11 
analizzate diverse ipotesi esplicative del carattere distruttivo del 
dittatore nazista, discutendo sulla attualità e validità dello stereotipo 
di "Hitler come pazzo", ancora diffuso ed accreditato. 
Il secondo capitolo vuole proporre alcune considerazioni sui 
principali tratti della complessa personalità hitleriana, come 
appaiono dall'osservazione empirica delle sue manifestazioni 
esteriori, dagli atti, dagli scritti e dai discorsi e su come essi devono 
essere interpretati in rapporto al meccanismo di fascinazione sul 
popolo tedesco dell'epoca. In particolare, la capacità di mentire e la 
teatralità saranno considerati elementi fondamentali della 
fascinazione attraverso la ritualizzazione e la spettacolarizzazione 
del regime. 
Il terzo capitolo affronta il problema della sensibilizzazione 
del popolo tedesco alla fascinazione nazista. Sono ripercorse e 
descritte la principali esperienze collettive che, dal 1919 al 1933, 
fornirono il pretesto ad una forza politica eversiva di ottenere il 
consenso e il potere. Vengono analizzate altresì le esperienze di 
terrore e di coercizione che erano intrinseche al sistema. Le 
conseguenze patologiche a livello centrale (lo stato razziale e la 
volontà genocida) sono messe in relazione alle conseguenze 
patologiche periferiche (la paura, lo scatenamento dell'aggressione, 
l'adesione al principio del capro espiatorio da parte del popolo 
tedesco).  Il carattere totalmente distruttivo ed antiumano del 
nazismo è svelato attraverso la descrizione  dei suoi crimini contro 
ebrei, minoranze etniche, emarginati sociali, malati e handicappati. 
Nel quarto capitolo le considerazioni psicostoriche 
riguarderanno aspetti della vita reale del Terzo Reich. 
L'intromissione del regime e dei suoi contenuti propagandistici 
nell'inconscio delle masse  e nella loro vita privata sarà descritta 
attraverso alcuni sogni di tedeschi raccolti in quel periodo. 
L'elemento simbolico del regime è analizzato nel paragrafo sulla 
svastica e in quello sul cinema di propaganda. Le possibilità di 
resistenza alla fascinazione nazista e l'opposizione al regime sono 
 12 
esemplificati dalle testimonianze e dalle interpretazioni degli atti 
compiuti da singoli individui contro il regime. 
Viene inoltre considerato il ruolo della propaganda nella 
coercizione e analizzata l'immagine esteriore del regime nazista, 
come è conservata dai documenti cinematografici. 
Il quinto capitolo intende infine mettere in luce la 
sopravvivenza attuale della fascinazione nazista e il rischio della sua 
mitizzazione, anche attraverso il risorgere di quell'idea politica in 
varie parti del mondo, non solo in Europa. E' fatto cenno anche al 
dibattito sulla responsabilità  dei popoli di fronte alla comparsa di 
ideologie antibiologiche ed antiumane, delle quale il nazismo fu allo 
stesso tempo rievocatore, rinnovatore ed esecutore. 
Pur dovendosi considerare, per forza di cose, non esaustivo 
rispetto alla vastità e complessità dei temi in gioco, il nostro lavoro 
sul nazismo e la sua fascinazione intende offrirsi come contributo 
alla ricerca della comprensione di un fenomeno le cui ripercussioni 
sono ancora visibili. Una ricerca che è ancora lontana dalla sua 
conclusione. 
 13 
Capitolo I.  PSICOBIOGRAFIA DI ADOLF HITLER 
 
 Adolf Hitler è stato definito per troppo tempo, con facile e 
pericoloso quanto diffuso luogo comune, un "pazzo capace, non si 
sa come, di contagiare con la sua follia un popolo intero".  
 Man mano che ci allontaniamo dal periodo nazista diviene 
sempre più pressante la necessità di considerarne l'ascesa, il trionfo 
e la caduta non più solamente come il frutto della pazzia di un 
demone uscito dalle tenebre della storia ma di comprendere, nel 
senso weberiano del verstehen, i meccanismi individuali e collettivi 
innescanti un fenomeno multifattoriale che portò sciaguratamente 
l'uomo sbagliato al momento sbagliato ad una posizione di assoluto 
dominio e all'annientamento di interi popoli.  
 Al centro di questo potere, che non si può che definire 
criminale, vi era, come capo indiscusso, Adolf Hitler, e qualsiasi 
analisi psicostorica del nazismo non può prescindere dalla sua 
psicobiografia. 
 Fin dalla sua comparsa sulla scena politica, e maggiormente 
da quando fu dimostrata da fatti inconfutabili la sua assoluta 
negatività e distruttività, quest'uomo è stato oggetto di innumerevoli 
tentativi di interpretazione psicologica, che si sono moltiplicati nel 
tempo in progressione esponenziale.  Nonostante la mole di volumi 
dedicati ad Hitler ed al nazismo, a tutt’oggi non si è ancora riusciti 
a svelare il mistero della fascinazione maligna di questo 
personaggio, dell’incongruità tra la sua biografia incolore e 
mediocre e l’enorme potere di suggestione che riuscì ad imporre 
non solo al suo popolo ma al mondo intero. Friedrich Nietzsche 
scrisse che se si osserva troppo a lungo l’abisso, l’abisso ci guarda. 
E’ ciò che capita a chi si accosta da studioso al nazismo ed al suo 
capo, si viene colti da una vertigine che minaccia in ogni momento 
la serenità di giudizio. E’ tale l’enormità dei misfatti di ogni genere 
perpetrati in nome e per conto di Adolf Hitler che la tentazione di 
allontanarsene, di trovare spiegazioni meno dolorose per tutti è 
sempre in agguato.  
 14 
 La storia delle interpretazioni della personalità hitleriana 
inizia nel 1943 con un rapporto classificato segreto, commissionato 
dall'Office of Strategic Services (oggi C.I.A.) a W.C. Langer e 
collaboratori. Quest’analisi, pubblicata successivamente nel 1972, fu 
solo la prima di molte ipotesi che, come vedremo, a tutt'oggi 
lasciano irrisolta gran parte dei quesiti che sorgono da uno studio 
complessivo del nazismo. Forse perché gran parte di queste ricerche 
tendono a concentrare l'attenzione sul protagonista, lasciando lo 
sfondo indistinto.  Un altro limite di questi primi lavori è la loro 
origine propagandistica, tendente a demonizzare aprioristicamente 
il nemico, e a liquidarlo come folle, semplificando ad uso 
contingente conclusioni che si sarebbero prestate a ben altro lavoro 
interpretativo.  
 I lavori più noti di questo tipo, oltre a quello pionieristico di 
Langer, sono dovuti ad autori come N.Bromberg (1971,1974), J. 
Brosse (1972), e Robert G.L.Waite (1965,1971), considerati i 
maggiori esponenti del filone psicoanalitico incentrato sulla formula 
classica del conflitto edipico come spiegazione della malvagità di 
Hitler.1 
 
1.1 - L'interpretazione psicoanalitica. 
 
 Langer fu il primo ad utilizzare gli strumenti della 
psicoanalisi e a concentrarsi sull'infanzia di Hitler, secondo 
l'assioma che la personalità si forma in base alle prime esperienze di 
vita. Oltre a riferirsi alla dinamica edipica, Langer parla di probabili 
traumi derivati dall'avere assistito a rapporti sessuali violenti tra i 
genitori e dei conseguenti desideri di rivalsa del figlio nei confronti 
di un padre brutale.  
 E' evidente come una tale interpretazione, utilizzando un 
universale come il complesso edipico, non risulti sufficiente a 
                                                          
1Helm Stierlin, Adolf Hitler. Le influenze della famiglia. La Nuova Italia Scientifica, Roma 
1993.   
 15 
spiegare un caso particolare anomalo come quello di Hitler, come 
hanno osservato molti commentatori. 
 Waite (1977), si pone sulla scia di Langer, ma sembra dare 
maggiore importanza al potere delle fantasie incestuose più che ad 
un concreto vissuto infantile.  
 Bromberg (1971), oltre al leitmotiv del trauma da scena 
primaria, attribuisce la causa delle vociferate perversioni sessuali di 
Hitler alla monorchidia (confermata in sede autoptica dalle autorità 
sovietiche che ne presero in consegna il cadavere). Tale 
malformazione avrebbe provocato sentimenti di inferiorità sessuale 
e conseguenti forme di difesa nevrotica contro l'ideale virile paterno 
che spiegherebbero, tra l'altro, la postura oratoria rigida, fallica e lo 
sguardo "castrante" esternati nel rapporto con le folle.  
 Quest’immagine da maschio dominante, più mussoliniana che 
hitleriana, non tiene sufficientemente conto del complesso delle 
manifestazioni pubbliche di Hitler; delle loro componenti anche 
femminee, isteriformi, o altrimenti asessuate.  
 Brosse (1972), aggiunge al tema della minaccia di castrazione 
proveniente dal padre Alois e alla fantasia dominante di assassinare 
la "figura genitoriale combinata" kleiniana, alcuni bizzarri 
argomenti sul vegetarianismo e sul ribrezzo per il fumo, prodotti 
entrambi dall'ossessione del fantasma onnipresente di Alois, il quale 
era buon mangiatore e accanito fumatore di pipa.  
 Sul vegetarianismo, l'ipotesi più probabile è che fosse un 
omaggio di Adolf al suo idolo Richard Wagner. Non era infrequente 
che, in piena febbre wagneriana, i seguaci del musicista imitassero 
le abitudini vegetariane ed animaliste del loro oggetto di culto. 
Perfino quei giovani ebrei che sembravano negarne il feroce 
antisemitismo e amavano incondizionatamente il divo e la sua 
musica. Un’altra ipotesi è che le abitudini vegetariane di Hitler non 
abbiano alcun significato se non quello di una preferenza dietetica. 
Come abbiamo visto, questa prima corrente di studi ha alla 
base due assunzioni fondamentali; l'eccessivo attaccamento di Adolf 
all'amata madre iperprotettiva e l'odio nei confronti del padre.  
 16 
L’interpretazione psicoanalitica soffre di numerosi mali. Non ultimo 
dell’impossibilità di dimostrare scientificamente la validità delle sue 
conclusioni: le categorie psicoanalitiche sono vaghe e basate più 
sulla fede che sulla realtà.  
 
1.2.  Erich Fromm e l'incestuosità maligna. 
 
Nel suo studio sulla distruttività umana, Erich Fromm si 
avvale della sua formazione psicoanalitica, ma utilizza anche 
contributi neurofisiologici, antropologici, etologici e paleontologici, 
nel tentativo di delineare complessivamente il problema.2 
Nel capitolo dedicato alla psicobiografia di Hitler, contesta 
l'immagine canonica di Alois, nel quale vede non un tiranno brutale 
ma un padre autoritario che cercava di imporre disciplina e 
responsabilità ad un figlio riottoso e chiuso nel suo narcisismo. 
Klara Hitler era certamente una madre eccessivamente premurosa 
nei confronti del figlio, tanto da viziarlo fino all'età adulta, ma, a 
differenza delle altre ipotesi psicoanalitiche, quella di Fromm ribalta 
l'idea di un figlio amorosamente devoto alla madre. Adolf non 
sarebbe stato il classico uomo "fissato-alla-madre" che vive con lei 
un rapporto caldo e reale e da adulto è spinto a rivivere l'esperienza 
concretamente con figure femminili reali e materne. Al contrario 
egli potrebbe avere reagito all'accudimento eccessivo e 
intromissorio di Klara con un ritiro difensivo semi-autistico e con il 
mantenimento di un atteggiamento freddo e anaffettivo nei suoi 
confronti, culminato nell'indifferenza di fronte alla malattia e alla 
morte di lei. Fromm considera Hitler una personalità necrofila, non 
nel senso della semplice perversione sessuale, ma in quello più 
globale di una tendenza predominante alla distruzione come ragione 
di vita. Alla base di tale carattere necrofilo vi sarebbe proprio 
l’"incestuosità maligna", un caso particolare di complesso edipico, 
dove la madre non è reale ma un simbolo che rappresenta la vita ma 
anche e soprattutto la morte. "Chi è legato alla madre da maligni 
                                                          
2
 Erich Fromm, Anatomia della distruttività umana. Mondadori, Milano 1975. 
 17 
vincoli incestuosi resta narcisista, freddo, insensibile; [...] lei è 
l'oceano in cui vuole affogare, la terra in cui vuole essere sepolto."3  
E' vero che, quando Fromm sottolinea in Hitler il narcisismo 
ma anche le buone capacità di controllo, oltre alle doti di 
mistificatore e di ottimo conoscitore del come dominare le folle con 
l'oratoria e la semplificazione, non aggiunge molto a conoscenze 
autoevidenti.  
Nel complesso  però, Hitler esce dal ritratto di Fromm non come 
vittima di un ambiente negativo ma nella sua realtà di essere 
egocentrico incapace di provare empatia e teso allo scopo del 
raggiungimento del potere a qualunque costo.  
 Questa costruzione teorica del carattere distruttivo sulla base 
della contrapposizione tra biofilia come tendenza alla vita e 
necrofilia come tendenza alla morte può apparire non risolutiva e 
incapace di dirci alcunché di nuovo sul caso specifico di Hitler, 
secondo l'osservazione di Peter Loewenberg.4  
Anche qui il complesso edipico, uscito dalla porta nella sua 
forma classica, rientra dalla finestra in forma anormale nel concetto 
di "incestuosità maligna". 
Tuttavia l'analisi di Fromm ha alcuni meriti. In primo luogo 
non crede alla follia di Hitler, non cede a tentativi di 
giustificazionismo e, nelle sue considerazioni finali, ci mette in 
guardia contro il pericolo di non riconoscere in tempo quegli 
individui nefasti che per mascherare i loro intenti distruttivi e 
mistificatori sanno abilmente crearsi un immagine di apparente 
normalità. "E perciò, finché si crederà che gli uomini cattivi 
abbiano le corna e puzzino di zolfo, sarà impossibile scoprirli."5 
 
 
 
 
                                                          
3
 Erich Fromm, op. cit., pag. 451. 
4
 Peter Loewenberg, Psychoanalytic Models of History: Freud and After, in Psychology and   
Historical Interpretation, Oxford University Press, New York 1988. 
5
 Erich Fromm, op. cit., pag. 536. 
 18 
1.3.  Interpretazioni psicostoriche: l'ipotesi di Rudolph Binion.  
 
 Abbiamo descritto ampiamente la posizione di Erich Fromm 
perché la sua ipotesi di "incestuosità maligna" è contestata in quella 
che, a nostro avviso, è una delle più sconcertanti tesi psicostoriche 
hitleriane, quella di Rudolph Binion. 
La sua interpretazione, nata come contributo per un simposio, fu 
pubblicata nel 1973 dalla rivista History Of Childhood Quarterly, 
nei due articoli: Hitler's concept of Lebensraum: The Psychological 
Basis e Reply to Commentaries on Symposium Article.  
 Seguiremo la ricostruzione della teoria di Binion, sulla base 
dei due articoli, fornitaci da Helm Stierlin nella sua celebre 
monografia su Hitler (1993).6 
 Anche per Binion la relazione preedipica di Adolf con la 
madre è centrale. Ma egli considera di grande importanza il fatto 
che i primi tre figli nati dalla relazione tra Klara e Alois fossero 
morti a breve distanza l'uno dall'altro in tenerissima età e come ciò 
costituisse un trauma terribile per la giovane donna, non ancora 
superato quando poco dopo nacque Adolf, "sicché egli succhiò il 
trauma della madre, insieme con il suo latte".7 Nel timore di perdere 
anche questo figlio lo coccolò e viziò oltre misura come 
compensazione della triplice perdita. Non solo, ma allattandolo per 
lungo tempo si sarebbe procurata volontariamente un periodo di 
infertilità. Il figlio successivo Edmund, infatti, sarebbe nato solo 
quattro anni dopo Adolf.  
Quale fu, secondo Binion, la reazione del bambino 
all'attenzione eccessiva della madre nei suoi confronti? Non certo 
quella descritta da Fromm che, come abbiamo visto, riteneva 
possibile una chiusura narcisistica e una conseguente mancanza di 
interesse e affetto per Klara perfino in occasione della sua morte. 
Binion sostiene invece che Adolf ricompensò le cure amorose della 
                                                          
6
 Helm Stierlin, op. cit., pp. 46-52. 
7Helm Stierlin, op. cit., pag. 47. (Corsivo di Stierlin).  
 19 
madre con una costante preoccupazione nei suoi confronti quando 
ella si trovò in fin di vita. Insomma, Hitler amava sua madre o no? 
A questo punto è necessario, per chiarire il nocciolo della 
questione, inserire la descrizione dell'episodio della biografia di 
Hitler che costituisce il focus della teoria binioniana e delle sue 
inferenze. 
 Nel gennaio del 1907, quando Adolf viveva ancora a Linz con 
la madre, a Klara fu diagnosticato un cancro al seno. Dopo 
l'asportazione di una mammella, il male si ripresentò e il medico 
curante, dottor Eduard Bloch, sottopose la donna ad un trattamento 
locale consistente nell'applicazione sulle ferite in suppurazione di 
iodoformio, sostanza antisettica e lievemente analgesica. La terapia, 
inefficace e costosa, comportava, ad alte dosi, il rischio di 
intossicazione sanguigna. Klara morì il 21 dicembre dopo una 
dolorosa agonia.   
 Quale fu il comportamento di Adolf durante i mesi della 
malattia della madre? Continuò la sua vita di sempre, o la gravità 
della situazione lo mise di fronte a vere assunzioni di responsabilità? 
Accudì la madre durante la sua sofferenza o tornò da lei solo 
all'ultimo? Fu il suo vero e sincero dolore al funerale o fu semplice 
teatralità? 
 Sappiamo che in ottobre egli si recò a Vienna per sostenere 
gli esami di ammissione all'Accademia di Belle Arti, per esserne 
respinto, ma a tutt'oggi non si è riusciti a stabilire con precisione la 
data del suo rientro a casa. Secondo la recente biografia di Joachim 
Fest, dopo lo smacco subito Adolf riteneva umiliante ritornare a 
casa: " non osò rimettere piede a Linz neppure quando la madre, [...] 
fu in punto di morte. Solo poco prima del suo decesso [...] si decise 
a tornare a Linz".8 
Altri storici come B.F. Smith (la principale fonte di Fromm) e 
F. Jetzinger erano precedentemente giunti alla stessa conclusione, 
non ritenendo credibili le principali testimonianze a favore della 
                                                          
8
Joachim C. Fest, Hitler. Il Führer e il nazismo. Rizzoli, Milano 1991, pag. 34.  
 20 
permanenza di Adolf al capezzale della madre malata, fornite 
dall'amico d’infanzia August Kubizek e dal medico dr. Bloch.  
Il primo, autore di un libro di memorie edito nel 1953 in Germania 
con il titolo Adolf Hitler, mein Jugendfreund, nel suo stile 
apologetico, dipingeva come un figlio devoto quello che era pur 
sempre stato il suo idolo, sia come amico di gioventù sia come 
Führer della Germania. 
 Sulla testimonianza del dottor Eduard Bloch è necessario 
soffermarci, e per ciò ritorneremo all'esposizione della tesi di 
Binion, nella quale la figura di questo medico è centrale per spiegare 
la psicologia di Hitler.  
 Basandosi sulla decifrazione delle annotazioni cliniche di 
Bloch, Binion sostiene che, nonostante l'esitazione del medico, 
costui fu "spinto" da Adolf a sottoporre la madre al trattamento a 
base di iodoformio, risultato poi tossico.  
Adolf avrebbe in seguito mantenuto contatti con il dottor Bloch, 
inviandogli cartoline da Vienna e esprimendogli "la sua infinita 
riconoscenza".9  
Nello stesso tempo, però: "a livello inconscio, in una furia 
disperata che pretendeva rivincita, egli vedeva in lui l'uomo che 
aveva avvelenato la madre e aveva approfittato senza scrupoli delle 
sue sofferenze".10  
 Non abbiamo detto finora che il dottor Bloch era ebreo, fatto 
di estrema importanza, alla luce delle deduzioni alle quali giunge 
Binion sulla genesi dell'antisemitismo ossessivo di Hitler e sulla sua 
smania di conquistare spazio vitale (Lebensraum).  
 Il furore inconscio contro il medico ebreo che gli aveva 
avvelenato la madre, sarebbe esploso in occasione dell'episodio 
dell'intossicazione da gas mostarda (gaskrank) subita durante la 
Prima guerra mondiale. In tale contesto sarebbe sorta la volontà di 
vendicare la madre, ora identificata con la Germania, attraverso la 
grande missione politica. Nello stato di cecità temporanea, in una 
                                                          
9
Ibidem, pag. 43.  
10
 Helm Stierlin, op. cit., pag. 50. 
 21 
catena allucinatoria di associazioni, iodoformio, ebreo avvelenatore 
e gas asfissiante, si sarebbero condensati nell'idea delle future 
camere a gas e nella soluzione finale. Era però necessario che la 
volontà del singolo si fondesse con quella collettiva. "La personale 
esperienza dello choc e dell'improvvisa deprivazione che aveva 
colto un uomo viziato [...] trovava ora - alla fine della Prima guerra 
mondiale - una sua risonanza nell'esperienza collettiva del popolo 
tedesco, il quale pure, come lui, si vedeva esposto a improvvisa 
deprivazione e pubblico tradimento. [...] Hitler invitò i tedeschi a 
dominare il loro trauma collettivo attraverso la ripetizione - cioè 
organizzando e vivendo una nuova guerra - analogamente a come la 
madre aveva cercato di dominare la triplice perdita dei suoi figli 
attraverso la ripetizione del trauma (ossia attraverso la sua, secondo 
Binion, inconsciamente voluta infecondità). La brutale campagna di 
Hitler in Oriente era al servizio di questi due scopi principali, in 
quanto portava sia alla conquista di ulteriori territori russi sia alla 
distruzione dei centri dell'ebraismo europeo".11 
 Peter Loewenberg, nella sua critica alla posizione di Binion, 
afferma che tale riduzionismo rende un ben misero servizio 
all'applicazione della psicologia alla storia.12 
 Da parte nostra, vorremmo aggiungere qualche commento alla 
teoria di Binion, soprattutto mettendo in risalto il problema dell'uso 
delle fonti nella ricostruzione psicostorica. 
 Torniamo al dottor Eduard Bloch, medico curante della 
signora Hitler. Nel 1938, e quindi nel momento in cui la 
persecuzione antiebraica nazista si fa sempre più violenta, 
culminando nei pogrom organizzati nella famigerata Kristallnacht e 
in decine di migliaia di arresti, il medico ebreo è convocato dalla 
Gestapo e incaricato di stendere una relazione contenente le seguenti 
affermazioni: 
 
                                                          
11
 Ibidem. 
12
 Peter Loewenberg, op. cit., pag. 132. 
 22 
 "Nel più intimo del suo cuore egli (Adolf Hitler) era legato 
alla madre, restava lì attento ad ogni suo movimento per correre 
immediatamente a prestarle i piccoli soccorsi del caso. Il suo occhio, 
altrimenti triste e perso nel vuoto, si schiariva quando vedeva che la 
madre non aveva dolori." 
 
(E sulla reazione di Hitler al funerale della madre): 
 
 "Nella mia attività quasi quarantennale di medico non ho mai 
visto un giovane così prostrato dal dolore come lo era il giovane 
Adolf Hitler." (Relazione del dottor Eduard Bloch del 7 novembre 
1938, Bundesarchiv, Coblenza, NS/26/17 a.) 13  
 
 Dopo essere riuscito a espatriare in America, e quindi a 
mettersi in salvo, secondo Binion su preciso volere di Hitler, Bloch 
ancora nel 1941 rilasciava la dichiarazione seguente al Colliers 
Magazine. 
 "La mia attività professionale mi ha portato ad essere 
testimone di molte scene di questo tipo, eppure nessuna ha lasciato 
in me un'uguale impressione. In tutta la mia carriera non ho mai 
visto nessuno così distrutto dal dolore come Adolf Hitler".14 
 
 La prima impressione che tale testimonianza offre è quella di 
essere stata estorta vigliaccamente ad un uomo che, per il solo fatto 
di essere ebreo, aveva davanti a sé la prospettiva di una sempre 
maggiore persecuzione. Una dichiarazione vera o falsa come quella, 
ma richiesta dai suoi persecutori, avrebbe significato la salvezza.  
Non era infrequente che la Gestapo, dopo averne saccheggiato 
gli averi, obbligasse gli ebrei che riuscivano ad ottenere il permesso 
di espatrio a firmare documenti nei quali era attestato che non 
avevano subito maltrattamenti. Lo stesso Sigmund Freud, quando 
riuscì finalmente a lasciare Vienna, dovette affrontare questa 
umiliazione. Firmando il documento, aggiunse sarcasticamente: 
                                                          
13
 Documento citato da J. C. Fest, op. cit., note pag. 98.