l’esistenza.  Se ne argomenta, quindi, con approssimazione ulteriore al 
concetto giuridico, la necessità che la dichiarazione confessoria 
contenga il << riconoscimento >>  espresso di un fatto obiettivamente 
pregiudizievole per gli interessi del dichiarante, sempreché il medesimo 
sia anche favorevole alla controparte che, affermandolo come vero, 
glielo oppone
2
. 
  A tale stregua, non stupisce che, nelle usuali movenze del linguaggio 
corrente, la confessione venga a delinearsi quale species, 
normativamente disciplinata, del genus << ammissione>>
3
, 
rispecchiando con qualche analogia la pregnanza semantica del 
termine germanico di Gestandnis
4
, oppure quella del << distinguo >> 
angloamericano fra la confession, tipica del processo penale, e 
l’admission
5
, familiare nel processo civile. 
  Nel linguaggio tecnico, peraltro, il problema definitorio è risolto dalle 
norme vigenti, contestualmente a quello sistematico. Differenziandosi 
per maggiore precisione dal precedente art. 1356, l’art. 2730 c.c.  
 
                                                                                                                                                       
Sintesi storica del diritto romano, Roma, 1948, 394-395; e FIORELLI, P., 864-866. 
2
 FURNO, C., 871-873. 
3
 DE MARINI, C.M., 242, 244 
4
 GRUNSKY, W., 184-189. 
5
 WIGMORE, J.H. A Treatise on the Angloamerican Sistem of Evidence in Trials at Common Low, 
III, 3°ed., Boston, 1940, 232 ss., e IV, 2 ss.,;  per altre considerazioni, CAPPELLETTI, M., II, 
425-426, e COMOGLIO, L.P. 276-278 
 5
riproduce la formula chiovendiana della << dichiarazione>> che una 
parte fa della << verità dei fatti ad essa sfavorevoli>>, e perciò << 
favorevoli >> all’avversario, dal quale essi vengono asseriti
6
. 
  Rifiutando implicitamente l’approccio sostanzialistico, che vedrebbe 
nella confessione un atto dispositivo d’autoresponsabilità privata
7
, 
l’ordinamento positivo, affronta sul piano probatorio la disciplina del 
fenomeno e, nel medesimo tempo, resiste alle suggestioni della 
concezione germanica, rimasta fedele allo schema negativo della 
relevazio ab onere probandi. 
  L’inquadramento della confessione tra le prove legali, nel renderne 
meno agevole l’assimilabilità al genus della testimonianza
8
, consente di 
individuare nell’economia  processuale, ossia  nell’opportunità  di    << 
semplificare notevolmente l’attività istruttoria del giudice >>, la sintesi 
funzionale tra il fondamento logico e quello tecnico-giuridico 
dell’istituto
9
. 
  Quale attestazione di scienza, avente funzione ed efficacia probatoria,  
 
                                                     
6
 CHIOVENDA, G., 743, 816; nell’attuale enunciazione,  FURNO, C., 874-875,  898-899;  nonché  
ANDRIOLI V., 11, e 702 ss.;  LIEBMAN, E.T., 139-140; PERLINGIERI, P., 225-226;  
SCARDACCIONE, A., 296-297. 
7
 LIPARI, F., 118-119 
8
 sul punto CAPPELLETTI, M., I,  3-8, 396-407, e II, 593 ss.; criticamente, FURNO, C., 912-913 
9
 cfr. LIEBMAN, E.T., 86-87, 144;  FURNO, C., 877-880; adde ANDRIOLI, V., 12, e già LIPARI, F., 118. 
 6
la confessione, anche se resa al di fuori del giudizio, opera,  o 
comunque è finalizzata ad operare, nel processo e, con il risultato di 
acquisire come non più contestabile il fatto ammesso, trova nel giudice  
il suo destinatario istituzionale, vincolandone di norma l’apprezzamento 
in termini assoluti
10
.    
  Questione fondamentale, collegata all’accertamento dei fatti e quindi 
all’attività probatoria, nonché alla stessa funzione della giustizia civile, è 
quella relativa al raggiungimento della verità quale scopo fondamentale 
del processo. Il giudice deve valutare le prove fornite dalle parti al fine  
di formarsi un convincimento circa la verità dei fatti. 
  Il problema consiste allora nel bilanciare i limiti alla ricerca della verità 
che derivano dal principio dispositivo con l’esigenza di accertamento 
veritiero dei fatti, e quindi di un’effettiva attuazione di legge. 
  Se quindi il principio dispositivo circoscrive il campo d’indagine del 
giudice – determinando una delle principali ragioni di diversità della 
propria attività rispetto a quella dello storico – non si devono tuttavia 
sopravvalutare i limiti derivanti dal principio secondo cui il giudice è 
tenuto a decidere secundum alligata et probata.  
 
 
 
                                                     
10
 FURNO, C., 877-879 
 7
  D’altra parte, i due vincoli enunciati nella suddetta proposizione non 
hanno il medesimo fondamento, poiché mentre l’obbligo di limitarsi ai 
fatti allegati dalle parti è una conseguenza logica del principio della 
domanda, quello di giudicare sulla base dei fatti provati non concerne la 
 libertà del titolare del diritto di determinare i limiti entro i quali chiedere  
la tutela, ma il procedimento tecnico attraverso cui il giudice perviene al 
convincimento e pertanto alla decisione. 
  Il principio del libero convincimento del giudice, in connessione con la 
valutazione delle prove, rappresenta uno dei cardini dell’ordinamento 
giuridico. Il giudice deve valutare le prove fornite dalle parti al fine di 
formarsi un convincimento circa la verità dei fatti. 
  Si può parlare di libero convincimento soltanto quando l’iter logico del 
giudice non incontra lo sbarramento delle prove legali, cioè delle prove 
il cui valore nel processo risulta prefissato dal legislatore. Il libero 
convincimento presuppone quindi la libera valutazione delle prove. 
  Tuttavia se si prescinde dalla contrapposizione con il sistema delle 
prove legali, appare evidente che la << libertà >> del giudice più che la 
valutazione delle prove, necessariamente legata a regole di logica e di 
esperienza, concerne il momento finale. 
  
 
  
 8
1.2 La nozione e le specie 
 
  La summa divisio fra confessione giudiziale e stragiudiziale, già 
enunciata dagli artt. 1356-1357 del codice civile abrogato, è ripresa pari 
pari da quello vigente, con l’identica conseguenza di attenuare 
l’efficacia di << piena prova >> nelle sole ipotesi di confessione resa 
extra judicium ad un terzo ovvero contenuta in un testamento
11
. Da una 
disciplina tendenzialmente omogenea non si possono enucleare, in 
aggiunta a queste, altre suddistinzioni teoriche di carattere generale. 
  Ciò significa che ogni differenziazione possibile si fonda su elementi di 
pura rilevanza estrinseca, o tutt’al più su graduazioni di intensità degli 
effetti esplicati dal mezzo di prova, senza modificarne in alcun modo la 
struttura unitaria o la connotazione essenziale
12
. 
  Va qui posto tuttavia il rapporto fra confessione e dichiarazioni 
complesse, di contenuto in parte confessorio, in parte assertorio, nelle 
quali accanto al riconoscimento di un fatto sfavorevole al dichiarante si 
pone quello di un altro fatto favorevole, potendovi essere tra i due fatti 
una relazione logico-giuridica tale che la dichiarazione nel complesso  
 
 
                                                     
11
 cfr. art. 2730, 2°co., 2733, 1° e 2° co., 2735, 1° co., cc.; FURNO, C., 884 ss., 895-898;  
PERLINGIERI, P., 235 ss., 242 ss. 
 9
finisca per giovare al dichiarante. In questo caso vale il principio della 
inscindibilità o indivisibilità della confessione, diretto appunto a tutelare 
il dichiarante dagli effetti sfavorevoli della sua dichiarazione. Si tratta di 
un principio antico, non accolto da tutte le legislazioni. 
  Certo è che, laddove si conferisca il giusto peso all’elemento 
definitorio, posto perspicuamente in luce dall’art. 2730, 1°co., non si 
vede come il proprium della confessione possa concepirsi in altro, se 
non in un’ammissione pura e semplice di fatti sfavorevoli al dichiarante. 
  Nel nostro sistema, già l’art. 1360, 1° co. c.c. abrogato, affermava che   
<< la confessione giudiziale o stragiudiziale non può essere divisa in 
danno di chi l’ha fatta >>. Oggi la formula oscura e imprecisa è stata 
perfezionata dall’art. 2734 c.c.: << quando la dichiarazione indicata 
dall’art. 2730 si accompagna quella di altri fatti o circostanze tendenti 
ad infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o a 
estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro 
integrità se la parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze 
aggiunte. In caso di contestazione, è rimesso al giudice di apprezzare, 
secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni >>. 
 
 
 
                                                                                                                                                       
12
 FURNO, C., 873 ss. 
 10
   Un sistema, dunque, che riafferma il principio della indivisibilità, ma 
l’operatività di esso rimette alla mancata contestazione delle 
circostanze e dei fatti aggiunti. 
  Il dichiarante viene provvisoriamente dispensato dall’onere di prova 
dei fatti favorevoli aggiunti,   restando   tale onere spostato e l’efficacia 
della dichiarazione complessa condizionata all’atteggiamento dell’altra 
parte. Se  questa non contesterà, il principio opererà in tutta la sua 
efficacia preclusiva globale e la dichiarazione varrà come piena prova 
sia contra se, sia pro se; se invece contesterà, è rimessa alla 
valutazione discrezionale del giudice l’efficacia probatoria della 
dichiarazione complessa e della eventuale controprova offerta 
dall’avversario. 
  Si esaurisce, per contro, sul piano classificatorio la rilevanza 
metodologica del rapporto di genere a specie, instaurabile fra 
l’ammissione e la confessione stricto sensu. Tenuto conto della 
spiccata individualità, assunta dalla seconda in virtù di una minuziosa 
normazione, alla prima non dovrebbe restare che uno spazio residuale, 
idoneo a ricomprendere qualunque deviazione dal modello tipico
13
. 
 
 
                                                     
13
 DE MARINI, C.M., 244-252 ; criticamente, FURNO, C., 913-915 
 11
   Vero è, da un lato, che l’ammissione, riferita ad un processo di tipo 
dispositivo, si traduce in dichiarazioni od in comportamenti, la cui 
incidenza specifica, più che nel momento decisorio, si manifesta ex 
ante nella ripartizione degli oneri probatori, risentendo in ogni caso 
della <<provvisorietà>> che caratterizza il principio di non 
contestazione. E’ certo, dall’altro, che la stessa legge si preoccupa di 
qualificare in modo difforme le conseguenze processuali di taluni 
comportamenti di tipo <<ammissivo>>, mostrando con ciò di sottrarsi 
ad una coerente ricostruzione sistematica
14
. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                     
14
 In relazione agli artt. 215, 232, 239 c.p.c., cfr. FURNO, C., 914-915 
 12