6
 
L’esigenza di superare le incoerenze teoriche dei sistemi contabili 
nazionali e disporre così di una base informativa adeguata alla sfida lanciata 
dall’idea di sviluppo sostenibile, ha spinto numerosi esperti e centri di 
ricerca di tutto il mondo ad elaborare, sia a livello nazionale che 
internazionale, proposte di modifica e modelli contabili alternativi a quello 
vigente. I contributi più rilevanti provengono dall’Ufficio Statistico delle 
Nazioni Unite (UNSO), dall’Ufficio Statistico dell’Unione Europea 
(EUROSTAT), dalla Banca Mondiale e da alcuni paesi sviluppati con 
politiche ambientali avanzate, in particolare Norvegia, Olanda, Germania, 
Francia. 
 
Anche in Italia sono stati avviati studi, soprattutto di carattere 
metodologico, per pervenire alla costruzione di un sistema integrato di 
contabilità ambientale.  I contributi più rilevanti sono quelli di Carlucci M. e 
Giannone A., di Cullino R. e quelli relativi alla collaborazione tra ISTAT e 
Fondazione ENI Enrico Mattei. 
 
Il presente lavoro costituisce un tentativo di analisi delle diverse 
esperienze internazionali realizzate nell’arco degli ultimi decenni. Esso 
propone una descrizione, seppur sommaria, delle principali problematiche 
connesse allo sviluppo di una contabilità delle risorse naturali e dei diversi 
metodi adottati, con l’intento di organizzare, secondo uno schema logico  e 
coerente, le principali esperienze ed i principali approcci  sviluppati a livello 
nazionale ed internazionale. 
 
Precisiamo fin d’ora che la nostra attenzione è volta ad esaminare 
proposte alternative - secondo l’ottica della sostenibilità - alla misura del 
reddito di un paese, sostanzialmente trascurando le proposte  alternative  alla 
misura del benessere. Le prime cercano con vari accorgimenti e ponendo 
l’accento su particolari problemi di correggere le distorsioni che 
caratterizzano l’attuale impianto contabile in modo da renderlo più 
rappresentativo delle complesse interrelazioni economia - ambiente. Le 
altre, invece, non condividono le motivazioni di fondo che informano il 
tradizionale sistema di contabilità, a tal punto che lo rigettano in toto 
proponendo indicatori alternativi radicalmente differenti da quelli 
convenzionali. 
 
Lo schema logico proposto in questo studio si articola in quattro 
capitoli. Il primo esamina la struttura fondamentale ed i limiti principali del 
Sistema di Contabilità Nazionale (SNA) e dei suoi più noti indici aggregati. 
La mancata inclusione nel calcolo del PIL del valore economico delle 
funzioni ambientali - fornitura di materie prime, assimilazione dei residui 
inquinanti ed erogazione di servizi ambientali essenziali - rappresenta una 
delle cause primarie della sua inidoneità sia come misura del reddito  
nazionale, che come indicatore del benessere di un paese. Le ragioni di tale 
inadeguatezza sono storiche e vanno imputate al sostanziale disinteresse 
verso il problema della scarsità di risorse naturali che contraddistingue le 
teorie economiche da cui è derivato l’attuale SNA. Nel secondo capitolo si 
analizzano e si confrontano le principali proposte relative allo sviluppo di 
  
 
7
una contabilità delle risorse naturali basate sulla modifica e correzione 
dell’impianto contabile tradizionale. Tali proposte sono illustrate con una 
serie di applicazioni concrete tratte dalle esperienze di vari studiosi e di 
varie nazioni. Nei paesi in via di sviluppo, caratterizzati da una forte 
dipendenza economica dalle materie prime, le proposte di modifica sono 
tipicamente imperniate sulla valutazione del consumo del capitale naturale, 
laddove nelle economie più avanzate sono i problemi legati alla stima del 
danno da inquinamento e degli effetti del degrado ambientale ad attirare 
l’attenzione dei revisori del SNA. Il terzo capitolo, invece, descrive le 
esperienze di quelle nazioni che hanno adottato approcci alternativi basati 
non sulla semplice modifica del sistema contabile convenzionale, ma sulla 
costruzione di un vasto apparato informativo sull’ambiente che possa servire 
da supporto ai policy makers. Nonostante la notevole varietà di approccio, 
tali esperienze si contraddistinguono per il comune ricorso ad una 
rappresentazione in termini fisici  delle interrelazioni tra economia e 
ambiente, ottenuta mediante la compilazione di conti satellite che registrano 
le consistenze ed i flussi del patrimonio naturale, e per la tendenza a 
sviluppare sistemi informativi complessi sull’ambiente. Nel quarto 
capitolo, infine, viene analizzato un ulteriore modello di contabilità delle 
risorse naturali - il cosiddetto approccio completo integrato - ed i diversi 
sistemi contabili ad esso ispirati. L’aspetto fondamentale di tale modello è 
l’integrazione dei due elementi tipici degli approcci precedenti, vale a dire la 
rilevazione in termini fisici delle diverse risorse naturali e l’assegnazione 
alle stesse di un valore monetario che ne permetta l’inserimento nel sistema 
di conti nazionali tradizionale. Il capitolo si conclude con una breve analisi 
dell’esperienza italiana in tal senso e della recente proposta elaborata dalle 
principali istituzioni nazionali del paese impegnate sul fronte della 
contabilità ambientale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
8
 
Capitolo primo 
 
ORIGINI  E  LIMITI  DELLA  CONTABILITÀ  
NAZIONALE.  
 
 
1.1.   ORIGINI  E  PRINCIPALI  AGGREGATI  DELLA  
CONTABILITÀ  NAZIONALE. 
 
 
La contabilità nazionale è l’insieme delle informazioni statistiche che 
descrive l’attività economica di un paese.  Sebbene le sue origini risalgano 
alle prime stime del reddito nazionale eseguite nel XVII secolo in Inghilterra 
da Sir William Petty e Gregory  King, è solo negli anni ’30 di questo secolo 
che essa assume l’attuale carattere di attività organizzata, svolta in modo 
sistematico e continuativo  da organismi governativi a tale scopo preposti.  
Due furono i fattori fondamentali che determinarono quella che fu definita  
una ”rivoluzione  statistica”
1
 nel periodo tra le due guerre.  Primo tra questi 
fu la necessità di disporre di stime attendibili del reddito nazionale in base 
alle quali calcolare i potenziali introiti fiscali e pianificare la spesa pubblica 
a fini bellici.  Il secondo fattore, connesso alla grande depressione 
economica degli anni trenta, fu l’esigenza di quantificare quelle variabili 
macroeconomiche alle quali sia le teorie del ciclo economico, che l’analisi 
keynesiana  attribuivano  fondamentale importanza. La diffusione della 
“Teoria Generale” di Keynes, infatti, assegnando a consumi, investimenti e 
spesa pubblica la determinazione del livello di produzione d’equilibrio, 
diede un impulso decisivo alla contabilità nazionale. Stime del reddito 
nazionale e delle principali variabili aggregate da inserire nelle equazioni 
keynesiane furono da  allora intraprese pressoché  in ogni paese. 
 
Attualmente esistono diversi sistemi standardizzati di contabilità 
nazionale.  Il più noto è sicuramente il Sistema di Conti Nazionali delle 
Nazioni Unite, comunemente chiamato SNA (System of National 
Accounts). Il SNA venne pubblicato nel 1968  dall’Ufficio Statistico delle 
Nazioni Unite successivamente alla profonda revisione  subita dal primo 
sistema standardizzato di contabilità nazionale elaborato nel secondo 
dopoguerra in seguito alla diffusa esigenza di comparabilità dei risultati 
economici dei singoli paesi. Oggetto  fondamentale del SNA prima maniera 
è la misurazione delle transazioni economiche che danno origine a flussi  di 
produzione e reddito e a variazioni  nel livello di accumulazione del 
capitale.  Nel 1977, con la pubblicazione del manuale comunemente 
chiamato  M60, il SNA è stato integrato  con l’aggiunta di conti che 
esprimono le consistenze (stock accounts)  e conti che permettono il 
raccordo tra flussi e consistenze attive e passive all’inizio e alla fine dello 
stesso periodo. Nonostante le integrazioni permangono i seguenti limiti: 
                                                           
1
 Patinkin  D. (1982) p. 246. 
  
 
9
Figura  1 : Il flusso circolare della produzione e del reddito. 
• mancata o inadeguata rilevazione contabile del consumo di 
risorse naturali; 
• mancata o inadeguata rilevazione contabile del degrado 
ambientale. 
Per questo nei primi anni ’80 è iniziata una nuova fase, non ancora giunta a 
conclusione, di revisione del  SNA.  
 
In ogni caso, oggi il SNA costituisce il modello contabile di 
riferimento a livello internazionale. Sebbene diversi tra loro, i sistemi 
contabili dei singoli paesi ad economia di mercato possono essere di norma  
considerati delle approssimazioni del SNA
2
.  
 
Si deve al SNA, ad esempio, la descrizione, attraverso il flusso 
circolare del reddito e della spesa (Figura 1), del sistema economico, vale a 
dire dell’insieme  di relazioni che s'instaurano tra i soggetti economici nello 
svolgimento di quattro funzioni fondamentali: produzione, consumo, 
accumulazione e ridistribuzione del reddito e della ricchezza. A base del 
flusso circolare del reddito e della spesa vi è la nota coincidenza tra Prodotto 
finale, somma dei Redditi corrisposti ai  fattori produttivi e Spesa totale. 
 
 
 
 
Fra tutti, il 
sistema 
standardizzato di 
contabilità nazionale 
a noi più vicino, è il 
Sistema Europeo di 
Contabilità  (SEC) 
elaborato dalla 
Comunità Europea 
sulle tracce generali 
del SNA e adottato 
dai paesi membri dal 
1970. 
 
I conti 
nazionali, redatti dai 
paesi ad economia di 
mercato sulla scorta 
delle indicazioni 
fornite dal SNA, 
offrono il supporto informativo per valutare l’andamento economico di un 
paese e la sua evoluzione nel tempo.  I dati in esso contenuti sono 
sintetizzati da alcuni indicatori aggregati che costituiscono la base delle 
decisioni interne di politica economica e dei confronti internazionali tra 
diversi paesi.  Il più noto tra tali indicatori è senza dubbio il Prodotto 
                                                           
2
 Mentre per gli ex paesi socialisti il modello contabile di riferimento era costituito  dal 
Sistema del Prodotto Materiale (MPS). 
 
Fonte : adattato da  Dornbush R., Fisher S., 1985.
BENI  E  SERVIZI 
(D) 
FATTORI  PRODUTTIVI
(A) 
REDDITI 
(B) 
SPESE 
( C ) 
PRODUTTORI 
CONSUMATORI 
  
 
10
Interno Lordo  (PIL), che misura il valore, a prezzi di mercato, dei beni e 
servizi finali prodotti all’interno di un paese in un dato periodo. Il PIL è un 
flusso netto espresso in termini monetari - di norma a prezzi di mercato
3
 - in 
modo tale da rendere omogenei gli elementi eterogenei che lo compongono. 
 
Il PIL può essere calcolato con tre metodi.  Il primo  (Metodo Reale) 
si basa sul concetto di valore aggiunto, vale a dire l’incremento di valore 
realizzato dal processo produttivo, calcolato come differenza tra produzione 
totale e consumi intermedi
4
.  Il secondo (Metodo Personale) calcola il PIL 
come somma dei redditi dei fattori nei quali si è composto. Infine con il 
terzo (Metodo del Bilancio) si ottiene il PIL sottraendo dalla domanda 
finale il valore delle importazioni di beni e servizi. 
 
Il processo produttivo che genera il PIL causa il deterioramento dello 
stock di capitale fisso esistente
5
. Tale usura, nota in contabilità con il 
termine di ammortamento, rappresenta la quota di produzione che deve 
essere sottratta al consumo per mantenere intatta la capacità produttiva del 
sistema economico. Deducendo l’ammortamento dal PIL si ottiene il 
Prodotto Interno Netto  (PIN), che costituisce l’aggregato più idoneo per 
le analisi di lungo periodo basate sulle teorie dello sviluppo economico. 
 
Facendo invece riferimento alla produzione realizzata - sia sul 
territorio nazionale sia all’estero - da unità produttive residenti, si parla di 
Prodotto Nazionale Lordo (PNL), ottenuto aggiungendo al PIL i redditi 
netti provenienti dall’estero. 
 
 
1.2.     I  LIMITI  DELLA  CONTABILITÀ  NAZIONALE. 
 
 
In tutte le economie mondiali, il Prodotto Interno Lordo è l’indicatore 
comunemente usato per valutare la situazione economica di un paese.  
Economisti, politici, amministratori pubblici fanno sempre riferimento a tale 
indice oltre che per descrivere l’andamento economico generale di un paese, 
anche per giudicare la validità di un programma governativo o l’efficacia di 
un intervento di politica economica. Il PIL è, quindi, una variabile 
economica di grande impatto e significato politico. 
 
Il PIL presenta tuttavia una serie di limiti, sia di carattere teorico sia di 
carattere operativo, che ne riducono fortemente la validità, sia come misura 
della produzione effettiva di un paese che come indicatore del reddito e del 
benessere sociale e che mettono in crisi l’intero sistema di contabilità.  
L’individuazione di tali limiti ha sollevato critiche sempre più numerose e 
ha successivamente stimolato l’elaborazione di indicatori alternativi. 
                                                           
3
 Questo principio non è applicato in modo uniforme poiché alcune componenti del PIL, ad 
esempio la produzione del settore pubblico, non hanno un prezzo di mercato e quindi sono 
valutate al loro costo. 
4
 E’ il metodo più usato in Italia e in tutti i paesi che elaborano tavole annuali di tipo input-
output. 
5
 Il deprezzamento del capitale fisso  nel tempo può risultare sia dall’usura fisica causata 
dalla produzione che dall’invecchiamento tecnologico (obsolescenza). 
  
 
11
 
Una delle prime critiche rivolte alla moderna contabilità nazionale 
riguarda l’enfasi posta sulle transazioni monetarie che hanno luogo nel 
mercato e la conseguente mancata o inadeguata rilevazione di quelle attività 
produttive che sono esterne al mercato
6
 oppure prive di un prezzo di 
mercato
7
. La produzione nazionale effettiva risulta quindi sottostimata, 
specialmente nei paesi in via di sviluppo  dove l’autoconsumo e lo scambio 
informale rappresentano tuttora una parte rilevante dell’attività totale. 
 
Numerose osservazioni sono poi state  avanzate anche in relazione 
all’inadeguata contabilizzazione del tempo libero, dei servizi di beni di 
consumo durevoli, delle plusvalenze o minusvalenze realizzate in seguito 
alla variazione del prezzo delle attività, etc.. Gli incrementi di produttività 
realizzati mediante una riduzione dell’orario di lavoro - e conseguente 
maggiore  disponibilità di tempo libero - a parità di output prodotto vengono 
ignorati nel calcolo convenzionale del PIL. Lo stesso incremento di 
produttività ottenuto mediante un aumento della quantità prodotta, a parità 
di fattori produttivi utilizzati, viene invece registrato come variazione 
positiva del PIL e dà quindi luogo ad una “crescita economica”. Lo stesso 
genere di osservazioni possono essere avanzate nei riguardi dei servizi 
prodotti dallo stock di beni di consumo durevole, i quali sono solo in parte 
inclusi nel calcolo del PIL, infatti vengono contabilizzati per esempio i 
servizi resi dalle abitazioni, ma non quelli resi dalle automobili private. 
 
A partire poi dagli anni ’60, con la nascita dei primi movimenti 
ecologisti, la contabilità nazionale ha subìto una nuova serie di critiche, in 
alcuni casi dettate da convinzioni etiche molto radicali,  relative al rapporto 
tra produzione e ambiente.  Nei paesi industrializzati, infatti, i sempre più 
diffusi fenomeni di inquinamento e degrado naturale hanno rivelato 
l’esistenza di complesse interrelazioni tra attività produttiva e ambiente che 
vengono, tuttavia, completamente ignorate dalle stime convenzionali del 
PIL.  In molti paesi in via di sviluppo, inoltre, elevati tassi di crescita del 
PIL sono ottenuti grazie allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali e 
non danno atto della continua e spesso irreversibile erosione del patrimonio 
naturale del paese. Dal punto di vista ambientale, le principali critiche 
avanzate da economisti ed ecologisti allo schema di contabilità nazionale 
riguardano: 
• il contributo dei beni e servizi ambientali al sistema economico; 
• il trattamento contabile delle spese per la difesa ambientale; 
• il deprezzamento dello stock del capitale naturale. 
 
                                                           
6
 Ad esempio, la produzione di sussistenza, il lavoro domestico, il volontariato, etc.. 
7
 Ad esempio, i servizi pubblici, il baratto, etc..  
  
 
12
Figura 2:  Sistema economico e  ambiente. 
 
1.2.1.    I  beni ed i servizi forniti dall’ambiente. 
 
 
Come affermato in precedenza, lo scopo della moderna contabilità 
nazionale è la descrizione delle attività di produzione e consumo che 
formano il complesso sistema economico di un paese. Analogamente al 
capitale riproducibile
8
 ed al capitale umano, l’ambiente naturale fornisce un 
flusso di beni e servizi che costituiscono un input indispensabile allo 
svolgimento di attività di produzione e consumo. Dalla biosfera, ad 
esempio, vengono estratti minerali ed altre materie prime necessarie alla 
produzione agricola ed industriale. L’ambiente naturale provvede poi allo 
smaltimento dei rifiuti e all’assorbimento di scarichi ed emissioni 
inquinanti.  Infine, la natura assicura il funzionamento di meccanismi 
ecologici essenziali per la sopravvivenza del pianeta e garantisce inoltre la 
disponibilità di luoghi ameni a fini ricreativi.  
 
 
 
 
 A questo punto 
sembra necessario 
precisare alcuni 
termini del discorso 
riguardo alle funzioni 
economiche 
dell’ambiente. Nella 
sua accezione più 
generale, il termine 
“ambiente naturale”
9
 
viene adoperato per 
designare l’insieme 
delle condizioni 
esterne che
determinano il modo 
di vita e l’evoluzione 
delle società umane. 
L’aria, l’acqua, le 
risorse del suolo e del 
sottosuolo, le
comunità degli esseri 
viventi sono i singoli elementi di tale complesso fisico dal quale dipende la 
sopravvivenza dell’intero genere umano. Dal punto di vista economico, 
                                                           
8
 Il Capitale Riproducibile - da alcuni autori indicato anche con il termine di capitale 
economico - è costituito dai beni durevoli che sono oggetto di proprietà e hanno valore 
monetario. Esso va tenuto distinto dal Capitale Naturale, che invece è costituito da quei 
beni - tra cui l’atmosfera, le risorse del sottosuolo, gli ambienti fisici naturali, gli organismi 
viventi - la cui esistenza, produzione e riproduzione è il risultato dell’attività naturale  
(Carlucci, Giannone, 1990). 
9
 Per una distinzione tra i termini “ambiente naturale”, “capitale naturale”, “spazio naturale” 
e “risorse” si veda Carlucci M., Giannone A. (1980) pag. 88. 
 
Fonte:  Jacobs (1990) 
AMBIENTE  
NATURALE
ENERGIA 
ATTIVITÀ  
PRODUTTIVE  
MATERIE 
PRIME 
CONSUMO 
DEPOSITO 
ASSIMILAZIONE 
(RICICLO) 
RESIDUI 
  
 
13
invece, l’ambiente può essere visto come uno stock di capitale naturale che 
eroga un flusso di beni e servizi indispensabili per lo svolgimento di ogni 
attività economica.  
 
Perciò, fatte queste precisazioni, in primo luogo, l’ambiente fornisce 
risorse naturali, alcune delle quali vengono utilizzate dagli individui in 
modo diretto (ad esempio aria, acqua, piante ed animali) mentre altre 
(materie prime e fonti di energia) costituiscono input necessari nei processi 
produttivi.  Tali risorse sono essenzialmente di tre tipi: 
• risorse non rinnovabili (carbone, gas, etc.) disponibili in quantità data in 
quanto il loro processo rigenerativo avviene in tempi non apprezzabili su 
scala umana e per le quali si pone il problema del possibile esaurimento; 
• risorse rinnovabili (animali, piante, aria e acqua pulite etc.) la cui 
consistenza viene mantenuta nel tempo qualora il ritmo di estrazione non 
superi la velocità di riproduzione e crescita della risorsa stessa; 
• risorse inesauribili (sole, vento, maree, geotermia, etc.) la cui entità non 
viene modificata dall’azione umana. 
 
In secondo luogo, l’ambiente provvede all’assimilazione dei residui 
generati dai processi biologici - ad esempio i residui organici delle piante e 
degli animali e l’anidride carbonica - e dei prodotti indesiderati delle attività 
umane di produzione e consumo - rifiuti, scarichi ed emissioni inquinanti.  
Qualora la produzione di residui inquinanti ecceda la capacità assimilativa 
dell’ambiente, si assiste alla progressiva concentrazione di sostanze dannose 
che costituiscono uno dei fenomeni più preoccupanti della civiltà 
industriale. 
 
Infine, l’ambiente naturale garantisce l’erogazione di alcuni sevizi 
ambientali il cui valore economico è meno evidente, ma non per questo 
meno importante. Esistono essenzialmente due categorie di servizi 
ambientali: 
• la disponibilità di luoghi ameni (parchi naturali, aree protette, spazi 
ricreativi, etc.) il cui uso e godimento contribuiscono direttamente ad 
innalzare il livello di benessere individuale e sociale; 
• Il mantenimento di funzioni ecologiche essenziali alla sopravvivenza 
della biosfera (stabilizzazione degli ecosistemi, regolazione del clima, 
etc.), che risultano di difficile identificazione, ma sono, tuttavia, di 
cruciale importanza per la prosecuzione della vita sul nostro pianeta. 
           
Le funzioni economiche dell’ambiente naturale sono schematicamente 
rappresentate nella Figura 2 che offre un’immagine del sistema economico 
più completa e realistica di quella delineata nella Figura 1.   
 
Dal confronto risulta chiaro come gli schemi contabili convenzionali 
non evidenziano, né tantomeno quantificano
10
, il contributo dell’ambiente 
alle attività di produzione e consumo ed offrono perciò un’immagine 
                                                           
10
 Ciò presuppone la valutazione in termini monetari delle diverse funzioni economiche 
dell’ambiente e delle variazioni nella sua consistenza, che costituisce a tutt’oggi uno dei 
compiti più difficili ed ambiziosi di quel filone dell’economia ambientale noto nella 
letteratura anglosassone con il nome di “benefit assessment”. 
  
 
14
distorta dell’economia di un paese. Gli effetti esterni negativi del processo 
produttivo (inquinamento e degrado ambientale) non sono infatti 
internalizzati nella funzione di produzione dell’economia, mentre  agli input 
forniti dall’ambiente viene implicitamente attribuito un valore nullo. La 
presenza di effetti negativi esterni - noti anche col nome di “esternalità 
negative” o “diseconomie esterne” - crea una divergenza tra costo privato e 
costo sociale della produzione e costituisce una delle cause del cosiddetto 
“fallimento del mercato”. In tali circostanze la capacità di formulare scelte 
di politica economica ed ambientale idonee a promuovere lo sviluppo 
sostenibile di un paese risulta estremamente ridotta.  Se infatti consideriamo 
la definizione contenuta nel Rapporto Brundtland
11
,  un processo di sviluppo 
è sostenibile se soddisfa i bisogni della generazione presente senza 
compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i loro.  In 
questa definizione risulta implicita la necessità di conservare la base di 
risorse naturali ed ambientali per mantenere un determinato livello di 
benessere
12
, sia nei paesi economicamente dipendenti dalle risorse naturali - 
la gran parte dei paesi in via di sviluppo - che nei paesi ad economia 
industriale avanzata.  
 
 
1.2.2.    Le spese per la difesa ambientale.     
 
 
Sembra anzitutto opportuno specificare alcuni concetti relativi alla 
nozione di “spesa difensiva”. L’elemento concettuale fondamentale che 
contraddistingue le spese di carattere difensivo è la connessione più o meno 
stretta con gli effetti negativi esterni conseguenti ad atti di produzione o di 
consumo
13
. Sono perciò escluse dalla categoria di spese difensive tipi di 
spesa quali, ad esempio, la spesa per l’alimentazione, l’abbigliamento e 
l’abitazione, da taluni erroneamente attribuite alla necessità di difesa contro 
la fame ed il freddo
14
. Secondo la classificazione elaborata da Leipert 
(1989), l’aggregato delle spese difensive include: 
• le spese indotte dalla concentrazione spaziale delle attività 
produttive e dai conseguenti fenomeni di urbanizzazione, come 
ad esempio il costo del trasporto pendolare, dell’abitazione, 
delle attività ricreative; 
• le spese sostenute in relazione all’aumento dei rischi associati 
all’attività industriale, quali ad esempio le spese per la 
protezione civile e la sicurezza sociale; 
                                                           
11
 World Commission on Environment and Development   (1987) 
12
 Esula dalle finalità di questo studio analizzare le varie sfumature attribuite al concetto di 
sviluppo sostenibile. In breve la sostenibilità può fare riferimento all’insieme della 
ricchezza materiale (capitale naturale e capitale riproducibile), oppure al solo capitale 
naturale, cioè alla base fisica della produzione (Pearce, Markandya, Barbier, 1989). La 
prima accezione, che a volte viene indicata con l’espressione “sostenibilità debole” fa 
riferimento solo al benessere della specie umana e ritiene che il capitale naturale ed il 
capitale riproducibile siano sostituibili, mentre la seconda, definita “sostenibilità forte” 
ritiene che occorra lasciare alle generazioni future lo stesso stock di capitale naturale e che 
questo non possa essere sostituito dal capitale riproducibile.  
13
 Secondo  la definizione di  Oslon M. (1977) e  di Hueting R. (1980) che contestano la 
definizione data da Jaszi G..                                                                                                                            
14
 Repetto R. (1989). 
  
 
15
• le spese relative a problemi di traffico automobilistico, tra cui 
spese per riparazioni e spese mediche conseguenti ad incidenti 
stradali; 
• le spese determinate da difficili condizioni di vita e di lavoro o 
da modelli di consumo negativi, come ad esempio l’uso di 
droghe e il consumo di alcool e  sigarette; 
• le spese indotte dall’eccessivo consumo di risorse naturali 
provocato da processi di crescita economica non sostenibili. 
 
L’ultimo gruppo classificato da Leipert  identifica la categoria di spese 
difensive di carattere ambientale come un sottoinsieme della categoria più 
ampia delle spese a carattere difensivo.  
 
 Le spese difensive di carattere ambientale, finalizzate, appunto, ad 
evitare o ridurre le esternalità di tipo ambientale, ovvero a contenere o 
compensare, in qualche modo, i danni che ne derivano, possono essere 
definite come le spese connesse alla perdita di funzioni ambientali, vale a 
dire dei beni e servizi erogati dall’ambiente nell’ambito di attività produttive 
o di consumo.   Seguendo il criterio proposto dall’O.N.U. e riportato in 
Cullino (1992), tali spese possono essere classificate in relazione al 
momento in cui vengono effettuate rispetto al verificarsi del danno 
ambientale, reale o potenziale, cui si riferiscono come segue : 
• spese sostenute per evitare il danno ambientale, come nel 
caso di spese per l’adozione di tecnologie “pulite” o per 
l’installazione di impianti di abbattimento di sostanze nocive 
“alla fonte”; 
• spese finalizzate al ripristino di beni ambientali danneggiati 
da attività economiche, come ad esempio la decontaminazione 
di aree colpite da incidenti nucleari, il disinquinamento di tratti 
di mare o fiumi interessati da versamenti di sostanze nocive, il 
recupero di aree degradate etc.; 
• spese sostenute allo scopo di allontanarsi o di proteggersi da 
danni ambientali inevitabili e irreparabili, come ad esempio 
le spese di trasferimento verso luoghi di residenza meno 
inquinati, l’installazione di pannelli isolanti contro 
l’inquinamento acustico e di filtri per la potabilizzazione 
dell’acqua; 
• spese rivolte a compensare gli individui per i danni subiti a 
causa del danno ambientale, come nel caso di spese mediche 
per curare malattie respiratorie o allergie provocate da 
inquinamento atmosferico. 
 
La complessità della fattispecie costituita dalle spese difensive di 
carattere ambientale è indicativa della complessità delle interconnessioni che 
caratterizzano le attività economiche e l’ambiente naturale. I macro-
aggregati forniti dagli attuali sistemi di contabilità sono incapaci di riflettere 
queste complesse interrelazioni e per questo sono numerose le critiche che 
ha sollevato l’attuale trattamento contabile riservato  alle spese difensive. 
 
  
 
16
La rilevazione delle spese difensive, collegata al tentativo di costruire 
un sistema integrato di conti nazionali economico - ambientali, non si 
presenta, certo, senza problemi. Questa rilevazione è, infatti, caratterizzata 
da forti anomalie in quanto si assiste a disparità di trattamento tra spese 
aventi la stessa natura, ma sostenute da settori economici differenti, oppure 
finanziate in forme differenti all’interno dello stesso settore economico. Se, 
infatti, a fronte di un danno ambientale, lo Stato interviene accollandosi i 
costi delle misure riparatrici, le relative spese sono considerate come finali e 
quindi incluse nel calcolo del PNL, andando ad accrescere, “ceteris  
paribus”
15
, il reddito nazionale. Qualora gli stessi interventi vengano 
effettuati dalle imprese, eventualmente costrette da provvedimenti di natura 
legislativa o amministrativa, essi sono considerati, a seconda dei casi, come 
investimenti o come spese intermedie, venendo rispettivamente aggiunti o 
sottratti  nel calcolo del valore aggiunto.  
 
E’ stato, poi, osservato
16
 che, contabilizzando le spese difensive 
ambientali come spese finali, si può verificare la seguente incongruenza: il 
reddito di un paese può essere più elevato quando accade che un dato 
volume di beni e servizi viene prodotto arrecando danni ambientali anche 
irreversibili, intervenendo in un secondo tempo per porvi rimedio, rispetto al 
caso in cui, lo stesso volume di beni venga prodotto con tecnologie “pulite” 
o “eco-compatibili”
17
. Pertanto, non solo il reddito nazionale non varia nella 
direzione che parrebbe auspicabile per riflettere il degrado ambientale 
causato dalle attività economiche, ma addirittura esso può muoversi nella 
direzione opposta, cioè registrando trend positivi a fronte di un degrado o un 
consumo dello stock di capitale naturale
18
.    
 
È importante, comunque, notare che una semplice sottrazione delle 
spese difensive ambientali dal PIL non consentirebbe di ottenere un PIL 
“sostenibile” ma solo un PIL “corretto” in senso ambientale; si 
tratterebbe, infatti, soltanto di una semplificazione metodologica assimilare 
il consumo di capitale naturale alle spese sostenute per correre ai ripari dai 
danni conseguenti a tale consumo.  
 
L’anomalia nella rilevazione contabile delle spese difensive crea, 
quindi, due ordini di difficoltà. Se da un lato, infatti, risulta chiaro che il 
contributo di tali spese alla formazione del PNL non debba dipendere da 
quale settore le sostiene, dall’altro resta tuttora irrisolto il problema di quale 
approccio adottare per correggere tale anomalia negli attuali schemi 
contabili. 
 
                                                           
15
 Come osserva Peskin (1981), rimuovendo l’ipotesi di “ceteris paribus” non è possibile 
stabilire a priori quale sia la reazione dei macro-aggregati  all’effettuazione di tali spese. 
16
 Drechster  (1976). 
17
 La stessa considerazione può essere estesa al confronto internazionale dei redditi. 
18
 Si deve però evidenziare come queste incongruenze del reddito nazionale appaiano 
inaccettabili solo nell’ipotesi in cui si richieda che tale indicatore debba riflettere in qualche 
modo il degrado ambientale, il che è tuttora oggetto di dibattito.  
  
 
17
 
1.2.3.   Il deterioramento dello stock di capitale naturale. 
 
 
Un’ulteriore critica che viene mossa al SNA riguarda la mancata 
inclusione nel calcolo del reddito nazionale del costo del deterioramento 
delle risorse naturali e ambientali.  Mentre gli immobili, le attrezzature e gli 
altri elementi del capitale riproducibile  partecipano alla formazione del 
reddito mediante i costi  di manutenzione e l’ammortamento
19
, il capitale 
naturale non viene considerato nonostante sia ugualmente suscettibile di 
degrado qualitativo e di variazioni nella consistenza conseguenti al suo 
utilizzo.  Le implicazioni di tale asimmetria nel trattamento contabile del 
capitale produttivo sono evidenti: lo sfruttamento commerciale di risorse 
naturali quali ad esempio legname, petrolio, minerali, contribuisce ad 
aumentare il reddito nazionale senza che sia fornita indicazione alcuna sulle 
conseguenze di tale attività in termini di riduzione nella capacità produttiva 
futura.  In altre parole, un vantaggio di natura temporanea - l’incremento del 
reddito - viene ottenuto al prezzo di un perdita permanente del patrimonio 
naturale, come già si è verificato in alcuni paesi in via di sviluppo che hanno 
raggiunto formidabili livelli di crescita semplicemente consumando il loro 
stock di risorse naturali. Tale paradossale situazione corrisponde al caso in 
cui, ad esempio, un produttore di latte si compiacesse dei proventi derivanti 
dall’uccisione e vendita di tutto il suo bestiame senza rendersi conto che 
così facendo compromette ogni potenziale di reddito futuro distruggendo la 
sua base produttiva. 
 
Le ragioni di tale incoerenza vanno ricercate  nel disinteresse del 
pensiero economico neoclassico - e delle principali teorie economiche 
contemporanee da esso derivate - verso il problema della scarsità di risorse 
naturali. Nell’analisi dei processi produttivi, la “terra” - termine generico 
tradizionalmente usato per indicare l’insieme delle risorse naturali e 
ambientali - venne trascurata e identificata come un forma di capitale 
perfettamente sostituibile
20
 e quindi del tutto assimilabile dal punto di vista 
analitico al capitale riproducibile.
21
 
Un ulteriore aspetto  della questione del consumo di capitale naturale 
riguarda la sua stretta connessione col problema della misurazione del 
reddito di una nazione. Secondo la definizione ormai classica proposta da 
Hicks, infatti, il reddito nazionale è l’ammontare massimo che una nazione 
può consumare in un determinato periodo senza ridurre la consistenza del 
                                                           
19
 Mentre la manutenzione ha la funzione di assicurare il regolare funzionamento del 
capitale, l’ammortamento serve a ricostituirne la consistenza che si riduce per effetto 
dell’uso che ne viene fatto. 
20
 L’ipotesi di perfetta sostituibilità  tra capitale riproducibile e capitale naturale riveste 
tuttora un ruolo cruciale nell’analisi delle implicazioni del concetto di sviluppo sostenibile.  
Se la necessità di mantenere intatto lo stock di capitale naturale complessivo da consegnare 
alle generazioni future trova un consenso pressoché unanime, risulta ampiamente dibattuto 
il fatto che ciò possa tradursi nella conservazione dello stock esistente di capitale naturale 
oppure che il consumo della base naturale  sia ammesso qualora venga compensato con un 
incremento del capitale riproducibile. Quest’ultima posizione è strenuamente sostenuta da  
Solow (1974)  e da Hartwick (1978) mentre è aspramente combattuta da  Pearce (1991) e 
Maler (1990). 
21
 Daly H. E., Cobb J. B.  (1989).  
  
 
18
proprio patrimonio iniziale
22
. Se nella funzione di produzione dell’economia  
viene incluso anche lo stock di capitale naturale, il consumo di quest’ultimo 
deve essere  sottratto dal PIL al fine di ottenere una stima corretta  del 
reddito nazionale
23
. Le conseguenze di tale mancata sottrazione, riguardo 
alle politiche economiche di un paese, sono notevoli: una sovrastima del 
reddito nazionale indurrà un livello di consumi superiore a quello massimo 
sostenibile e si otterrà così un’inevitabile erosione della base di capitale 
naturale.      
 
 
 
1.3.   AMBIENTE  E  BENESSERE: IL DIBATTITO  
ATTUALE. 
 
 
 
Compiendo uno sforzo interpretativo ed una generalizzazione
24
, i 
limiti indicati in precedenza possono farsi rientrare entro due grandi 
categorie di omissioni: quelle di carattere sociale e quelle di carattere 
naturalistico. Le prime riguardano la produzione di beni e servizi effettiva 
ma non contabilizzata in aumento del PIL; le seconde riguardano, invece, la 
mancata inclusione nel calcolo del PIL del consumo di capitale naturale e/o 
dei danni ambientali. 
   
In linea con la schematizzazione appena accennata, nell’ambito del 
dibattito sull’ipotesi di una correzione del PIN, le proposte volte alla 
realizzazione di un sistema contabile integrato e completo possono essere 
suddivise sulla base di una delle due motivazioni che seguono: 
• l’opportunità di dare alla contabilità nazionale una dimensione 
più orientata alla misura del benessere; 
• l’opportunità di aggiungere una valutazione del 
depauperamento del patrimonio naturale a fianco dei costi 
inclusi nel calcolo del PIN. 
 
Vedremo nei prossimi due paragrafi come è stato affrontato il 
problema della correzione del PIN secondo i suddetti differenti profili. 
 
 
 
 
                                                           
22
 Il concetto di reddito proposto da Hicks incorpora il concetto di sostenibilità e risulta 
quindi superfluo qualificarlo in tal senso (Daly, Cobb, 1989). 
23
 Analogamente a quanto accade per il capitale riproducibile. 
24
 Si veda M. Bresso (1994).