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partecipazione per i giovani nella vita della società, permettendogli di contribuire 
alle scelte e alle decisioni dalle quali finora sono stati esclusi. 
E’ proprio partendo da una iniziativa di “Consiglio di Quartiere dei Ragazzi”, 
svoltasi nel quartiere 6 di Padova, che è nata l’idea della ricerca esposta nella 
presente tesi. Dalle testimonianze emerse da 26 focus group, condotti 
rispettivamente in 20 classi elementari partecipanti al progetto e in 6 classi 
elementari estranee allo stesso, è stata eseguita un’analisi qualitativa, al fine di 
indagare le conoscenze e le credenze dei bambini sul tema della partecipazione e 
dei progetti atti a promuoverla. I focus goup hanno avuto come obiettivo quello 
di indagare: l’idea che i ragazzi hanno di Partecipazione; le modalità di 
partecipazione  e  i possibili contesti in cui essa può venire attuata; i benefici ed 
effetti (sia positivi che negativi) della partecipazione dei bambini alla comunità e 
le caratteristiche che dovrebbe avere un’esperienza per essere classificata quale 
reale partecipazione. 
Proposito del primo capitolo, sarà quello di fornire alcune definizioni e 
riferimenti tratti dalla letteratura, sia in riferimento alla partecipazione sociale 
negli adulti, che più nello specifico a quella relativa alla popolazione dei bambini 
e degli adolescenti. Per quanto riguarda la popolazione adulta, ci si soffermerà 
sulla scala della partecipazione proposta da Arnstein (1969) e sui possibili effetti 
della partecipazione a livello individuale e collettivo. La sezione dedicata ai 
bambini e agli adolescenti verterà, a sua volta, sulla rappresentazione sociale che 
gli adulti hanno dei giovani, sulla tradizionale visione centrata sul deficit, per poi 
procedere verso una rappresentazione più positiva centrata sulle competenze, le 
capacità e le risorse personali. Verrà, inoltre, proposta la rielaborazione della 
scala di Arnstein (1969), ad opera di Hart (1992); una scala della partecipazione, 
che come la precedente, cerca di individuare i diversi livelli di partecipazione, 
passando da una non partecipazione, a livelli sempre più autentici di 
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partecipazione dei bambini e dei ragazzi. In ultimo, come già per gli adulti, 
saranno forniti alcuni risultati, tratti dalla letteratura, in merito ai benefici ed 
effetti della partecipazione sociale nei bambini, seguiti da alcune modalità per 
favorire tale partecipazione. 
Sarà intento del secondo capitolo descrivere e commentare le iniziative di 
“Consiglio Comunale dei Ragazzi”, quali possibili strumenti per la promozione 
della partecipazione sociale fra la popolazione più giovane della comunità. 
Accanto ad alcuni cenni storici relativi alla nascita di tali iniziative in Europa e 
successivamente in Italia, verranno fornite alcune indicazioni sulle modalità e gli 
obiettivi che generalmente accomunano tali interventi. Verrà dedicato un 
paragrafo ai possibili benefici e limiti dei progetti di Consiglio Comunale dei 
Ragazzi, quale spunto da cui partire per comprendere le motivazioni che hanno 
spinto il quartiere 6 di Padova ad attivare tale iniziativa in 11 scuole del proprio 
territorio.  
La ricerca, che ha preso il via da tale progetto, sarà argomento del terzo 
capitolo. Accanto al campionamento, agli strumenti e agli obiettivi che hanno 
guidato la presente ricerca, verrà dedicata una sezione del capitolo alla 
descrizione della tecnica dei focus group, in quanto metodologia qualitativa 
utilizzata per la conduzione della ricerca. Altro aspetto, a mio parere molto 
rilevante, affrontato nel capitolo, sarà quello dei possibili problemi metodologici 
a cui si può andare incontro quando il campione oggetto dell’analisi qualitativa è 
costituito da bambini. 
Sarà, in fine, obiettivo del quarto capitolo presentare i risultati e le 
considerazioni emerse dall’analisi qualitativa del contenuto dei focus group 
condotti con i bambini delle 26 classi elementari appartenenti al campione. 
Obiettivo principale dell’analisi, sarà quello di chiarire quale idea i bambini 
abbiano della partecipazione, identificando non solo le modalità in cui si può 
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partecipare, ma anche i contesti in cui questo sia possibile; altro aspetto indagato 
sarà, inoltre, quello dei benefici che i bambini ritengono di poter apportare alla 
comunità partecipandovi attivamente. Da un’analisi delle considerazioni fatte dai 
bambini, all’interno dei gruppi, in merito ai differenti livelli partecipativi (ispirati 
alla teoria di Arnstein, 1969, rivisitata da Hart, 1997), si cercheranno di 
comprendere le caratteristiche peculiari di ogni esperienza partecipativa, 
distinguendo ciò che per i bambini appartiene alla partecipazione reale, da ciò 
che, invece, può essere definita come partecipazione falsa o di facciata.  
 
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Capitolo 1 
La Partecipazione Sociale nei Bambini e negli Adolescenti 
 
1.1 Cosa si intende per Partecipazione? 
Parlando di partecipazione, è d’obbligo sottolineare come questo tema sia stato 
affrontato per lo più dalle scienze politiche, dalla sociologia e dalla pedagogia, 
ponendo l’interesse soprattutto sulla partecipazione politica. 
La psicologia, pur non centrando l’attenzione esclusivamente sulla 
partecipazione politica, non da la possibilità di rintracciare un modello unico dei 
processi psicologici sottostanti la partecipazione; questo, perché tale concetto è 
stato affrontato singolarmente nelle diverse aree di ricerca. Ne sono un esempio, 
gli studi sui comportamenti elettorali in psicologia politica, l’interesse per la 
messa in atto di comportamenti collettivi in psicologia dei gruppi o, ancora, i 
processi partecipativi nella progettazione di interventi sull’ambiente in psicologia 
ambientale (Mannarini, 2004). 
L’area di ricerca, su cui verrà focalizzata la mia discussione, esula da quella 
precedentemente descritta e si concentra sulla psicologia di comunità, dove il 
concetto di partecipazione si riferisce all’impegno e alla responsabilità del 
singolo all’interno di un progetto volto a raggiungere un obiettivo 
collettivamente determinato (Wandersman, Florin, 2000). La partecipazione è 
stata definita in psicologia di comunità come “un processo in cui i soggetti 
prendono attivamente parte ai processi decisionali nelle istituzioni, nei 
programmi e negli ambienti che li riguardano” (Heller et al., 1984). La 
partecipazione viene, quindi, intesa come un processo per condividere decisioni e 
si stabilisce come un diritto per tutta la cittadinanza (Hart, 1992). 
Il partecipare al setting di comunità può assumere differenti forme, accanto alla 
partecipazione politica, con cui i cittadini contribuiscono alla selezione del ceto 
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politico-amministrativo locale, vi è una partecipazione rappresentata 
dall’aggregarsi spontaneo dei cittadini in forme affiliative organizzate e 
un’ulteriore forma di partecipazione costituita dal coinvolgimento dei cittadini 
nelle politiche pubbliche, su questioni, piani o interventi di interesse locale. 
Potremmo definire il primo tipo di partecipazione “spontaneo”, bottom up e il 
secondo “provocato”, top down. Entrambe, anche se in modo diverso, hanno lo 
scopo di esercitare un’influenza sulle decisioni di carattere pubblico e di rendere 
i cittadini partecipi dei processi di governo del territorio (Mannarini, 2004). Nei 
processi di tipo botton-up, infatti, è la comunità stessa, intesa come somma dei 
cittadini che la compongono, che promuove il proprio coinvolgimento e sviluppo 
di se stessa e del territorio in cui si identifica; mentre nei processi di tipo top 
down, vi è un attore forte, solitamente l’ente pubblico, che facilita la 
partecipazione della comunità locale. Channan (1999) afferma che porsi, ad 
esempio, il problema di come coinvolgere la comunità locale nei processi di 
trasformazione urbana è un po’ come “guardare il problema dal lato sbagliato del 
telescopio”. La comunità locale esiste, infatti, prima del processo di 
trasformazione urbana; l’intento sarebbe quello di fare emergere un’ipotesi di 
trasformazione nella comunità locale stessa, mediante, quindi, un processo di tipo 
bottom-up; idea, questa, perseguita ad esempio dal movimento e approccio alla 
progettazione promosso da Walter Segal per l’autocostruzione. Altri studiosi, 
come Zimmerman e Rappaport (1988;1999), affrontando il tema 
dell’empowerment e della partecipazione, evidenziano la necessità di lavorare 
contemporaneamente sui soggetti e sulle condizioni, integrando le due 
prospettive, bottom-up e top down, precedentemente esposte. Secondo un'analisi 
di Zimmerman e Rappaport (1988), l'empowerment sarebbe, infatti, un concetto 
"multilivello", che e' possibile cioè articolare ad un livello individuale (o 
psicologico), uno organizzativo e uno sociale e di comunità.  
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L’ Empowerment risulterebbe dalla sinergia dell'Empowerment "psicologico", 
relativo al senso di padronanza e di controllo del soggetto su ciò che riguarda la 
relazione con parte del mondo e dell'Empowerment "oggettivo-ambientale", cioè 
le risorse e le possibilità fornite/consentite dall'ambiente. 
Colozzi (1994), a sua volta, definisce la partecipazione sociale come “quelle 
azioni sociali di cittadini, utenti, abitanti, ed espressive di domande aggregate e 
di controlli popolari, di pressioni e proteste che, anche per il fatto di essere per lo 
più relative ad ambienti locali o singoli settori e problemi di vita associata, né 
rientrano tra gli istituti, le forme e i movimenti della democrazia rappresentativa 
e di vita politica attraverso i partiti nazionali, né sono riconducibili a quei 
movimenti e forme di azione sociale che si riferiscono alla lotta di classe o alle 
azioni sindacali”. Una definizione che, a mio parere, può riportare l’attenzione al 
ruolo di cittadini richiedenti e promotori di cambiamento, suggerita da Channan e 
colleghi (1999). 
Facendo riferimento alla classificazione proposta da Meister (1969) in tabella 1, 
la partecipazione sociale rientrerebbe come forma volontaria, orientata alla 
soddisfazione di bisogni individuali, ma anche allo svolgimento di una funzione 
sociale, di interesse collettivo. Un processo, quindi, di tipo bottom-up, in cui 
sono gli stessi partecipanti a creare il gruppo, ma che non sarebbe probabilmente 
possibile se, per dirla con Zimmerman e Rappaport (1988), non vi fossero le 
condizioni favorevoli alla formazione di tale gruppo. 
Nella tabella vengono riportati quattro diversi tipi di partecipazione (di fatto, 
spontanea, volontaria e provocata), per ogni forma di partecipazione viene 
descritta la modalità in cui si origina il gruppo, la prassi di reclutamento e quale 
tipo di funzione sociale possa rivestire tale gruppo.