momento più che in qualsiasi altro. Ciò causò una progressiva perdita di 
terreno da parte delle compagnie che le condusse alla sconfitta definitiva 
del 1973. 
 
Tab. 1 PRODUZIONE DI GREGGIO DEI PRINCIPALI MEMBRI 
DELL’OPEC, 1965-1973 (mil b/d)
2
 
PAESE   1965   1970   1971   1972   1973 
Iran   1.908   3.829   4.500   5.000   5.900 
Iraq   1.313   1.549   2.100   2.850   3.100 
Arabia 
Saudita 
  2.205   3.799   4.800   6.000   7.600 
Kuwait   2.360   2.990   3.200   3.300   3.000 
Libia   1.219   3.318   2.800   2.200   2.200 
Venezuel
a 
  3.473   3.708   3.500   3.200   3.400 
 
                                                           
2
Fonte: OPEC 1983 e 1986, in Skeet, I., “OPEC: Twenty-five Years of Prices and Politics”, Cambridge, 
Cambridge University Press, 1988, pp.40 e 84. 
  
Tab. 2 PRODUZIONE MEDIORIENTALE COME % DELLA 
PRODUZIONE MONDIALE, 1962-1971
3
 
    1962     30.4 
    1963     25 
    1964     25.8 
    1965     26.4 
    1966     27.2 
    1967     27.3 
    1968     28.1 
    1969     28.6 
    1970     29.3 
    1971     32.4 
 
                                                           
3
Fonte: Statistical Review 1962-1971, in Shwadran, B., “Middle East, Oil and the Great Powers”, Israel, 
Israel University Press, 1973, pag.525. 
  
Tab. 3 PRODUZIONE DI GREGGIO DI USA, URSS E MEDIO 
ORIENTE, 1962-1973 (mil b/d)
4
 
    ANNO       USA     URSS Medio 
Oriente     
    1962      7.337      3.721      2.281 
    1963      7.542      4.121      2.483 
    1964      7.616      4.490      2.768 
    1965      7.804      4.893      3.074 
    1966      8.295      5.337      3.450 
    1967      8.810      5.753      3.712 
    1968      9.096      6.170      4.176 
    1969      9.238      6.611      4.598 
    1970      9.637      7.108      5.158 
    1971      9.463      7.612      5.992 
 
Contemporaneamente all’accresciuto potere di contrattazione dei paesi 
produttori, si verificò una dipendenza sempre più accentuata degli Stati 
Uniti dal petrolio esportato (cfr. Tabb. 4 e 5). Ciò contribuì a mutare le 
condizioni di mercato sulle quali si basavano le trattative. La domanda 
statunitense di petrolio mediorientale crebbe a ritmi incalzanti a partire 
dalla fine degli anni ‘60 e toccò l’apice nel 1973. Tali eventi furono il 
risultato di una concatenazione di circostanze che dettero vantaggi 
importanti ai fornitori e che crearono le condizioni favorevoli per la 
                                                           
4
Fonte: United States Bureau of Mines, World Oil e Oil and Gas Journal, in Jacoby, N.H., “Multinational 
Oil”, N.Y., Macmillan, 1974, pag.153 e in Shwadran, op. cit., pag. 525. 
  
formazione - questa volta efficace - di un cartello di produttori. Quindi, la 
forza contrattuale dell’OPEC fu il risultato dell’interazione tra i nuovi 
equilibri di mercato e la crescente solidarietà e fiducia tra i paesi membri.  
 
Tab. 4 CONSUMO PETROLIFERO, 1962-1973 (mil b/d)
5
 
PAESE   1962   1964   1967   1972   1973 
USA  11.151  11.900  13.600  18.032  16.900 
Europa 
occ. 
  5.180   6.900    9.200  14.092  14.900 
Giappone     934   1.500    2.500   4.376   5.500 
 
Tab. 5 IMPORTAZIONI COME % DEL CONSUMO
6
 
       PAESE           1962           1972 
        USA           20.7           29.7 
     Europa occ.             99             99 
      Giappone          102.1          99.6 
 
La seconda parte intende analizzare il modus operandi attraverso il quale i 
paesi produttori riuscirono a imporsi nel recupero del diritto sulla risorsa 
naturale in questione. L’assunzione del controllo sui prezzi e la 
partecipazione alla proprietà delle concessioni petrolifere sono il punto di 
partenza di questo processo; le incertezze e gli errori della politica estera 
                                                           
5
Fonte: United States Bureau of Mines e BP 1985, in Jacoby, op. cit., pag.55 e in Evans, J., “OPEC, Its 
Member States and the World Energy Market”, London, Longman, 1986, pp.43, 129. 
6
Fonte: BP 1962 e 1972, in Vernon, R. (ed. by), “The Oil Crisis”, N.Y., Norton & Co., 1976, pag.21. 
  
americana, nonché il comportamento delle multinazionali, il punto di 
arrivo; la crisi dei mercati valutari il background.  
All’inizio del periodo preso in esame, furono raggiunti accordi tra i paesi 
esportatori e le compagnie petrolifere sia sul fronte dei prezzi, che su 
quello della partecipazione governativa nelle concessioni petrolifere. 
Nonostante entrambe le parti desiderassero trovare punti di incontro, la 
caduta del valore del dollaro - in base al quale venivano fissati i prezzi - , 
le percentuali dell’inflazione internazionale e l’aumento dei prezzi di 
mercato nei primi anni ‘70 (cfr. Tab. 6) crearono le circostanze che 
minarono alla base gli accordi, mutando le aspettative e delle compagnie e 
dei governi produttori. Di conseguenza, anche ciò che era già stato deciso 
dovette essere rivisto. 
 
  
Tab. 6 PREZZI DI LISTINO PER BARILE DI GREGGIO,  1962-1974 
(US $)
7
 
 ANNO Arabia 
Saudita 
34° 
Kuwait  
31° 
Golfo  
USA 
35° 
Ven e -   
zuela 
35° 
Libia  
39° 
  1962    1.80    1.59    3.05    2.80    2.21 
  1963    1.80    1.59    3.05    2.80    2.21  
  1964    1.80    1.59    3.05    2.80    2.21 
  1965    1.80    1.59    3.05    2.80    2.21 
  1966    1.80    1.59    3.10    2.80    2.21 
  1967    1.80    1.59    3.15    2.80    2.21 
  1968    1.80    1.59    3.15    2.80    2.21 
  1969    1.80    1.59    3.29    2.80    2.21 
  1970    1.80    1.68    3.54    2.80    2.51 
  1971    2.29    2.19    3.60    2.80    3.38 
  1972    2.48    2.37    3.60    2.80    3.61 
 
La mancata risposta politica degli Stati Uniti alla sempre maggiore 
influenza dei paesi esportatori rafforzò la fiducia in se stessi che tali paesi 
avevano peraltro già acquisito. La crescente dipendenza degli Stati Uniti 
dal Medio Oriente fu considerata un campanello d’allarme di imminenti 
carenze energetiche su scala globale, dovute all’esaurimento delle riserve 
petrolifere mondiali. Anche questo contribuì ad accrescere la coscienza dei 
                                                           
7
Fonte: Platt’s Oil Price Handbook, in Jacoby, op. cit., pag.224. 
  
paesi produttori di disporre di una forte posizione nel breve e nel lungo 
periodo. 
La terza e ultima parte prenderà in esame gli avvenimenti che si 
verificarono nel corso del 1973, e, più esattamente, prima dell’ottobre dello 
stesso anno, data in cui si collocano lo scoppio della quarta guerra arabo-
israeliana (6 ottobre 1973) e l’inizio dell’embargo arabo sulle esportazioni 
di petrolio verso i paesi che stavano appoggiando Israele (21 ottobre 
1973). 
L’ascesa al potere di Anwar Sadat in Egitto, nel 1970, fu il punto di 
partenza di una nuova strategia che finì per riguardare tutto il mondo 
arabo. Il leader egiziano, attraverso un’intensa attività diplomatica, riuscì a 
far sposare la sua causa a re Faisal e, di conseguenza, a portare dalla sua 
parte il maggiore produttore di petrolio della regione mediorientale.  
Il profilarsi di un simile scenario, rese plausibile l’ipotesi  che, se si fosse 
verificato uno scontro aperto arabo-israeliano, il mondo intero si sarebbe 
trovato di fronte a una crisi internazionale dell’industria petrolifera. 
L’impreparazione degli Stati Uniti, dovuta non soltanto alla crisi degli 
approvvigionamenti, ma anche e soprattutto allo scandalo del Watergate, 
permise la creazione di un terreno particolarmente fertile per l’utilizzo del 
petrolio come arma di ricatto politico. 
La guerra di ottobre ricondusse tutti gli sviluppi separatamente verificatisi 
a un unico comun denominatore, creando le condizioni per uno scontro 
frontale tra i paesi arabi esportatori e le compagnie. I primi, forti della 
supremazia acquisita, furono in grado di imporre restrizioni sul petrolio, 
nonché nuovi livelli di prezzi. I tentativi delle economie nazionali e 
internazionali di reagire alla nuova situazione, in aggiunta a quelli dei 
paesi dell’OPEC di mantenere le posizioni acquisite, rappresentano le basi 
delle politiche intraprese dopo la crisi del 1973/74. 
  
PARTE PRIMA 
 
 
“Durante gli ultimi nove mesi, vi sono stati dei cambiamenti profondi nel 
mondo petrolifero e l’anno 1970 potrebbe apparire, storicamente, come 
una tappa importante nella storia dell’industria. Ciò non è dovuto a un 
mutamento intervenuto in modo brusco e drammatico; cose del genere non 
succedono nel mondo dell’economia energetica. Questo cambiamento si è 
potuto verificare in quanto certi eventi, fortuiti o predeterminati, hanno 
permesso un’interpretazione del tutto originale dei dati di base 
dell’industria, tanto che dobbiamo concepire il futuro con una mentalità 
completamente diversa dal passato”. 
 
Da: Taki Rifai, La Crise Pétrolière Internationale (1970-71): Essai 
d’Interpretation, Revue Frangiasse de Science Politique, Dic 1972, 
pag.1207. 
  
Nei primi sette anni della sua esistenza, l’OPEC era rimasta una forza 
minoritaria nel mondo dell’industria petrolifera. Gli eventi del 1967 
avrebbero sottolineato l’inadeguatezza dell’azione politica 
dell’organizzazione.  
Con l’aumentare della tensione tra arabi e israeliani, i primi iniziarono a 
pensare all’utilizzo del petrolio come arma di ricatto politico per 
persuadere l’occidente industrializzato, e soprattutto gli Stati Uniti, a porre 
fine all’appoggio fornito a Israele. L’embargo petrolifero, promosso contro 
le nazioni  “amiche” di Israele - soprattutto Stati Uniti, Gran Bretagna e 
Germania Occidentale - ,  fu del tutto inefficace nonostante la 
partecipazione di alcuni tra i maggiori produttori di petrolio del Medio 
Oriente - Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Libia. Così, gli stati produttori 
sembravano aver mostrato, ancora una volta, tutta la loro debolezza 
contrattuale rispetto all’ordine vigente nel mondo del petrolio
8
. 
L’embargo arabo sulle esportazioni verso gli Stati Uniti - che, nei primi 
cinque mesi del 1967, avevano costituito meno del 5% del consumo totale 
petrolifero statunitense - aveva un peso marginale in un momento in cui un 
quarto della capacità produttiva dell’industria petrolifera americana era 
destinato alle riserve
9
. L’occidente nel suo complesso, grazie alla mancata 
partecipazione di Iran e Venezuela alle misure restrittive, non risentì in 
modo particolare della temporanea crisi
10
. 
Le compagnie petrolifere statunitensi furono autorizzate dalla Casa Bianca 
a cooperare per elaborare piani di emergenza  volti a impedire una 
eventuale crisi internazionale delle forniture, nonostante, in realtà, non si 
fosse realisticamente prospettato niente del genere
11
. Inoltre, in accordo 
con recenti regolamentazioni dell’OECD (Organizzazione per la 
Cooperazione e lo Sviluppo Economico), l’Europa occidentale si era 
sensibilizzata, almeno in parte, al problema degli approvvigionamenti e si 
era dotata di una certa quantità di riserve (cfr. Tab. 7).  
                                                           
8
Cfr.: Venn, F., “Oil Diplomacy in the 20th Century”, London, Macmillan, 1986, pp.129-132. 
9
Ibidem. Per “riserva” si intende una certa quantità di greggio che viene trattenuta come stock per poi 
essere utilizzata in momenti di particolare emergenza. Più avanti il concetto sarà ampiamente ripreso. 
10
Cfr.: Yergin, D., “The Prize”, N.Y., Simon & Schuster, 1991, pp.554-558. 
11
Ibidem. 
  
Tab. 7 RISERVE DEI PAESI DELL’OECD, 1970-1975 (mil b/g)
12
 
1970 5.33
1971 5.78 
1972 6.00
1973 5.77 
1974 5.91
1975 6.02 
 
Si consideri, infine, che la dipendenza dei paesi arabi del Golfo dal Canale 
di Suez era diminuita notevolmente già nei mesi precedenti. Ciò fu dovuto 
all’utilizzo sempre crescente di petroliere di grandi dimensioni che 
dovevano sfruttare un’altra rotta, non potendo passare per lo stretto. Presto 
i paesi arabi più moderati - Arabia Saudita e Kuwait - si resero conto 
dell’impossibilità di realizzare un embargo politicamente efficace nelle 
condizioni di mercato del momento e decisero di conseguenza di porvi fine 
nel mese di giugno. L’Iraq rimase isolato nella difesa di una linea rigida, 
ossia di un blocco totale delle esportazioni. Nel giugno 1967 fu stimato che 
Arabia Saudita e Kuwait avevano perso circa 700 mila dollari al giorno di 
introiti, mentre i paesi colpiti dall’embargo riuscirono ad aggirare 
l’ostacolo attraverso l’utilizzo di fonti alternative non arabe
13
. Arabia  
Saudita, Kuwait e Libia, conseguentemente, formarono l’OAPEC
14
 
(Organizzazione dei Paesi Arabi Esportatori di Petrolio) nel gennaio 1968, 
con lo scopo, nelle parole di Yamani - primo segretario generale 
dell’organizzazione - di difendere la produzione petrolifera all’interno 
dell’OAPEC da decisioni improvvise e per fare del petrolio una genuina 
                                                           
12
Fonte: Oil and Gas Journal (1970-1975), in Odell, P.R., “Oil and World Power”, London, Peguin 
Books, 1986, pag.261. 
13
Cfr.: Shwadran, op. cit., pag.526. 
14
L’OAPEC fu costituito nel gennaio 1968. I membri fondatori furono: Kuwait, Libia e Arabia Saudita. 
Successivamente vi presero parte: Abu Dhabi, Algeria, Bahrein, Dubai, Qatar (1970), Egitto, Iraq, Siria 
(1972), Emirati Arabi Uniti (1974) e Tunisia (1982). 
  
arma nelle mani dei paesi membri. Siria ed Egitto furono esclusi di 
proposito dall’OAPEC, mentre l’Iraq rifiutò di parteciparvi. 
Anche la guerra si rivelò una sconfitta totale per i paesi arabi. Essa 
terminò, infatti, con l’occupazione da parte delle truppe israeliane di parte 
del territorio siriano ed egiziano. Il confronto determinatosi nell’estate del 
1967 doveva comunque essere l’ultimo, per molti anni, a vedere i 
produttori sconfitti dalle ragioni delle compagnie. 
Una serie di elementi stavano maturando con estrema velocità, minando le 
basi dell’ordine petrolifero postbellico. Si trattava di elementi 
istituzionalmente estranei all’OPEC, alle sue rivendicazioni e alle sue 
strategie, che riguardavano aspetti finanziari, economici, sociali, politici e 
diplomatici sia del mondo occidentale - e degli Stati Uniti in particolare - 
sia del Medio Oriente. Questi elementi, maturando ed esplodendo, 
avrebbero portato al primo “shock” petrolifero del 1973, dando all’OPEC 
una forza tanto inaspettata quanto effimera. L’OPEC, in altri termini, 
avrebbe beneficiato dell’intreccio congiunturale di una serie di 
avvenimenti, sfruttando una situazione di rendita. Ma essa avrebbe legato 
il proprio prestigio e la propria capacità contrattuale solo a quel tipo di 
posizione, rimanendo intrinsecamente debole e divisa tra le diverse 
aspirazioni - spesso antitetiche - dei suoi membri. Puntualmente, una volta 
passata la congiuntura, avrebbe quindi pagato il prezzo della sua 
debolezza. 
 
  
I. A. LA FINE DELL’ ERA DELLA SOVRAPPRODUZIONE 
Il primo elemento che doveva incrinare - in maniera irreparabile - l’ordine 
petrolifero postbellico, fu la fine della sovrapproduzione petrolifera che 
aveva caratterizzato, con rare e temporanee eccezioni, il dopoguerra.  
Grazie al suo basso costo, il petrolio aveva surclassato ogni altra forma di 
energia, sollecitando nuovi ritmi di produzione di massa, applicazione di 
nuove tecnologie e una vera e propria rivoluzione nel mondo dei trasporti e 
dei servizi pubblici. Nel 1900, la percentuale di petrolio usato negli Stati 
Uniti come riserva energetica era solo l’8%, mentre il carbone costituiva 
l’89%. Nel 1973, il petrolio era salito al 45% e il carbone era sceso al 
20%
15
. La tabella che segue mostra la variazione del consumo delle tre 
principali fonti di energia negli Stati Uniti e in Europa occidentale. 
 
Tab. 8 CONSUMO DI PETROLIO, CARBONE E GAS NATURALE 
COME % DEL CONSUMO ENERGETICO MONDIALE
16
 
ANNO 1960     petrolio     carbone   gas naturale 
USA        42        24         32 
EUROPA 
OCC. 
       30        65          2 
ANNO 1971     petrolio     carbone   gas naturale 
USA         42        19         37 
EUROPA 
OCC. 
        57        30         10 
                                                           
15
Cfr.: Sobel, L.A., “Energy Crisis”, Vol.I, 1969-1973, N.Y., Facts on File, 1974, pag.9.       
16
Fonte: United Nations, Statistical Yearbook, 1960, pp.270-273; World Energy Supplies, 1971, pp.10-33, 
in Jacoby, op. cit., pag.51. 
  
Nel 1968, il consumo interno statunitense era cresciuto tanto da eccedere la 
produzione nazionale e da imporre l’utilizzo delle riserve. L’anno 
seguente, il volume delle importazioni superò, per la prima volta, i tre 
milioni di barili al giorno, mentre il prezzo medio di un barile di greggio 
indigeno salì a $3.09 - quello del petrolio mediorientale era di circa $2
17
.  
A ciò si deve aggiungere che, proprio per il basso costo della materia 
prima, i prodotti petroliferi non erano concepiti secondo modelli di 
risparmio energetico. Basti pensare che le automobili venivano prodotte tra 
gli anni ‘50 e gli anni ‘60 per un pubblico di massa senza alcuna cura per il 
livello di consumo, soprattutto negli Stati Uniti
18
. 
Una spinta importante al maggiore consumo di petrolio l’aveva data il 
sorgere della questione ambientale, che assunse consistenza proprio negli 
anni a cavallo tra il 1967 e il 1972. L’inquinamento prodotto dal carbone e 
lo smog che assediava molte città - i cui servizi pubblici (illuminazione, 
riscaldamento, etc.) non erano stati convertiti al petrolio (o lo erano stati 
solo parzialmente) - furono all’origine delle prime proteste per un 
ambiente migliore. D’altra parte, il petrolio garantiva una soluzione 
efficace del problema, avendo un tasso di inquinamento relativamente 
basso. New York fu la prima grande città a decidere di convertire il proprio 
sistema di riscaldamento a petrolio, nel 1967. Altre seguirono il suo 
esempio, con un ritmo  incalzante
19
.  
Nel suo messaggio sullo stato dell’unione, il 22 gennaio 1970, Nixon 
sottolineò il bisogno di fare progresso senza danneggiare l’ambiente. In 
risposta, il senatore Edmund S. Muskie, il 23 gennaio, presentò un 
programma per controllare l’inquinamento. Muskie era il presidente della 
commissione senatoriale sull’inquinamento dell’acqua e dell’aria e l’autore 
di gran parte della legislazione contro l’inquinamento. 
Il 27 gennaio 1970, un ufficiale della General Services Administration 
(GSA) riferì al Senato su questioni ambientali e rese noto che, nel corso 
dell’anno, più di mille veicoli federali sarebbero stati convertiti a un 
                                                           
17
Ibidem. 
18
Cfr.: Yergin, op. cit., pp.568-569. 
19
Ibidem. 
  
sistema a doppia alimentazione, come parte di un programma 
sperimentale.
20
 
Altre pressioni sulla questione ambientale provennero da Chet Holifield, 
presidente della commissione sull’energia atomica, da Stewart L. Udall, 
già membro dei precedenti governi Kennedy e Johnson, e da vari 
governatori come Ronald Reagan (California), Nelson A. Rockefeller 
(New York), Marvin Mandel (Maryland)
21
. 
Per capire il peso che la questione ambientale ebbe in quegli anni, appare 
significativa la vasta eco di un libro pubblicato nel 1972 e intitolato: The 
Limits of Growth: A Report for the Club of Rome’s Project on “The 
Predicament of Mankind”
22
, che emerse da un lungo dibattito 
sull’argomento. Gli autori sostenevano che, se non fossero mutate alcune 
tendenze di base - crescita demografica, industrializzazione, inquinamento, 
produzione alimentare, consumo energetico, sfruttamento di risorse 
naturali - la crescita industriale sarebbe risultata insostenibile e, nel giro di 
cento anni, il mondo si sarebbe scontrato con “i limiti della crescita”. Lo 
studio metteva in evidenza le conseguenze non solo dello sfruttamento 
delle materie prime, ma anche dell’inquinamento atmosferico provocato 
dalla combustione del carbone. Erano anni di forte crescita  che 
determinavano maggiori consumi energetici, ulteriore corrosione delle 
riserve nazionali statunitensi e, conseguentemente, crescente dipendenza 
dalle importazioni. “The Limits of Growth” divenne argomento di dibattito 
ogni qual volta si ponessero problemi energetici e ambientali e contribuì 
alla diffusione di un certo pessimismo riguardo a potenziali carenze 
energetiche che tanto doveva influenzare le politiche e dei paesi produttori 
e dei paesi esportatori. 
                                                           
20
Per la politica energetica statunitense del periodo in questione cfr.:Knorr, K., “Power and Wealth”, 
London, Macmillan, 1973, capp. 6, 7; Duchesneau, T.D., “Competition in The Domestic Primary Energy 
Industry”, Washington, Ford Foundation Energy Policy Project, 1975; Erickson, E.W. and Waverman, L., 
“The Energy Question: An International Failure of Policy”, Toronto, 1974, pp.49-75. 
21
Cfr.: Sobel, op. cit., pag.19. 
22
Donella Meadows, Dennis Meadows, Jorgen Randers and William Behrens, “The Limits of Growth: A 
Report for The Club of Rome’s Project on The Predicament of Mankind”, N. Y., Signet Books, 1974 
(2nd.ed.).