5
nella scuola italiana, infatti, oltre alle traduzioni, in Italia sono stati prodotti 
diversi film e uno sceneggiato televisivo degli anni ‘50
33
. 
  La tesi si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo viene affrontata la vita 
di Charlotte Brontë, utilizzando testi inglesi e italiani vista la specificità della 
trattazione; a seguire vengono delineate brevemente tutte le opere, anche 
minori, della scrittrice perché se è vero che Jane Eyre è assai popolare, lo 
stesso non può essere detto degli altri suoi scritti. Essendo la tesi incentrata 
sulla traduzione, viene analizzato il fitto carteggio della scrittrice alla ricerca di 
qualsiasi accenno ai suoi rapporti con la traduzione: se ne aveva fatte, se 
preferiva leggere testi tradotti o in lingua originale, etc. Nel paragrafo 
successivo viene riportata la trama del romanzo, nell’ottica dell’analisi del 
secondo capitolo, incentrato sulle traduzioni, e del terzo capitolo, in cui il 
romanzo inglese viene direttamente confrontato con il suo rifacimento italiano, 
La bambinaia francese. Seguono le corrispondenze fra la vita della scrittrice e 
la vita della protagonista del suo romanzo, scelta dettata dalla frequenza con 
cui alcuni scrittori riportano la propria esperienza di vita nei loro componimenti, 
il romanzo come traduzione della vita: nel romanzo in questione queste 
correlazioni sono numerose e sembrano pervadere l’intera trama. A 
conclusione del capitolo ci sono due paragrafi riguardanti la fortuna del testo in 
Inghilterra e in Italia, e se è ovvio che le differenze sono rilevanti, in Italia 
l’uscita del romanzo non ha scatenato le polemiche che il testo aveva suscitato 
nel suo paese; ciononostante, come anche constatato nell’introduzione 
all’edizione Treves del 1904, il testo è stato da subito accolto con grande 
positività soprattutto da parte del pubblico femminile. 
 Le traduzioni sono l’argomento centrale del secondo capitolo. 
Raccogliendo la documentazione utile ad affrontare con una certa 
consapevolezza e con un modus operandi adatto lo studio e la comparazione 
delle diverse traduzioni, si è subito palesata ai miei occhi di profana la grande 
necessità di preparazione del traduttore (conoscenza ottimale della lingua di 
partenza e di quella di arrivo, delle tecniche traduttologiche, degli studi letterari, 
                                                 
33
 Jane Eyre, 1909, italian silent film; The Castle of Thornfield, 1915; Jane Eyre, 1957, 
sceneggiato televisivo Rai, regista Anton Giulio Majano; Jane eyre, 1995, regista Franco 
Zeffirelli 
 6
etc.) e l’enorme vastità della trattatistica  riguardo i Translation Studies. Ho 
ritenuto doveroso delineare brevemente la nascita e l’evoluzione di questa 
branca della letteratura comparata, esponendo le teorie più significative delle 
tre generazioni in cui si è soliti dividere questi studi. Inoltre, poiché era un’utile 
premessa al mio lavoro, vengono analizzate le problematiche relative 
all’approccio al testo nella lingua di partenza e la sua trasposizione nella lingua 
di arrivo, fornendo anche termini tecnici specifici di quest’ambito. Dopo aver 
delineato i criteri della scelta delle traduzioni analizzate nel mio elaborato e aver 
inquadrato il brano della traduzione nello sviluppo della trama, l’analisi vera e 
propria è stata divisa in due sottoparagrafi: nel primo viene fatta una lettura 
superficiale dei testi cercando di confrontare le perdite e le aggiunte che sono 
state fatte rispetto all’originale, l’effetto che queste hanno sulla  fedeltà e buona 
riuscita della traduzione e se il target dei potenziali lettori e il genere narrativo 
con cui è scritto Jane Eyre viene rispettato o meno nelle scelte operate dai 
traduttori e dai loro editori; si è scelto di assegnare ad ogni traduzione uno 
spazio proprio. Al contrario, nel secondo paragrafo le traduzioni vengono 
analizzate nell’insieme, ponendole in confronto diretto fra loro, analizzando 
specifiche aree: artifici artistici ed espressivi, temi ricorrenti, diversità di strutture 
fra l’italiano e l’inglese, valutazione della traduzione del termine you con il voi e, 
a seguire, un breve excursus finale sulle parti del testo che meglio erano state 
rese nelle diverse traduzioni. Da questo esame è risultato che la traduzione 
migliore è quella di Ugo Dettore, Garzanti – 1974, tenendo conto della 
scorrevolezza del testo e del rispetto di temi e strutture che rimandano a 
significati non sempre palesi, mentre quella che più si discosta dalla traduzione 
avvicinandosi alla riscrittura è l’edizione Fabbri 1968 in cui il testo viene epurato 
dalla determinatezza e sicurezza della protagonista femminile. 
 Naturale, quindi, prendere in considerazione, nel terzo e ultimo capitolo 
della tesi, l’unica riscrittura italiana di Jane Eyre, La bambinaia francese di 
Bianca Pitzorno. Dopo aver fornito una breve biografia della scrittrice italiana,  
sottolineando il diverso background storico e culturale, diversità che ha portato 
la scrittrice a quel rapporto di odio-amore con il testo della Brontë sfociato nella 
stesura del suo romanzo. Per dare la possibilità di conoscere il testo nella sua 
 7
integrità ne viene fornita anche la trama, anche se poi, nel paragrafo 
successivo, la parte presa in considerazione è per la maggior parte relativa al 
soggiorno di Sophie, protagonista del romanzo, e Adéle, la bambina a cui deve 
badare, a Thornfield Hall in Inghilterra. La precisione nel riferirsi al testo 
originale  non fa altro che mettere in evidenza quelle parti in cui la scrittrice 
italiana decide di scostarsi dal testo inglese per dare la sua personale 
interpretazione degli atteggiamenti e degli eventi che avvengono in quel 
maniero solitario, disperso nella brughiera. Ciò avviene soprattutto a livello dei 
personaggi: ci sono personaggi che rimangono inalterati, personaggi che 
vengono delineati con maggior accortezza, altri che vengono lasciati in disparte, 
personaggi che vengono colti da punti di vista completamente diversi per cui da 
simpatici divengono antipatici e viceversa. Il confronto non termina, però, solo a 
questo livello: tutti gli episodi che si susseguono al maniero vengono interpretati 
dal punto di vista di Sophie, che riesce a cogliere la perfidia di Rochester e la 
fragilità della giovane istitutrice, che pure appariva tanto sicura di sé. Non 
ultimo, vengono ripresi nella loro diversità alcuni dei temi ricorrenti che fanno da 
sottofondo ai due romanzi. Siccome notevoli sono le affinità con quello che 
forse è il  più conosciuto rifacimento del capolavoro inglese, Wide Sargasso 
Sea di Jean Rhys, anche  questo romanzo viene preso in considerazione in 
questa comparazione diretta, tenendo conto del fatto che anche la Pitzorno lo 
aveva letto prima di accingersi alla stesura del suo libro. A suggellare il 
confronto fra i tre testi, vengono riportate le considerazioni personali di Bianca 
Pitzorno sul suo lavoro e sul suo rapporto con Charlotte Brontë e Jane Eyre in 
una intervista gentilmente rilasciatami. [Approfitto di questa introduzione  per 
ringraziare sentitamente questa scrittrice dell’aiuto fornitomi e della grande 
disponibilità che ha mostrato nei  miei confronti.] 
 Segue un saggio di traduzione, in cui cerco di mettere a buon frutto gli 
esiti dell’analisi fatta e delle problematiche relative a questo lavoro, 
confrontandomi direttamente con il medesimo brano, non senza una certa 
difficoltà. 
 A completamento della tesi alla fine vengono poste tre appendici. Nella 
prima vengono riportate, in ordine cronologico, tutte le edizioni di Jane Eyre 
 8
rinvenute nelle biblioteche italiane, mettendo in evidenza le loro particolarità: la 
presenza di immagini, di altri testi, la tipologia dell’edizione e la collana in cui 
sono inserite. La seconda nasce dalla necessità di permettere a chi si 
accostava al mio elaborato, di avere a disposizione i brani integrali delle 
traduzioni analizzate, oltre al testo originale, per poter valutare il mio operato. 
Nell’ultima vengono riportate due dipinti della metà dell’Ottocento, che sono 
serviti a Bianca Pitzorno per impostare la descrizione fisica della protagonista, 
Sophie, e della sua protettrice, Céline Varens. 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 9
 
 
  Capitolo 1 
Charlotte Brontë e Jane Eyre 
 
 
1.1 La Vita 
 
Charlotte Brontë nacque nel 1816 a Thornton nello Yorkshire, terza figlia 
del Reverendo Patrick Brontë e di Maria Branwell. Il padre era di umili origini, 
figlio di fittavoli, era però riuscito, grazie alla forza di volontà, a studiare a 
Cambridge e a prendere gli ordini sacerdotali. Per questo durante la piccola 
ascesa sociale aveva cambiato alcune volte il suo cognome per nascondere la 
vera origine: da Brunty a Brontë, passando per Branty. Era un uomo di grandi 
capacità intellettuali, di animo integro e appassionato, purtroppo anche 
fortemente egoista. La madre, appartenente a una famiglia agiata metodista, 
era orfana di entrambi i genitori; aveva un carattere forte e risoluto che aveva 
mitigato per amore del marito. 
A pochi anni dalla nascita, la famiglia si trasferì a Haworth, un remoto 
villaggio nella stessa contea. L’abitazione si trovava presso la canonica della 
chiesa dove il padre prestava servizio: un edificio che si trovava nell’aperta 
brughiera distante dal paese e da qualsiasi altra casa, confinante con il cimitero 
e costantemente battuto dalle raffiche gelide del vento del Nord. Il fascino della 
natura aspra e selvaggia della vegetazione influenzò tutti i componenti giovani 
della famiglia, instaurando in loro un rapporto di amore-odio e di dipendenza 
talmente forte che, anche se Charlotte e i suoi fratelli avevano il desiderio di 
conoscere il mondo e le sue innumerevoli bellezze, non riuscirono mai a 
distaccarsi dal loro luogo di origine per più di qualche mese.  
 La madre morì a pochi anni dal trasferimento, dopo un lungo periodo di 
sofferenza causata dal cancro. Poiché il padre non riuscì a convolare a nuove 
nozze, la cognata Elisabeth, che non si era mai sposata, si trasferì presso la 
famiglia della sorella per accudire i nipoti: il carattere della zia non era molto 
 10
espansivo e non era in grado di dare ai piccoli l’affetto di cui avevano bisogno. 
La figura materna venne allora sostituita da Tabby, la governante, che si prese 
cura di loro come fossero suoi figli, non adulandoli mai, ma cercando in ogni 
modo di favorirli. Furono proprio i suoi racconti, favole e leggende i primi semi 
della feconda vena artistica dei piccoli Brontë. 
Charlotte era piccola di statura, con folti capelli che le incorniciavano il viso, 
il naso pronunciato e la bocca mal disegnata, in compenso i suoi occhi scuri 
erano talmente penetranti che catturavano l’attenzione. Il suo aspetto fisico fu 
sempre per lei un grave problema che non riuscì a superare mai 
completamente: le sembrava che tutti la guardassero e la giudicassero brutta 
per la non perfetta armonia del volto e questo le causava un forte disagio 
soprattutto quando doveva conoscere gente nuova. 
Le basi della sua educazione furono poste dal padre che faceva da maestro 
a tutti i suoi figli, assegnando loro lezioni e facendogliele ripetere, privilegiando  
l’unico figlio maschio Branwell. Nel tempo questo metodo si rivelò inadeguato; 
così nel 1824 il reverendo, pensando di fare il loro bene, affidò le figlie al  
collegio femminile del Reverendo Wilson. La disciplina era assai severa e 
rigorosa per inculcare nelle menti delle giovani una ferrea austerità interiore, il 
regime oltremodo frugale: le due sorelle più famose, Charlotte ed Emily, per 
opporsi alle restrizioni patite, svilupparono una personalità autonoma e ribelle.
 
Le condizioni climatiche e igienico-sanitarie non erano delle migliori: si pativano 
molti stenti, Elisabeth e Maria si ammalarono gravemente e, di ritorno a casa, 
morirono nel giro di poco tempo. Charlotte ed Emily ritornarono comunque a 
scuola, la sorella maggiore capì, allora, l’importanza di quell’istruzione sia per il 
suo talento sia per la vita futura.  
Tornate a Haworth dopo l’ennesima epidemia che afflisse le alunne della 
scuola, la loro istruzione proseguì per un certo periodo a casa: furono istruite 
dalla zia per i lavori prettamente femminili e dal padre per l’aspetto culturale-
politico: il reverendo discuteva con loro delle notizie che giungevano dai giornali 
locali, in maniera vigorosa e precisa esponeva le sue idee tanto da influenzare i  
primi componimenti dei figli. La biblioteca paterna era ricca di opere considerate 
classiche e contemporanee: Scott, Coleridge, Wordsworth e Byron. Crescendo i 
 11
giovani sfruttarono anche la biblioteca circolante di Keighley, la biblioteca 
privata della famiglia Heaton, che conoscevano bene, e i libri della scuola 
serale per artieri del paese. 
Ben presto Charlotte si rese conto del grave carico che avrebbe dovuto  
portare sulle sue sole spalle: sorella maggiore di orfani di madre, doveva 
consigliare e confortare tutti i fratelli più piccoli. Successivamente Charlotte 
studiò presso la scuola di Miss Wooler a Roe Head dove ritornò più tardi in 
qualità d’insegnante grazie, probabilmente, all’intervento economico della 
signorina Firth, amica di famiglia che possedeva una certa agiatezza. Tale 
scuola era il luogo più adatto a lei, dato l’esiguo numero di studentesse che 
permetteva l’insegnamento individualizzato, per appropriarsi di quegli strumenti 
atti a renderla un’istitutrice.  
Iniziò poi una serie di problemi legati soprattutto alla instabilità economica, 
da cui i fratelli Brontë cercarono una valida fuga tuffandosi nella loro passione 
letteraria, dedicandosi a scrivere diari, poesie e racconti; trascendendo spazio e 
tempo, trovavano nell’isolamento un rifugio sicuro dove esercitare la loro 
immaginazione. 
Charlotte, anche se amava poco l’insegnamento poiché dava poche 
soddisfazioni, decise di lavorare presso varie famiglie in qualità di governante e 
istitutrice. Questi erano gli unici lavori ammessi e rispettabili per una donna che 
aveva bisogno di mantenersi. Ben presto Charlotte ed Emily, stanche della loro 
situazione, pensarono di mettersi in proprio: volevano aprire una scuola per 
fanciulle, con pensionato annesso, di modo che tutte e tre insieme, Charlotte, 
Emily e Anne, non entusiaste dei loro rispettivi lavori, potessero tornare a casa 
e restarci mantenendosi. Dopo aver saputo che Mary Tailor, amica di Charlotte, 
aveva frequentato una scuola di perfezionamento a Bruxelles con la sorella, 
rimanendo entusiasta sia dell’insegnamento sia delle esperienze vissute, per 
avere una opportunità in più, decisero di recarvisi anche Charlotte e Emily, 
alloggiando presso il pensionato Heger, meno costoso, per cercare di migliorare 
la loro educazione, cultura, soprattutto la conoscenza del francese e del 
tedesco, e Charlotte anche dell’italiano. Charlotte vi rimase anche un periodo 
come insegnante di inglese, ottenendo un diploma che certificava la sua 
 12
idoneità a insegnare il francese e arricchendo notevolmente le sue capacità 
letterarie. Infatti, l’esperienza belga fu fondamentale per lo sviluppo artistico 
dell’autrice: l’esperienza di quegli anni la rese capace di scrivere i successivi 
romanzi, maturando “i germi letterari espressi fino ad allora in forme inadeguate 
e puerili”.
34
 Il progetto sfumò per la mancanza di denaro, per i problemi di salute 
del padre che richiedeva continua assistenza e soprattutto per la mancanza di 
alunne. Infatti, Charlotte aveva deciso che prima di affrontare qualunque spesa 
sarebbe stato opportuno rendere noti i programmi della scuola e attendere delle 
risposte, che purtroppo non arrivarono mai.  
Nel 1844 Charlotte fu costretta a tornare a Haworth sia per la crescente 
cecità del padre, sia per il disagio del fratello maggiore che, non essendo 
riuscito a far carriera sprofondava sempre più nel tunnel dell’alcol e dell’oppio, 
diventando un incubo per tutta la famiglia. Tra il 1846 e il 1853 scrisse e 
pubblicò i suoi romanzi più famosi e alcune poesie. Negli stessi anni morirono in 
poco tempo Branwell, il fratello maggiore, Emily e Anne per consunzione. Per 
scappare dal dolore provocato dai numerosi lutti Charlotte si recò da allora 
spesso a Londra dove, grazie al suo carattere socievole, strinse numerose 
amicizie, tra cui quella con Thackeray, famosissimo scrittore noto per Vanity 
Fair, ed Elisabeth Gaskell, scrittrice e sua futura biografa. Ormai autrice 
famosa, la sua vita cambiò, il mondo letterario londinese l’avrebbe accolta a 
braccia aperte, ma la sua entrata nei circoli letterari produsse solo sgomento: ci 
si aspettava una donna spregiudicata e mascolina non certo una timida, goffa 
provinciale intransigente. Infatti, il carattere riservato, causandole forti emicranie 
e nausee, non le permetteva di godere appieno di questi nuovi stimoli. 
Nonostante la scarsa avvenenza fisica e il costante senso di inadeguatezza, a 
Londra molti uomini di una certa cultura furono attratti da lei, tra cui anche 
James Taylor, socio della ditta Smith e Elder, editori di Charlotte, che venne 
però rifiutato per una certa volgarità di alcuni suoi atteggiamenti. 
Benché Londra potesse offrirle molto, Charlotte preferì di gran lunga la sua 
solitaria dimora da lei considerata il suo rifugio. Ora la sua esistenza correva 
                                                 
1
 Sara Poli, La fortuna di Charlotte Brontë, in English Miscellany. A Symposium of History 
Literature and the Arts, vol.6, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1955, pp. 78-79 
 13
come su due binari paralleli: la vita di Currer Bell, pseudonimo maschile usato 
dalla scrittrice, e quella di donna: 
… there were separated duties belonging to each character - not opposing 
each  other; not impossible but difficult to be reconciled…
35
 
Fosse stata un uomo avrebbe potuto dedicarsi esclusivamente all’attività 
letteraria ma in quanto donna non poteva fare ciò: 
…a woman’s principal work in life is hardly left to her own choice, nor can 
she drop the domestic charges devolving on her as an individual, for the 
exercise of the most splendid talents that were ever bestowed. And yet she 
not shrink from extra responsibility implied by the very fact of her possessing 
such talents.
36
 
 Sebbene ormai sola, Charlotte rifiutò per l’ennesima volta un possibile 
matrimonio. Era il turno del Reverendo Arthur Bell Nicholl, coadiutore del padre 
da diversi anni; ella intrattenne con lui, in seguito, una fitta corrispondenza 
grazie a cui, finalmente, Nicholl riuscì a conquistare il suo affetto e la sua stima. 
Dopo aver nascosto la loro relazione e lottato più di un anno contro il padre, che 
aveva un’opinione amara e scoraggiante del matrimonio, nel 1854 si 
sposarono. Trascorsero la luna di miele in Irlanda, dove Charlotte conobbe i 
parenti del marito e di lui scoprì nuove qualità che la resero ancora più felice e 
sicura del passo che aveva fatto, anche perché Nicholl voleva che lei 
partecipasse a tutto ciò che era il suo lavoro in parrocchia. 
   La grande scrittrice morì l’anno successivo, il 31 marzo 1855, a seguito di 
un’affezione polmonare dopo essere stata costretta a letto per disturbi legati 
alla gravidanza; venne sepolta accanto agli altri membri della sua famiglia sotto 
il pavimento della chiesa di Haworth. 
Terminava così il suo desiderio di vita normale appena intrapreso, legato 
alla famiglia e ai figli, senza più alcuna velleità artistica. 
 
                                                 
35
Elisabeth Gaskell, The Life of Charlotte Brontë, Oxford, World’s Classics, 1994, p. 498 
36
 Ibidem 
 14
1.2 Le opere e l’attività letteraria 
 
La precocità di Charlotte, come di tutti i suoi fratelli, era già evidente fin 
dalla tenera età. Le loro abilità artistiche e letterarie erano state ereditate dal 
padre che, oltre a comporre sermoni, aveva pubblicato, probabilmente a sue 
spese, due volumetti di poesie durante i primi anni di matrimonio: Cottage 
Poems e The Rural Mistrell. Proprio i suoi sermoni carichi di passione e le 
discussioni sulle riviste, che arrivavano regolarmente in canonica, furono il 
fondamento su cui l’autrice di Jane Eyre costruì il suo genio letterario. 
Non appena furono in grado di leggere e scrivere, i fratelli Brontë, per 
ovviare alla desolazione della loro abitazione, inventarono piccole produzioni 
teatrali i cui personaggi principali erano sempre grandi uomini politici: quello 
preferito da Charlotte era il Duca di Wellington. La loro fantasia era stata 
suscitata da una scatola di soldatini di legno che il reverendo aveva regalato al 
figlio nel 1826. All’inizio essi presero vita tra le mani dei ragazzi, ma poi, pian 
piano, il gioco si trasformò, evolvendosi: iniziarono così gli scritti giovanili 
riguardanti le cronache del mondo fantastico di Angria. I resoconti venivano 
scritti su minuscoli pezzi di carta, poco più grandi di un francobollo, con una 
scrittura talmente accurata da sembrare caratteri stampati; venivano poi rilegati  
a mano. Charlotte collaborava con Branwell, Emily con Anne dando vita a due 
saghe parallele. Sempre con il fratello la nota scrittrice compilava anche una 
sorta di rivista mensile Blackwood’s Young Magazine a imitazione della reale 
pubblicazione Blackwood Magazine da loro letta regolarmente. 
In questi anni Charlotte, tredicenne, scrisse una lista completa delle opere 
da lei inventate e “stampate”: sono ben ventidue, di esse viene fornita data di 
composizione, titolo e contenuto. Sebbene i libri fossero di dimensioni assai 
ridotte, contenevano una grande quantità di pagine e parole: da sessanta a 
cento pagine per libro e di notevole qualità per una ragazzina.
37
 Il gioco 
proseguì ancora per diversi anni fin circa al 1845 e comprese i più disparati 
generi: racconti, poemi, romanzi, drammi. Era come un fiume sotterraneo di cui 
nessuno si immaginava il lungo e persistente fluire.  
                                                 
37
 Elisabeth Gaskell, The Life of Charlotte Brontë, op. cit., p. 66 
 15
Qualunque notizia arrivasse alle loro orecchie veniva gettata nel mare 
magnum dei loro giochi letterari e trasformato in poesia. In questi 
componimenti, per quel che riguarda Charlotte, già si intravedevano alcuni 
motivi che sarebbero stati poi presenti in qualche suo romanzo della maturità: 
fantasie gotiche e romantiche, precisione nel delineare caratteri e nello svolgere 
la narrazione.
38
 
Nell’autunno del 1845 un quadernetto di poesie capitò tra le mani di 
Charlotte che intuì subito che erano i versi scritti dalla sorella Emily: versi 
concisi, vigorosi e schietti. Decise che, assieme ad alcuni suoi componimenti, si 
sarebbero potuti pubblicare se solo Emily fosse stata d’accordo. Riuscì 
nell’intento di convincerla e allora, Anne, la più piccola delle sorelle, tirò fuori 
alcune sue liriche dal carattere dolce e sincero. Charlotte si addossò tutto il 
peso dell’affare. Essendo ben consapevoli che non sarebbe stato saggio 
pubblicarli con i loro veri nomi, decisero di mantenere ognuna le proprie iniziali 
assumendo degli pseudonimi equivoci, né maschili né femminili, sperando che 
l’editore le scambiasse per uomini. Charlotte ne avrebbe fornito un esauriente 
spiegazione nella prefazione del 1850 alle edizioni delle sorelle di Wuthering 
Heights e Agnes Grey: 
 …averse to personal publicity, we veiled our own names under those of 
Currer, Ellis e Acton Bell; the ambiguous choice being dictated by a sort of 
conscientious scruple at assuming names, positively masculine, while we did 
not like to declare ourselves women, because… […]…we had a vague 
impression that authoresses are liable to be looked on with prejudice.
39
 
Trovarono, infine, un editore che pubblicò i versi a spese loro: 
nessun’altra persona sapeva di questa avventura nel mondo editoriale. Furono 
vendute solo due copie. Anni dopo la ditta Smith e Elder, dopo aver pubblicato 
alcune opere della sorella maggiore, ricomprò questo volume di liriche dal primo 
editore, ma non ebbe presso il pubblico l’eco che aveva previsto. 
                                                 
38
 Margaret Lane, La storia dei Brontë, Milano, Rizzoli, 1955, p. 37, Tit.orig. The Brontë’s Story. 
A Reconsideration of Mrs. Gaskell’s Life of Charlotte Brontë, 1953 
39
 Patricia Beer, Reader I married him: a study of woman characters of Jane Austen, Charlotte 
Brontë, Elisabeth Gaskell and George Eliot, London, Macmillan, 1995, p. 19 
 16
  Per avere consigli sul suo modo di scrivere, Charlotte aveva scritto a 
Southey, chiedendogli un parere a riguardo di alcuni suoi componimenti. Il 
grande poeta le aveva risposto che aveva attitudine per la poesia, ma il suo 
sprofondare nella fantasia era pericoloso e, soprattutto, la invitava, in quanto 
donna, a occuparsi dei doveri che le erano propri:  
… literature cannot be the business of a woman life, and it ought not  to 
be…[…]… To those duties you have not yet been called, and when you are 
you will be less eager for celebrity. 
40
 
Aveva scritto, con il medesimo scopo, anche a Wordsworth, inviandogli però 
questa volta anche lo schema e gli inizi di una novella che, però, il poeta non 
aveva ritenuto di grande livello.
41
 
 Nel frattempo ciascuna delle sorelle aveva iniziato a comporre, ognuna 
per conto proprio, un romanzo. Le trame e gli sviluppi di queste opere furono 
oggetto di discussione fra le tre che, durante le lunghe serate in salotto, 
leggevano a turno i propri componimenti e ascoltavano ciò che le altre avevano 
da dire in proposito. 
 La prima opera di Charlotte destinata alla pubblicazione fu The 
Professor, terminata nel 1846. Lasciando da parte le fantasticherie del mondo 
di Angria, il risultato fu modesto e nessuno degli editori a cui aveva inviato il 
manoscritto accettò di pubblicarlo; ciò fu in parte dovuto alla mancanza di una 
storia avvincente e in parte al tono della narrazione piuttosto tedioso, ben 
lontano dal gusto dell’epoca che preferiva di gran lunga il melodrammatico e il 
sensazionale. La stessa autrice lo aveva definito “plain and homely”. 
 Nel 1847 vide le stampe Jane Eyre, il suo capolavoro di cui tratteremo 
nei paragrafi successivi. Si ha con questo romanzo un passaggio dalla 
trascrizione della realtà alla realtà stessa che preme sui sensi.
42
 
  
                                                 
40
 Charlotte Brontë’s letter to Southey of March, 16 1839, in The Letters of Charlotte Brontës 
with a Selection of Letters by Family and Friends, Oxford, Clarendon Press, 1995, p. 398 
41
 Margaret Lane, La storia dei Brontë, op. cit., p. 143 
42
 May Sinclar, Le tre Brontë, Napoli, Liguori Editore, 2000, p. 86, Tit. orig. The Three Brontës, 
1912 
 17
Due anni dopo apparve al pubblico Shirley, un romanzo storico in tre volumi che 
trattava delle sollevazioni industriali del 1811-12. A prima vista è il tipico 
romanzo d’amore con vari intrighi, false verità, inganni e illusioni che alla fine 
però portano al solito “happy end”; tuttavia, ad una lettura più approfondita, è 
anche una sorta di commento storico sociale sulla qualità della vita della donna 
nell’epoca e sulla rivolta dei Ludditi nello Yorkshire.
43
 E’ il meno riuscito dei 
romanzi perché Charlotte, intrappolata in un fatto realmente accaduto, non 
aveva potuto dare libero sfogo alla sua ispirazione personale, avendo anche 
voluto rifuggire dalla passionalità di Jane Eyre. Ebbe comunque un notevole 
successo popolare anche se le recensioni dei critici apparse sulle riviste non 
furono tutte favorevoli. E’ con questo romanzo che venne scoperta dal pubblico 
la vera identità di Currer Bell. Un lettore dello Yorkshire riconoscendo persone e 
soprattutto alcune espressioni tipiche del dialetto di Haworth, ne scrisse alla 
stampa, che ben presto risolse l’enigma: Charlotte venne così identificata. 
 Sollecitata dall’editore, scrisse ancora, non accettando però l’invito fattole 
da George Smith di scrivere un libro a puntate, tanto in voga a metà ottocento.
44
 
Nel 1853  dopo un lungo travaglio artistico, uscì Villette, impostato sui ricordi 
ancora vivi nella sua memoria dell’esperienza a Bruxelles, rivissuta in una 
nuova prospettiva. E’ una riscrittura in chiave più matura e avvincente del suo 
primo romanzo, The Professor, arricchito da molti degli elementi e dei temi che 
erano presenti in Jane Eyre. E’ un romanzo complesso dove ben pochi eventi 
vengono narrati, mentre ampio spazio viene lasciato alla vita interiore dei 
personaggi. Venne accolto molto favorevolmente tranne che da Harriet 
Martineau, amica di Charlotte, indignata dalla natura implicitamente erotica 
dell’amore nel romanzo.
45
 
 Poco prima del matrimonio (1854) aveva iniziato un nuovo romanzo, 
Emma, aiutata e sostenuta dal marito che seguiva con interesse i progressi che 
Charlotte compiva man mano; rimase tuttavia incompleto a causa della precoce 
morte dell’autrice. 
                                                 
43
 www.brontë.info/brontës/Shirley.asp 
44
 Margaret Lane, La storia dei Brontë, op.cit., pp. 279-280 
45
  www.brontë.info/brontës/Villette.asp 
 18
 Ogni lavoro artistico di Charlotte Brontë era accurato fin nei minimi 
dettagli, quasi ella lavorasse al tornio le sue opere, niente era lasciato al caso, 
ogni frase ogni parola era calcolata e inserita nel contesto come le tessere di un 
mosaico e, alla fine, il lavoro non poteva essere rivisitato o aggiustato, come si 
evince dalla sua risposta agli editori di rivedere Jane Eyre 
… you probably know from personal experience that an author never writes 
well till he has got into the full spirit of his work and were I to retrench, to 
alter, to add now when I am uninterested and cold, I know I should only 
further injure what may be already defective.
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 Ciò che la turbava maggiormente era il fatto che da quando si era 
scoperto la sua identità femminile, aveva avuto sì un grande successo popolare 
soprattutto nello Yorkshire e fra i suoi concittadini, ma oramai i critici non erano 
più imparziali come quando pensavano fosse un uomo. Erano iniziate a 
comparire recensioni che sottolineavano il modo di concepire la scrittura 
femminile giudicata esclusivamente secondo le convenzioni dell’epoca, basate 
sui sentimenti che si ritenevano propri delle signore, che non potevano essere 
applicati all’opera di una scrittrice seria senza arrecar danno.
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46
 Charlotte Brontë’s letter To Messrs Smith, Elder & C. of September, 12 1847, op. cit., p. 539   
47
 Margaret Lane, La storia dei Brontë,op. cit., p. 266