Nella parte finale di questa prima porzione verrà indagato  
l’importante rapporto tra packaging e pubblicità. Significativa 
dipendenza nata in questi ultimi anni, quando il packaging è 
divenuto addirittura protagonista di diverse campagne 
pubblicitarie. 
       Nella seconda parte verrà analizzato il case history Vodka 
Absolut: emblema di strategia pubblicitaria basata sul 
packaging come protagonista. 
Dopo una parte iniziale in cui si esporrà la storia della Vodka 
Absolut, verrà esaminata la bottiglia Absolut (il packaging) in 
tutti i suoi specifici elementi. In seguito verrà considerata la 
strategia pubblicitaria della Absolut e la sua pianificazione sui 
diversi mezzi. Questa sezione terminerà con una appendice 
riguardo un confronto fra due bottiglie molto famose al mondo: 
quella della Absolut e quella della Coca-Cola. 
       La terza parte di questa tesi riguarda un ‘nuovo’ mezzo di 
comunicazione di massa, riportato in auge anche grazie alla 
strategia pubblicitaria della Absolut: la cartolina. 
In realtà si può parlare di un ritorno della cartolina come 
mezzo di comunicazione in quanto già nell’ 800 se ne faceva 
uso. 
Oggi la pubblicità su cartolina si sta diffondendo un pò in tutto 
il mondo, e anche l’Italia si sta muovendo nella suddetta 
direzione riscoprendo, così, il potere comunicativo di questo 
strumento analogico surclassato dalle più efficienti tecnologie.  
     All’interno di questa terza parte è analizzato il 
collezionismo come tendenza innescata dalle cartoline, 
l’importanza di internet come mezzo di diffusione per esse e 
una visione delle cartoline nel panorama mondiale. 
Per condurre una accurata indagine del mezzo cartolina sono 
state effettuate personalmente tre diverse interviste alle tre 
agenzie che in Italia distribuiscono cartoline gratuite: la 
ToCard, la Promocard e la Citrus. 
       Il presente lavoro termina con una ricerca condotta sulle  
immagini della Vodka Absolut comparse sulle cartoline 
Promocard e distribuite in Italia. Per riuscire a compiere una 
attenta analisi verranno studiate ed esaminate 155 immagini, 
una per una, attraverso un questionario. I risultati della 
ricerca sono molto interessanti ed evidenziano un filo 
conduttore che segue tutta la campagna pubblicitaria Absolut, 
tratti comuni che si ritrovano anche nelle immagini che 
compaiono su stampa e manifesti. 
      In questo modo verrà offerta una visione complessiva di 
quello che è oggi il packaging e delle funzioni che ormai ha 
acquisito. Dall’analisi del case history della Absolut e attraverso 
il mezzo cartolina si evidenzia l’importanza dell’utilizzazione del 
packaging come forma di comunicazione e soprattutto, a 
nostro avviso, della sua efficacia come “testimonial”.  
 
 RINGRAZIAMENTI 
 
       Vorrei esprimere un ringraziamento alla Promocard, alla 
Citrus e alla ToCard-Postcard per l’attenzione e per le 
interessanti interviste che mi hanno concesso. Un particolare 
grazie va alla Tocard che mi ha permesso inoltre di entrare, per 
la prima volta, nel mondo lavorativo della comunicazione e del 
mezzo pubblicitario “cartolina”, fase fondamentale per la 
stesura di questa tesi. 
       Vorrei poi esprimere un particolare ringraziamento alla 
Coca-Cola per il materiale che mi ha gentilmente fornito; alla 
TBWA di Milano per la pazienza con cui ha risposto alle mie 
mail piene di domande; alla Seagram che cortesemente mi ha 
mandato immagini fondamentali per questa tesi. 
       Il ringraziamento maggiore va però ad una persona che mi 
è stata accanto per tutto il periodo di creazione e stesura di 
questo lavoro, momento che coincide con un frammento 
indimenticabile della nostra storia. 
 
 I PARTE 
IL PACKAGING 
 
 
COSA E’ IL PACKAGING  
 
 
       Cosa è il packaging? Se controlliamo il dizionario inglese 
vediamo che packaging è tradotto come “imballaggio”. Ma come 
definizione è un po’ riduttiva e poco esplicativa. 
Alberto Abruzzese, nel Dizionario della pubblicità (A. Abruzzese- 
F. Colombo 1994, pag. 329), lo definisce come “attività di 
creazione della confezione di un prodotto al fine di proteggerlo, 
ma soprattutto di presentarlo al consumatore”. 
Ferraresi nel suo libro, “Il Packaging, oggetto e comunicazione” 
(M. Ferraresi, 1999, pag. 15), cita una affermazione presa dal 
testo “Le Pack”: “la confezione si può definire come, nel 
prodotto, tutto quanto non è il prodotto stesso”. 
       Possiamo affermare che in passato per packaging si 
intendeva il confezionamento del prodotto ed il suo ufficio era 
quello di proteggerlo al fine di garantirne l’integrità. 
Oggi il packaging ha assunto un ruolo diverso, comunicativo, 
non preserva soltanto, ma trasmette: la confezione, infatti, funge 
da strumento informativo e pubblicitario. 
Sempre Ferraresi (M. Ferraresi, 1999, pag. 16) descrive una 
metafora molto interessante paragonando il packaging al mitico 
 Giano bifronte
1
. Infatti da un lato esso guarda al prodotto 
cercando di proteggerlo, dall’altro si rivolge al consumatore per 
comunicare con lui, cercando di instaurare un dialogo. La 
confezione quindi, è un oggetto che protegge e 
contemporaneamente racconta. E’ importante, allora, 
considerare le caratteristiche e i gusti del nuovo consumatore 
che non acquista più il prodotto di cui ha bisogno, ma uno 
scelto tra innumerevoli simili fra loro dal quale viene attirato per 
qualche elemento particolare. Diventa così necessario studiare 
un packaging che colpisca il consumatore direttamente sul 
punto vendita, quando questi si troverà di fronte a numerosi 
prodotti che svolgono la stessa funzione, è a questo punto che 
esso deve diventare protagonista attirando l’attenzione del 
cliente. Bisogna, infatti, ricordare che l’80% delle decisioni 
d’acquisto della maggior parte dei beni di largo consumo è presa 
proprio sul punto vendita
2
, perché se è lo spot ad attirare il 
consumatore nel negozio, è in tale contesto che  il packaging 
svolge il suo ruolo provocando l’interesse e la curiosità del 
consumatore. 
Infatti, il primo acquisto di un consumatore è stimolato dal 
packaging e solamente il secondo, se avviene, è suggerito dalle 
qualità del prodotto: per questo è fondamentale uno studio 
attento del packaging di un prodotto. Non sempre e non 
necessariamente il confezionamento di un prodotto è di un solo 
tipo. Esistono tre diversi tipi di packaging: il packaging 
                                                           
1
 Divinità latina, dio delle porte delle città, che veniva rappresentato bifronte. 
2
 G. Brunazzi, 1993, pag. 30 
 primario, il packaging secondario e il packaging terziario. (M. 
Ferraresi, 1999, pag. 26/29) Vediamoli in particolare. 
 
a) Packaging primario, o imballaggio primario o 
confezionamento primario. 
E’ rappresentato da un imballaggio concepito per essere sul 
punto vendita direttamente fruibile dal consumatore, alle 
volte combacia con l’imballaggio immediato, come le bottiglie 
o le lattine. Il packaging primario può anche essere selettivo, 
nel senso che, per alcune confezioni di formaggio, ad 
esempio, può far passare gli agenti esterni adatti a farlo 
maturare e bloccare quelli che invece deteriorerebbero il 
prodotto (in questo caso si chiama packaging intelligente).  
 
b) Packaging secondario, o imballaggio secondario o 
confezionamento secondario.  
Detto anche confezionamento multiplo in quanto, sul punto 
vendita, raggruppa un certo numero di prodotti, che poi 
potranno anche essere venduti singolarmente. Questo 
packaging facilita il rifornimento degli scaffali del punto 
vendita. Un esempio di imballaggio multiplo è il cellophan 
(packaging secondario) che raggruppa le bottiglie d’acqua 
(packaging primario). Nel caso delle pile, invece, si acquista 
direttamente l’imballaggio secondario (la confezione che 
raggruppa le 4 pile) per usare il packaging primario (le pile).  
 
 c) Packaging terziario, o imballaggio terziario o confezionamento 
terziario.  
E’ anche detto packaging per il trasporto e serve per facilitare 
la manipolazione di grossi quantitativi di prodotti come 
sacchetti, involucri, shopping bag. 
Naturalmente questi tre differenti tipi di packaging non sono 
separati l’uno dall’altro, anzi è fondamentale per il 
confezionamento che ci sia armonia. Cioè il packaging primario 
dovrà essere collegato al secondario e anche al terziario tramite 
una stessa grafica o gli stessi colori, ogni livello del packaging 
primario si dovrà ritrovare, uguale o ampliato, nel packaging 
secondario e terziario. Tutto questo è necessario per  creare un 
senso di continuità e armonia che aiuti il consumatore a 
riconoscere e a scegliere il prodotto. 
       Il grande pubblicitario Ogilvy considera necessario, e 
particolarmente importante, creare una personalità intorno ad 
un prodotto e alla sua marca, soprattutto oggi che ne esistono 
numerosi simili fra loro. Tutto questo porta a scegliere alcuni 
prodotti e non altri affidandosi al caso e non più alla ragione. 
In questo modo l’etichetta, la confezione e il contenitore 
divengono, secondo il pensiero dei tre autori dell’interessante 
libro “Impresa invisibile”, “gli intermediari dell’incontro tra 
consumatore e prodotto che, oltre alle funzioni di imballaggio, 
trasporto ed esposizione, devono svolgere un ruolo “informativo-
evocativo”: il packaging deve richiamare i principali concetti che 
sono alla base del prodotto, inviando un messaggio sulle sue 
 peculiarità attraverso la forma, i colori e il segno” (E. Carmi, A. 
Ubertis, V. Pasca, 1993, pag. 47). 
       Lo scopo del packaging è rimasto, quindi, quello di 
proteggere il prodotto, ruolo funzionale, ma deve anche 
contribuire a creare un’immagine, una personalità di marca, 
cioè un ruolo visivo. 
       Per quanto riguarda la natura visiva, gli elementi che lo 
costituiscono sono: la forma (natura del prodotto, dimensione, 
praticità d’uso, maneggevolezza), la materia, il colore e la 
grafica, che da una parte spiega cosa contiene l’involucro e 
dall’altra racconta il prodotto rendendolo unico. 
       L’aspetto funzionale è costituito dalla protezione, la 
conservazione, il funzionamento di trasporto e quello d’uso. 
Ave Appiano
3
 considera il packaging come la veste del prodotto 
che deve avere caratteristiche di alta visibilità, ma soprattutto di 
coerenza con gli obbiettivi comunicativi. Esso deve però sempre 
rispondere a requisiti strettamente connessi alla qualità del 
prodotto stesso. 
E’ interessante notare come l’autrice consideri funzioni 
essenziali non soltanto le già citate funzioni pratiche, praticità e 
protezione, ed estetiche (identificazione, presentazione, 
sostituzione, differenziazione e seduzione), ma anche le funzioni 
etiche. 
Queste ultime comprendono l’informazione e la lealtà. Il 
packaging, infatti, ha il compito di informare con chiarezza sulle  
qualità e caratteristiche del prodotto: i componenti, l’uso, la 
                                                           
3
 cfr. A .Appiano, 1988 
 scadenza, il luogo di produzione, le modalità di conservazione 
ecc.. 
Per lealtà s’intende la trasparenza nell’informativa del prodotto, 
in sostanza la confezione è tenuta a contenere informazioni 
verbali e visive veritiere e coerenti nei confronti del prodotto, in 
altre parole non ingannevoli, testimoniandone la realtà e le 
caratteristiche verificabili. Non dovrebbe inoltre contenere 
informazioni eccessivamente prolisse o insufficienti o fuorvianti, 
ma, di fatto, sappiamo che non è così; spesso accade che 
s’ingrandiscono le dimensioni del packaging per valorizzare il 
contenuto, dando a credere che la quantità sia maggiore di 
quella reale. Infatti, per il principio della size impression, 
secondo cui “la taglia fa impressione”, se la confezione oltre ad 
essere appariscente è anche extra-large, voluminosa, si fa 
vendere maggiormente perché si espone con grinta e invadenza. 
Oltre al fatto di impressionare il consumatore immediatamente 
attratto dall’aspetto volumetrico del prodotto la cui scelta si 
concretizza inconsciamente in un affare. 
       Sono molti gli autori che, studiando il packaging, lo hanno 
paragonato a diversi oggetti. Riteniamo interessante esaminare 
le diverse metafore. Il packaging si paragona ad “un abito che 
copre e protegge la persona che lo indossa offrendone al tempo 
stesso un segno distintivo, così la confezione cela e preserva la 
merce, caratterizzandola”. Il pensiero appartiene a Giovanni 
Brunazzi il quale spiega che, come nel vestirsi si può decidere di 
privilegiare l’aspetto pratico, quello di protezione del corpo, 
piuttosto che quello esteriore, allo stesso modo, preferendo un 
 tipo d’involucro ad un altro si può decidere di limitarsi a 
garantire al prodotto una perfetta protezione senza preoccuparsi 
di personalizzarlo, o, al contrario, si può decidere di curare 
soltanto la personalizzazione. (G. Brunazzi, 1993, pag. 28) 
       Anche Giampaolo Fabris vede un’analogia tra il packaging e 
gli abiti, l’autore infatti nota come ormai si registri sempre più la 
tendenza, da parte dell’individuo a scegliere capi di 
abbigliamento sempre più in sintonia con la propria personalità 
e i propri stili di vita piuttosto che modelli belli e alla moda; la 
stessa tendenza si verifica anche per le confezioni per cui il 
packaging che più piace e attira è quello che meglio riesce a 
comunicare l’immagine del prodotto. 
       Ferraresi, invece, oltre ad averlo paragonato ad un Giano 
bifronte, lo compara ad un paio di occhiali: “Questi vengono 
scelti per il design e per l’aspetto estetico, oltreché per la 
protezione della vista o la sua correzione. Ma questo secondo 
aspetto diventa sempre meno importante perché dato come 
assunto e quindi scontato. Gli occhiali servono per vedere 
meglio ma vengono scelti prima di tutto per la loro forma e per il 
loro design”. Lo stesso accade per il packaging, per cui si 
sceglierà tra diversi packaging equivalenti da un punto di vista 
funzionale ma diversi per quanto riguarda l’aspetto estetico, più 
piacevoli o divertenti  (M. Ferraresi, 1999, pag. 18). 
       Brunazzi rileva anche il fatto che la confezione, a differenza 
delle forme pubblicitarie per loro natura effimere, è studiata per 
durare nel tempo ed è a lei che si deve attribuire il fallimento o il 
successo di un prodotto. A nostro avviso il packaging non può 
 essere considerato l’unico responsabile del successo o 
insuccesso del prodotto, gli elementi che incidono sono diversi, 
quali la qualità del prodotto, il prezzo, la campagna 
pubblicitaria cui è accompagnato, l’immagine di marca che si è 
costruito, la presenza o meno dei concorrenti sul mercato, la 
strategia di lancio che si è adoperata e il packaging con cui il 
prodotto è presentato e distribuito all’utente finale. 
       Gli annunci pubblicitari possono essere studiati anche in 
funzione di mode e tendenze passeggere, il packaging invece 
deve durare più a lungo e deve quindi essere progettato in un 
ottica diversa che Brunazzi sintetizza così: “pur trovandosi in 
perfetta armonia con gli orientamenti del momento, non deve 
risultare eccessivamente effimero, eccessivamente di moda o 
suscettibile di rapida obsolescenza” (G. Brunazzi, 1993, pag. 
30). 
       Altri
4
 considerano invece l’invecchiamento un problema 
rilevante per il packaging che viene, infatti, paragonato ad una 
bella donna che invecchia e che almeno ogni dieci anni deve 
“rifarsi il trucco”. Per restare vivo sul mercato, infatti, ha 
bisogno di un redesing della confezione che lo rinnovi e lo rilanci 
sul mercato pur mantenendo inalterato il prodotto che protegge 
e pubblicizza. 
                                                           
4
 Cfr. A. Appiano, 1988 (a), pag. 143. 
 RAPPORTO PACKAGING E AMBIENTE 
 
       Importante è il rapporto tra packaging e ambiente: il 
packaging è effimero, infatti, dopo che il prodotto è stato 
consumato finisce quasi sicuramente nella spazzatura. 
In Italia la produzione di rifiuti, nell’ultimo anno, è crescitua del 
3,1% (Rapporto rifiuti 2001). Ciò ci fa capire quanto sia 
necessario che il consumatore si abitui a considerare oltre alla 
piacevolezza della confezione, che se è originale si fa notare 
catturando l’attenzione, e il prezzo, che se accessibile seduce 
l’utente, anche quanto il prodotto ha danneggiato l’ambiente e 
quanto lo potrà danneggiare se rilasciato al suo interno.  
       Oggi finalmente ci si sta interessando sempre di più al 
problema ambientale, lo notiamo con l’aumento delle confezioni 
biodegradabili, o con l’invenzione delle ecoricariche. Il 
consumatore ha acquisito una maggiore sensibilità e attenzione  
all’impatto ambientale che hanno i prodotti che compra e svolge 
consumi più ragionati, capisce inoltre che l’imballo influisce sul 
prezzo finale del prodotto, ma è disposto a spendere di più 
purché i prodotti salvaguardino realmente l’ambiente. 
Nell’ultimo anno, infatti, è cresciuta anche la raccolta 
differenziata: 14,8% del totale con una crescita del 1,7% rispetto 
al 1999 (Rapporto rifiuti 2001). Grande importanza ebbe 
nell’ottobre del 1990 il lancio di una nuova gamma di detersivi: 
Atlas. Il prodotto a base di tensioattivi vegetali, verde anche nel 
packaging in quanto conteneva in media il 40% in meno di 
 plastica ed era supportato da uno scheletro di cartone che 
poteva essere recuperato
5
.  
       Questo interessamento della società al problema 
ambientale ha portato alla nascita di una nuovo tipo di ricerca: 
l’ecobilancio, che studia l’impatto ambientale di un imballo 
lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla sua nascita alla sua “morte” 
come rifiuto. Tutto questo evidenzia, a nostro avviso, come il 
packaging sia influenzato dalla società, dalle mode e dalle 
tendenze del momento. Inizialmente, infatti, esso era molto più 
colorato, voluminoso e doveva attirare un consumatore che si 
faceva “ingannare” più facilmente dai disegni, dalle dimensioni, 
dai colori. Poi, nel momento di esaltazione del corpo e 
dell’apparire, si è passati ad un packaging che doveva informare 
sul suo contenuto e soprattutto, per i generi alimentari, doveva 
riportare quante calorie e quanti grassi conteneva, un packaging 
che sulle confezioni aveva solo immagini di belle donne e corpi 
scolpiti. In seguito, con l’accorgersi dei grandi problemi 
ambientali, ci si è resi conto che erano inutili enormi confezioni 
di materiali non riciclabili e sono nate le confezioni di cartone, 
più piccole, packaging biodegradabili o riutilizzabili come i 
bicchieri o le tazze della Nutella (fig. 1), o fatte di materiale 
riciclabile come ad esempio la carta per quaderni e quadernoni. 
Oggi, con la grande paura di cosa si mangia, le confezioni che 
attirano e vengono comprate di più sono quelle che spiegano 
chiaramente tutti gli ingredienti che contengono. Notiamo un 
ritorno alla natura, alle cose della terra, alle cose sane e così, 
                                                           
5
Cfr.  N. Gavioli, 1991,  pag. 95 
 anche al di fuori dei generi alimentari, vincono packaging  che 
raffigurano ambienti salutari, che riportano i colori naturali, che 
suggeriscono sensazioni new-age. 
       Il vetro, materiale di cui è costituito il packaging della 
Vodka Absolut, è un composto che presenta tre vantaggi 
fondamentali per quanto riguarda l’ambiente. “Esso non è 
inquinante in quanto chimicamente inerte; è riutilizzabile 
tramite riempimento; è riciclabile”. (Legambiente, 1990, pag. 16) 
Il vetro costituisce l’ 8% dei rifiuti solidi urbani
6
, per liquidi ed 
alimenti resta il contenitore più igienico, più facilmente 
recuperabile e in complesso più economico, viene infatti 
utilizzato comunemente per produrre bottiglie, vasi, flaconi per 
contenere sostanze alimentari, medicinali, bevande. Recuperare 
il vetro è molto importante in quanto per crearne di nuovo è 
necessaria l’apertura ed un intenso sfruttamento di cave di 
sabbia silicea oltre ad un consumo energetico notevole: 500 Kg 
di petrolio per un 1 Kg di vetro. Invece, il vetro raccolto viene 
fuso e riutilizzato per produrre altro vetro, in questo modo si 
risparmiano materie prime ed energie. La soluzione migliore, in 
realtà, sarebbe il riutilizzo del vetro attraverso il sistema del 
vuoto a rendere; una bottiglia in vetro, con una vita di 20 
riempimenti, viene a costare meno di 40 lire, contro le 230 di 
una in PET, polietilene tereftalato (Legambiente, 1990, pag. 17). 
Sappiamo che in molti paesi è obbligatoria una cauzione per il 
vuoto. 
                                                           
6
 I rifuti nel XXI secolo, 1999, pag. 121