La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
INTRODUZIONE 
Quello di Orfeo è un mito che non ha mai smesso di incantare. Nato nel 
mondo greco, culla di eroi, mitici cantori, tragici epiloghi, ha saputo 
rivalutarsi nel corso dei secoli. 
Mai come oggi la figura di Orfeo può dirsi attuale: è l‟archetipo del 
mitico cantore, del Poeta, che con il suo canto smuove le pietre e le 
coscienze; il simbolo della magia del canto e delle parole; l‟amante 
disperato che per uno sguardo perde la sua amata. 
In un viaggio attraverso i secoli seguiremo le trasformazioni che la 
figura di Orfeo ha subito, concentrandoci in particolare sulla fabula 
amorosa, quella che gli vede accanto, come “co-protagonista”, Euridice. Il 
nostro sguardo sarà rivolto a due opere che hanno rielaborato il mito in 
chiave moderna: Poema a fumetti di Dino Buzzati e Orfeo a fumetti di 
Filippo Del Corno. 
Nel mondo greco, Orfeo era un eroe dalle molteplici caratteristiche: 
figlio di Eagro, o forse di Apollo, nei frammenti pindarici; accanto agli 
Argonauti in Euripide e in Diodoro Siculo; teologo in Aristofane; inventore 
e civilizzatore in Timoteo e Alcidamante; in cammino verso la discesa 
nell‟Ade già nell‟Alcesti di Euripide e poi in Platone e in Isocrate; testa 
cantante una volta sbranato dalle Menadi secondo Conone. 
Nella tradizione greca i mitemi concernenti il nostro eroe, otto in tutto, 
s‟intrecciano tra loro: nessuno pare prevalere, eppure col passare dei 
secoli sarà proprio il mitema amoroso che avrà maggiore fortuna. 
Questo filone sarà poi anche quello più controverso: non tutti gli autori 
sono d‟accordo sul finale dell‟impresa orfica. Alcune ricerche portano alla 
luce nuove versioni che vedrebbero un Orfeo trionfante; tuttavia il finale 
tragico rimane comunque quello più attestato a partire dal V secolo a.C. 
Fondamentale sarà un rilievo del 410 a.C. di Alcamene che raffigura il 
momento esatto della perdita di Euridice, accompagnata da Hermes: la 
scena influenzò già gli Ellenici, soprattutto Platone e la sua versione del 
Simposio, ma sarà soprattutto nelle epoche successive che eserciterà il 
suo fascino. 
5 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
Nel mondo latino, Orfeo ri-nasce esclusivamente in veste di amante. 
Questa mediazione è opera di due autori, Virgilio e Ovidio: è grazie a loro 
che il mito ci è tramandato, ed è dalle loro versioni che prenderanno 
spunto tutte quelle successive. 
Alla base delle versioni latine, sottolinea Segal, c‟è un triangolo 
composto da tre elementi, che sono scambiabili tra loro: l‟amore, la morte 
e l‟arte. A seconda di quali tra questi vi stanno alla base, può cambiare il 
senso del mito: nelle trascrizioni latine non è esclusivamente l‟amore che 
sarà esaltato, ma il potere del linguaggio e della persuasione del canto, 
1
che insieme all‟amore, appunto, riusciranno a prevalere sulla morte. 
Tuttavia l‟esito non può essere positivo: l‟Orfeo virgiliano perderà 
comunque la sua amata, per una piccola “svista”. Virgilio introduce il 
motivo del respexit, sconosciuto alle fonti greche: Orfeo sarà preso da un 
furor inspiegabile e si volterà a guardare la sua Euridice, perdendola per 
sempre. Il magico cantore sveste i panni di eroe civilizzatore e 
sciamanico, incarnandosi in una dimensione completamente umana: egli è 
2
folle, immemor per amore. 
Questa nuova dimensione sarà ripresa da Ovidio, che si divertirà in una 
sorta di parodia della fabula virgiliana: con l‟uso sapiente di iperboli e con 
una buona dose di ironia, l‟Orfeo ovidiano è guidato esclusivamente dal 
suo amore per Euridice. Qui egli si volta perché innamorato, perché 
3
avidus, perché metuens. 
Il gesto del voltarsi verrà cristallizzato nella tradizione e si cercherà 
attraverso studi sociologici e antropologici di scoprire il motivo di 
quell‟oblio, ma nessuno sembra essere soddisfacente: forse Orfeo si girò 
perché doveva andare così, perché la sua storia non poteva essere che 
questa. 
Già a partire dal Medioevo, diversi autori vollero fare proprio il mito di 
Orfeo, intrecciandolo spesso con altri miti. Si ricordi in particolare il 
1
 Cfr. C. Segal, Il mito del poeta, Einaudi, Torino, 1995, pp. 13-14. 
2
 Virgilio, Georg., IV, 485-491: “Ormai tornando sui suoi passi aveva vinto ogni pericolo; a lui riconsegnata, 
Euridice avanzava verso l‟alto, verso l‟aria, seguendolo alle spalle (era la norma imposta da Proserpina), 
quando una follia improvvisa prese l‟incauto amante; certo da perdonare: se sapessero i Mani perdonare. Si 
fermò, e dimentico del patto, vinto dalla passione, già alla luce, oh…si voltò verso la sua Euridice.” 
3
 Ovidio, Met, 56-57: “Per paura di perderla, ansioso di vederla, egli pieno d‟amore volse i suoi occhi: e lei 
subito venne risucchiata all‟indietro.” 
6 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
poemetto anonimo Sir Orfeo, in cui la fabula latina s‟incontra con elementi 
fiabeschi di provenienza celtica. 
In epoca cristiana poi, con Boezio e Caldéron de la Barca, Orfeo 
assumerà connotati di guida spirituale e di pastore, e verrà appunto 
associato alla figura di Cristo. 
Nel Rinascimento Orfeo ritrova i suoi propri panni con la Fabula di 
Orfeo di Poliziano e l‟opera lirica monteverdiana. 
Dopo la parentesi settecentesca, in cui andrà in scena la versione di 
Gluck, Orfeo avrà grande fortuna nell‟Ottocento, quale figura archetipica 
del genio artistico: in questo secolo si distinguono la versione in musica di 
Hoffenbach e i contributi pittorici di Rodin, Delacroix e Ingres. 
Il Novecento si apre con la poesia Orfeo, Euridice, Hermes del 1904 di 
Rilke, una delle più significative del secolo appena passato; sempre in 
campo letterario bizzarre trasformazioni del mito sono firmate Bufalino, 
Pavese e Calvino. I teatri vedranno in scena le opere di Stravinskij e di 
Milhaud, e gli schermi cinematografici proietteranno l‟Orfeo di Cocteau e 
quello di Camus. 
In questo clima di rinascita del mito orfico, rivisto e modernizzato, si 
colloca la versione di Dino Buzzati: Poema a fumetti è del 1969, e Orfeo, 
cambiato il nome in Orfi, è un cantante rock che una sera vede scomparire 
in una Milano misteriosa la sua Eura. Facendosi strada in un “Inferno” 
metafisico, popolato da ombre, Giacconi e vallette infernali, ritroverà con 
la magia del suo canto la sua amata, per perderla un‟altra volta sul finale. 
Disegni e parole accompagnano il lettore nel suo viaggio, avvicinandosi 
alla tecnica fumettistica, scelta che comportò non poche critiche al 
momento della pubblicazione. Lo stesso Montanelli, amico di Buzzati, non 
comprese pienamente il testo, e il “Corriere della Sera” pubblicò 
stroncature di vari autori come Garboli. 
D‟altro canto Buzzati, che da tempo si preparava a un lavoro che 
4
coniugasse la sua passione per la pittura e per la scrittura, sapeva bene 
a cosa andava incontro: 
4
 “Il fatto è questo: io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale per hobby, durante un 
periodo purtroppo prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia 
viceversa e le mie pitture non le può prendere sul serio.” (D. Buzzati, “Un equivoco”, in B. Alfieri, Dino 
Buzzati pittore, Alfieri, Milano, 1967, p. 7). 
7 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
Sapevo in partenza che Poema a fumetti, libro fatto più di disegni che 
di parole, rischiava di avere […] strane accoglienze. […] Confesso 
5
che mi aspettavo reazioni di scandalo, di disapprovazione. 
Credettero in lui sua moglie Almerina e Arnoldo Mondadori che, già 
editore di Topolino, pubblicò il fumetto con la stessa tecnica e con gli 
stessi accorgimenti grafici, suggerendo però di cambiare il vecchio titolo 
La cara morte. 
Poema a fumetti nasce dal bisogno di rispondere a una società 
moderna in continuo cambiamento: Buzzati nobilita il genere fumettistico, 
sperimentando una nuova forma letteraria e di comunicazione insieme; in 
più questo genere, che conosceva il suo boom proprio negli anni 
Sessanta, gli permetteva di esprimersi attraverso i due registri artistici che 
gli erano più consoni: la pittura e la poesia. 
Con l‟Orfeo Buzzati chiude un cammino che era iniziato con Il Deserto 
dei Tartari e portato poi avanti in Un Amore: Poema a fumetti è la “summa 
6
del suo mondo poetico”, il laboratorio dei temi a lui più cari. 
Attraverso omaggi alla cultura artistica, cinematografica, fotografica e 
popolare del tempo (Magritte, De Chirico, Picabia, la pop art, Murnau e 
Fellini, Irwing Klaw, riviste maschili come Playman), Buzzati sposta 
l‟attenzione dalla storia infelice di Orfeo, a quella, altrettanto infelice, dei 
morti: il fumetto porta con sé una morale etica che ha come protagonisti i 
morti stessi. La catabasi è una scusa per svelare una verità molto più 
profonda: Poema a fumetti è in realtà un invito a rivalutare l‟importanza 
della morte, perduta per sempre da chi è già nell‟oltretomba, e quindi un 
inno alla vita: 
Dico: ma qui che cosa vi manca? 
Quasi niente. Da qualche tempo hanno messo perfino la tv a colori. 
7
Però manca il più importante: la libertà di morire. 
5
 D. Buzzati, L’autore giudica i suoi critici, “Corriere della Sera”, 8 febbraio 1970. 
6
 M. Ferrari, I segreti svelati, in AA.VV., Buzzati 1969: il laboratorio di Poema a fumetti, Mazzotta, Milano 
2002, p. 116. 
7
 D. Buzzati, Poema a fumetti, Mondadori, Milano, 2007, p. 96. 
8 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
Accanto alla morale tragica del mito di Orfeo, se ne aggiunge quindi 
un‟altra. 
La prima parte dell‟analisi verterà proprio su questo punto: è ancora 
possibile al giorno d‟oggi godere della tragedia, così come voleva il 
meccanismo della catarsi di Aristotele? E ancora: al giorno d‟oggi è 
possibile parlare di “tragedia”? Il nostro fumetto può infine considerarsi 
tragico? 
Partendo da una lunga premessa che offre una panoramica completa 
del pensiero di alcuni dei più autorevoli filosofi, applicheremo queste 
riflessioni al nostro fumetto, d‟accordo con George Steiner su quella che è 
un‟inevitabile morte della tragedia nell‟età contemporanea. Incontreremo, 
strada facendo, nuove problematiche ricollegabili al campo di studio che 
riconduce all‟estetica, quali le categorie del bello e del brutto, del 
disgustoso e dell‟erotico. 
Arte imitativa per Platone, fonte di insegnamento per Aristotele, insieme 
di epos e lirica secondo Hegel, rassegnazione per Schopenhauer, 
apollineo più dionisiaco per Nietzsche: così è visto lo spirito tragico dai 
filosofi. 
Sarà utile, ai fini della nostra ricerca, ripercorrere quel cammino che era 
stato intrapreso da Du Bos e da Burke, che nelle loro opere dimostreranno 
come sia possibile essere appagati nel processo di fruizione di una 
rappresentazione che, superando un certo limite, sconfina nel territorio del 
brutto. Queste riflessioni porteranno alla nascita di un nuovo concetto che 
Burke chiama delight: si tratta di un sentimento misto, che tra la nascita di 
8
finte passioni enucleata da Du Bos e il meccanismo di auto-
preservazione burkiano, permette una fruizione felice anche degli 
spettacoli più violenti, quali una tragedia o un combattimento tra gladiatori, 
9
avvicinandosi al sentimento del sublime. 
Il concetto di sublime si legherà a quello di terrore e orrore, passioni 
capaci di scuotere l‟animo e insieme di elevarlo: Mendelssohn, Schlegel e 
8
 “L‟arte non potrebbe trovare la maniera di separare le brutte conseguenze di molte passioni da ciò che 
esse hanno di piacevole? L‟arte non potrebbe creare, per così dire, esseri di una nuova natura? Non 
potrebbe produrre oggetti che suscitino in noi passioni artificiali capaci di tenerci occupati nel momento in cui 
le sentiamo e incapaci di causare in seguito pene reali e autentiche afflizioni?” (J.B. Du Bos, Riflessioni 
critiche sulla poesia e sulla pittura, Aesthetica, Palermo, 2005, p. 37). 
9
 “Tutto ciò che suscita tale diletto lo chiamo sublime”(E. Burke, Inchiesta sul bello e sul sublime, Aesthetica, 
Palermo, 1985, p. 81). 
9 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
Kant s‟inseriranno nel dibattito settecentesco, che continuerà nel secolo 
successivo con le riflessioni di Rosenkranz, Schopenhauer e Nietzsche. 
Bello e sublime, bello e brutto saranno i binomi che ci faranno da guida 
nella nostra analisi del tragico, come forma artistica da cui si può ricavare 
godimento, proprio in virtù di quei meccanismi di fruizione enunciati dai 
filosofi sopra elencati. 
Si tratterà poi di applicare questi concetti al fumetto e di ritrovare al suo 
interno queste categorie estetiche, per dimostrare come, a seconda della 
modalità con cui è trattata la materia mitica di partenza, si possa arrivare a 
risultati molto differenti: con la contemporaneità, il mito di Orfeo si svuota 
in tragicità, sebbene molte tavole di Buzzati, prese isolatamente, portino 
sulla pagina elementi angosciosi e “non belli” (basti pensare all‟uso 
ossessivo delle bocche e dei volti, ai luoghi metafisici dalle atmosfere 
inquietanti, alle contorsioni violente cui sono sottoposti i corpi). Entrano in 
gioco nuove categorie estetiche: il grottesco, il disgustoso, l‟erotico e il 
pornografico, che vestono lo scheletro tragico del mito di una nuova 
coloritura. 
È a questo punto che ci verrà in aiuto il saggio di Steiner sulla morte 
10
della tragedia: dopo aver analizzato Poema a fumetti con gli strumenti 
del tragico, sarà il momento di fare luce sui suoi aspetti più 
melodrammatici. Il melodramma, inteso come categoria estetica del 
melodrammatico, è, infatti, il genere che, secondo Steiner, è venuto a 
sostituirsi alla tragedia, con le sue esagerazioni e la sua artificiosità, 
specchio della nuova società che ha perso tutta quella consapevolezza 
11
mitica che caratterizzava il mondo greco. A questo punto l‟eccesso sarà 
il nuovo filo conduttore della nostra analisi: saranno evidenziati gli aspetti 
fumettistici che più si avvicinano al concetto di esagerazione, 
abbracciando anche nuovi campi, come, per esempio, quello del kitsch. 
A questa prima parte, che non si potrà mai dire veramente conclusa, si 
riallaccia la seconda: questa si concentrerà sulla modalità artistica scelta 
da Buzzati, cioè quella del fumetto. 
10
 “Dall‟antichità fino all‟età di Shakespeare e di Racine queste opere sembravano realizzabili. Dopo di allora, 
nel dramma, la voce tragica tace o giunge indistinta”. (G. Steiner, La morte della tragedia, Garzanti, Milano, 
2005, p. 13). 
11
 Cfr. G. Scaramuzza, Il melodrammatico come categoria estetica in M. Mazzocut-Mis, Estetica della 
fruzione, Lupetti, Milano, 2008, pp. 217-218. 
10 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
Ci si avvale in questa parte di studi precedenti che mettono in luce tutte 
le discordanze interne all‟opera, che difficilmente può essere catalogata 
come un vero e proprio fumetto. Ciò che ci si propone è di studiare il 
fumetto nelle sue componenti precipue, ovvero immagine e parola. 
Si ricorderà brevemente la lunga querelle sull‟ut pictura poesis che 
aveva animato il Settecento, a partire dal Laocoonte di Lessing, e poi i 
secoli successivi con gli scritti di Kant, Schopenhauer e Hegel. Tra 
l‟ermeneutica, la linguistica e la fenomenologia, il fumetto sarà analizzato 
12
come “forma di comunicazione visivo-verbale”, per dirla con Dorfles, 
momento di incontro tra parola e pittura, in un equilibrio che, se non 
rispetta le regole grafiche fumettistiche, sottostà a quelle estetiche: il non-
fumetto, così vuole la critica, si caratterizza per la fusione delle due arti e 
si trasforma in un‟opera d‟arte sinestetica à la Dufrenne: la sinestesia sarà 
al centro della nostra riflessione, l‟occhio e l‟orecchio ci faranno da guida 
nell‟analisi del tessuto letterario-pittorico. 
Collegandosi al discorso sinestetico farà la sua entrata un nuovo 
registro artistico: la musica. Si è scelto, a questo punto, di prendere in 
considerazione anche quella che si può considerare la versione in musica 
del Poema buzzatiano, e cioè l‟opera lirica Orfeo a fumetti, composta da 
Filippo Del Corno per una rassegna di teatro musicale nel 2001. 
Come vuole Dufrenne, è il musicista a voler vestire di note un‟opera 
letteraria: Del Corno adatterà il fumetto, ispirato dalla sua passione per 
Buzzati, per i fumetti e per Orfeo stesso. Un‟opera innovativa, che si serve 
di un software molto particolare, capace di ridare sulla scena l‟effetto che 
si ha sfogliando le pagine del fumetto: orchestra e cantanti lirici 
seminascosti, le immagini e le parole di Buzzati proiettate sugli schermi, 
cui danno voce gli artisti, e una sola figura sul palco, Omar Pedrini, l‟Orfeo 
rockstar dei giorni nostri. 
Seguirà un‟analisi dell‟opera rifacendo lo stesso percorso che era stato 
fatto per il Poema: in particolare ci si domanderà come 
l‟accompagnamento musicale si fondi con gli altri due registri artistici, 
12
 G. Dorfles, Il fumetto tra disegno e racconto, in AA.VV, Poema a fumetti di Dino Buzzati nella cultura degli 
anni ’60 tra fumetto, fotografia e arti visive, Atti del convegno internazionale Feltre e Belluno 12-14 settembre 
2002, Mondadori, Milano, 2005, p. 4. 
11 
La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
avvicinandosi a quella che Dufrenne chiama “un‟opera transartistica”, o a 
quella che Wagner chiama “opera d‟arte totale”; e poi se 
l‟accompagnamento della musica aggiunga un quid particolare all‟opera di 
partenza, un quid forse tragico, che solo la musica è ancora capace di 
risvegliare. 
La musica, infatti, considerata da sempre un‟arte isolata rispetto alle 
altre arti, sarà la vera protagonista di quest‟ultima parte: con le parole di 
Kant e Hegel, Nietzsche e Schopenhauer, si vorrà dimostrare una certa 
superiorità della musica, una superiorità per così dire ontologica, dovuta 
alla sua natura stessa, che permette di godere anche del tragico, perché 
tocca le corde più profonde dell‟anima umana, risvegliando antiche 
sensazioni e antiche passioni, nate nel momento di quel c’è preliminare 
merleau-pontiano. 
Infine, in Appendice l‟intervista a Filippo Del Corno, che concluderà il 
nostro “viaggio orfico”. 
12 
Federica Albertin, La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
CAPITOLO I 
IL MITO DI ORFEO 
13
1.1 Who’s then Orpheus? 
Quello che rimane ai giorni nostri del vasto mito di Orfeo è tutto 
essenzialmente riassunto nella fabula amorosa tramandataci 
principalmente dagli autori latini: Orfeo è indissociabile dalla sua amata, il 
suo cuore batte piuttosto per lei che non per la poesia e la musica. 
Tuttavia c‟è stato un tempo in cui Euridice non aveva un nome, neppure 
esisteva, un tempo in cui i Greci ravvisavano nell‟eroe tracio non solo il 
poeta dall‟amore così potente da fargli affrontare persino l‟Ade: Orfeo era 
innanzitutto la Poesia, con la P maiuscola, Orfeo era la sua lira. 
Nell‟antichità, Orfeo ha sempre avuto una posizione ambivalente: era 
un personaggio che rientrava con forza tra gli eroi ammirati e apprezzati 
dagli Ellenici, ma nello stesso tempo non conosceva una vera e propria 
collocazione, proprio per la particolarità delle sue gesta. Era sì, tra gli eroi 
civilizzatori, come Prometeo. Era anche tra gli eroi che avevano tentato 
una discesa nel mondo infernale, come Ercole. Era persino, con Omero 
ed Esiodo, un cantore e inventore di miti e storie. Lo ritroviamo, magico 
poeta, tra gli Argonautici. E infine la sua testa cantante rispunta a Lesbo, 
proferendo vaticini. 
Certo è che Orfeo è sempre stato guardato con una certa stranezza: 
qualcosa di lui lo allontana da tutte le altre figure del mito. Infatti, i miti 
greci sono per lo più tutti incentrati su figure eroiche, di cui vengono 
esaltate le virtù marziali: il coraggio, l‟uccisione, il sangue. E la cosa non 
sorprende dal momento che la società greca stessa era basata sulla figura 
14
dell‟uomo-guerriero. Quello che sorprende è come la figura di Orfeo 
abbia potuto adattarsi così bene a questo tessuto mitico e sociale, poiché 
è chiaro come egli appartenga a tutt‟un altro mondo: in un contesto, in cui 
13
 F. Graf, Orpheus: a poet among men, in J. Bremmer, Interpretations of Greek mythology, Croom Helm, 
London, 1987, p. 99. 
14
 Cfr. J. Warden, Orpheus: the metamorphoses of a myth, University of Toronto Press, Toronto, 1982, pp. 
18-21. 
13 
Federica Albertin, La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
la morte, l‟omicidio e via dicendo, vengono eletti maggior valori, Orfeo si 
trova in una posizione di chi ridà la vita piuttosto che toglierla, prima 
attirando a sé animali e alberi, poi con il tentativo di riportare alla luce la 
sua amata. 
Nonostante questo “paradosso”, la figura di Orfeo è nata e rinata 
attraverso i secoli antichi, arricchendosi di nuovi tratti e specificità, tanto 
che si è costretti, prima di avanzare ulteriormente, a fare chiarezza su 
questo personaggio: chi è veramente? Di quale Orfeo stiamo parlando? 
John Block Friedmanha esaustivamente distinto otto mitemi che 
caratterizzano il nostro cantore, mitemi che, nel loro intreccio, ci danno il 
ritratto completo di quello che doveva essere Orfeo agli occhi dei Greci. 
Schematicamente, i principali tratti sono i seguenti: 
1- Orfeo di Tracia, il pastore nato da Eagro o forse dal dio Apollo. 
2- Orfeo nelle Argonautiche, come accompagnatore, che con la sua 
lira e il suo canto allietava il tragitto in nave. 
3- Orfeo il cantore bucolico, che attirava a sé ogni cosa animata e 
inanimata. 
4- Orfeo il sacerdote di Dioniso e successivamente di Apollo, iniziatore 
di riti misterici e inventore di una propria cosmo-teogonia. 
5- Orfeo il Poeta Civilizzatore, inventore dell‟alfabeto e di diversi metri 
poetici. 
6- Orfeo ucciso, dilaniato dalle donne di Tracia o dalle Baccaridi. 
7- Orfeo, la cui testa cantante diventa oggetto di culto nell‟isola di 
Lesbo. 
8- Orfeo, l‟amato di Euridice, che con la sua cetra piegherà il volere 
delle divinità infernali. 
C‟è da chiedersi se dietro a tutto questo ci sia un personaggio storico, 
realmente esistito, ma numerosi dibattiti si sono già rivelati vani: che Orfeo 
sia esistito o no, non è dato sapere. Si accoda a quelle altre figure greche, 
primo fra tutti Omero, la cui famosa “questione” resta e resterà 
probabilmente irrisolta. 
14 
Federica Albertin, La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
Tuttavia, basandoci sulle fonti, possiamo fare chiarezza su alcuni punti, 
a partire dalla genealogia. 
La figura di Orfeo si situa in un luogo ben preciso, ovvero in Tracia. 
Vedremo che questo non è un caso. Non ci sono dubbi nemmeno sulla 
maternità: è Calliope, la Musa “dalla bella voce”, la madre del nostro 
citaredo. La tradizione si sfilaccia invece sulla paternità: Orfeo, infatti, è sia 
figlio del re tracio Eagro sia del dio Apollo. Pindaro, nella sua IV Pitica, si 
dimostra incerto, prima dichiarando la sua discendenza da Apollo e poi 
invece nominando Eagro. 
Da Apollo giunse poi il sonatore di lira, padre 
15
Dei canti, Orfeo molto lodato. 
Figlio di Eagro… 
16
Orfeo dall‟aurea lira. 
Nessun dubbio invece per Asclepiade di Tragilo, che nelle sue 
17
, si dimostra certo della discendenza di Orfeo da Apollo. 
Tuttavia, la tradizione si ritrova bene o male concorde nel far 
discendere Orfeo da Eagro. La presenza di Apollo non è per questo 
sminuita: egli è colui che, figlio delle Muse, gli ha fatto dono della sua lira, 
ispirandogli la poesia. È il suo padre spirituale, e ciò spiegherebbe le tante 
discordanze in seno alla tradizione. 
Per quanto riguarda la collocazione temporale, Orfeo visse ancora 
18
prima della guerra di Troia, contemporaneo di Eracle. Questo fatto, 
insieme alla scelta geografica della Tracia, non è casuale, come anticipato 
prima. Infatti, da una parte la data della guerra di Troia fungeva 
nell‟antichità come una sorta di spartiacque: prima c‟era un passato mitico, 
un po‟ una seconda età dell‟oro; soltanto dopo prende posto la realtà 
odierna e la civilizzazione. Dall‟altra parte, la terra tracia era considerata di 
per sé una terra particolarmente legata alle Muse, da cui era nata 
un‟ampia discendenza di cantori mitici, tra i quali i Tamiri. Tutto sommato, 
15
 Pind., Pyth., IV, 176-177. 
16
 Pind., fr 139, 11-12. 
17
 Cfr. I.M. Linforth, The arts of Orpheus, Arno Press, New York, p. 22. 
18
 Cfr. Warden, op. cit., p. VIII. 
15 
Federica Albertin, La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
la scelta di collocare Orfeo in una sorta di preistoria e in un paese 
straniero (strano che un personaggio similare non sia greco, ma appunto 
tracio), avvalorano la tesi che il citaredo fosse avvertito come estraneo al 
sistema, anche se molto vicino al sentimento della popolazione. 
Una delle prime comparse di Orfeo è tra gli Argonauti. Si tratta di una 
metopa conservata nel museo di Delfi, risalente alla metà del VI secolo a. 
C., in cui, accanto al rilievo della nave Argo, compare un particolare 
19
musico che porta la scritta . 
La prima citazione letteraria, sempre della metà del VI secolo, è del 
poeta Ibico: una breve menzione in un frammento lirico è riferita proprio al 
“famoso Orfeo”,  . Certo, non sappiamo in che termini 
fosse questa menzione, ma se non altro possiamo affermare con certezza 
che Orfeo fosse già conosciuto nel VI secolo, presumibilmente come 
Argonauta, e che ciò è testimoniato sia nel campo artistico sia nel registro 
lirico. 
Alla fine del V secolo, Orfeo appare come membro della spedizione in 
Euripide, nell‟Ipsipile: Orfeo, che canta con l‟accompagnamento della sua 
lira, ha assunto il comando dei rematori: 
…Presso l‟albero di mezzo, dicevano 
la cetra di Orfeo, asiatica di Tracia, 
gridava il suo lamento, cantando 
i suoi comandi ai vogatori con i lunghi remi, 
ordinando ora una rotta veloce, 
20
ora un riposo ai remi d‟abete. 
Nel 462 a. C., è sempre Pindaro che ci descrive il viaggio di Argo, 
annoverando tra gli eroi partecipanti anche Orfeo, insieme a Castore e 
Polluce. 
Tra il IV e il III secolo, sono importanti da citare due fonti: Apollonio 
Rodio e Diodoro Siculo. 
Apollonio Rodio è il primo che descrive il vero compito di Orfeo nella 
spedizione: egli è un cantore miracoloso e ha il compito di distogliere 
19
 Cfr. I.M. Linforth, op. cit., pp. 1-2. 
20
 Euripide, Ipsipile, fr 1, 3, 8-14 
16 
Federica Albertin, La tragedia a fumetti nelle note dell‟Orfeo di Buzzati 
l‟udito dei rematori dal pericoloso canto delle Sirene, di omerica memoria. 
Egli, infatti, salva i suoi compagni che remano al ritmo della sua musica, 
coprendo con il suo canto le voci delle Sirene: 
E anche Orfeo, 
levando con la sinistra la cetra, tentava il canto, 
e cantava come la terra e il cielo e il mare, 
da principio uniti insieme tra loro in una sola forma, 
furono separati l‟uno dall‟altro […] 
e come nell‟etere abbiano sempre un saldo confine 
gli astri e la luna e i sentieri del sole; 
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e come si sollevarono i monti, e come nacquero i fiumi. 
Diodorio Siculo, nel tratteggiare una sorta di breve biografia orfica, cita 
con poche parole l‟evento della spedizione: 
Partecipò anche alla spedizione degli Argonauti, per amore verso la 
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moglie ebbe l‟incredibile coraggio di scendere nell‟Ade […]. 
Nei vari miti di Orfeo, la musica e la magia della sua musica occupano un 
posto centrale. Orfeo è prima di tutto un citaredo, cioè un cantore con la 
lira. L‟elemento musicale è quello su cui il personaggio è costruito: senza 
la sua musica probabilmente Orfeo non sarebbe nessuno. Ogni sua 
comparsa tocca in qualche modo l‟ambito musicale. 
In particolare la prova che questo tratto fosse fondamentale al mito, ci 
perviene dalla tradizione da Eschilo ed Euripide. Per quanto riguarda il 
primo, troviamo un brano nell‟Agamennone, nel momento in cui Egisto 
dialoga con il coro: 
La tua lingua è contraria a quella di Orfeo: 
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con la sua voce infatti egli condusse ogni cosa nella gioia. 
21
 Ap. Rhod., Arg., I, 494-511. 
22
 Diod. Sic., 4, 25, 1-4. 
23
 Aesch., Agam., 1629-1630. 
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