3
Quando si parla di mafia viene subito in mente questo termine, così 
come quello di famiglia, sono concetti immateriali ma che, in questo contesto 
vengono a configurare manifestazioni di volontà radicali nei confronti di 
persone coinvolte a vario titolo, che si allontanano da certe “regole” 
comportamentali e morali.  
Queste persone possono essere componenti (femminili) della famiglia 
di un mafioso, o possono essere i membri di quella famiglia che, considerata 
astrattamente sarebbe la ‘ndrangheta.  
 La prima parte si sofferma in generale sulla geopolitica della mafia, e la 
sua modalità di espansione, inquadrando il fenomeno poi, in un contesto 
particolare, la Calabria, prestando attenzione alla percezione che hanno i 
giovani della mafia del suo territorio, la ‘ndrangheta. Questa vorrebbe 
presentarsi, munita di un sostegno ideologico, caratterizzato da un delirante e 
paranoico paragone di carattere strutturale fra famiglia come istituzione 
domestica e organizzazione mafiosa.  
L’importanza attribuita al nucleo familiare, come nucleo particolare, fa 
si che venga creata un’immagine speculare che viene prontamente trasposta e 
estesa alla struttura di un fenomeno generale presente nella società, la mafia 
appunto, che si caratterizza per modalità che non hanno niente a che fare  
con la famiglia, anche se da essa ha mutuato un’immagine da spendere 
all’esterno.  
Si è cercato di capire se il motivo che rende possibile l’esistenza della 
stessa risiede nella società,  e se uno dei comportamenti che la alimenta è 
cosiddetto di familismo amorale, cioè quell’ethos che caratterizzerebbe le 
regioni meridionali e rende ragione della particolare importanza attribuita alla 
famiglia.  
Il familismo,  non è un concetto estendibile erga omnes agli abitanti del 
sud, ma la sua reale e vivace esistenza è individuabile e riconoscibile 
all’interno del modus operandi della ‘ndrangheta.  
Lo stesso fa si che si tramandino di generazione in generazione 
mentalità che subordinano tutto in nome di un’immagine fittizia della 
famiglia. 
 
 4
La seconda parte è dedicata interamente alla illustrazione di questo caso 
significativo, frutto di mentalità e convinzioni sedimentate, promosse da 
quelle succursali dell’inferno che divorano dall’interno ogni possibile 
cambiamento, quel tessuto tumorale di natura criminale al cui centro ruotano i 
cari concetti di famiglia e onore. 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE PRIMA 
 
 6
 
CAPITOLO I 
 
 
 
In tale condizione non è possibile alcuna industria, 
perché il suo frutto è incerto, è quindi non c’è 
agricoltura, né navigazione, né calcolo, della 
superficie terrestre, né calcolo del tempo, né arti, né 
lettere, né società, e, quel che è peggio, dominano la 
continua paura e il pericolo di una morte violenta, e 
la vita dell’uomo è corta, solitaria, povera, sordida 
e bestiale. 
 T. Hobbes 
 
 
La geopolitica della mafia 
In Calabria la mafia è diffusa attorno all’Aspromonte, facile rifugio, in 
ogni tempo, per coloro che nelle sue pieghe, nei suoi anfratti, nei suoi boschi, 
fuggono la vendetta privata o la legge dello Stato. 
Dal reggino, man mano essa si estende a occidente lungo la fascia 
costiera del vibonese; e ad oriente, con più o meno densità, arriva ad includere 
il crotonese. Non è però da pensare ad un netto confino, bensì ad una 
sfumatura, perché la mafia si infiltra anche nella fascia interna meridionale. La 
geografia economica indica le zone di maggior densità mafiosa (di cui fanno 
parte la piana – ‘a chiana – compresa fra Rosarno, Gioia Tauro e Palmi; 
l’altopiano del Poro e il marchesato di Crotone) fra quelle di massima 
produzione agricola; e la storia, dal canto suo, ricorda appunto che qui pesò, 
dal medioevo in poi, la potenza dei baroni. Ritroviamo, dunque, gli elementi 
che determinarono il nascere della mafia in Sicilia: latifondo e feudo da un 
lato, miseria dei contadini dall’altro.  
Ma mentre in Sicilia la mafia ha sempre goduto dell’attenzione della 
pubblicistica, in Calabria nessuno ha mai cercato di documentare le occasioni 
del nascere e del progredire del fenomeno godendo dell’ombra proiettata dalla 
consorella, di cui è stata da sempre considerata un sottoprodotto. 
A tutto questo va aggiunto il malinteso senso “dell’onore regionale” che 
ha indotto la classe intellettuale locale a negare l’esistenza di una malavita 
organizzata, considerandolo fenomeno di pericolosità relativa, limitata alle 
campagne e ai borghi rurali, di zone note alle autorità di pubblica sicurezza e 
 7
su cui è stata chiamata a giudicare una magistratura troppo frettolosa e 
compiacente, per non accennare ai recentissimi fatti di cronaca relativi agli 
arresti di alcuni magistrati per connistioni con la malavita organizzata
1
. 
L’interesse pubblico è stato rivolto tutto o quasi al “colore” che alla 
‘ndrina (diminutivo di malandrina: nel gergo mafioso è sinonimo di astuzia, di 
intelligenza volpina; significa saperci fare rischiando di persona, 
coraggiosamente. Un malandrino non si vergognerà mai, all’occasione di 
autodefinirsi, come un professionista non si vergognerebbe di essere chiamato 
come tale) deriva dall’esoterico cerimoniale che apre e chiude le riunioni e di 
cui non si aveva la più pallida idea della reale esistenza di questa fantomatica 
“società” in cui la parola “onore” era la più ricorrente. Accendeva 
l’immaginazione il racconto di misteriose riunioni notturne nei boschi o nelle 
vigne o accanto alle fiumare, di battesimi di sangue.  
Oggi ci si accorge che la vecchia ‘ndranghitina, in tanti anni di 
pubblico disinteresse, ha potuto tranquillamente mutare pelle e, pur non 
abbandonando la campagna, si è mossa alla conquista della città.  
Quando si iniziò a parlare di ndrangheta, termine oltretutto in uso da 
qualche decennio, non ci si accordava neanche sulla definizione 
terminologica, e di volta in volta fu chiamata mammasantissima, camorra, 
maffia, onorata società, picciotteria, Famiglia Montalbano, fino all’attuale 
ndrangheta. Forse, sarebbe più corretto, “dal punto di vista etimologico, dire 
‘ndranghita, termine di chiara origine grecanica derivato da andragathos che 
indicava proprio l’uomo coraggioso e valoroso”
2
.  
Inizialmente, a questo fenomeno fu attribuito un valore positivo, e 
traspariva nella misera popolazione un chiaro sentimento di rispetto e 
ammirazione per l’onorata società, nonché per l’uomo d’onore. 
Successivamente il termine assunse connotazioni peggiorative e non è difficile 
comprendere il perchè.  
 
                                                 
1
 Mi riferisco alla notizia diffusasi in questi giorni, di un magistrato, Patrizia Pasquin, presidente della 
sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, salita anni fa alla ribalta delle cronache per aver seguito 
le indagini sull’omicidio del piccolo Nicholas Green, il bambino assassinato nel ‘94 in una rapina 
sull’autostrada, che è stata accusata di corruzione in atti giudiziari, falso e truffa aggravata ai danni 
dello Stato, in favore del clan ndranghetista dei Mancuso. 
2
  CICONTE E., ‘Ndrangheta  dall’unità ad oggi, Gius. Laterza & figli, Roma, 1992, p 20. 
 8
La crescente capacità della ‘ndrangheta di infiltrarsi nel processo 
produttivo in modo sistematico, speculando sulla produzione olearia e,  
assorbendo gran parte del prezzo d’integrazione. Ma la ‘ndrangheta riesce 
anche a trarre profitto ai danni di produttori e consumatori, a causa dei prezzi 
imposti su frutta e ortaggi, di cui controlla la distribuzione attraverso gli 
intercettatori sui posti di produzione. 
L’onorata società calabrese da agricola poi, si è trasformata in edilizia, 
occasione offertagli dagli appalti per i lavori di costruzione dell’autostrada del 
Sole, e in questi ultimi decenni della Salerno-Reggio Calabria.  
Dal mito del “rispetto” si è passati quindi all’estorsione razionalizzata, 
la “mazzetta” sul non sudato guadagno, presentata sotto forma di protezione 
che deve essere pagata, come se si fosse in uno stato di guerra.  
Appare tautologico, in questa sede, ripetere la consueta analisi sulla 
morfologia e la struttura dell’associazione criminale di tipo mafioso, quasi che 
essa facesse ex abrupto la sua comparsa. Esiste in proposito una tale dovizia di 
elaborazioni sociologiche e giurisprudenziali (di merito e di legittimità), da 
rendere sufficiente il generico richiamo al noto e alle più nette riforme (416 
bis c.p.), di cui tracimano gli infiniti incartamenti processuali, confermati  
anche dalla cronaca quotidiana. 
Un cambiamento però c’è stato, l’organizzazione ‘ndranghetista  è 
attualmente sottoposta, motu proprio, a un processo “evolutivo di tipo 
piramidale” con l’esistenza di un organismo collegiale egemone sui locali di 
‘ndrangheta ricadenti nelle diverse zone, e proteso a costituirsi in una 
“dimensione regionale”.  
Questo mutamento, non consiste in un elegante esercitazione dialettica, 
ma tratteggia, in maniera incisiva, un’allarmante realtà mafiosa in fieri, 
presumibilmente dovuta alla necessità di un maggiore  accentramento, in vista 
del raggiungimento di obiettivi tipici dell’associazione mafiosa: in primis 
quello di garantire la sopravvivenza e la prosperità dell’<istituzione > stessa.  
Probabilmente la propensione al cambiamento è in parte da imputare 
alla spontanea, quanto naturale tendenza al confronto fra le cosche della 
provincia di Reggio e in parte all’incapacità dei sistemi di controllo formali 
che quotidianamente non vedono quel che accade, perché, in fondo sono 
 9
uomini “comuni”, che rappresentano uno Stato che in Calabria ha ammainato 
“bandiera bianca”.  
In Calabria ci sono due forme di Stato: quello nominale e quello 
mafioso, e non è onesto affermare che sono sempre in lotta tra loro.  
C’è un terreno comune tra mafia e Stato e questo è rappresentato 
dall’arma Politica. Sicuramente lo Stato è debole, ma alcuni luoghi della 
Politica lo sono di più.  
C’è da dire che la collusione tra mafia e politica non è una novità, è 
sempre stato un continuo groviglio di compromessi tra “pezzi da 90 e classe 
dominante”
 3
.  
Fatti ed eventi recenti hanno reso evidente il carattere risibile sfatando 
alcuni miti.  
Oggi ad esempio non è più possibile considerare tangentopoli come un 
<<attacco allo Stato>> in quanto si è mostrato ampiamente che “parti di e 
talora tutte tali organizzazioni criminali attraversano completamente strutture, 
uomini e istituzioni, che in teoria dovevano infatti costituire lo Stato, questa 
sorta di vuoto contenitore così facilmente riempibile d’ideologia.” 
4
. Così i 
fatti che dimostrarono in primis la dissoluzione dello Stato sovietico hanno 
messo in luce l’enorme equivoco che quello Stato fosse un ente a parte rispetto 
alla società. La struttura ideologica Stato vive e muore in perfetta simbiosi con 
una certa specificità culturale, una certa tradizione politica – specificità 
culturale e tradizione politica che, sia ben chiaro, in certe condizioni storiche 
possono giocare un ruolo estremamente importante nel dare forma e ordine 
alla società.”
5
 . 
 
Le lotte politiche, sia a livello comunale che a livello provinciale, 
regionale e nazionale, hanno visto in Calabria, come in Sicilia, in prima fila la 
mafia, mobilitata per far convergere verso il partito che andrà al governo, i 
voti dei grandi elettori.  
 
                                                 
3
  GAMBINO S., La mafia in Calabria, Battaglie di libertà. A cura di Giuseppe Reale,  Edizioni 
Parallelo 38, 1975, p. 53. 
4
 MELOSSI D., Lezioni di sociologia del controllo sociale, Mulino, Bologna, 1996, p. 15. 
5
 MELOSSI D:, Op. cit. , p. 16.