attraverso il richiamo di amici, conoscenti e parenti non si 
interrompe mai, a volte riservando cocenti delusioni su realtà descritte, immaginate come positive e 
sollecitanti speranze, ma nei fatti rivelatesi poi come frustranti e inadeguate alla speranza e 
soprattutto al progetto. 
Vari elementi concorrono all'innescarsi di questo perverso processo che va dall'aspettativa alla 
frustrazione, passando per tutte le sfaccettature psicologiche della delusione. Infatti ai fattori di 
ordine economico-sociale si accompagnano quelli di carattere più propriamente culturale. La 
diffusione della conoscenza dei modelli di vita occidentali (dovuta prima al contatto coloniale e alla 
presenza delle missioni cristiane, poi al moltiplicarsi dei rapporti commerciali e turistici e ai 
pervasivi messaggi dei mezzi di comunicazione di massa) suscita quella che è stata chiamata la 
"rivoluzione delle aspettative crescenti". D'altra parte, la scolarizzazione di massa, in forme per lo 
più eteronome, e l'omologazione culturale in atto a livello mondiale inducono un processo di 
"socializzazione anticipatoria". In questo modo si intende indicare negli studi sulle migrazioni 
l'acquisizione già nelle località di partenza dei valori e degli orientamenti propri della società 
d'inserimento. In effetti, contrariamente a ciò che avevano ritenuto di poter affermare i primi 
studiosi delle migrazioni interne italiane, tale processo avviene ormai anche nel caso delle 
migrazioni internazionali. 
Un'analisi attenta deve perciò essere dedicata alla rete di relazioni culturali e sociali, sia del 
Paese di provenienza che di quello d'immigrazione, che interseca e condiziona il processo 
migratorio, per potere cogliere il fenomeno nella sua complessità e integrità. 
Nell'osservazione di questo fenomeno deve dunque essere tenuto in considerazione il peso delle 
politiche migratorie, da tenere presenti per non cadere in una visione troppo "spontaneistica" dei 
flussi migratori, sorretti solo dalla disperata volontà dei migranti di lasciare situazioni di vita e 
lavoro insostenibili, quando non la fame o la guerra, e se le donne possono oggi prendere 
personalmente la decisione di emigrare, ciò può avvenire soprattutto perché si sono prodotti 
cambiamenti nelle strutture sociali tradizionali (famiglia allargata, tribù, comunità di villaggio) che 
hanno intaccato la divisione dei ruoli tra maschi e femmine. La disgregazione delle strutture sociali 
tradizionali è considerata come un fattore che prepara al cambiamento e predispone all'emigrazione. 
Le modalità specifiche con cui questa disgregazione affetta le relazioni di genere variano da un 
Paese all'altro, da un contesto socio-economico e socio-culturale all'altro. E comunque ciò significa 
che il ruolo femminile è in crisi soprattutto in quelle strutture che cercano di mantenere un sistema 
sociale prevalentemente patriarcale. Il processo dinamico in cui si trova coinvolta la donna 
migrante, implica necessariamente un riassetto degli equilibri del nucleo familiare. D'altra parte la 
disgregazione delle strutture sociali tradizionali predispone al cambiamento, mentre la stessa 
pressione neotradizionalistica (esercitata a volte in nome di un'asserita ricerca dell'autenticità 
culturale) poco incide al di là di ristretti ambienti, anche per i suoi risvolti spesso manifestamente 
mistificatori. 
Questa crescente femminilizzazione della popolazione straniera, ed i processi di stabilizzazione 
che induce nel flusso migratorio, deve essere considerata come un aspetto di significativa 
importanza, almeno per certe provenienze nazionali ed in riferimento soprattutto a regioni europee 
di forte industrializzazione. E' il caso della regione parigina, ad esempio, dove la stabilizzazione 
produce una parificazione numerica tra i sessi e soprattutto induce modificazioni demografiche 
dovute in gran parte all'innalzamento del tasso di natalità per la maggiore fecondità delle immigrate. 
In questa regione una donna su dieci è straniera, mentre nel resto del Paese si conta una straniera 
ogni venticinque donne
1
.  
Sebbene elaborate per ricerche sulle donne immigrate in Francia, altrettanto bene si attagliano 
alcune tipologie anche per l'immigrazione femminile in Italia. Ma innanzitutto bisogna sottolineare 
che l'universo migratorio femminile non è un tutt'uno monolitico ma presenta varie componenti in 
relazione alla provenienza rurale o urbana della migrazione, e con riferimento specifico alla etnia di 
appartenenza. Pertanto non si può parlare in generale di donne immigrate come gruppo sociale 
omogeneo, portatrici di un'unica cultura. 
In sintesi, sul piano delle scelte la migrazione femminile può essere determinata autonomamente 
dalla necessità del ricongiungimento familiare, dall'aspettativa di un miglioramento economico, 
dall'aspirazione ad emanciparsi dai propri modelli culturali tradizionali o condizionata da esigenze 
di allontanamento dal proprio Paese per motivi politici. Relativamente all'identificazione 
                                                           
1
 Cfr. M. Guillon, “Influence de la croissance et de la distribution des femmes étrangerès sur les indicateurs  
démografiques  en  région  Parisienne”,  Studi Emigrazione,  n. 70, 1983,  pp. 190-204. 
 
geografica, la donna in emigrazione proviene da grandi città o da piccoli villaggi rurali e dalla 
campagna, sia dei continenti asiatico e africano, così come dal Sud-America e dall'Est europeo. Per 
quanto attiene all'identificazione religiosa e culturale, c'è chi professa la religione cristiana e chi 
quella musulmana, con evidenti differenze sul piano dei valori e della tradizione. In rapporto 
all'identificazione professionale, vi sono donne economicamente attive ed altre che vivono solo una 
vita familiare nella società di immigrazione, nella stessa condizione nella quale si trovavano a 
vivere nel Paese di provenienza. Quest'ultima categoria riguarda prevalentemente le donne dei 
gruppi etnici arabi di religione musulmana. Invece l'immaginario tipico che la gente normalmente 
ha della donna immigrata in generale, fatta eccezione per chi esercita il lavoro di collaboratrice 
domestica in quanto lavoro immediatamente visualizzabile nella società, è abbastanza univoco e ce 
la propone esclusivamente come donna rinchiusa  nel reticolo familiare e nelle mansioni ad esso 
inerenti (figli, lavori domestici, cura del coniuge), economicamente non indipendente, tutrice dei 
valori della tradizione ed impermeabile alle modificazioni della cultura autoctona esterna. 
Nell'universo migratorio femminile non possono essere assunte come sempre compresenti tutte 
le caratteristiche della scelta migratoria. Esso infatti non può essere considerato un insieme 
omogeneo dato che le donne sono spinte a migrare in base a motivazioni differenti. Si possono 
individuare al massimo, in linea generale, una tipologia strumentalista ed una tipologia 
promozionista. Queste tipologie corrispondono a due modi antitetici di concepire il progetto 
migratorio. Nel primo caso l'episodio migratorio è considerato una parentesi, un periodo transitorio 
agito e vissuto per motivi strettamente economici, che si sviluppa attraverso un adattamento forzato 
alle difficoltà legate all'immigrazione e con la prospettiva e il sogno del ritorno al Paese d'origine, 
restando fedele alla propria cultura. La donna cosidetta "tradizionale", che emigra prevalentemente 
per il ricongiungimento al coniuge, è una donna che sceglie di emigrare per un periodo di tempo 
definito, di prevedibile breve durata, con un atteggiamento caratterizzato da un adattamento 
superficiale e reversibile per quanto riguarda il modello culturale del Paese di accoglienza, 
adattamento che vive nella speranza del ritorno, e che mantiene nella sostanza i comportamenti e i 
valori del proprio contesto culturale. Quella invece che si suole definire partecipe della "modernità", 
ha operato la propria scelta migratoria non necessariamente o quantomeno non soltanto per 
motivazioni economiche, ma in quanto lo spostamento implica l'emancipazione, il cambiamento, lo 
studio. Difatti esistevano certamente delle ragioni economiche alla base della decisione migratoria, 
aggiunte alle drammatiche condizioni socio-politiche di alcuni Paese di origine, ma nella decisione 
di partire sono spesso intervenuti anche la destrutturazione di antichi valori e l'apparire 
concomitante di altri valori, secondo modalità che variano da un soggetto all'altro. 
La componente femminile, già inurbata nel Paese di origine, e quindi già sensibilizzata, in 
positivo e in negativo, ai modelli della cultura e dello stile occidentali, incontra certamente minori 
difficoltà di adattamento nel contesto sociale meta della migrazione. Ciò implica però, anche in 
questo caso, l'assunzione di modalità di comportamento che reinterpretano il ruolo femminile e che, 
nella ricerca di una conciliazione culturale, finiscono con il non corrispondere più né a quelle del 
Paese di origine né a quelle del paese di immigrazione. La propria identità di donna, la propria 
identità nazionale o etnica, la tensione all'emancipazione la coinvolgono al livello di tutto il suo 
sistema culturale di riferimento, producendo esiti che vanno dalla tormentata integrazione, 
all'adattamento definito nel tempo per motivi economici, alla strenua lotta contro l'assimilazione 
globale. La peculiarità della migrazione femminile ha certamente gran parte delle sue motivazioni 
di base riferibili ad esigenze economiche ma, a differenza della migrazione maschile, unisce anche 
motivazioni intime e soggettive, come le fratture affettive, i ricongiungimenti familiari, il disagio 
nella condivisione di alcune forme e di determinati obblighi sociali appartenenti alla propria cultura 
d'origine. 
La dinamicità contraddittoria di entrambi i modi della migrazione femminile, può essere sia agita 
in prima persona, sin dalla partenza, sia subita, cioè acquisita più o meno volontariamente e 
consciamente durante il processo di stabilizzazione nel contesto d'accoglienza. Queste due tipologie 
identificano modelli codificati e schematici, le cui strategie di conservazione delle norme 
tradizionali o di apertura all'innovazione, comportano, in ogni caso, una fuga dall'isolamento e dalla 
solitudine conseguenti allo sradicamento dal proprio habitat affettivo e culturale. Nella dinamica 
esistente tra culture diverse, quella minoritaria del gruppo immigrato, e quella egemonica del 
contesto di accoglienza, si inscrive un rapporto di interscambio tra modalità sociali e culturali 
differenti, che si manifestano attraverso una serie di giustapposizioni, di ambivalenze e talora anche 
di ambiguità, frutto di una reinterpretazione o trasposizione dei ruoli fondanti del Paese d'origine, 
che trovano nel contesto migratorio un nuovo modo di espressione, attraverso combinazioni varie e 
differenziate. In questa complessità si evidenzia soprattutto il ruolo significativo della donna 
migrante, che si fa carico di gestire le dinamiche d'interazione tra gruppi e culture, mantenendo da 
un lato un rapporto di continuità con il passato attraverso la trasmissione della tradizione, e 
codificando dall'altro i comportamenti e i gesti appropriati alla situazione contingente del contesto 
di accoglienza. In tale modo la donna, anche se non esplicitamente, si costituisce come elemento 
basilare del rapporto tra continuità e cambiamento. 
Il complesso processo combinatorio nel quale si formano gli esiti dell'intreccio di culture 
differenziate, ci porta fuori sia dalla supposta polarizzazione dei comportamenti e delle motivazioni 
immigratorie (innovative o tradizionali) della donna, sia dal supposto sviluppo lineare che va dalla 
tradizione alla modernità, senza salti e risultati complessi e talora contradditori. Le culture che si 
confrontano in uno spazio geografico definito, nella realtà trovano sempre dei punti di mediazione e 
di equilibrio, frutto della rilettura e della reinterpretazione dei vecchi e dei nuovi modelli valoriali, 
punti di mediazione che si compongono in una serie indefinita di comportamenti. 
La realtà della migrazione femminile è dunque composta di esigenze, volontà e strategie 
differenziate, che a volte non dipendono dalle singole volontà individuali. Difatti la costrizione nei 
ruoli per via delle politiche migratorie è completamente diversa: nei confronti delle donne venute 
per raggruppamento familiare, le politiche migratorie sono state spesso restrittive rispetto 
all'esercizio di una professione, in quanto considerate "compagne di migranti", per le immigrate 
attive venute come domestiche il ruolo economico predomina, mentre la vita familiare viene 
annullata. 
Per tutte queste donne, in ogni caso, la realtà di medio periodo è quella di una continua 
riformulazione del progetto migratorio, sempre oscillante tra il desiderio del ritorno e l'esigenza 
della stabilizzazione, soprattutto in situazioni di nascita o di crescita dei bambini. La scelta, in ogni 
caso travagliata, comporta la necessità di un continuo adeguamento della propria vita e del proprio 
futuro alla realtà circostante, che matura attraverso il processo educativo e sociale che la donna 
migrante acquisisce nel Paese d'accoglienza. L'apprendimento della nuova lingua e di nuove 
competenze  professionali, l'autonomia di decisione per quanto concerne la propria vita lavorativa e 
relazionale, non più mediati dalla comunità di origine, rappresentano significativi elementi di 
promozione sociale  e individuale. L'arrivo o la nascita dei figli può comportare la scelta di un 
insediamento definitivo nel Paese d'immigrazione, soprattutto se correlato all'assenza del padre 
(spesso immigrato altrove). Per le donne migranti ciò comporta allora l'assunzione completa della 
responsabilità nell'educazione dei figli, di cui devono in ogni caso rispondere di fronte alla 
comunità di appartenenza, sia quella stanziata nel nuovo territorio, sia quella residente nel Paese 
d'origine. 
Ma qualunque sia la motivazione della scelta migratoria, o la concretizzazione degli esiti 
dell'insediamento, stabile o temporaneo che sia, in generale per tutte le donne della migrazione la 
vita anche nel nostro Paese non è facile: orario di lavoro estenuante, scarse possibilità di 
socializzazione offerte all'esterno dell'ambiente lavorativo, mancanza di un alloggio indipendente, 
inesistenza di una vita privata e del tempo per sé. Per questi ed altri motivi anche le relazioni 
amorose intraprese con gli autoctoni generalmente si risolvono in modo negativo. Il disagio 
maggiore è comunque costituito dai problemi legati alla maternità. Mantenere un figlio, specie se 
non riconosciuto legalmente, per le immigrate di colore che operano nell’ambito del lavoro 
domestico, è cosa quasi impossibile. Questo spiega l'alta percentuale di bambini meticci presenti in 
istituti assistenziali o abbandonati negli orfanotrofi cittadini. Anche in questo caso le politiche dei 
Paesi di partenza che incoraggiano le migrazioni temporanee di donne e quelle dei Paesi di 
immigrazione, restrittive, spesso ancora influenzate dall'idea della temporaneità delle migrazioni, si 
combinano nell'imporre alle donne costrizioni che le riducono al semplice rango di forza lavoro, 
eliminano gli spazi di autonomia e quindi rendono difficile la costruzione di una vita personale. 
Ritagliarsi spazi di vita sociale ed associativa è dunque per queste donne un compito difficile, che 
segue modalità specifiche. 
Le due tipologie di donne migranti sole, alle quali si è accennato più sopra, anche se non sempre 
si presentano isolate, ma piuttosto interrelate tra loro, costituiscono un punto di riferimento 
interpretativo dei comportamenti e delle soluzioni date ai problemi. Da un lato le donne per cui la 
difficoltà della sopravvivenza economica in quanto single (senza un uomo o sostentamento 
familiare) rende obbligatoria la scelta migratoria, anche quando rappresenta un salto nel buio; 
dall'altro quelle in cui la scelta diventa liberatoria nell'aspirazione a fuggire dall'oppressione sessista 
e patriarcale. 
Le prime, chiamate les instrumentalistes proprio perché considerano la migrazione 
essenzialmente strumentale e di durata limitata, sono per la maggior parte madri di famiglia, 
appartenenti a etnie differenti ma spesso provenienti da ambienti rurali. Fortemente legate alla 
tradizione del Paese d'origine, il loro ruolo consiste nel mantenere salda la stabilità del gruppo di 
appartenenza. Rinchiudersi nel mondo relativamente protetto della famiglia consente loro di astrarsi 
dai problemi dell'ambiente esterno, e di sopportare talora meglio i disagi legati all'emigrazione. Le 
modificazioni comportamentali che questa richiede loro, vengono vissute come esteriori e 
reversibili, non in grado di minacciarne l'identità culturale. Pertanto possono tagliarsi i capelli, 
dismettere il velo, trasformare le loro abitudini alimentari, solo per adattarsi al mondo occidentale 
quel tanto che basta, considerando tali pratiche come aggiustamenti funzionali che non sovvertono 
il loro sistema normativo. La moda (e la ricerca di invisibilità e camaleontizzazione) può aiutare e 
suggerire di non portare il velo quando si vive in Europa, ma la cultura tradizionale torna 
egemonica nella trasmissione educativa. 
Fondamentale è dunque per queste donne la conservazione dei valori vissuti ed espletati nella 
propria tradizione: l'organizzazione di feste familiari o della comunità di appartenenza, il combinare 
matrimoni o il mantenimento delle relazioni parentali nella società di accoglienza e con il gruppo 
familiare ancora residente in patria, compiti tradizionalmente femminili, secondo un sistema di 
commérage che mantiene il perpetuarsi della cultura d'origine. 
Ma spesso accade che le condizioni necessarie all'espletamento di questa funzione vengano 
meno e la donna si ritrova privata di un ruolo essenziale, indicatore di uno status e di un prestigio 
sociale non indifferente. I figli che crescono, si scolarizzano, si acculturano nel Paese d'accoglienza, 
il coniuge che, inserito in una attività lavorativa, necessariamente socializza con l'ambiente esterno, 
svalorizzano le competenze delle madri-mogli, con la inevitabile considerazione di svalutazione e 
obsolescenza dei valori dei quali esse sono portatrici. Messa in discussione nella sua funzione di 
custode fedele della tradizione e fondamento della trasmissione culturale, anche questo tipo di 
donna migrante, chiusa nel proprio isolamento che diventa solitudine, si trova allora di fronte ad 
una realtà sconosciuta, che spesso compromette la sua salute ed il suo equilibrio psichico. 
In antitesi alla tipologia appena esaminata, ne esiste un'altra, che identifica una donna molto 
sensibile all'innovazione, per la quale la migrazione rappresenta, ancora prima della partenza, un 
importante passo verso la modernità e la promozione sia professionale che sociale. Les 
promotionnelles, come vengono definite, sono spesso donne prive di legami coniugali (vedove, 
nubili, divorziate), che partono anche per fuggire da una tradizione patriarcale, in cui le donne sono 
sottomesse all'autorità dell'uomo (padre, marito, compagno). L'immagine, anche se a volte 
ideologizzata, che esse hanno della donna occidentale, libera, professionalmente gratificata ed 
economicamente indipendente, costituisce un modello al quale adeguarsi per raggiungere obiettivi 
che non coincidono del tutto con l'esclusiva soluzione dei problemi per la sopravvivenza 
economica. Pertanto il rientro non costituisce spesso una scelta auspicabile. Le modificazioni 
intervenute nel nuovo contesto culturale rendono infatti difficile il riadattamento alla tradizione. Il 
cambiamento nelle pratiche e nei modelli culturali, spesso trasforma la percezione che queste donne 
hanno di se stesse, attraverso un percorso che sostituisce valori individuali ai valori comunitari. E 
non è senza motivo che, proprio per ciò, l'uomo e la comunità percepiscano queste trasformazioni in 
termini di destrutturazione culturale. Infatti il ruolo dell'uomo, già precario per la stessa esperienza 
migratoria, viene messo in discussione e dequalificato dall'atteggiamento innovativo delle mogli e 
delle figlie, non più disponibili alla totale dipendenza dal maschio. 
Le donne decidono, se ne hanno la possibilità, di lavorare al di fuori delle mura domestiche, 
divenendo spesso principale se non esclusiva fonte di reddito, rifiutano le molteplici maternità, si 
occupano in prima persona dell'economia personale e familiare, mettendo in crisi il potere 
decisionale e sessuale dell'uomo all'interno della famiglia. Con l'assumere funzioni diverse mettono 
così in crisi anche i ruoli tradizionali, liberate dal controllo sociale diretto della famiglia allargata o 
del villaggio, confrontandosi individualmente con una realtà nella quale la socializzazione si 
conquista giornalmente. Questo grande sforzo di adattamento, ma soprattutto di emancipazione, per 
queste donne comporta spesso un costo non indifferente, in termini fisici e psicologici, soprattutto 
quando viene fatto in nome di un tentativo emancipatorio che abbia le caratteristiche dell'originalità 
valoriale e culturale. Che per molte donne immigrate le relazioni di genere  in occidente 
rappresentino una possibilità di emancipazione è indubbio, che molte di loro rifiutino le "lezioni" 
sul modello di comportamento occidentale e cerchino vie specifiche all'emancipazione, tenendo 
conto delle loro risorse identitarie o cerchino una vita almeno più soddisfacente, tenendo conto delle 
proprie risorse culturali, è però altrettanto indubbio, e risulta evidente anche dalle analisi sui reticoli 
sociali, sia quelli etnici che quelli specificamente femminili. 
Ma anche per les promotionnelles si sviluppano spesso situazioni di difficoltà che rendono 
ambigue le loro scelte identitarie. Le inevitabili incomprensioni con la comunità ospitante, ed 
ancora più spesso gli atti di xenofobia, se non addirittura di razzismo, dei quali sono fatte oggetto o 
dei quali in ogni caso sono testimoni dirette, le costringono a sottacere il loro rifiuto della 
tradizione, costringendole piuttosto a mettere in evidenza la necessità di proteggere il proprio 
gruppo attraverso la solidarietà e la compartecipazione di valori, per difendere l'identità comunitaria 
e nazionale. 
Una categoria del tutto particolare nell'universo migratorio femminile è rappresentata dalle 
adolescenti neo-immigrate, le figlie della migrazione femminile stabilizzata, le donne della seconda 
generazione, arrivate in Italia in un secondo momento per ricongiungersi alla madre immigrata 
precedentemente. In esse non vi è stato un progetto migratorio motivato, e mentre per questa 
assenza una sua quota vive con maggiore sofferenza le difficoltà dello sradicamento, un'altra quota 
più consistente accelera in maniera radicale la propria integrazione, attratta dalle abitudini e dalle 
libertà della nuova società, restia ad accettare le difficoltà legate alla migrazione e decisa a vivere 
bene qui e subito. 
Sebbene in un primo momento ciò renda particolarmente problematico e conflittuale il rapporto 
con la madre in primo luogo, ma poi anche con la famiglia e la comunità d'origine stanziata nella 
nuova realtà, in esse sembra concentrarsi la possibilità di costruirsi liberamente un'identità 
personale in quanto donne nella società. Inserite come sono, al massimo dell'intensità e delle 
implicazioni, nei due sistemi culturali, quello della famiglia di appartenenza, e quello della società 
ospitante, manifestano allo stesso tempo un coinvolgimento nei nuovi valori nei quali si sono 
trovate inserite o a crescere, non disgiunti dal recupero dei valori della propria tradizione, alla quale 
in ogni caso confermano orgogliosamente la propria appartenenza etnica e nazionale.