Introduzione 
2 
finale del 1999 e la prima metà del 2001. Nello specifico, ci si può 
soffermare su quanto avvenuto in Italia, ove, nell’arco temporale sopra-
citato, si è assistito al rigonfiamento di un’enorme bolla speculativa che ha 
portato gli indici di Borsa ad infrangere, giorno dopo giorno, qualsiasi 
record positivo di crescita, scambi, euforia, capitalizzazioni, fino a toccare il 
massimo storico nella seduta del 7 marzo 2000. Proseguire, quindi, in 
un’altalena di movimenti vibrante e dinamica per poi, sul finire dell’anno 
duemila, precipitare pesantemente in una spirale di fallimenti e disillusioni 
che appariva senza freno. 
 
 
GRAFICI D’ANDAMENTO DEGLI INDICI DI BORSA AMERICANI 
 
 
 
In secondo luogo, e contestualmente, si verificavano eventi 
un po’ meno eclatanti, ma allo stesso modo impressionanti per continuità e 
risorse impiegate. Faccio qui riferimento al mercato delle M&A che, dal 
1997, ha registrato una notevole espansione per numero di operazioni e per 
volume d’affari. Anche in questa circostanza è opportuno far parlare i 
numeri: limitatamente alla realtà italiana, è stato sottoscritto, negli ultimi 
-Dow Jones- 
-Nasdaq- 
Introduzione 
3 
anni, un numero vicino alle novecento operazioni annue di media, con il 
picco registrato nel 2000, anno record in cui si sono avute ben 1145 
operazioni di M&A per un controvalore pari a oltre 153 mila milioni di euro. 
Nessun settore dell’economia ne viene escluso: banche e servizi finanziari, 
telecomunicazioni, prodotti petroliferi, informatica, chimica, attività 
commerciali. 
 
 
GRAFICI D’ANDAMENTO DEGLI INDICI DI BORSA ITALIANO E TEDESCO 
 
 
 
L’intero panorama ivi descritto viene oltremodo offuscato dal 
passaggio di un’incredibile e luminosa meteora rappresentata dalla New 
Economy. 
L’economia si riteneva sarebbe definitivamente mutata, ogni 
regola divelta, la logica stessa ribaltata dall’aprirsi di nuovi e 
inimmaginabili orizzonti di ricchezza. Questa era la forza mistica e trainante 
della Nuova Economia: una schiacciante euforia capace di coinvolgere il 
mondo intero con le sue incredibili soluzioni tecnologiche e futuristiche. 
Un’euforia tradotta sui mercati in episodi forse mai più ripetibili: titoli che 
-Mibtel- -Dax- 
Introduzione 
4 
in poche ore dal collocamento doppiano il proprio valore di lancio, assoluta 
fiducia degli investitori in qualsivoglia operazione che porti il marchio di 
Internet, il tutto ribollente nella enorme bolla speculativa registrata dai 
mercati. 
 
E dopo la tempesta, come sempre … la calma. Una calma 
drammatica, caratterizzata da un gran numero di promettenti e giovani 
imprese disperse nel nulla, così come i capitali di migliaia di investitori che 
speravano invero di cavalcare il giusto cavallo vincente. 
Il mondo degli analisti finanziari, dei valutatori, dell’intera 
categoria che ruota attorno alla consulenza e alla promozione finanziaria è 
stato travolto dall’onda speculativa, con l’accusa di aver proiettato immagini 
di realtà false ed ingannevoli. 
 
Ecco, pertanto, nascere in me la volontà di studiare ed 
approfondire l’universo della valutazione, le modalità d’approccio ad 
un’impresa, al mondo che la circonda, vedere come si presenta un’analisi 
valutativa, quali sono le principali difficoltà nella realizzazione della ricerca, 
e nella sua interpretazione. Il tutto supportato, in particolare, dal desiderio di 
trovare la risposta a due questioni fondamentali, che hanno guidato per 
intero la mia ricerca. 
 
La prima si delinea nell’ambito squisitamente tecnico-
finanziario, ossia, come si effettua la valutazione di un’impresa nella New 
Economy? Quali le distinzioni rispetto ai tradizionali criteri d’analisi? 
 
La mia seconda questione, stimolata in particolar modo dalle 
attualissime vicende americane riguardanti il “caso ENRON”, abbraccia 
anche l’ambito sociale della problematica, ovvero quali sono le relazioni che 
governano il mercato delle valutazioni? È possibile un approccio etico alla 
finanza? 
 
Introduzione 
5 
Di conseguenza, mi sono posto come obiettivo quello di fare 
chiarezza sulle tematiche della valutazione d’impresa, scoprirne i risvolti 
anche ideologici, studiarne le variazioni in relazione al panorama 
economico che si intende affrontare. 
 
La tesi si sviluppa, pertanto, in tre parti, per una totalità di 
otto capitoli. 
 
Nella prima parte, composta da due capitoli, ho inteso 
esporre ed illustrare le coordinate di riferimento dell’intera discussione, e, in 
particolare, nel capitolo I –IL VALORE- ho chiarito l’evoluzione storica del 
concetto di valore, le sue più recenti evoluzioni ed articolazioni, le sue 
determinanti in contesto applicativo. Nel capitolo II –LA NEW ECONOMY- 
mi sono posto il problema di precisare la nozione di Nuova Economia, 
tentando di caratterizzarla nella sua completezza, presentando le peculiarità 
delle aziende che vi appartengono. 
 
La seconda parte raggruppa i quattro capitoli mediante cui 
porto a compimento il primo obiettivo postomi, vale a dire l’esplicazione 
delle modalità d’esecuzione di valutazioni relative a realtà aziendali della 
Net Economy. In specifico, nel capitolo III –LA VALUTAZIONE- ho esposto 
la generalità delle problematiche legate alle questioni di valutazione. Il 
capitolo IV –I CRITERI DI VALUTAZIONE- presenta le differenti e più 
consolidate modalità di calcolo valutativo nel seno dell’economia 
tradizionale, partendo dai più tradizionali criteri d’analisi, per giungere alle 
nuove prospettive di approfondimento. Il capitolo V –VALUTAZIONE E NEW 
ECONOMY- costituisce il cuore della ricerca. Si comincia analizzando le 
difficoltà e gli ostacoli che impediscono un approccio tradizionale per il 
nuovo contesto economico, per poi affrontare le principali metodologie 
messe in atto dal mondo finanziario. Il capitolo VI –IL PRIMO OBIETTIVO- 
sintetizza brevemente la ricerca condotta, traendo le conclusioni in merito 
alla prima questione da me postami. 
Introduzione 
6 
 
Infine la terza parte, composta da due capitoli. 
Il capitolo VII – I PERICOLI NELLA VALUTAZIONE – presenta 
un’analisi sul mercato delle valutazioni, i possibili conflitti d’interesse cui si 
trova implicato l’analista, ed un’esposizione del caso ENRON. A conclusione 
del capitolo, infine, presento una mia personale proposta in merito agli 
attuali dibattiti sui rapporti tra analisti ed investitori, perdita di fiducia e crisi 
di valori. Nel conclusivo capitolo VIII – ETICA E FINANZA – elaboro, da 
ultimo, una ricerca etica all’azione finanziaria sulle basi di una possibile 
coniugazione delle due sfere, solo apparentemente così discordanti. 
  
 
 
 
Parte Prima 
 
 
 
 
Contesto 
Capitolo Primo 
8 
 
 
 
Capitolo I: 
 
 
   IL VALORE 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.1 --- Breve Storia del Concetto di Valore 
 
 
Il concetto di valore è sempre stato oggetto di interesse degli 
studi di economia, affiancandosi prevalentemente a quello di impresa, e 
riuscendo ad evidenziare, in tal modo, una vera e propria evoluzione in 
divenire congiunta con lo sviluppo dell’idea stessa di azienda e del suo 
mondo. 
 
J. Robinson affermava negli anni sessanta che la nozione di 
valore è una di quelle grandi idee metafisiche di studio, che, a guisa di ogni 
Capitolo Primo 
9 
altro concetto metafisico, quando si cerca di circoscriverlo e definirlo, 
diventa un puro nome, privo di operatività
1
. 
Nel corso della storia, il concetto di valore è stato 
contraddistinto in modi differenti, per coglierne gli aspetti rilevanti, 
affiancandolo, di volta in volta, alle nozioni cardine di rarità, lavoro e utilità. 
 
Adam Smith
2
, primo grande economista classico, introduce la 
tematica mostrando come esistano due sfaccettature dell’idea di valore: 
a) il valore d’uso, connesso alla nozione di utilità, 
ovvero dalla caratteristica di un bene di soddisfare 
bisogni; 
b) il valore di scambio, legato all’idea di scarsità (valore 
assegnato ad un bene la cui offerta sia limitata), 
rappresentante il potere di acquistare altri beni che il 
possesso di un oggetto conferisce. 
 
David Ricardo
3
, approfondendo l’analisi, fu il primo ad 
introdurre la gravosa problematica della misurazione del valore. 
L’economista inglese risolse la questione utilizzando come unità di misura 
la quantità di lavoro incorporata in un bene. Calcolarne il valore, altro non 
significa, quindi, che misurare la totalità di lavoro speso nella produzione 
del bene stesso
4
. 
                                                 
1
 S. VICARI, Note sul concetto di valore, “Finanza Marketing e Produzione”, 3, 1995. 
2
 A. Smith (1723 – 1790), economista e filosofo britannico, è da considerarsi uno 
spartiacque nella storia del pensiero economico, in quanto chiuse la stagione dei 
mercantilisti per inaugurare quella degli economisti classici – liberisti. Opera maggiore, la 
Ricchezza delle nazioni (1776). 
3
 D. Ricardo (1772 – 1823), economista inglese, si pone come maggiore erede di Smith, 
dominando il pensiero economico inglese con la pubblicazione della sua opera Principi di 
economia politica e dell’imposta (1817). 
4
 come afferma lo stesso Ricardo nei suoi Principi, «il valore di una merce, cioè la 
quantità di qualsiasi altra merce con cui si può scambiare, dipende dalla quantità relativa di 
lavoro necessaria a produrla e non dal maggiore o minore compenso corrisposto per questo 
lavoro». 
Capitolo Primo 
10 
Operando in tal modo, si lega il concetto di valore ad 
un’unità di misura oggettiva e universale (il lavoro), indice del costo 
necessario a disporre di un qualunque bene. 
L’idea di affiancare il valore alla nozione di sforzo (costo) è 
senz’altro valida; il problema nella teoria ricardiana è costituito dall’unità di 
misura assunta: il lavoro. Effettuare una misurazione oggettiva del lavoro è, 
infatti, compito arduo se non impossibile, quando si considerino le 
problematiche della quantità di lavoro compresa in un bene, delle diverse 
abilità dei lavoratori (problema del lavoro produttivo
5
), della valutazione dei 
beni capitali, della rendita sulla terra, e dei profitti. 
 
Stesse difficoltà le ebbe Karl Marx
6
, che ereditò da Ricardo 
le basi economiche della sua speculazione. Il pensatore tedesco arricchì il 
dibattito introducendo il concetto di plusvalore, ossia  quel valore creato nel 
processo produttivo dal lavoro, maggiore del tasso di remunerazione dello 
stesso.  
Marx concluse pertanto che il lavoro è la sola merce che 
abbia la capacità di creare un valore aggiuntivo, poiché quello contenuto nel 
capitale costante (per Marx il capitale costante è la somma di tutti i costi 
non da lavoro) viene semplicemente trasferito dai fattori produttivi alla 
merce. 
 
Fu però con gli studi di Alfred Marshall
7
, che la teoria del 
valore cominciò ad instradarsi verso sentieri a noi più canonici, proponendo 
                                                 
5
 il classico esempio relativo alla problematica del lavoro produttivo, è quello applicabile 
alla quantificazione della ricerca intellettuale: come valutare il lavoro di due scienziati su 
una stessa ricerca, l’una avente esito positivo, l’altra negativo? 
6
 K. Marx (1818 – 1883), filosofo, economista e uomo politico tedesco. Nonostante il 
forte impatto delle sue teorie economiche, non può tuttavia essere considerato un 
economista in quanto la sua ricerca era prettamente funzionale al suo sistema di pensiero. 
7
 A. Marshall (1842 – 1924), economista inglese, fu uno dei padri fondatori della teoria 
microeconomica ortodossa, nonché della scuola neoclassica. Opera fondamentale i Principi 
di economia (1890). 
Capitolo Primo 
11 
metodi di misurazione dei risultati economici ancor oggi validi, e 
anticipando, in alcune definizioni, il recente concetto di EVA
8
. 
 
Si è così giunti ad una delimitazione del concetto di valore, 
che racchiude i tre significati di scarsità, quantità di lavoro (costo) e utilità, 
pur senza coincidere con alcuno di essi. 
 
Da diversi anni a questa parte, la ricerca ha subito una svolta 
decisiva, soprattutto grazie ai contributi teorici di A. Rappaport
9
: il concetto 
di valore si è caricato di un’ulteriore valenza specifica, e il tema della 
creazione di valore è cresciuto d’importanza fino a divenire l’obiettivo 
primario, anzi il fine ultimo, dell’azione del management dell’azienda. Da 
questa impostazione, come afferma il Pozza, «la creazione di nuovo valore 
costituisce un obiettivo la cui realizzazione assicura lo sviluppo e la 
sopravvivenza nel lungo termine dell’impresa, e ciò nell’interesse di tutta la 
società civile, non solo dei diretti partecipanti della singola impresa»
10
. 
Come asserisce anche il Donna
11
, creare valore significa «realizzare 
qualche cosa che valga la pena», considerando l’azienda al centro di una 
fitta catena di giudizi di valore.  
Questo obiettivo si concretizza operativamente nella 
massimizzazione del valore azionario, ovvero nella somma soddisfazione 
per i soggetti azionisti (shareholder
12
), che altro non sono che i proprietari 
dell’impresa (soddisfazione derivante, di conseguenza, dalla capacità di 
generare importanti dividendi, e dal riferimento continuo al prezzo della 
singola azione). Tale fine è considerato il più calzante per le necessità 
                                                 
8
 vedi infra, paragrafo 4.7, capitolo IV. 
9
 tali contributi vengono presentati da Rappaport nella rivoluzionaria opera Creating 
shareholding value, del 1986. 
10
 L. POZZA, La misurazione della performance d’impresa, Milano, EGEA, 2000 
11
 G. DONNA, La creazione di valore nelle strategie d’impresa, p. 25. 
12
 definizione di Shareholder: «Those claim holders who have an equity interest (the risk 
capital of a firm) in the firm». P. MOLES – N. TERRY, International financial terms, 
Oxford u.p., 1999, p. 497. [Quei detentori di diritto che hanno interessi azionari (capitale di 
rischio di un’impresa) nell’azienda.]-nostra libera traduzione- 
Capitolo Primo 
12 
dell’impresa soprattutto nella realtà americana (e anglosassone in generale), 
che, per tradizione, fonda la misurazione del valore basandosi su logiche di 
tipo finanziario, volto a determinare il valore di mercato del capitale. 
L’azienda è, infatti, considerata come un tipo particolare di 
investimento, e, di conseguenza, per una sua valutazione si applicano i 
canonici sistemi in uso per gli investimenti classici, ovvero la generazione 
di utili in virtù di flussi di cassa positivi. In tal senso, perseguendo il valore 
azionario, congiuntamente non possono essere tralasciati gli obiettivi 
cardine dell’evoluzione dell’azienda stessa: sopravvivenza e sviluppo, peso 
agli interessi degli azionisti, socialità, misurabilità. 
Gli stessi Copeland, Koller e Murrin
13
, affermano senza 
mezzi termini che i manager che si focalizzano sul valore azionario creano 
aziende migliori e più salutari. 
Essi individuano per prima cosa i motivi che hanno portato 
all’affermazione di tale sistema: l’emergere, negli anni ottanta, di un 
mercato efficiente; l’affermarsi della pratica della retribuzione dei membri 
dirigenti attraverso sistemi basati sul valore azionario (ad esempio 
pagamento mediante distribuzione di stock option sulle attività 
dell’impresa); l’evidenza che parecchi sistemi sociali, soprattutto in Europa, 
sono al collasso finanziario. 
I tre Autori concludono quindi, attraverso indagini empiriche 
sulle realtà economiche mondiali, che le migliori performance sono quelle 
concretizzate dalle aziende il cui capitale sia un azionariato di massa. 
Tale approccio si è affermato come linea guida nella prassi 
aziendale a partire dalla seconda metà degli anni ottanta negli Stati Uniti. Le 
imprese che hanno così operato in modo pionieristico, sono state: COCA 
COLA, AT&T, WALT DISNEY, INTEL, solo per citare le maggiori. 
                                                 
13
 trattazione esposta in: T. COPELAND – T. KOLLER – J. MURRIN, Valuation, 
McKinsey & Company Inc, 2000, passim. Anche M. Scott afferma perentoriamente: «In 
today’s competitive environment it is essential that a firm focuses its resources on those 
activities which drive value creation for shareowners». M. SCOTT, Value drivers, Wiley, 
1998, p.vii. [Nell’ambiente competitivo di oggi, è essenziale che un’impresa focalizzi le sue 
risorse su quelle attività che creano valore per i shareholder.]-nostra libera traduzione- 
Capitolo Primo 
13 
Negli anni novanta, si può constatare come tale gestione negli 
Stati Uniti sia quasi diventata un fatto di costume, in quanto nessuna 
impresa tralascia di inserire nella propria relazione di bilancio dichiarazioni 
di appartenenza a questa tendenza comune. Nello stesso periodo, si 
registrano le prime penetrazioni in Europa grazie alle adesioni di ABB, 
PHILIPS, DAIMLER BENZ. 
Bisogna infine attendere la seconda metà degli anni novanta, 
quando in Europa è prassi ormai diffusa, per assistere ad un’applicazione 
significativa in Italia, con gli esempi di PIRELLI e FIAT
14
. 
 
L’estremizzazione di tale concezione appare, tuttavia, 
alquanto limitante, in quanto riduce l’obiettivo dell’azienda alla generazione 
massima di dividendi per gli azionisti. L’azienda, al contrario, è composta 
da una molteplicità di parti sociali (i cosiddetti stakeholder
15
 - il cui 
intreccio di relazioni con l’impresa è schematizzato in figura 1), ciascuna 
delle quali ha le proprie finalità da perseguire, e deve essere remunerata di 
conseguenza, cosicché la creazione di valore viene ad assumere il 
significato di accrescimento del benessere dell’impresa. Manager, clienti, 
finanziatori, lavoratori, fornitori, l’ambiente tutto condiziona la realtà 
aziendale, e, nel momento in cui l’impresa prende vita, e si trasforma in un 
sistema sociale a sé stante, ecco che il suo interesse non può ridursi a quello 
di una particolare categoria in essa racchiusa, ma deve operare ad un livello 
superiore ed onnicomprensivo. 
 
 
                                                 
14
 G. DONNA, contributo edito in: AAVV, Valore, strategia, bilancio, Milano, EGEA, 
2000. 
15
 definizione di Stakeholder: «Any individual or organisation that has an interest, 
pecuniary or otherwise, in a company. It would include: customers; employees; suppliers; 
distributors; joint-venture partners; the local community; bankers and shareholders. The 
suggestion is that all such people have a right to influence the decisions of the company». 
P. MOLES – N. TERRY, International financial terms, Oxford u.p., 1999, p. 514. [Ogni 
individuo od organizzazione che ha un interesse, pecuniario o altro, in un’impresa. Sono 
inclusi: clienti; lavoratori; fornitori; distributori; partner di joint-venture; la comunità 
Capitolo Primo 
14 
 
FIGURA 1
16
 
 
 
 
 
Il processo di creazione del valore ha, infatti, una valenza 
sistemica, in quanto si compone di più momenti concatenantisi, scindibili 
schematicamente in atti interni ed atti esterni. 
All’interno dell’impresa si svolgono i processi di produzione 
e potenziamento della struttura materiale ed immateriale. Con l’esterno si 
attivano relazioni ed interessi stabili e duraturi, sia con i soggetti che 
apportano fattori produttivi, sia con i soggetti destinatari delle attività 
dell’impresa. 
                                                 
locale; banchieri e shareholder. La tesi è che l’intero insieme ha un diritto di influenzare le 
decisioni dell’impresa.]-nostra libera traduzione- 
16
 fonte della figura 1 è: A. M. CHIESI – A. MARTINELLI – M. PELLEGATTA, Il 
bilancio sociale, Milano, Ed. Il Sole 24 Ore, 2000, p. 21. 
Capitolo Primo 
15 
In definitiva, il successo di un’impresa non può prescindere 
dalla dimensione della realizzazione dell’uomo, che si attua sia con il 
progresso del singolo lavoratore, sia con il raggiungimento di risultati 
sociali. 
 
 
 
1.2 --- Il Valore nelle Branche dell’Economia 
 
 
Superando a piè pari la discussione sul concetto metafisico di 
valore, gli uomini d’azienda sono approdati alla visualizzazione di un 
ambito prettamente operativo di tale termine. Essendo la loro primaria 
esigenza quella di misurare la ricchezza, il termine “valore” in finanza
17
 
viene ad assumere il significato di misura della ricchezza. Il valore risulta 
quindi essere una quantità rispetto ad un riferimento (una misura). In 
quest’ottica, non esiste il valore in quanto tale, ma «tutto ciò che è definibile 
in termini di ricchezza è certamente misurabile in termini di valore
18
». 
E potendosi la ricchezza identificare nel capitale, il valore 
viene ad assumere così la valenza di misura del capitale, concetto questo di 
spinosa importanza nella finanza in riferimento soprattutto al problema della 
comparazione nel tempo delle grandezze economiche. Il passo conclusivo 
per rendere operativo il concetto di valore è stato quindi l’introduzione della 
nozione di “tasso d’interesse”, definibile come il prezzo d’uso del capitale 
(un particolare bene) preso a prestito, determinato in base a condizioni di 
domanda e offerta tra cui preferenze temporali, di liquidità, inflazione e 
rischio di solvibilità del debitore. 
                                                 
17
 la teoria della finanza è definita come «disciplina formalizzata che si occupa di 
tematiche riconducibili a un problema di valutazione e di confronto di flussi di pagamenti 
(o redditi) distribuiti nel tempo e aleatori». AAVV, Finanza, collana “Le Garzantine”, Ed. 
Garzanti, 2000, p. 484. 
18
 S. VICARI, Note sul concetto di valore, “Finanza Marketing e Produzione”, 3, 1995, p. 
17.