grado di dare risposte interessanti ai problemi concreti, perchè si 
colloca in una posizione a loro più vicina. Uno Stato che si 
dichiari attento alle istanze promosse dal basso e che agisca 
secondo il principio di sussidiarietà, non abdicherà alle sue 
funzioni e continuerà a fornire una vasta gamma di servizi, ma si 
collocherà in una posizione di dialogo con gli altri attori del 
sistema societario. 
Parlare di "cure di comunità" (Community care) non vuol dire 
rifiutare in toto l'intervento dello Stato, ma significa inserirlo in 
un approccio sovraordinato che sia in grado di promuovere anche 
l'attivazione dal basso e non solo la dispensazione dall'alto: un 
approccio di "rete"
1
.  
È sempre più evidente che la soddisfazione dei bisogni, 
soprattutto di quelli delle persone in situazione di disagio o 
debolezza, parte dal nucleo familiare, il quale svolge la funzione 
di richiedente, o di erogatore parziale o totale di servizi, o di 
coordinatore di risorse provenienti dalle reti primarie di 
parentela, dal mercato e dalle istituzioni statali. La ragione 
risiede nel fatto che le necessità dei soggetti esigono una risposta 
"vicina", flessibile e mutevole nel tempo, che può essere resa 
disponibile solo attraverso il collegamento di tutte le risorse 
presenti. Operatori professionali, famiglia, parenti, amici, 
colleghi, vicini di casa, volontari, associazioni, cittadini: un 
sistema delle cure concepito come rete dovrebbe tenere conto 
dell'apporto di ciascuno di questi attori sociali e sostenere la 
famiglia affinché sia in grado di avvalersi delle diverse forme di 
aiuto. Un ruolo fondamentale sarebbe poi affidato alle strutture 
intermedie in grado di gestire i complessi rapporti tra cure 
primarie e cure professionali: a tali strutture spetterebbe il 
compito di fungere da coordinatrici e attivatrici di progetti 
                                                 
1
 Vedremo in seguito che il "paradigma di rete" è in grado meglio di qualsiasi altra 
elaborazione teorica di rendere conto della complessità del sistema sociale, di "leggere la 
società" e di proporre idonee strategie d'azione. 
assistenziali complessi, che coinvolgano le reti primarie senza 
sovraccaricarle di compiti e responsabilità.  
Si tratta in sostanza di escogitare un sistema di cure che non 
agisca sull'individuo isolato, ma sulle reti sociali nelle quali è 
inserito e che sia in grado di coordinare le reti primarie (famiglia, 
parenti, amici, vicini), le reti secondarie (self-help, mutuo aiuto, 
forme cooperative e associative) e quelle terziarie (dei servizi 
professionali pubblici e privati), tenendo conto della necessaria 
differenziazione delle strutture di intervento in relazione alla 
specificità dei compiti da affrontare, delle risorse necessarie e 
disponibili, delle capacità relazionali di famiglie e operatori in 
contesti concreti. In breve, l'obiettivo finale a cui mirare è 
l'integrazione tra aspetti sanitari e aspetti sociali. 
 
La prima parte del presente lavoro seguirà le tappe evolutive del 
Welfare State e si soffermerà in particolare sulle prospettive di 
sviluppo suggerite dalla "community care" all'interno del 
"paradigma reticolare". 
La seconda parte riguarderà invece uno studio di caso: i disabili 
motori e i servizi di cura alla persona. Cosa succede alle "reti 
sociali" di chi è affetto da patologie regressive invalidanti? Quali 
soggetti, pubblici, privati, o di "privato sociale" contribuiscono 
affinché si arrivi ad un livello soddisfacente di qualità della vita?  
Per rispondere a questi interrogativi si procederà all'analisi delle 
reti sociali di 10 persone affette da patologie neuromuscolari e 
dei loro rispettivi care givers
2
 principali. In particolare ci si 
soffermerà su alcuni temi - chiave e si analizzeranno le strategie 
adottate dalle varie famiglie, alla ricerca di quegli esempi 
riconducibili, in tutto o in parte, alla "community care". L'idea di 
fondo è che dal confronto fra le diverse morfologie reticolari e 
fra le differenti risorse mobilitate sia possibile trarre utili 
indicazioni per le politiche sociali. 
                                                 
2
 Il "care giver" è la persona che si occupa della maggior parte delle attività di cura.  
  
 
 
 
 
 
 
 
PARTE PRIMA 
 
 
LO STATO DEL BENESSERE 
 NELLA SOCIETÁ POST-MODERNA 
 
 1
CAPITOLO  1 
 
RIPENSARE LO STATO SOCIALE 
 
 
1.1  Nascita di un modello 
 
Chi si occupa del "benessere" dei cittadini?  
Per avventurarsi nello studio dell'evoluzione del Welfare State, 
occorre tenere presente che il significato di "benessere" è legato 
ai differenti contesti storici, alle caratteristiche della forma di 
Stato, al grado di sviluppo tecnologico, al livello di ricchezza e 
alla cultura di un popolo.  
Prima di affrontare direttamente la problematica legata alla crisi 
del modello attuale di Welfare State e alle possibili prospettive 
evolutive che da più parti sono state formulate, è utile accennare 
brevemente alle diverse esperienze storiche riconducibili al 
concetto di "tutela dei bisognosi".  
Fino al '700 l'assistenza ai bisognosi aveva la forma della 
beneficenza ispirata alla carità cristiana, non c'era da parte dello 
Stato un intervento diretto per tutelare i soggetti più deboli. È 
solo con l'illuminismo che si sviluppano le prime esperienze 
laiche di assistenza, ispirate a forme di filantropismo svincolato 
dalla matrice religiosa. Comincia a farsi strada l'idea secondo la 
quale è lo Stato che deve, almeno in parte, farsi carico di compiti 
assistenziali.  
La rivoluzione francese porta con sé le prime forme di 
beneficenza pubblica, che segnano l'inizio dell'intervento diretto 
dello stato nei confronti dei bisognosi. Con l'avvento della 
cosiddetta "seconda rivoluzione industriale" si verifica un 
notevole aumento dei bisogni dei cittadini, soprattutto delle classi 
lavoratrici. Il prodigioso sviluppo tecnologico comporta una 
radicale modificazione nella produzione: nasce l'era delle 
 2
fabbriche, delle città industriali che si dilatano enormemente e 
attirano manodopera dalle campagne.  
Quelle funzioni assistenziali, di supporto e di solidarietà che 
erano assicurate dalla famiglia "estesa" pre-industriale non sono 
più coperte nelle nuove famiglie di tipo "nucleare"; le classi 
lavoratrici si trovano così a dover fronteggiare le difficili 
condizioni di lavoro e di vita senza poter contare sul sostegno 
delle reti primarie
3
. Infortuni, malattie, perdita del lavoro, 
anzianità sono tutti pericoli per coloro che hanno nel salario la 
loro unica fonte di sostentamento: per questo i sindacati operai, 
sia socialisti che cattolici, richiedono forme di assistenza sempre 
più ingenti. I sindacati, insostituibili per difendere il livello dei 
salari, risultavano impotenti contro l'incubo principale degli 
operai: gli infortuni (che dal 1880 erano aumentati paral-
lelamente all'incremento del ritmo produttivo), le malattie e la 
disoccupazione da vecchiaia. In questi campi intervennero i 
governi con le prime leggi di tutela dei lavoratori. Ispirato più da 
motivi d'ordine pubblico che da reali spinte filantropiche, Otto 
Von Bismark introdusse nella Germania di fine '800 forme 
embrionali di previdenza sociale, legate ancora al concetto di 
"rischio" (assicurazioni contro infortuni, malattia, disoccupazione 
da vecchiaia). 
Da queste prime esperienze di previdenza promossa dallo Stato, 
si arriva a quello che è considerato il vero punto di partenza del 
Welfare State: il "rapporto Beveridge" del 1942, in Inghilterra. 
Sir William Beveridge stabilisce che “ad ogni cittadino deve 
essere garantita una soglia di sussistenza", un minimo di 
benessere: l'accento si sposta dal "rischio" al "bisogno", i 
cittadini possono usufruire della prestazioni di cui hanno bisogno 
                                                 
3
 Col termine "reti primarie" (o "reti informali") ci si riferisce a quegli insiemi di relazioni 
primarie che hanno come soggetti fruitori e destinatari i membri della stessa famiglia, i 
parenti, gli amici, le persone vicine che danno occasionalmente aiuto. Per estensione si 
arriva a includere i gruppi di mutuo aiuto, certe organizzazioni etniche, di fraternità o di 
vicinato, fino a forme di volontariato e cooperazione, che però non superino certe quote di 
formalizzazione.  
 3
indipendentemente dai contributi assicurativi versati.
4
 Attraverso 
la fiscalità generale, con criteri progressivi, vengono raccolti i 
fondi necessari a sostenere un simile impianto e s'introduce un 
elemento redistributivo tra classi sociali diverse e fra generazioni.  
Lo Stato, nelle intenzioni di Beveridge, doveva salvaguardare e 
realizzare i diritti di cittadinanza, civili e politici. Sullo sfondo c'è 
ancora il liberalismo, ma il crollo di Wall Street del 1929 e la 
conseguente crisi mondiale hanno mostrato l'impossibilità 
dell’autoregolazione del mercato. Muovendo da queste consi-
derazioni, alcuni economisti (tra cui J.M. Keynes, che intuì 
l'effetto moltiplicatore della spesa pubblica sulla domanda 
aggregata) hanno teorizzato la necessità dell'intervento statale in 
economia per correggere diseguaglianze, combattere la povertà e 
muovere verso la piena occupazione. Dal secondo dopoguerra in 
poi, lo "stato del benessere keynesiano-beveridgiano" si estende 
alla maggior parte dei paesi democratici e capitalistici 
dell'occidente.
5
  
Il Welfare State può essere interpretato come la risposta 
all'evoluzione dei diritti riconosciuti ai cittadini: dai diritti 
politici, ai diritti civili, fino a quelli sociali (diritto al lavoro, alla 
salute, all'istruzione). Ferrera definisce il Welfare State come "un 
insieme di interventi pubblici connessi al processo di 
modernizzazione, i quali forniscono protezione sotto forma di 
assistenza, assicurazione e sicurezza sociale, introducendo fra 
l'altro specifici diritti sociali nel caso di eventi prestabiliti, 
nonché specifici doveri di contribuzione finanziaria".
6
 
Se lo Stato assistenziale prima e lo Stato previdenziale poi hanno 
limitato il loro intervento nell'economia e nella società a 
programmi circoscritti, lo Stato "sociale" che si va delineando in 
                                                 
4
 Franzoni F., "Welfare State", in Enciclopedia tematica aperta: Sociologia, Jaca book, 
Milano, 1997. 
5
 Non è possibile riscontrare ovunque lo stesso modello di Welfare: il contesto sociale, 
economico e culturale determinano una diversa interpretazione del modello nei vari paesi. 
6
  Ferrera A., Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie, il Mulino, 
Bologna, 1993. 
 4
Occidente assume un orientamento di regolazione generale dei 
processi socioeconomici: esso istituzionalizza il rapporto tra 
politica ed economia attraverso la politica economica; questa, a 
sua volta, è la griglia di riferimento per la valutazione della bontà 
e della fattibilità delle politiche sociali.
7
  
Lo Stato sociale è un sistema di regolazione sociale
8
 per via 
politica e redistributiva, caratterizzato da alcuni vincoli strutturali 
che incidono sull'implementazione e sull'efficacia delle politiche 
pubbliche. Si tratta del vincolo economico (il livello di risorse 
disponibili e di organizzazione economica devono essere 
adeguati ai livelli di benessere sociale che si propone di 
distribuire), di quello sociale (il Welfare State richiede consenso 
per legittimare i meccanismi redistributivi; inoltre la struttura 
sociale influenza le politiche pubbliche) e del vincolo politico - 
istituzionale (le politiche pubbliche sono influenzate dalle carat-
teristiche della struttura istituzionale dello Stato e dai rapporti di 
forza tra le formazioni politiche e tra gli orientamenti ideologici). 
Lo Stato si preoccupa di raccogliere le risorse necessarie per la 
redistribuzione del reddito utilizzando il prelievo fiscale e i 
contributi sociali, mentre può avvalersi di canali diversi per 
trasferire le risorse a chi ne ha diritto: può utilizzare trasferimenti 
monetari, erogazione gratuita o semigratuita di servizi, oppure 
agire mediante l'erogazione indiretta di benefici. Nel caso dei 
trasferimenti monetari, lo Stato interviene con forme di sussidio 
o di garanzia del reddito nei casi di disoccupazione involontaria, 
                                                 
7
 Cfr. Grazioli P., Franzoni F., I nodi critici del Welfare State: modelli, segnali di crisi, 
scenari futuri, in La Rosa M. (a cura di), Solidarietà, equità e qualità: in difesa di un 
nuovo Welfare in Italia, Angeli, Milano, 1995. 
8
 Possiamo pensare alla società come ad un complicato intreccio di relazioni tra una 
pluralità di attori sociali, che si addensano attorno a nuclei "sistemici", una sorta di 
sottosistemi sociali, caratterizzati da un peculiare codice simbolico, una struttura più o 
meno definita, valori propri, regole. La "regolazione sociale" è il tentativo di gestire i 
rapporti tra i diversi sottosistemi, di superare l'incomunicabilità, l'ingovernabilità. Si cerca 
di stabilizzare e codificare i rapporti sociali e di indurre comportamenti solidali e 
altruistici (non autentici, ma indotti). Vedremo più avanti come uno dei motivi di crisi 
dello stato sociale consista proprio in un certo modo di leggere il sistema sociale e di 
pensare alla "regolazione sociale".  
 5
di inabilità al lavoro per malattia o per infortunio, o di inattività 
dovuta a vecchiaia, maternità, o altro. Per quanto riguarda la 
seconda modalità, possiamo dire che l'istruzione, i servizi di 
assistenza sanitaria, e di assistenza sociale, erogati gratuitamente 
o quasi, sono un modo per accrescere il reddito effettivo senza 
toccare il reddito nominale. Se invece si parla di "erogazione 
indiretta di benefici", ci si riferisce a forme di crediti e 
agevolazioni fiscali.  
Classificare le varie forme di Welfare è un compito piuttosto 
arduo, dal momento che si devono considerare molte variabili
9
:  
- il grado di inclusività, cioè il livello di copertura della 
popolazione. Il patto di solidarietà tra individui e Stato che 
caratterizza il Welfare State comporta diritti e doveri per 
entrambi i contraenti. Tale patto può riguardare l'intera 
cittadinanza (redistribuzione universalistica), oppure categorie 
particolari (criterio selettivo, particolaristico); 
- tensione tra selettività e universalismo: i due termini sono 
compresenti, anche se uno può prevalere sull'altro. Secondo il 
principio universalistico, per godere dei benefici è sufficiente 
la titolarità dei diritti di cittadinanza (civili, politici e sociali), 
mentre per il principio selettivo devono essere comprovate le 
effettive condizioni di bisogno per fruire delle prestazioni: 
- antinomia tra meritocrazia e uguaglianza. La prima, di 
stampo liberale, esalta l'uguaglianza delle opportunità e lega il 
benessere sociale alle performances individuali, la seconda 
cerca l'uguaglianza dei risultati e privilegia il criterio del 
bisogno nell'allocazione di beni e servizi; 
- livello di estensione, vale a dire la gamma e la struttura delle 
prestazioni offerte; 
- strumenti redistributivi e loro coerenza. Perché il risultato sia 
perequativo, si devono utilizzare correttamente gli strumenti 
                                                 
9
 Cfr. Grazioli P., Franzoni F., op. cit., p. 67. 
 6
di raccolta di risorse - attraverso fiscalità generale e contributi 
- e quelli di redistribuzione.; 
- forma di regolazione sociale dominante. Alla base delle più 
famose tipologie prodotte c'è la tricotomia Stato - mercato - 
società civile, più spesso ridotta ai primi due termini, letta 
entro una prospettiva evoluzionistica e normativa. 
 
R. Titmuss
10
 ha formulato una tipologia delle diverse modalità 
attraverso le quali la combinazione di beneficenza, previdenza e 
servizi sociali ha dato vita nei vari paesi a forme peculiari di 
welfare. Vediamola nel dettaglio:  
 
A) Modello residuale, detto anche "public assistance model", nel 
quale lo Stato si limita ad interventi temporanei come risposta 
ai bisogni individuali solo quando i due canali naturali, il 
mercato e la famiglia, entrano in crisi. Ha come referente 
storico lo Stato assistenziale inglese (e il modello americano 
prima di Clinton) ed è legittimato da una concezione positiva 
dell'economia di mercato. Lo Stato può intervenire selet-
tivamente per assistere gruppi sociali svantaggiati, fino al 
momento in cui la crescita economica avrà colmato il gap; 
 
B) Modello acquisitivo-performativo o remunerativo o ancillare, 
detto anche conservatore-corporativo, in cui i programmi 
pubblici di welfare giocano il ruolo di complementi del 
sistema economico, fornendo livelli di protezione che 
riflettono i meriti e i rendimenti lavorativi (i destinatari sono 
dunque diverse fasce di cittadini, il modello non è universa-
listico). Ha come referente storico gli schemi inglesi di 
assicurazione sociale del reddito ed è un modello di tipo 
particolaristico, dove il benessere del singolo dovrebbe essere 
commisurato al contributo che egli dà al benessere collettivo. 
                                                 
10
 Titmuss R., Saggi sul Welfare state, Ed. Lavoro, Roma, 1986. 
 7
L'intervento dello Stato non è più di tipo supplementare, ma 
complementare al mercato;  
 
 
C) Modello istituzionale redistributivo, o socialdemocratico, in 
cui i programmi pubblici di welfare costituiscono una delle 
istituzioni cardine della società e forniscono prestazioni 
universali, indipendentemente dal mercato, sulla base del 
principio del bisogno. Trova la sua origine nel già citato 
"rapporto Beveridge". La contraddizione tra Stato e mercato 
che si dispiega nel modello viene smussata e rimossa 
all'interno del sistema politico. Si accusa il sistema economico 
di non riuscire a distribuire il benessere e di creare forme di 
povertà, malessere, emarginazione e c'è la convinzione che 
l'instabilità strutturale del capitalismo possa essere gestita solo 
dallo Stato, il quale ha il compito di garantire la stabilità nel 
rischio tramite un'azione regolativa incisiva e sistematica. 
Questo modello viene definito anche "compromissorio", 
poiché si configura sia come sistema di compensazione delle 
diseguaglianze generate dal mercato, sia come strumento di 
protezione del nucleo sostanziale del capitalismo, vale a dire 
l'accumulazione e appropriazione privata del capitale. Viene 
creata per via politica una sorta di "solidarietà artificiale": la 
comunità allargata si sobbarca i costi esternalizzati dal 
sistema economico e sociale. Lo Stato pretende di assicurare a 
tutti i cittadini, almeno in linea di principio, un livello 
soddisfacente di benessere. 
 
Dopo Titmuss, la tipologia è stata aggiornata alla luce delle 
novità emerse a livello internazionale. L'esperienza scandinava, 
per esempio, ha portato a delineare un nuovo modello, il Welfare 
State totale, nel quale lo Stato offre una gamma amplissima di 
prestazioni secondo il solo principio del bisogno e rimuovendo la 
 8
logica meritocratica e mercantile dai criteri di regolazione 
sociale. 
In tempi recenti sono emersi nuovi tentativi di classificare il 
Welfare, tra i quali va menzionato quello proposto da Ferrera
11
, 
basato sulla variabilità dei modelli di solidarietà o copertura. 
Secondo l'autore esistono due modelli, quello universalistico e 
quello occupazionale.  
Nel caso del modello universalistico, la "comunità di rischio" 
coincide con l'intera popolazione, mentre nel modello 
occupazionale la comunità è frammentata da una serie di 
diseguaglianze tra categorie socioeconomiche. Non mancano, in 
ogni modo, i casi in cui è più opportuno parlare di tipologia 
mista. 
Forme pure di modello universalistico sono presenti, secondo 
Ferrera, in Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca; forme miste, 
invece, nel Regno Unito, in Canada e in Nuova Zelanda. Il 
modello occupazionale ha le sue forme pure in Francia, Belgio, 
Germania e Austria, e le sue forme miste in Italia, Svizzera, 
Olanda, Irlanda. 
Tra i modelli presentati, nessuno sembra offrire garanzie 
assolute, ognuno presenta aspetti positivi e negativi: per questo 
motivo tutti i sistemi di Welfare occidentali sono oggetto di 
ripensamento e di riforme.  
 
 
 
1.2 Che fare se è lo Stato sociale ad ammalarsi? 
 
L'edificio del Welfare State postbellico dei paesi occidentali, di 
impostazione keynesiana - beveridgiana, si ergeva su solide basi 
                                                 
11
 Ferrera A., Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie, il Mulino, 
Bologna, 1993. 
 9
sociali ed economiche, su forti pilastri che la società post-
industriale sta progressivamente erodendo.  
Tra i mutamenti sociali che hanno messo in crisi il modello  del 
Welfare tradizionale, uno dei più macroscopici è senza dubbio lo 
sviluppo di fenomeni associativi esterni sia alla sfera del 
mercato, sia a quella politica; si tratta di sfere di relazioni sociali 
che non seguono né la logica dell’utilità o del profitto, né quella 
del comando su risorse: non sono né private né pubbliche. Si 
devono coniare nuovi termini, si parla di “terzo settore”, “terzo 
sistema”, “terza dimensione”, “privato sociale”. Esperienze di 
questo tipo nascono da esigenze nuove e irriducibili, rispondono 
ad alcuni temi essenziali riguardo al modo di osservare e valutare 
i bisogni sociali e le risposte ad essi in una società complessa di 
welfare avanzato. 
Abbiamo visto in precedenza che nel modello "neo - corporativo" 
di Welfare State, caratterizzato dall'estensione dello schema delle 
relazioni industriali a livello societario, il Governo coinvolge le 
parti sociali nella definizione degli obiettivi e delle politiche, in 
cambio dell'impegno delle parti sociali stesse a far passare presso 
le proprie basi queste scelte; la politica non è più identificabile 
con l'attività di governo, ma diventa un'intermediazione tra gli 
interessi. Oggi è proprio tale compromesso tra Stato, capitale e 
lavoro a subire violenti attacchi da parte di tutti quegli attori 
sociali esclusi dal meccanismo, in particolare dalle associazioni 
di terzo settore, espressione dinamica della società civile. Esse 
sono trascurate dal modello neo-corporativo, ma se vi entrassero 
ne risulterebbero irrigidite, diventerebbero "apparato". Serve 
dunque un modo nuovo di "leggere la società", un nuovo modello 
di sistema societario in grado di tenere conto della crescente 
complessità sociale.  
Per quanto riguarda gli aspetti economici (e conseguenti 
implicazioni sociali) della crisi del Welfare, va detto che le linee 
guida del modello keynesiano - beveridgiano sono state 
 10
formulate in un periodo storico di grande crescita, nel quale la 
popolazione attiva superava quella inattiva e la sovranità 
nazionale non era stata ancora messa in discussione da 
meccanismi sovranazionali: era dunque ammissibile pensare a 
meccanismi di intervento dello Stato in economia al fine di 
promuovere l'equità, il benessere, la piena occupazione
12
.  
Le nuove tecnologie produttive
13
, che prevedono l'impiego di 
macchinari sofisticati e della telematica, hanno consentito una 
generale riorganizzazione del lavoro, che si è tradotta in uno 
sganciamento della produttività dalla quantità di lavoro 
impiegata. Gli schemi di garanzia del reddito, in gran parte 
ricalcati su un modello socioeconomico centrato sul lavoro 
industriale stabile dei maschi adulti, entrano in crisi nei nuovi 
sistemi ad alta complessità, che hanno il loro nucleo centrale non 
più nel settore industriale, ma in quello dei servizi.
14
 Il mercato 
del lavoro subisce forti alterazioni anche in considerazione 
dell'aumento dell'età media, della "intellettualizzazione" e della 
"femminilizzazione" nel lavoro
15
: il risultato combinato di tali 
fenomeni è l'espulsione di manodopera nei settori tradizionali e 
l'aumento della disoccupazione a lungo termine, della 
sottoccupazione e del lavoro precario e sommerso. L'età media 
della popolazione aumenta, il numero degli anziani supera quello 
dei giovani e il meccanismo delle pensioni, costruito per una 
società che non c'è più, è sull'orlo del collasso. L'immigrazione di 
uomini e donne da altre parti del mondo, attratti dalla "civiltà del 
benessere", rischia di indebolire ulteriormente tutto l'apparato 
socioeconomico. Il patto di solidarietà tra le generazioni, tra 
                                                 
12
 Nelle formulazioni originali dello stato del benessere, la forza lavoro 
partecipa al progresso economico, perciò le politiche salariali sono orientate 
a sostenere il potere d'acquisto per incrementare la produzione. Nasce il 
"consumo di massa", modello di accumulazione che ha reso possibili livelli 
di consumo sempre crescenti. 
13
 Vengono definite tecnologie "labour saving", cioè "a risparmio di lavoro". 
14
 Il fenomeno va sotto il nome di "terziarizzazione dell'economia". 
15
 Cfr. Grazioli P., Franzoni F., op. cit., p.74. 
 11
"forti" e "deboli" che sta alla base del Welfare State non può più 
reggere: non c'è equilibrio tra le generazioni, non c'è equilibrio 
tra chi versa e chi riceve.  
L'economia, non più in rapida crescita, non è in grado di produrre 
entrate fiscali sufficienti da redistribuire sotto forma di 
protezione sociale; le prestazioni erogate non paiono 
proporzionali ai sacrifici imposti attraverso il prelievo fiscale o il 
versamento di contributi, anche perché le esigenze delle persone 
sono diventate sempre più numerose, articolate e raffinate. 
L'aumento qualitativo e quantitativo dei bisogni è legato sia 
all'accresciuta complessità del vivere sociale, sia a motivi di 
carattere psicologico, che portano i soggetti a sviluppare esigenze 
più sofisticate una volta soddisfatte quelle basilari.  
Lo Stato del benessere, costruito per rispondere a bisogni 
primari, è stato costretto via via ad occuparsi di ogni cosa. Fin 
dalla sua nascita, il Welfare State ha affrontato i problemi 
attraverso un "determinismo lineare di problem solving"
16
, 
puntando tutto sulla tecnicizzazione/razionalizzazione
17
 dei suoi 
interventi, anche in settori la cui complessità non si prestava ad 
interpretazioni "oggettive". Di fronte ai bisogni "elementari" di 
mera sopravvivenza, e in generale tutte le volte in cui si ha a che 
fare con "cose", l'approccio può funzionare, quando invece si 
entra nel campo dei servizi alla persona il discorso si complica. 
Nei servizi alla persona, ogni intervento cade su un "soggetto", 
sorgente autonoma di iniziativa, non semplice ricettore passivo di 
un'azione, ma fonte di rielaborazione raramente prevedibile. 
                                                 
16
 Donati P., La cura della salute verso il 2000, Angeli, Milano, 1991. 
17
 Il modello lineare di soluzione dei problemi prevede che ogni problema venga scomposto 
in parti e sottoparti, per aggredirle una ad una separatamente.