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regionale, stabilita, a partire del 1988, nell’ambito del negoziato sulle prospettive 
finanziarie
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. 
Le risorse comunitarie vengono erogate sotto forma di cofinanziamento la cui 
percentuale varia a seconda degli obiettivi e della concentrazione geografica. Le azioni 
di solidarietà in materia di sviluppo delle economie regionali sono infatti esercitate 
innanzitutto a livello regionale e nazionale, mentre l'Unione apporta il proprio 
contributo in modo sussidiario. 
La politica di coesione si basa sul principio di solidarietà finanziaria: una parte 
(attualmente circa un terzo) dei contributi finanziari degli Stati membri al bilancio 
comunitario è ridistribuita alle regioni e ai ceti sociali più deboli. Non è però una 
politica meramente redistributiva, in quanto gli interventi da essa finanziati, anzi, 
cofinanziati sono vincolati al perseguimento di obiettivi e priorità tematiche definiti a 
livello comunitario. 
L’obiettivo della politica regionale è il rafforzamento della coesione comunitaria. 
L’Europa costituisce infatti una delle aree economiche più ricche del mondo, ma al 
contempo presenta al suo interno forti disparità tra gli Stati membri, ma anche, e ancor 
più, tra le sue regioni. Tali disparità rappresentano un ostacolo grave alla coesione 
dell’Unione sotto molteplici aspetti, economici, sociali e politici. 
La presenza di livelli di reddito e di standard di vita fortemente diversi, oltre a rendere 
evidente una situazione di non equità che si scontra con i principi alla base della 
costruzione europea, rappresenta anche un ostacolo da un lato per la realizzazione e il 
completamento del mercato interno e dell’Unione Economica e Monetaria e dall’altro 
per la capacità dell’Unione di affrontare le sfide di un’economia mondializzata. 
Man mano che le frontiere nazionali vengono meno diventa infatti sempre più difficile, 
oltre che dannoso, considerare le disparità di sviluppo alla stregua di problemi di 
rilevanza meramente internazionale, in quanto i loro effetti trascendono le frontiere 
nazionali influenzando, in varia misura, l’economia dell’intera Europa. 
                                                 
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 Le Prospettive Finanziarie sono state create alla fine degli anni ottanta (“primo pacchetto Delors”: 1988-1992) 
quando, per porre fine alle ricorrenti crisi fra Parlamento Europeo e Consiglio sull’ammontare di risorse per il 
bilancio comunitario, si decise di stabilire in anticipo le grandi categorie di spesa per un periodo predefinito, 
sulla base di un accordo inter-istituzionale.  
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Anche affrontando la questione in termini positivi, in un’Europa sempre più unita è 
importante che le strategie di sviluppo dei singoli Stati membri, con riferimento alle 
aree più disagiate, ma non solo, siano coordinate al fine di perseguire scopi comuni e 
condivisi, nel rispetto delle condizioni di concorrenza e non secondo una logica di 
“competizione distruttiva”. 
Bisogna inoltre considerare come i benefici degli interventi di sviluppo regionale, 
sempre grazie al venir meno o comunque all’affievolirsi delle frontiere nazionali, non 
restano confinati nelle regioni e nei paesi direttamente beneficiari, bensì possono 
essere fruiti anche da cittadini e imprese degli altri Stati membri, come possibilità di 
investimento e di trasferimento di know-how, soprattutto in settori economici e 
produttivi non ancora avviati, con conseguenze positive per la competitività 
dell’insieme dell’Unione. 
Come si evince da quanto sopra, quello di coesione è un concetto complesso e 
multisfaccettato, che si estende dalla dimensione economica a quella sociale e 
territoriale. Il concetto di coesione economica fa riferimento ad un approccio 
interregionale relativo a indicatori economici, in particolare quelli relativi al PIL pro 
capite, mentre quello di coesione sociale è piuttosto collegato al sistema di protezione 
e di sicurezza sociali nel quadro del modello sociale europeo. Il concetto di coesione 
territoriale, infine, è emerso solo recentemente, legato alla necessità di ridurre 
nell’Europa allargata i disagi legati alla perifericità, in particolare garantendo i 
collegamenti tra tutte le regioni europee. 
Quello di coesione è inoltre un concetto che ha subito una notevole evoluzione del 
corso dei decenni successivi alla firma dei Trattati di Roma, in relazione 
all’approfondirsi del processo di integrazione europea, ma anche dell’evoluzione delle 
sfide, interne ed esterne, che la Comunità Economica Europea prima e l’Unione 
Europea poi si sono trovate a dover affrontare. La politica di coesione si trova, inoltre, 
attualmente uno dei temi al centro del dibattito sul futuro dell’Unione. 
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1. L’evoluzione del concetto di coesione e della politica regionale 
 
1.1. Dal Trattato di Roma all’Atto Unico Europeo 
 
Originariamente la politica di coesione non era regolata dai trattati in modo uniforme 
come politica comunitaria mirata a riequilibrare le differenze tra le regioni degli Stati 
membri attraverso la promozione di investimenti e di progetti infrastrutturali. Nel 1957 
gli Stati firmatari del Trattato di Roma fecero riferimento, nel preambolo, solo 
all’esigenza “di rafforzare l’unità delle loro economie e di garantirne lo sviluppo 
armonioso riducendo il divario fra le diverse regioni e il ritardo di quelle più 
svantaggiate”. Delle previsioni ad hoc vengono introdotte solo con l’Atto Unico del 
1986 e soprattutto, in maniera più estesa ed organica, con il trattato di Maastricht del 
1992. 
Già nel Trattato, nondimeno, erano presenti delle previsioni che permisero la 
realizzazioni di interventi finalizzati alla coesione regionale. Oltre che nel preambolo, 
infatti, riferimenti all’esigenza di considerare le differenze regionali sono inseriti 
anche nelle disposizioni relative alla politica agricola (art. 33, ex 39), alla libera 
circolazione dei lavoratori (art. 40, ex 49), alle deroghe al divieto di aiuti di Stato 
(art.87, ex 92) e alla politica dei trasporti (art. 76, ex 80). Un protocollo e una 
dichiarazione allegati al Trattato prevedevano inoltre di tenere in considerazione, nella 
realizzazione del mercato comune, le difficoltà specifiche del Mezzogiorno italiano
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 e 
di Berlino ovest, considerandole quali regioni “speciali”. 
Il Trattato prevedeva peraltro vari strumenti finanziari, quali la Banca Europea per gli 
Investimenti (BEI)
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, il Fondo Sociale Europeo (FSE) e il Fondo Agricolo Europeo di 
Orientamento e Garanzia (FEOGA) - Sezione Orientamento, che potevano essere 
utilizzati, accanto alle altre finalità, anche per scopi di politica regionale. 
                                                 
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 La necessità di inserire la coesione nel Trattato costituì uno dei cardini della posizione italiana durante il 
negoziato per la nascita della CEE, nel timore che la creazione del mercato comune con i Paesi mitteleuropei 
portasse a un ulteriore emarginazione delle regioni del Mezzogiorno. 
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 La BEI ha il compito di finanziare a condizioni di favore progetti nelle regioni meno sviluppate e nei settori di 
riconversione (oltre che progetti di interesse comune per più Stati membri o per la Comunità, anche in Stati terzi 
o associati), tramite capitali raccolti facendo appello al mercato comune. I suoi interventi nel promuovere la 
coesione e nell’incentivare i provvedimenti sulle infrastrutture hanno progressivamente assunto una dimensione 
notevole. 
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Queste misure in sé non sarebbero però state sufficienti a sviluppare una coerente 
politica regionale comunitaria, ritenuta del resto di importanza secondaria, nel senso 
che ai tempi della stipulazione dei trattati si riteneva che il mercato comune avrebbe di 
per se stesso permesso di colmare i divari regionali di sviluppo. In mancanza dunque 
di competenze esplicitamente previste, i poteri di politica regionale potevano fondarsi 
solo sull’art. 308 (ex 235) o essere introdotti attraverso la modifica del trattato, 
secondo la procedura di cui all’art. 48 (ex N). 
L’esigenza di intervenire attivamente per colmare le differenze di sviluppo tra regioni 
europee, ritenendole tra l’altro un notevole impedimento ai fini della realizzazione del 
mercato comune, iniziò a farsi sentire ben presto. La Commissione in particolare 
cominciò ad avanzare proposte per dar vita a una politica regionale comunitaria unica 
e mirata. Era infatti necessario rispondere alle esigenze di equità e di sviluppo che 
emergevano da varie regioni europee e coordinare le politiche regionali sviluppate in 
quegli anni da parte degli Stati membri, onde evitare che esse potessero rivelarsi 
dannose ai fini del mercato comune. 
Del resto la stessa instaurazione del mercato comune aveva la conseguenza di 
accrescere o addirittura creare ulteriori divari tra le regioni europee, favorendo lo 
sviluppo di quelle più centrali e aumentando l’emarginazione di quelle più periferiche 
e arretrate. 
Nel 1961 fu organizzata una conferenza in materia di economia regionale, a seguito 
della quale venne istituita in seno all’esecutivo comunitario un’apposita Direzione 
Generale per la politica regionale. Nel 1969 la Commissione presentò un primo 
progetto programmatico per una politica regionale della Comunità, che da un lato 
garantisse il rispetto delle condizioni di concorrenza coordinando e limitando le misure 
nazionali di politica regionale e dall’altro creasse i presupposti effettivi per la 
concorrenza nelle regioni maggiormente svantaggiate, attraverso interventi strutturali e 
di incentivazione. Risultava inoltre importante coordinare la politica regionale con le 
altre politiche comunitarie. 
La realizzazione di questo programma non risultò però agevole, a causa del contrasto 
tra le posizioni degli Stati membri e quella della Commissione.