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1  ANALISI DEL SETTORE MODA 
 
1.1 La moda: definizione ed evoluzione 
Il termine “moda” rappresenta da sempre un concetto di ardua definizione sul 
quale si è sviluppato da molti anni un nutrito dibattito. Come sostiene Ted 
Polhemus, la parola “moda” non contiene in sé nessun significato specifico, 
ma si configura come un termine acchiappatutto: 
«Vestiti, gioielli, scarpe, trucco, acconciature, tatuaggi, lingerie, uniformi 
militari […] nelle librerie da me frequentate tutte queste voci rientrano in 
quella classificazione. In altre parole, il termine “moda” è diventato né più né 
meno che un termine - acchiappatutto, usato per tutto quanto ha a che fare 
con il corpo, con l’adornarlo e il coprirlo: è un sinonimo di “stile”, 
“abbigliamento”, “costume”, al quale, a conti fatti, non corrisponde alcun 
significato specifico»
1
. 
La parola “moda” compare per la prima volta in Italia attorno alla metà del 
Seicento, come traduzione del termine mode, utilizzato in Francia dal 1482 al 
posto di manière e façon, per segnalare uno specifico tipo di abbigliamento.  A 
sua volta il termine deriva dal latino modus, che significa “modo”, “maniera”, 
“scelta”, “giusta maniera”.  
                                                
1
 T. POLHEMUS, Fashion victims e strateghi dello stile, in P. COLAIACOMO, V.C. 
CARATOZZOLO (a c. di), 2002
8 
Sebbene quindi non si possa rintracciare una definizione univoca del termine, 
nella lingua italiana sono comunemente accettate due definizioni: da un lato la 
“moda” è intesa come «complesso di atteggiamenti, consuetudini, modelli di 
comportamento che si affermano a livello collettivo come attuali e adeguati al 
gusto del momento, in relazione a un determinato periodo storico e a una 
determinata area geografica»
2
, dall’altro invece come «l'insieme di tutto ciò 
che riguarda l'abbigliamento, dall'industria ai capi prodotti»
3
. 
Nell’immaginario collettivo, un certo fenomeno o piuttosto un dato prodotto è 
ritenuto di moda «se nell’istante in cui se ne parla ha raggiunto un diffuso 
apprezzamento da parte di un certo pubblico in un determinato contesto»
4
. 
Da tali definizioni si evince che per analizzare e capire effettivamente che cosa 
sia la moda, bisogna inserire tale “oggetto” all’interno di una serie di fenomeni 
di natura culturale, psicologica, storica ed economica, poiché ciò che viene 
individualmente percepito come “di moda” , deve confrontarsi con un sistema 
di regolamentazione sociale, data la stretta connessione tra l’evoluzione della 
moda nell’abbigliamento e la storia dell’umanità.  
Gli studiosi del fenomeno “moda” hanno tradizionalmente attribuito 
all’abbigliamento due diverse funzioni: protezione e pudore. In relazione al 
primo aspetto, la protezione, è facile capire come coprire il proprio corpo è 
stata la forma maggiormente utilizzata per proteggersi contro il freddo e le 
                                                
2
 A. GABRIELLI, Grande dizionario Hoepli Italiano, Hoepli, 2011 
3
 F. SABATINI, V. COLETTI, Il Sabatini Coletti dizionario della lingua Italiana, Rizzoli 
Larousse, 2008 
4
 S. SAVIOLO, S. TESTA, Le imprese del sistema moda. Il management al servizio della 
creatività, Etas, Milano, 2000
9 
intemperie. Da tale evidenza è stato dapprima teorizzato che il bisogno di 
vestirsi fosse di natura universale, per poi mostrare che in realtà il clima molto 
rigido non implichi necessariamente tale necessità, com’è stato scoperto dagli 
studi antropologici condotti sul vestiario degli estinti aborigeni della Terra del 
Fuoco, dove il clima raggiunge temperature molto al di sotto dello zero
5
. 
L’abbigliamento ha quindi delle origini più profonde, legate come si è detto a 
fenomeni di natura culturale, diventando quindi un veicolo per manifestare la 
propria appartenenza a un determinato status sociale. A proposito della 
seconda funzione dell’abbigliamento, si ricorre al vestiario per non provare 
vergogna, soprattutto evitando così di mostrare le proprie parti intime. Su 
questo tema è chiaramente forte l’influenza della morale sociale e in 
particolare di quella religiosa.  
Oltre alle citate funzioni, l’abbigliamento ha svolto nel tempo altre importanti 
finalità, collegate con il bisogno di ornare e decorare il proprio corpo. Infine, 
alle suddette funzioni, se ne aggiungono delle altre, strettamente connesse al 
concetto di abbigliamento. L’idea sociale di quest’ultimo, è diventata 
parecchio farraginosa da quando è iniziata una complessa evoluzione storica 
che l’ha rapportato al concetto di moda, la quale, per ovvie ragioni socio – 
culturali, non è stata presente in tutte le epoche storiche, né tantomeno nelle 
diverse civiltà che nel corso della storia si sono succedute. 
La moda in quanto tale è apparsa nella cultura occidentale soltanto a partire 
dalla fine del Medioevo, e più precisamente dalla seconda metà del Trecento. 
                                                
5
 E. CERULLI, Vestirsi, spogliarsi, travestirsi, Sellerio, Palermo, 1981
10 
Infatti, prima e durante l’”età di mezzo”, l’abbigliamento delle persone era 
all’incirca solito e consueto: l’abito rappresentava un vero e proprio costume, 
simbolo di una società standardizzata e aggrappata a forti valori culturali e 
religiosi, dove tutto ciò che proveniva dal passato, rappresentava un esempio 
da seguire per tutti gli individui. Tale status subisce una radicale svolta con lo 
sviluppo del Rinascimento e la conseguente disgregazione della cultura 
medievale: il cambiamento, l’idealizzazione del nuovo e il mito del progresso, 
divengono ideali da perseguire, che devono trainare l’individuo a muoversi 
verso il presente e il futuro. E’ in questo periodo che il singolo si rende conto 
di potersi liberare dagli ingombranti vincoli sociali tradizionali e dalle 
costrizioni imposte dalla morale religiosa, così da potersi sentire pienamente 
libero nelle proprie scelte personali e soprattutto estetiche
6
. 
Un’importante tappa nell’evoluzione della moda, è rappresentata dalla 
costituzione del mercato dei tessili, risalente alla Francia del regno di Luigi 
XIV. La corte Francese, luogo caratterizzato da forte competizione e 
seduzione, rivestirà per molto tempo un ruolo primario nell’ideazione, 
realizzazione e commercializzazione di nuovi modelli, fino all’epoca della 
Rivoluzione Francese. Durante questo particolare periodo storico, l’industria 
della moda è stata contraddistinta da un’interruzione nella sua ascesa, per poi 
riprendere vigore nell’Ottocento, secolo particolarmente cruciale, 
contrassegnato da un forte processo di mutamento, che ha portato la moda in 
                                                
6
 G. LIPOVETSKY, L’impero dell’effimero, Garzanti, Milano, 1989
11 
quella che è stata definita la sua fase “moderna”
7
. Quest’ultima è stata fatta 
coincidere, dagli studiosi, con la nascita dell’alta moda, ovvero con la 
creazione di un sistema assai complesso e strutturato di ideazione nonché 
produzione degli abiti, seppur qualificabile ancora come artigianale, e avente 
come destinatario principale una ristretta cerchia sociale.  
Generalmente si sostiene che l’alta moda sia nata nel 1857, con l’apertura a 
Parigi in rue de la Paix, dell’atelier del couturier inglese Charles-Frédéric 
Worth. Quest’ultimo, definito “l’inventore dell’alta moda”, cercò di imporre 
nel panorama parigino un proprio stile, che si differenziò profondamente dal 
lavoro prettamente esecutivo eseguito dalle oltre 850 sarte che operavano per 
conto dell’aristocrazia francese. Il lavoro di Worth che, per la sua proposta 
decisamente nuova e accattivante scardinò i vecchi sistemi, si concentrava 
sulla creazione di modelli inediti che, dopo essere stati confezionati in 
anticipo, venivano presentati alle potenziali clienti in una vera e propria sfilata 
di moda. Le clienti dello stilista inglese dovettero pertanto abbandonare il loro 
ruolo di “creatrici delle mode”, dovendo piuttosto limitarsi a scegliere tra il 
ventaglio delle proposte già create, che in seguito venivano poi confezionate su 
misura in base alle specifiche esigenze di ognuna. Il potere di creare le mode 
passò così al couturier, che diventò presto il nuovo specialista dell’eleganza, 
ritagliandosi un  ruolo simile a quello di un artista, con la facoltà di poter 
creare nuove forme senza limitarsi a essere un semplice strumento 
d’espressione della personalità della cliente. Attraverso questa intuizione, il 
                                                
7
 G. LIPOVETSKY, op. cit.
12 
“padre della moda francese” ebbe un successo enorme, testimoniato dal fatto 
che solo dopo dieci anni dall’apertura del suo primo atelier, era riuscito a 
raggiungere il numero allora straordinario di più di 1200 dipendenti. In breve 
tempo Worth venne conosciuto e apprezzato oltre i confini nazionali, e giocò 
un ruolo di primo piano nel rivoluzionare le abitudini del vestire, introducendo 
la specializzazione professionale nel campo della moda e, orientando le scelte 
dei clienti, arrivò a imporre un ritmo al ciclo delle mode creando il concetto di 
stagionalità.  
Con l’apertura nel 1824 a Parigi del primo grande magazzino di 
“abbigliamento pronto”, La belle jardiniére, accanto al sistema dell’alta moda, 
si sviluppa il nuovo settore industriale della confezione di abiti, il quale 
inizialmente era concentrato sulla creazione di abiti da lavoro, per poi 
incominciare, negli anni Quaranta dell’Ottocento, a confezionare normali abiti 
civili economici. E’ in questi anni che l’introduzione di nuove macchine 
tessili, unite all’invenzione dei primi coloranti chimici, rivoluzionarono i 
tradizionali metodi di produzione industriale. Lo sviluppo definitivo della 
confezione di abiti si ebbe però soltanto con l’invenzione della macchina da 
cucire, introdotta nel 1830 da Barthélemy Timonnier e perfezionata 
successivamente nel 1851 dallo statunitense Isaac Merrit Singer, che sancì la 
nascita del Prêt à - Porter. Si può dunque affermare che la rivoluzione 
industriale spianò il cammino all’evoluzione della moda moderna, portando a 
un processo di democratizzazione della moda stessa, favorito oltretutto da un 
significativo incremento nei redditi di quei paesi che stavano conoscendo un
13 
periodo d’intensa crescita economica. Con la contrapposizione del lusso e del 
buon mercato, degli abiti su misura e in serie, si costituì così 
nell’abbigliamento un duplice sistema, che vedeva da un lato l’alta moda con 
un ruolo determinante nella creazione delle mode mediante le nuove 
collezioni, dall’altro la confezione industriale, che attraverso un processo 
d’imitazione, si proponeva di rendere accessibili alle classi popolari i modelli 
che erano in realtà ideati per la classe più abbiente della popolazione. Nel 
frattempo iniziarono a diffondersi nuove modalità di distribuzione, con la 
comparsa all’interno delle gallerie dei primi negozi di abbigliamento intorno al 
1780, e successivamente dei grandi magazzini. Un ulteriore canale di 
diffusione della moda, fu poi rappresentato dalla nascita della prima stampa di 
settore, con la rivista francese “Le journal del Dame set des Modes” del 1797. 
Ciononostante è da segnalare che l’alta moda, tra il 1800 e il 1900, 
rappresentava un oggetto destinato quasi esclusivamente alla classe agita, la 
quale provava il bisogno di sottolineare la propria distanza sociale rispetto alle 
masse popolari e alla nascente borghesia.  
Per quanto riguarda il Prêt à – Porter, uno sviluppo emblematico si ebbe a 
partire dal 1863, anno in cui Ebezener Butterick, fondatore della Butterick 
Pattern Company, istituì un nuovo sistema di produzione, basato sulla 
creazione di modelli in serie e in misure diverse
8
. Tutto ciò, evidenzia lo 
stretto rapporto che si creò in questa fase storica tra l’industria e la moda. 
                                                
8
 A. FOGLIO, Il marketing della moda. Politiche e strategie di fashion marketing, F. Angeli, 
Milano, 2007
14 
Quest’ultima, pur mantenendo un’essenza sartoriale, iniziò a spostarsi 
gradualmente verso nuove tipologie di produzione, quali appunto la 
produzione di massa, che vedeva la sostituzione della mano del sarto con le 
macchine da cucire.  
Il dualismo tra alta moda, rivolta esclusivamente alla classe benestante, e moda 
pronta, destinata alla classe medio – borghese, inevitabilmente caratterizzata 
da prezzi più accessibili e da produzioni su larga scala, ebbe una tregua dopo 
la seconda guerra mondiale. Infatti, a partire dall’”età dell’oro”, gli anni 
Cinquanta, le grandi e prestigiose firme dell’alta moda iniziano a convivere 
pacificamente con il settore del Prêt à – Porter, ognuno rivolto ad una 
specifica domanda, senza sovrapposizioni in termini di offerta.  
Le innovazioni tecnologiche, come il perfezionamento della macchina da 
cucire e la cucitura laser, unite ad una maggiore automazione permessa 
dall’utilizzo del computer, permisero agli stilisti, a partire dagli anni Sessanta, 
di offrire sul mercato modelli che si potevano produrre in serie, e quindi a 
prezzi più accessibili. Come se ciò non bastasse, una novità di gran peso, è 
stata rappresentata da un crescente coinvolgimento di un pubblico più giovane, 
che fino a quegli anni, era rimasto per così dire escluso dalle logiche che 
ruotavano intorno al sistema dell’alta moda, rifiutando di conformarsi alle 
convenzioni e alle tradizioni. Tale democratizzazione, è stata senza dubbio 
favorita sia da un sempre più affermato impianto comunicativo, sia 
dall’introduzione di un sistema di licenze, che di fatto consentiva lo 
sfruttamento della firma di moda su accessori, bigiotteria, scarpe e calze.
15 
Da questo periodo in poi il Prêt à – Porter si sviluppa in due rami principali: 
da un lato troviamo quello griffato dei grandi stilisti, vedi Valentino, Armani, 
Dior, dall’altro quello prodotto in maniera industriale con marchi aziendali 
come Benetton, Max Mara e Fiorucci.  
Fu così che, nel pieno degli anni Settanta, in Francia, la moda iniziò 
ufficialmente a democratizzarsi. Tale processo vide come protagonista 
indiscusso Didier Grumbach, fondatore del gruppo Créateurs et Industriels. Le 
sfilate parisienne di Prêt à – Porter si trasformarono in spettacolari 
palcoscenici, abbandonando le abituali e ormai banali passerelle. Si trattò di un 
vero e proprio divorzio dall’Alta Moda, il quale fu destinato a consolidarsi 
negli anni Ottanta. 
Con gli anni Ottanta si assiste a una decisa globalizzazione del mercato, dei 
consumi e dei prodotti, che porta la moda a diventare definitivamente 
internazionale. In Italia si affermano marchi con prodotti ben definiti, come ad 
esempio Benetton, accompagnati inoltre dalla comparsa di quella che è stata 
definita la “seconda generazione di stilisti”: Valentino, Versace, Trussardi, 
Armani, Missoni e altri. A diventare diretta concorrente della Francia non fu 
solo l’Italia. Nel giro di pochi anni, anche l’Inghilterra e la Germania 
conquistarono le passerelle a colpi di stile e innovazione. Gli Stati Uniti 
d’America si fecero poi portavoce di un nuovo concetto di moda, quello 
classico-sportivo, contraddistinto da una particolare attenzione per la 
funzionalità e praticità dei capi d’abbigliamento. I tre nomi illustri della scena 
americana, capaci di conquistare in tempi brevi risonanza mondiale erano,
16 
senz’altro, Donna Karan, Calvin Klein e Ralph Lauren. Nel palcoscenico delle 
mode internazionali, un posto di particolare prestigio venne occupato sin da 
subito, dal giapponese e avanguardista Kenzo. Quest’ultimo, noto come lo 
stilista dai materiali insoliti, rappresentò il capostipite di quella moda 
all’avanguardia in cui l’abito veste il corpo non curandosi del sesso. 
Dagli anni Novanta il sistema della moda muta nuovamente le sue 
caratteristiche peculiari, a causa di un processo di volgarizzazione dello stilista 
avutosi nel decennio precedente. Quest’ultimo, infatti, era solamente 
preoccupato di apportare la propria firma su tutto quello che veniva immesso 
nel mercato, con un’ attenzione ridotta verso la qualità dei prodotti offerti. 
Questa crisi d’immagine ha generato, come immediata conseguenza, una 
sempre maggiore richiesta di qualità da parte del cliente nella scelta dei 
prodotti, diventato oramai più cauto e meno attratto dai capi “di moda”, e 
orientato quasi esclusivamente su articoli con un elevato rapporto qualità - 
prezzo. E’ proprio in questi anni che si assiste a una contrapposizione tra stile 
e moda: lo stile non è altro che una rappresentazione ed esternazione della 
propria identità individuale, che in quanto appartenente al singolo, può essere 
divergente dal ciclo della moda, potendo anche attraversarlo con originalità, e 
prendendo dalle diverse tendenze in atto ciò che può riuscire a definire un 
risultato del tutto personale.  
Il consumatore passa «dalla ricerca compulsiva della novità a ogni cambio di 
stagione all’adozione di uno (o più) stili vestimentari relativamente stabili nel 
tempo. La moda effimera, costantemente in fieri, sembra divenire appannaggio
17 
di settori minoritari e molto giovani della popolazione»
9
. Lo stile risulta 
dunque essere fortemente legato a una consapevolezza del proprio modo di 
essere, e si fa portatore dei valori individuali di una persona, oltre a offrire una 
funzione di appartenenza a specifici segmenti socio-culturali. 
La grave crisi che nell’ultimo decennio ha fatto da padrona in ogni settore 
economico, si è rivelata maggiormente dannosa per i settori oggetto di studio 
del presente lavoro, ovvero il mercato della moda e quello dei beni di lusso. La 
volatilità tipica dell’industria della moda, è stata accentuata sia dall’instabilità 
che ha prevalso nei mercati internazionali a partire dal 2001, sia dal 
peggioramento del quadro politico internazionale, fattori che combinati 
insieme hanno portato come conseguenza un’inevitabile contrazione dei 
consumi. Altri sono stati poi fenomeni importanti di questa fase regressiva: da 
un lato i mercati dei paesi maggiormente sviluppati hanno conosciuto una 
pesante battuta d’arresto nel loro processo di crescita, dall’altro si è fatta strada 
la dannosa tendenza di concentrare la produzione in quei paesi che, per 
antonomasia, hanno sempre avuto un costo del lavoro molto basso, prima tra 
tutti Hong Kong, Cina, Taiwan e le Filippine.  
L’odierno ambiente competitivo del settore moda è quindi in continua e rapida 
evoluzione, influenzato da un cambiamento negli equilibri sociali, politici e 
geografici, che hanno determinato l’ingresso nel mercato di nuovi paesi in 
concorrenza e un’intensa apertura verso nuovi luoghi di commercio. Inoltre, il 
progresso tecnologico ha giocato un ruolo preponderante, permettendo alle 
                                                
9
 G. FABRIS, Sociologia dei consumi, Hoepli, Milano, 1971
18 
aziende di poter accorciare i tempi di risposta verso il cliente, grazie ad una più 
estesa rete di comunicazione da parte delle imprese, a fronte però di una 
richiesta di manodopera sempre più specializzata e preparata. Quando detto 
rende implicita una conseguenza: le aziende che vorranno differenziarsi e 
ottenere un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti, dovranno 
focalizzare i loro sforzi sul coinvolgimento e sulla conseguente soddisfazione 
delle richieste del cliente, divenuto in tale scenario, il vero dominatore. 
Quest’ultimo, col passare degli anni, ha accresciuto la propria consapevolezza 
e autonomia di giudizio, diventando maggiormente esigente e sempre più 
spesso alla ricerca di esperienze di acquisto entusiasmanti, che vanno al di là 
del semplice acquisto del prodotto, il quale tra l’altro vede accorciarsi 
drasticamente il proprio ciclo di vita.  
 
 
 
1.2 Caratteri generali e teorie sulla moda 
Il precedente excursus sulla nascita e la storia della moda, evidenzia come il 
suo tratto caratteristico sia l’instabilità nel tempo. La moda, infatti, risponde a 
quella che è stata definita la “legge della variabilità”: essa ridisegna 
continuamente ciò che può essere considerato di moda e ciò che non lo è
10
. La 
costante innovazione e il conseguente susseguirsi di cicli, caratterizzati dalla 
                                                
10
 G. CERIANI, Moda: regole e rappresentazioni. Il cambiamento, il sistema, la comunicazione, 
F. Angeli, Milano, 1995
19 
produzione incessante di nuove forme, rappresentano due fenomeni che da 
sempre si sono manifestati nella moda, a partire dalla sua comparsa sulla scena 
sociale. Una delle giustificazioni che meglio può spiegare il ritmo dei cicli 
della moda, è ascrivibile all’opportunità per le aziende che in tale settore 
competono, di facilitare la domanda del prodotto causandone un rapido 
invecchiamento, e della volontà delle stesse di assecondare costantemente i 
gusti del consumatore attraverso una vasta gamma di prodotti offerti.  
Il “ciclo della moda” è dunque definibile come lo spazio temporale che 
intercorre tra la nascita di una moda e la sua definitiva sostituzione, momento 
quest’ultimo, che coincide con l’ascesa di un’altra moda immediatamente 
successiva
11
. Le fasi che lo contraddistinguono sono cinque: 
1. Introduzione: gli stilisti e le imprese, dopo aver monitorato 
attentamente il mercato per cogliere i bisogni dei potenziali 
consumatori, traducono le esigenze di questi ultimi in una moda che si 
riversa in capi d’abbigliamento, collezioni e stili che verranno percepiti 
come moda emergente. Durante questa fase iniziale, la nuova moda è 
prerogativa di pochi distributori e consumatori, definiti opinion leader, 
i quali hanno come primario obiettivo quello di differenziarsi e di 
esprimere attraverso ciò che acquistano, un proprio sistema di valori e 
credenze; 
2. Crescita e popolarità: per crescere e guadagnare consensi, il nuovo 
stile deve affermarsi in un mercato sempre più ampio, diventando 
                                                
11
 S. SAVIOLO, S. TESTA, op. cit.
20 
quindi una tendenza. Tale processo di diffusione può essere favorito sia 
dall’azione divulgativa esercitata dai media e trade, sia da un 
comportamento imitativo nei confronti di ciò che è adottato dagli 
opinion leader; 
3. Picco della popolarità: durante questa fase, il prodotto di moda 
conquista il massimo della diffusione possibile; 
4. Declino: il prodotto di moda comincia a non avere più alcuna attrattiva 
per i consumatori, i quali saranno invogliati ad acquistarlo sono nel 
caso in cui vengano offerti prezzi convenienti; 
5. Rigetto: il ciclo termina quando il prodotto viene percepito come 
obsoleto e non viene più acquistato dal consumatore, nemmeno a 
seguito di sconti o promozioni.
12
 
Figura 1: il ciclo della moda 
Fonte: S. SAVIOLO, S. TESTA, op. cit. 
 
                                                
12
 A. FOGLIO, op.cit.