importanti per una serie di elementi interpretativi che la Corte fornisce riguardo ad 
alcuni aspetti che interessano la questione sviluppata nel terzo capitolo. 
Il secondo capitolo si conclude con delle osservazioni generali sulla direttiva in 
questione, mettendo particolarmente in luce come essa ricerchi un difficile 
bilanciamento fra due principi contrapposti, l’affermazione dell’atipicità del lavoro a 
tempo determinato e la flessibilizzazione del mercato del lavoro al fine di incentivare 
l’occupazione. 
Nel terzo capitolo vengono poi affrontate le questioni centrali di questa tesi, la 
presunta violazione della clausola di non regresso e l’eccesso di delega della 
normativa italiana di attuazione nel settore privato della direttiva 99/70/CE, 
rappresentata dal d. lgs. 368/2001 e successive modifiche. 
L’analisi della normativa interna in relazione a tali questioni sarà affrontata tenendo 
conto degli elementi che sono stati sviluppati in precedenza, attinenti al contenuto 
della direttiva 99/70/CE e all’interpretazione giurisprudenziale della CGE, del 
corposo dibattito sviluppatosi in seno alla dottrina e di alcuni elementi forniti dalla 
giurisprudenza interna. 
La presunta violazione della clausola di non regresso sarà esaminata prendendo in 
considerazione gli aspetti della disciplina interna verso i quali sembra concretizzarsi 
un regresso delle tutele per il lavoratore a tempo determinato rispetto alla disciplina 
precedente, salvo poi riferirsi al livello generale di tutela, determinato dai vari aspetti 
analizzati, in particolare quelli caratterizzanti la normativa.  
La conclusione a cui l’adozione di tale metodo perviene è che il d. lgs. 368/2001, 
come in seguito modificato, non sembra violare la clausola di non regresso contenuta 
nella direttiva 99/70/CE. 
Quello che invece sembra configurarsi come un vizio della normativa, è la presenza 
di un eccesso di delega del decreto in esame, in quanto costituisce una riforma del 
lavoro a tempo determinato, non autorizzata dalla delega parlamentare. 
Alla parte finale di questa tesi, le conclusioni, segue un’appendice, che illustra gli 
effetti che alcune delle recentissime modifiche al d. lgs. 368/2001 hanno avuto 
 6
relativamente alle questioni della presunta violazione della clausola di non regresso e 
dell’eccesso di delega. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 7
CAPITOLO 1 
 
LA POLITICA SOCIALE EUROPEA E LA REGOLAMENTAZIONE DEI 
LAVORI ATIPICI. 
 
 
 
1.1 La politica sociale nel Trattato di Roma del 1957. 
 
Questo capitolo si propone di analizzare l’evoluzione normativa della politica sociale 
e del dialogo sociale, che ne segue le stesse dinamiche espansive o meno
2
, in una 
prospettiva storica: dalla nascita della CEE fino ai giorni nostri. Dalle scarne norme 
in materia contenute nel Trattato di Roma si è infatti registrata una espansione del 
settore sociale scandita soprattutto dal susseguirsi dei vari trattati europei.  
Il capitolo passerà poi ad analizzare più in dettaglio la regolamentazione comunitaria 
dei lavori atipici.  
La politica sociale è stata fin dall’inizio del processo di integrazione europea definita 
come una politica a se stante, anche se non una delle principali. Il Trattato che 
istituiva la Comunità Economica Europea, adottato a Roma nel 1957 ed entrato in 
vigore l’anno successivo, conteneva scarse norme di natura programmatica in materia 
sociale, a fronte di una dettagliata regolamentazione di aspetti economici, tariffari e 
doganali, tanto da far parlare di una volontaria “frigidità sociale”
3
 attribuita ai sei 
Stati fondatori.  
Il basso profilo adottato in materia sociale può trovare una spiegazione in tre diverse 
considerazioni: 
                                                 
2
 V. Baylos Grau A., Caruso B., D’Antona M. e Sciarra S. (a cura di), Dizionario di Diritto del Lavoro Comunitario, 
1996, Bologna, Monduzzi editore, p. 165: “il processo evolutivo del dialogo sociale appare simile e per certi versi 
parallelo a quello che caratterizza la politica sociale nel corso della storia giuridico-politica della Comunità”. 
3
 Cfr. Santoro Passarelli Giuseppe, Tendenze della politica sociale nell’ordinamento comunitario, in Diritto delle 
Relazioni Industriali, 1995, n. 2, p. 141. 
 8
a) Le rilevanti differenze fra i sistemi sociali degli Stati membri rendevano 
difficile un’incisiva azione sociale della nascente Comunità mirata ad una loro 
armonizzazione; 
b) Secondo una logica fortemente liberista che caratterizza tutto l’impianto 
giuridico europeo
4
, il funzionamento del mercato comune avrebbe 
automaticamente favorito i due obiettivi sociali principali che gli estensori del 
trattato si proponevano, ovvero l’armonizzazione dei sistemi sociali degli Stati 
membri e il “miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano 
d’opera che consenta la loro parificazione nel progresso” (art. 117)
5
.  
c) Come risulta chiaramente dalle disposizioni del trattato, lo scopo principale 
della CEE era l’instaurazione di un mercato unico delle merci, delle persone, 
dei servizi e dei capitali. Funzionalmente a tale obiettivo si rendeva necessario 
armonizzare i sistemi sociali degli Stati membri per non avere uno squilibrio 
eccessivo all’interno del mercato comune che avrebbe falsato la concorrenza. 
Si intendeva insomma limitare eventuali effetti di dumping sociale che 
consentissero a Paesi con bassa protezione sociale dei lavoratori di ottenere 
prezzi di vendita più bassi dovuti ai minori costi sociali sostenuti, ad esempio 
utilizzando la forza lavoro femminile in condizioni di sottoremunerazione 
rispetto a quella maschile. Se nel trattato è stata inserita una parte riguardante 
la politica sociale lo si deve principalmente all’azione della Francia che riuscì 
ad ottenere tale concessione allo scopo di non risultare penalizzata dal proprio 
sistema sociale fortemente garantista
6
, e non perché gli Stati volessero dotare la 
Comunità Economica Europea di efficaci strumenti di azione in campo sociale.   
 
Le norme in materia di politica sociale contenute nel Trattato di Roma, 
successivamente in parte modificate a seguito del processo evolutivo di integrazione 
europea, potevano essere classificate in due tipologie a seconda delle finalità che si 
                                                 
4
 Cfr. Quaderni Federalisti, nuova serie, n. 33 in http://www.cifeitalia.org/quaderni_%20federalisti/33.pdf. 
5
 Cfr. Mazzoni G. (a cura di), La politica sociale della Comunità Economica Europea, 1960, Milano, Giuffrè Editore, 
pp. 3-4. 
6
 Cfr. Quaderni Federalisti, nuova serie, n. 33 in http://www.cifeitalia.org/quaderni_%20federalisti/33.pdf. 
 9
prefiggevano: l’armonizzazione dei sistemi sociali degli Stati membri o il sostegno 
dell’impiego e la regolazione del mercato del lavoro
7
. Tale suddivisione non deve in 
ogni caso essere rigidamente considerata, trattandosi soltanto di una suddivisione 
schematica non presente nel trattato ma elaborata dalla dottrina a scopo chiarificatore. 
Vi possono essere infatti materie a cavallo fra le due categorie, come la formazione 
professionale, compresa nel trattato sia fra le materie oggetto di armonizzazione (art. 
118
8
) sia come misura per incentivare l’occupazione. La materia stessa 
dell’occupazione era compresa nell’articolo 118 come materia soggetta alla 
collaborazione fra gli Stati membri. 
 
Armonizzazione dei sistemi sociali degli Stati membri. 
L’articolo 117 (il primo del Capitolo terzo del Trattato di Roma, interamente dedicato 
alla politica sociale) affermava che “gli Stati membri convengono nella necessità di 
promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera
9
 
che consenta la loro parificazione nel progresso”. Tuttavia, come sopra accennato, 
tale obiettivo, da raggiungere attraverso l’armonizzazione dei sistemi sociali degli 
Stati membri, doveva essere in primo luogo il risultato automatico del 
“funzionamento del mercato comune”. Se questo “automatismo del mercato” non 
fosse bastato a conseguire una tale armonizzazione, si sarebbe potuto ricorrere alle 
“procedure previste dal presente trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative” regolamentate dall’articolo 100.  
Il ravvicinamento delle legislazioni (in generale e quindi anche in materia sociale) 
doveva però avvenire, a norma dall’articolo 3 h del Trattato di Roma, “nella misura 
necessaria al funzionamento del mercato comune”. È quindi palese l’intenzione degli 
                                                 
7
 Tale classificazione è condivisa da buona parte della dottrina. Cfr. ad. es.: Roccella M. e Treu T., Diritto del lavoro 
della Comunità Europea, 2002, 3° ed., Cedam, Padova, p. 6; Kravaritou-Manitakis P., L’emploi selon le Traité de Rome 
et l’action communautaire. Textes et realités in Rivista di Diritto Europeo, 1976, fasc. 1, p. 20; e Pocar F., Diritto 
comunitario del lavoro, 1983, Cedam, Padova, p. 6. 
8
 La numerazione degli articoli del Trattato che istituisce la Comunità (Economica) Europea è stata modificata dal 
Trattato di Amsterdam entrato in vigore il 1 maggio 1999. I numeri degli articoli si riferiscono alla numerazione 
precedente al trattato di Amsterdam. 
9
 Il concetto di “mano d’opera” è stato fin da subito interpretato estensivamente, riferendosi non solo ai lavoratori 
salariati ma anche a tutti coloro che “vivono essenzialmente del reddito del proprio lavoro”. Cfr. Mazzoni G. (a cura di), 
La politica sociale della Comunità Economica Europea, 1960, Giuffrè Editore, Milano, p. 7. 
 10
Stati fondatori di attribuire alla politica sociale un carattere secondario rispetto 
all’obiettivo primario dell’instaurazione del mercato comune e di prevedere 
un’armonizzazione delle norme sociali degli Stati membri soltanto nel caso in cui tali 
norme avessero inciso sul funzionamento del mercato unico e soltanto se il mercato 
non avesse provveduto automaticamente a tale armonizzazione.  
L’articolo 118 forniva una lista non tassativa delle materie ove si auspicava “una 
stretta collaborazione fra gli Stati membri”, che in pratica comprendeva tutti gli 
aspetti principali di politica sociale
10
, ovvero “l’occupazione, il diritto al lavoro e le 
condizioni di lavoro, la formazione e il perfezionamento professionale, la sicurezza 
sociale, la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali, l’igiene del 
lavoro, il diritto sindacale e le trattative collettive tra datori di lavoro e lavoratori.” 
Relativamente a tali materie, il ruolo della Commissione Europea, l’istituzione 
sovranazionale per eccellenza, era assai limitato. Ad essa era riconosciuto 
esclusivamente un ruolo di promozione della collaborazione fra gli Stati membri, di 
presentazione di studi e adozione di pareri non vincolanti. La politica sociale 
rimaneva quindi saldamente in mano agli Stati nazionali, limitando ogni azione 
comunitaria. 
Il trattato affermava poi il principio di parità di retribuzione per uno stesso lavoro fra 
lavoratori maschi e lavoratrici femmine (art. 119) e quello di mantenimento 
dell’equivalenza esistente nei regimi di congedi retributivi (art. 120). A differenza 
delle norme di carattere puramente programmatico, tali principi erano formulati in 
modo chiaro e preciso così da risultare self executing ovvero di immediata 
applicazione
 11
.  
A parte la parità uomo – donna e la materia dei regimi contributivi, le norme di 
politica sociale contenute nel trattato non dotavano di una base giuridica propria 
l’azione comunitaria in tale settore. La base giuridica era pertanto quella rinvenibile 
                                                 
10
 Cfr. Roccella M. e Treu T., op. cit., p. 8. 
11
 Ibidem, p. 206. Da notare come la Corte di Giustizia Europea abbia inizialmente ritenuto applicabile il principio 
soltanto riguardo alle discriminazioni dirette, estendendolo poi anche quelle indirette. Sempre la CGE ha affermato 
anche che la norma è da considerarsi direttamente applicabile davanti alla magistratura nazionale, a prescindere dal 
recepimento interno del principio. Con la sentenza Defrenne del 1976 è stata poi riconosciuta l’efficacia diretta del 
principio anche nei rapporti fra privati.   
 11
dagli articoli 100 e 235
12
. Il primo fungeva da base giuridica generale per il 
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli 
Stati membri che avessero avuto un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul 
funzionamento del mercato unico. Il secondo dotava di una base giuridica accessoria 
quei provvedimenti che si rendevano “necessari, nel funzionamento del mercato 
comune, ad uno degli scopi della Comunità” ma che non erano stati previsti dal 
trattato che non conferiva alla comunità i poteri d’azione a tal uopo richiesti. 
Entrambi gli articoli quindi legittimavano quanto sopra detto a proposito della 
subordinazione della politica sociale rispetto all’obiettivo primario dell’instaurazione 
del mercato unico, ed inoltre richiedevano l’unanimità in sede di Consiglio, che 
rappresentava un ulteriore intralcio all’attuazione di una politica sociale comunitaria. 
 
Sostegno dell’impiego e regolazione del mercato del lavoro. 
Il Trattato di Roma non prevedeva una vera e propria politica dell’occupazione, ma è 
possibile parlare in proposito di una più modesta politica di sostegno all’occupazione. 
Nonostante l’occupazione fosse una preoccupazione centrale del trattato, come si 
evince dal preambolo ove si afferma che gli Stati firmatari riconoscono come scopo 
essenziale il miglioramento costante delle condizioni di occupazione, scarsi si 
presentavano essere gli strumenti di cui la nascente Comunità Economica Europea si 
dotava per affrontare il problema della disoccupazione in chiave sociale, nella 
convinzione che il miglioramento delle condizioni occupazionali sarebbe stato un 
effetto automatico dello sviluppo economico.  
L’azione comunitaria tesa a sostenere l’occupazione si concretizzava nelle norme 
riguardanti la libera circolazione dei lavoratori, la formazione professionale ed il 
Fondo Sociale Europeo
13
.  
La libertà di circolazione dei lavoratori era sancita dall’articolo 48 per quanto 
riguardava i lavoratori subordinati; dall’articolo 52 sul diritto di stabilimento e 
                                                 
12
 Cfr. Quaderni Federalisti, nuova serie, n. 33 in http://www.cifeitalia.org/quaderni_%20federalisti/33.pdf. 
13
 Tale classificazione è adottata da buona parte dalla dottrina, v. Roccella, Treu, op. cit., p. 6 e Kravaritou-Manitakis P, 
op. cit., p. 20. 
 12
dall’articolo 59 sulla libera prestazione dei servizi con riferimento ai lavoratori 
autonomi
14
. Intimamente connessi alla libertà di circolazione dei lavoratori 
risultavano altresì essere gli articoli 50 e 51, relativi allo scambio di giovani 
lavoratori ed alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti
15
.  
Attuando la possibilità per i lavoratori subordinati di spostarsi senza impedimenti 
all’interno del territorio comunitario per rispondere ad offerte di lavoro effettive e 
prevedendo “l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i 
lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre 
condizioni di lavoro” (art. 52), il trattato intendeva favorire movimenti migratori da 
Paesi con deficit strutturali di occupazione verso quei Paesi con una maggiore 
richiesta di lavoratori, attuando così una forma di riequilibrio che avrebbe dovuto 
aumentare il livello occupazionale della Comunità favorito dall’allargamento del 
mercato del lavoro e quindi configurandosi quale “strumento d’ordine sociale”
16
. 
Similmente a quanto detto precedentemente, anche queste disposizioni lasciavano 
all’automatismo del nascente mercato unico europeo il realizzarsi di istanze sociali. 
Un altro modo previsto dal trattato per realizzare una politica di sostegno 
all’occupazione era “l’adozione di principi generali per l’attuazione di una politica 
comune di formazione professionale che [potesse] contribuire allo sviluppo 
armonioso sia delle economie nazionali sia del mercato comune” (articolo 128). 
Rispetto alle più blande norme previste nelle altre materie del lavoro, dove si parla di 
armonizzazione delle normative nazionali, gli Stati membri affermarono in modo 
maggiormente deciso il loro impegno sociale nel campo della formazione 
professionale, parlando esplicitamente di una “politica comune”
17
. Il trattato 
riconosceva inoltre alle istituzioni comunitarie un ruolo maggiormente decisivo in 
materia. Rispetto agli altri aspetti di politica sociale, per i quali si prevedeva 
                                                 
14
 La libera circolazione delle persone cui l’articolo 3 c) si riferisce unitamente a quella dei capitali e dei servizi, è da 
intendersi in chiave prettamente economica. La libera circolazione delle persone che prescinde dalle attività economiche 
sarà invece attuata dagli Accordi di Schengen del 1985 e la relativa Convenzione di applicazione del 1990 (cfr. 
Galantino L., Diritto comunitario del lavoro, terza edizione, 2001, Giappichelli editore,Torino, p. 67).  
15
 Cfr. Mazzoni G., op. cit., p. 19. 
16
 Così si esprime Lambert L., membro nel 1960 dell’allora Direzione Affari Sociali della CEE, cit. in Mazzoni G., op. 
cit., p. 14.  
17
 Cfr. Kravaritou-Manitakis, op. cit., p. 26 e Roccella M., Treu T., op. cit., p. 7.  
 13
un’armonizzazione risultante dalla collaborazione degli Stati membri che poteva 
essere tuttalpiù favorita dalla Commissione, gli indirizzi di politica comune in 
materia di formazione erano fissati dal Consiglio “su proposta della Commissione e 
previa consultazione del Comitato Economico e Sociale”. 
Il terzo elemento di sostegno dell’impiego e regolazione del mercato del lavoro era 
rappresentato dal Fondo Sociale Europeo, regolamentato dal Capo II del Terzo 
Capitolo riguardante la politica sociale, dagli articoli che andavano dal 123 al 127. 
Il fondo aveva il compito di “promuovere all'interno della Comunità le possibilità di 
occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori”. La mobilità dei 
lavoratori veniva così promossa in modo diretto, riflettendo la convinzione che il 
semplice abbattimento degli ostacoli che limitavano la libertà di circolazione non 
sarebbe stato sufficiente ad aumentare la mobilità
18
.  
Inoltre il fondo costituiva lo strumento operativo e finanziario per realizzare la 
politica comune di formazione professionale
19
. Pur se non previsto fra gli obiettivi del 
fondo, esso ha avuto l’effetto indiretto di armonizzazione delle disposizioni degli 
Stati membri, armonizzazione necessaria per utilizzare lo strumento finanziario
20
, a 
conferma di quanto sopra detto riguardo alla non rigidità della classificazione fra 
norme che si prefiggono l’armonizzazione dei sistemi sociali degli Stati membri e 
quelle di sostegno all’occupazione. 
 
Questo era in sintesi il quadro che regolava la politica sociale all’indomani della 
creazione della Comunità Economica Europea. Molte delle norme in questione erano 
di natura programmatica e quindi non precettiva. Particolare rilievo assumevano le 
dichiarazioni di principi quali la libera circolazione dei lavoratori subordinati, la 
conseguente parità di trattamento fra lavoratori di nazionalità diverse (art. 48) e la 
parità uomo - donna (art. 119), per il fatto che si trattava di norme self – executing e 
che disponevano di una propria base giuridica.  
                                                 
18
 Cfr. Roccella M., Treu T., op. cit., p. 7. 
19
 Cfr. Galantino L., op. cit., p. 62. 
20
 Cfr. Petrilli G., citato in Mazzoni G., op. cit., p. 6. 
 14
Fino al primo programma di azione sociale del 1974, che costituirà fattore di impulso 
per la politica sociale, l’azione comunitaria si indirizzò principalmente verso la 
regolamentazione della libera circolazione dei lavoratori, tenendo conto degli aspetti 
di protezione sociale dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, nell’elaborazione di 
studi e ricerche e nella considerazione di aspetti sociali all’interno di politiche 
settoriali come quella dei trasporti e quella agricola, oltre che nell’adozione di pareri 
non vincolanti da parte del Comitato Economico e Sociale, creato dal Trattato di 
Roma come organismo consultivo, ma nulla più
 21
. 
 
 
 
1.2 Il vertice di Parigi e il programma di azione sociale del 1974. 
 
Durante gli anni ’60, oltre allo scarso sviluppo della politica sociale, si registrò un 
aumento delle disparità economiche e sociali fra gli Stati membri della Comunità 
Economica Europea. La fede del mercato come automatico generatore di benessere e 
livellamento sociale venne quindi scossa
22
. Ad esso si aggiunse, come fattore che 
imponeva di portare l’attenzione alla politica sociale, il forte clima di tensione sociale 
che caratterizzava l’Europa dalla fine degli anni ’60
23
.   
La politica sociale fu oggetto di riflessione nel vertice di Parigi del 1972, dove i capi 
di Stato o di governo degli Stati membri della CEE giunsero ad affermare che la 
politica sociale rivestiva “un'importanza pari a quella della realizzazione dell'unione 
economica e monetaria”, di cui si cominciò a parlare nel corso dello stesso vertice. 
Nonostante l’arditezza di tale affermazione, che rimaneva comunque una 
dichiarazione astratta e senza nessun valore pratico, l’intenzione era quella di evitare 
il fenomeno del dumping sociale e le conseguenti distorsioni alla concorrenza causate 
da normative sociali non armonizzate. Ne è un esempio la legislazione comunitaria 
                                                 
21
 Cfr. Grandi M., L’Europa sociale fra divergenze e convergenze, in Lavoro e Diritto, 1992, p. 6. 
22
 Cfr. Quaderni Federalisti, nuova serie, n. 33, in http://www.cifeitalia.org/quaderni_%20federalisti/33.pdf. 
23
 Cfr. Roccella M., Treu T., op. cit., p. 10. 
 15
che fu adottata sulla parità uomo – donna, fortemente voluta dalla Francia che aveva 
una normativa con elevati standards di protezione e che avrebbe potuto rappresentare 
uno svantaggio economico per il Paese all’interno del mercato comune
24
. 
Al vertice seguì, nel gennaio del 1974, l’adozione da parte del Consiglio di un 
programma di azione sociale
25
, che fu il primo di una serie di programmi in campo 
sociale.  
Sotto l’impulso delle dichiarazioni programmatiche contenute nel documento, si 
adottarono una serie di direttive che riguardavano diversi aspetti di politica sociale, 
anche se non si toccarono tutti i punti previsti nel programma di azione. Fra le più 
significative vanno annoverate le direttive in materia di parità fra lavoratori di sesso 
maschile e quelli di sesso femminile
26
, di sicurezza nel lavoro
27
, di formazione 
scolastica dei figli dei lavoratori migranti
28
, di diritti dei lavoratori in caso di 
trasferimento di imprese
29
 e di insolvenza del datore di lavoro
30
.  
Vi fu quindi un utilizzo della direttiva allo scopo di armonizzare le legislazioni degli 
Stati membri (tutte le summenzionate direttive si pongono infatti questo scopo) 
attraverso il ricorso all’articolo 100 del trattato. La direttiva è lo strumento giuridico 
comunitario più adatto per armonizzare le legislazioni nazionali perché lascia libertà 
agli Stati membri su come attuare il risultato che si prefigge
31
. 
L’armonizzazione di aspetti di politica sociale venne quindi sottratta alla mera 
collaborazione fra Stati membri, come l’articolo 118 disponeva, anche se l’uso degli 
articoli 100 e 235 come base giuridica presentavano i suddetti limiti riguardo al 
                                                 
24
 Ibidem. 
25
 Il programma di azione sociale del 1974 è pubblicato in G.U.C.E., n. C 013 del 12/02/1974 pp. 1-4. Esso è stato 
adottato dal Consiglio, visto il relativo progetto della Commissione, il parere del Parlamento Europeo e il parere del 
Comitato Economico e Sociale. 
26
 Segnatamente la direttiva 75/117/CEE del Consiglio sulla parità di retribuzioni, in G.U.C.E. n. L 45 del 19/02/1975, 
pp. 19-20, che utilizza la base giuridica fornita dall’articolo 119 e ne rappresenta una disposizione di attuazione e la 
direttiva concernente la parità di trattamento in materia di accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione 
professionali e le condizioni di lavoro, in G.U.C.E. n. L 39 del 14/02/1976, pp. 40 -42, che invece si rifà all’articolo 
235.  
27
 In tema di sicurezza nel lavoro, numerose direttive vennero elaborate nella seconda metà degli anni ’70 e nel corso 
degli anni ’80, a seguito dell’adozione di due programmi specifici adottati con decisione del Consiglio nel 1978 e 1984. 
Cfr. Roccella M., Treu T., op. cit., p. 267. 
28
 Direttiva 77/486/CEE in G.U.C.E. n. L 199 del 06/08/1977 pp. 32-33. 
29
 In G.U.C.E n. L 61, del 05/03/1977, pp. 26 – 28. 
30
 Direttiva 80/987 in G.U.C.E.  n. L 283 del 28/10/1980, pp. 23-27.  
31
 V. ex articolo 189 (ora 249): “la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da 
raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. 
 16