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l’umiltà, e il libro allusione agli scritti del Santo Dottore della Chiesa, sollevati 
da due putti angelici, sono attributi consueti del Santo Abate. La traduzione 
più immediata e semplice è quella nel concetto di miracolo.  
Il traslato di un’immagine che diviene reale, esempio di un contatto diretto e 
sensoriale con  la  divinità,  trova  piena  realizzazione  nella raffigurazione  del  
colloquio del mistico con il Cristo crocifisso che prende vita e parla e si stacca 
dalla croce per abbracciare il santo. 
Una tematica esemplare nel sottolineare il ruolo assunto dall’immagine sulla 
scia della ricca produzione dei controversisti cattolici. Il privilegio 
dell’abbraccio come frutto finale di una accesa compartecipazione meditativa 
al sacrificio di Cristo non rimane solo prerogativa del Santo di Chiaravalle ma 
è ribadito dai rispettivi ordini nell’agiografia dei mistici. 
L’iconografia proposta dal Grechetto trova significative riprese in ambito 
locale, è il caso di Domenico Piola che realizza nel 1660, per la cappella di S. 
Tommaso d’Aquino nella chiesa di S. Domenico dei Padri Predicatori, la tela 
ora all’Annunziata del Vastato con la miracolosa vicenda accaduta al Santo al 
quale si rivolge il  Cristo crocifisso. Un altro esempio significativo è quello di 
Giovanni Andrea Carlone che riprende la vicenda di una immagine miracolosa 
per la chiesa agostiniana di San Nicola. L’ordine commissionò al Carlone una 
grande tela, databile intorno agli anni Ottanta del secolo. L’opera del Carlone 
mostra evidenti analogie iconografiche con un soggetto perduto del Grechetto 
raffigurante il “Miracolo di Cordova”, documentato dall’incisione di Michael  
Mozyn conservata al British Museum di Londra. 
L’abbraccio del Crocifisso alla statua di S. Nicola da Tolentino nella processione di 
Cordova è duplice esempio di miracolosa animazione dell’effigie, prodigiosa 
prova della predilezione accordata al Santo e segno della fine della peste che 
affliggeva la città. In questo caso viene ribadita la valenza miracolosa 
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dell’immagine, la possibilità di diventare oggetto nel quale prende corpo la 
presenza divina. Al di là di  questo aspetto, è proprio la centralità della 
meditazione  sul  sangue di Cristo, il segno del suo sacrificio, di cui si disseta il  
Santo, proposta con tanto vigore dal Castiglione, a divenire soggetto 
privilegiato nella produzione pittorica della seconda metà del Seicento, 
proprio come momento centrale dell’esperienza dei santi ed in particolare dei 
mistici beatificati o canonizzati in quegli anni; è il caso di San Gaetano di 
Thiene, dei Beati Giovanni della Croce e Caterina da Genova, di S. Ignazio di 
Loyola e di S. Pietro d’Alcantara. 
Ancora negli ultimi anni del secolo, Giovanni Andrea Carlone riprodurrà lo 
spunto tematico del Grechetto ispirato alla meditazione sull’effetto salvifico 
del sangue sparso dal Salvatore nel dipinto per l’oratorio dedicato al Santo dei 
Minimi, S. Francesco da Paola, in S. Antonio Abate e ora nella chiesa di N. S. 
del Rimedio. Il sangue di Cristo che esce copioso dalle piaghe si coagula nel 
motto “CHARITAS” scelto significativamente dal Santo. La committenza 
“popolare” della tela spinge il pittore ad affollare di elementi significativi il 
culto particolare del santo titolare, la triplice corona ricevuta miracolosamente 
in segno di predilezione celeste, la presenza dell’angelo che scaccia le anime 
dannate per sottolineare la devozione incoraggiata dal santo per S. Michele. 
Così si configura sulla base dell’esperienza romana la Santa Brigida che ispirata 
dal Cristo Crocifisso scrive le “Rivelationes” di Giovanni Andrea Carlone nella 
chiesa di N. S. della Misericordia, datata 1689.  
La devozione delle Confraternite e maggiormente la pratica diffusa negli 
oratori aristocratici e popolari, della meditazione sul sacrificio di Cristo, indica 
i termini di una traduzione più accessibile dell’esperienza devozionale già 
proposta dal Castiglione.  
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Analoga esperienza viene affrontata dal Piola nella raffigurazione della mistica 
genovese Caterina Fieschi beatificata nel 1675 ed in seguito salita agli onori 
degli altari. Legata alla tradizione di attivismo caritativo già di una cultura 
religiosa  locale  di  matrice  post-tridentina e pienamente confermato nel  XVII  
secolo. Anche la visione di Caterina, sottolinea l’aspetto della meditazione sul 
sacrificio del Cristo, del suo sangue salvifico. Egli le appare in visione con la 
croce portata sulle spalle grondanti di sangue, quel sangue sparso per amore. 
Il Piola raffigura l’episodio, accentuando il carattere narrativo nella pala 
dipinta per la chiesa di S. Filippo negli anni Ottanta del secolo.  
L’episodio può trasformarsi in celebrazione agiografica per l’ordine al quale 
appartiene il religioso che riceve il dono della mistica visione. Nello stesso 
1675 venne beatificato Giovanni della Croce, anche in questo caso viene 
sottolineato il particolare ed eccezionale approccio con il divino. I Carmelitani 
non attesero la canonizzazione, avvenuta nel 1726, per collocare l’immagine 
della visione miracolosa alla devozione dei fedeli. Per la chiesa dei Santi 
Vittore e Carlo il Piola realizzò, intorno agli anni Settanta, la pala raffigurante 
il Cristo che appare a S. Giovanni della Croce. Qui la visione viene resa in uno 
stretto contatto tra il Santo in meditazione e il Cristo, che diventa apparizione 
miracolosa, sottolineata dallo stupore del confratello dipinto in secondo piano. 
Il senso dell’episodio come spunto di meditazione sulla passione del Cristo è 
indicato con chiarezza dalla spiegazione offerta dagli angeli in primo piano 
che reggono un libro con iscrizione ben leggibile che contiene la risposta di S. 
Giovanni della Croce alla domanda del Signore che gli chiedeva che cosa 
volesse come ricompensa <<Signore, gli rispose, io non voglio che patire ed 
essere disprezzato per amor vostro>>.  
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La potenzialità del miracolo esperienza tra uomo e Dio e la profondità 
concettuale viene tradotta in episodio edificante ed in particolare nella 
tematica dell’estasi e della visione mistica. 
E’ possibile suggerire un percorso del tema dell’estasi e della visione, nella sua 
elaborazione nell’arco del secolo. Si pone come origine del fenomeno il 
momento in cui venne riconosciuta nei caratteri della santità una figura come 
Teresa d’Avila, appartenente all’ Ordine dei Carmelitani, fondatrice degli 
Scalzi, che incarna in modo indivisibile il rapporto ascetico e visionario con il 
divino.  
Anche a Genova, in occasione della canonizzazione  romana della Santa nel 
1622, vennero organizzate solenni celebrazioni nelle sedi dell’Ordine 
Carmelitano. Ancor più significativa risulta, nello stesso anno della 
canonizzazione, la stampa del testo dal titolo La Santa Teresa, a Venezia , da 
parte di Gio Vincenzo Imperiale, uno degli intellettuali più rappresentativi a 
Genova. Il testo rappresenta una lettura della vita della Santa e dell’esperienza 
religiosa spagnola. Analoghe sono le proposizioni di Santa Teresa per 
metafore ricavate dalla vicenda biblica, come immagine del Tabernacolo Santo, 
del Tempio di Salomone, di Mosè, di Debora tradotti in emblemi insieme a 
motivi ermetici come la rappresentativa immagine del rapporto tra Teresa -
Luna  e   Cristo-Sole.   E’   evidente   una   linea   perseguita   dall’  Ordine   dei  
Carmelitani anche nell’illustrazione degli episodi più significativi riguardanti 
le visioni della rifondatrice del Carmelo, rappresentate nella chiesa di S. Carlo 
da Gio Lorenzo Bertolotto che fa languire nei suoi trasporti Santa Teresa, 
mentre l’angelo apparso alla vista immaginativa in forma corporea sta per 
colpirla con la punta infuocata di uno strale d’oro. Sempre in S. Carlo è 
Giovanni Andrea Carlone a rappresentare La Vergine con S. Giuseppe che appare 
a S. Teresa e le consegna un monile. Qui viene sottolineata la prova concreta di un 
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incontro mistico con la divinità testimoniato dalla Santa in quella forma nella 
quale si è soliti raffigurarla.  
Pietro Paolo Raggi, per i Carmelitani Osservanti in N. S. del Carmine propone 
l’aspetto più sottile  dell’esperienza mistica, il rapimento, che come dice la 
Santa, si manifesta nell’anima e nel corpo staccandoli da terra nello stesso 
modo in cui le nuvole o il sole attirano i vapori. Così il corpo viene sollevato 
da terra come da una nuvola.  
Anche il Piola sottrae la figura della mistica S. Caterina dalla semplice 
riproduzione narrativa dell’evento per divenire traduzione visiva 
dell’esperienza mistica trattata dalla santa stessa nel Dialogo spirituale.  A 
questo proposito il Piola realizza,  per la sacrestia della chiesa di S. Filippo, 
una tela raffigurante Santa Caterina tratta in estasi dal Dio d’ Amore, ora nella 
chiesa di S. Francesco a Genova – Bolzaneto. Gli Oratoriani erano infatti 
impegnati nella difesa e nello studio della mistica cateriniana. Evidentemente 
la fonte di ispirazione è un commento redatto nel 1682 alla Vita di Caterina dal 
sacerdote oratoriano Giacinto Parpera. Il moto di attrazione si stringe fra 
Caterina, che schiaccia sotto i piedi il serpente, simbolo del peccato attorto sul 
globo terrestre, opposto alla sfera celeste, e il Bambino, sorretto dalla Vergine, 
che tira a sé la mistica. Maria sostiene la mano del figlio, e resta nella  
penombra, lasciando  Gesù e la beata nella luce  del mistico colloquio.  Il  corpo  
della Santa volto al Bambino, ma nello stesso tempo abbandonato tra le braccia 
degli angeli, figura il contrasto tra tensione ascetica e il venir meno della 
materia corporale. Sono gli stessi concetti espressi da Santa Teresa d’Avila. 
Nel dipinto del Piola come nel commento del Parpera  il Bambino è “Dio 
d’amore” in senso classico. “Dio amante” che lega il cuore di Caterina. 
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“L’amore è un circolo o catena” che unisce l’anima di Caterina a “Dio suo 
principio e fine”. 
La morte come punto più alto dell’estasi e dell’unione mistica trova una 
riuscita rappresentazione nel Transito di S. Scolastica dipinto da Gregorio de 
Ferrari per i Benedettini della Congregazione di Monte Uliveto che allora 
gestiva la chiesa di S. Stefano, ora al Museo Diocesano. Qui vengono 
sintetizzati due momenti separati nella tradizione agiografica relativa alla 
santa, la sua morte e la visione di San Benedetto, suo fratello gemello, al quale 
apparì l’anima della sorella mentre volava alta nel cielo sotto le spoglie di una 
colomba. Riversa in primo piano su un umile giaciglio, tenendo fra le mani un 
crocifisso, vestita dell’abito benedettino e pervasa ormai dal pallore della 
morte, mentre le consorelle affrante la piangono, la sua anima, libera dalle 
spoglie umane, si leva in alto in forma di candida colomba, accompagnata da 
un turbine gioioso di angeli in volo. Sulla terra gravano pesanti le spoglie 
mortali della santa. Accanto una natura morta simile ad un memento mori, 
una brocca, un libro, un teschio, elementi che rappresentano la transitorietà 
della vita terrena ed il melograno simbolo della Resurrezione. 
Nella tela  con l’Estasi di San Francesco, sempre del de Ferrari, realizzata per la 
chiesa  di  San  Giovanni  Battista  di  Sampierdarena  e  conservata  in   S.  Siro,  
 
 
rappresenta il senso di un estenuato abbandono del corpo e del suo peso 
materiale, nell’annichilimento, seguito alla tensione ascetica dell’esperienza 
mistica. Il santo appare quasi cadavere. L’espressione del volto sospesa tra la 
vita e la morte, abbandonato tra le braccia dell’angelo, come Santa Scolastica, 
spossato dopo l’esperienza delle stigmate: perduto alla realtà terrena, lasciata 
ogni cosa, è legato al cielo dall’angelo che suona la musica celestiale e unisce i 
due termini di cielo e terra. Ancora sarà il de Ferrari a proporre la 
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Trasverberazione di Santa Teresa in una tela per la chiesa di S. Fede. Qui il corpo 
della Santa viene meno ed è presente con la sensazione dolorosa ispirata 
dall’anima ferita dal desiderio di Dio. La Santa viene affiancata da due santi : 
S. Francesco d’Assisi e S. Francesco Saverio. Il primo è rappresentato 
inginocchiato a terra con le braccia aperte, come nella mistica impressione 
delle stigmate, con il teschio e il libro, simboli della meditazione. Viene 
sottolineato l’aspetto penitenziale, la via dell’ascesi attraverso le privazioni 
inflitte al corpo. Il secondo con la sua presenza, rafforza il messaggio che 
emerge dalla raffigurazione. Viene infatti celebrato dall’ordine gesuitico per le 
sue visioni ed esempio di un raggiunto colloquio con la divinità attraverso le 
tribolazioni e i sacrifici imposti.