Introduzione 
PERCHÉ PARLARE DI PROSTITUZIONE 
Nello spaccato di vita sociale di una qualsiasi città 
dei nostri tempi domina il tema della sicurezza urbana. 
Con sempre più frequenza, infatti, l’attenzione del 
cittadino si concentra sulla preoccupazione di correre 
rischi e sull’adozione di particolari misure per arginarli, 
evitarli. 
Analizzando da vicino questo fenomeno della 
sicurezza, acquista particolare interesse il tema relativo 
ai rapporti fra i consociati di una medesima realtà urbana. 
Se per taluni la sicurezza, quella urbana, 
s’identifica come il mezzo idoneo ad evitare ai singoli 
cittadini il contatto diretto con i problemi legati al degrado 
e alle differenze esistenti fra gli stessi, per i più è intesa 
come la tranquillità dello spirito. Tranquillità che risulta
2 
dal pensiero che non ci sono pericoli da temere, dalla 
fiducia che ci procura l’ambiente in cui viviamo e siamo 
inseriti, anche se alla fine non si può negare che questo 
stato di tranquillità è condizionato da ciò che si è 
interiormente, dal rapporto che si ha con noi stessi e con 
gli altri, dalle paure accumulate e dalle tensioni 
assorbite
1
. 
Del resto la necessità della sicurezza urbana 
nasce in parte proprio dall’insicurezza in se stessi e nelle 
proprie capacità. Per questo si può affermare che, 
l’odierna crisi della sicurezza, non fa che sostenere 
l’insorgere del profondo svuotamento che si sta 
verificando nell’ambito delle capacità relazionali. In un 
momento in cui fa paura l’incontro con un proprio simile, 
sembra infatti sempre più facile concretizzare la minaccia 
alla nostra sicurezza nella diversità dei nostri simili. 
Si manifesta, con sempre maggiore intensità, 
                                                 
1
  Lovati W., Melossi D., Nota Redazionale, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 16, 
Bologna 1998, pp. 11-16.
3 
l’esistenza di quella cultura, di quel modus vivendi, che 
finisce col realizzare la paura dei rischi, la causa del 
degrado sociale, la minaccia alla sicurezza urbana negli 
altri, ossia in quelle persone che condividono con noi gli 
spazi urbani e la quotidianità ma che hanno finito col 
popolare le sfere più basse della società. 
Ma alla fine il problema è che la criminalità degli 
altri, di quegli altri, risulta estremamente insopportabile, e 
questo perché intuiamo che è la nostra
2
, che è quella 
indispensabile al nostro modo di vivere e alla fascia 
sociale che noi stessi occupiamo! 
Per dirla con Dostojevskj esistono delle aree 
sotterranee della società dove la società rispettabile 
tollera che si svolgano attività di scarsa reputazione 
morale e che tuttavia non si vuole apertamente 
riconoscere e legittimare
3
.  E’ infatti parte integrante della 
                                                 
2
  Pavarini M., Nota Redazionale, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 21, I, Bologna 
2000, pp. 9-13. 
3
  Matza D., Melossi D., Nota Redazionale, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 16, 
Bologna 1998, pp. 11-16.
4 
nostra cultura adottare come modus vivendi quel 
perbenismo cinico che non mette in questione la nostra 
idea di ordine sociale consentendo di rasentare tutte le 
problematiche esistenti facendo finta che non esistono, 
che non ci appartengono. 
In questa tesi cercherò di contrastare questa 
cultura e, quindi, la convinzione secondo cui può definirsi 
sicura la città dove il degrado non è percepito, dall’occhio 
distratto del quotidiano, poiché scaltramente mascherato 
da quell’ordine apparente a cui ci ha abituato la nostra 
cultura conservatrice e le stesse istituzioni. 
Intendo proporre un dibattito, attraverso il 
confronto di alcuni studi relativi a questa tematica, 
fermandomi ad analizzare uno fra i maggiori problemi 
relativi all’ordine pubblico e alla sicurezza urbana cioè 
quello specifico della prostituzione. Sappiamo infatti che 
è proprio la prostituzione ad essere additata come la 
causa dell’insicurezza urbana in quanto strettamente
5 
connessa con la microcriminalità, la criminalità 
organizzata e l’immigrazione clandestina. 
Partendo quindi dalla prostituzione di strada, e 
toccando quella occultata dai locali notturni nonché i 
crimini ivi connessi, cercherò di fare un quadro della 
situazione, cercando di argomentare largamente sui vari 
tentativi volti ad arginare questo problema. 
Negli ultimi tempi è diventato sempre più facile 
parlare della prostituta come indegna occupante dei 
marciapiedi delle nostre città, come frutto di un degrado 
inconcepibile al giorno d’oggi. 
La prostituta è un criminale. 
La prostituta è colei che loca il suo corpo in 
cambio di un profitto immorale di cui si arricchisce. 
La prostituta è il simbolo di quel regresso che 
accompagna lo sviluppo urbano. 
Fermiamoci però soltanto un attimo.
6 
Considerando la prostituzione da altre angolazioni 
eccola pronta ad apparire come la conclusione di 
quell’anelato sviluppo ancora troppo lontano dalle realtà 
urbane contemporanee, come l’iceberg di tutti quei 
problemi legati all’involuzione socio-ambientale cui giorno 
dopo giorno vanno incontro le nostre stesse città.
7 
Capitolo 1 
PIÙ MODI PER DEFINIRE LA PROSTITUZIONE 
1. La nozione convenzionale 
Nella lingua italiana si adopera il termine 
prostituta per definire una donna che pratica la 
prostituzione, ossia che cede turpemente ciò che 
dovrebbe essere gelosamente custodito, perché legato 
alla propria dignità, alle voglie altrui
4
. 
La prostituzione è nello specifico la prestazione 
sessuale a scopo di lucro, con carattere di abitualità e di 
professionalità
5
. 
L’identità propriamente sessuale della prostituta è 
però, a parere di Foucalt, la rappresentazione di un 
                                                 
4
  Da Dizionario Sandron della Lingua Italiana, De Agostini, 1992, pp., subvoce 
“prostituta”. 
5
  Da Dizionario Enciclopedico Treccani, Roma 1970, vol. IX, pp. 861, subvoce 
“prostituta”.
8 
concetto tutto maschile che ha imposto la realizzazione 
di tale categoria nell’ambito sociale e lavorativo.  
E’ in questo modo d’altronde che si concretizza il 
paradosso per cui l’uomo è allo stesso tempo causa e 
rimedio della prostituzione. Bizzarramente infatti la 
prostituta è allo stesso tempo vittima delle abitudini 
maschili e oggetto del suo desiderio, per questo, la 
categoria, rientra in una definizione a stretto contatto con 
la cultura prettamente maschilista. 
E’ quindi piuttosto l’uomo da analizzare perché, 
perverso, deviato, portato alla promiscuità sessuale, è, 
senza ombra di dubbio, il fautore della prostituta quale 
simbolo dei suoi più bassi e turpi istinti sessuali, ma 
anche quale indifesa creatura bisognosa della protezione 
maschile. Del resto il problema reale non è la devianza
9 
femminile, ma esclusivamente la sua richiesta che crea il 
bisogno
6
. 
E’ lo stesso cliente maschio che cerca, agli occhi 
della società, di arginare il fenomeno spingendo queste 
donne nelle periferie, eliminando in tal modo la visione 
del problema e distogliendo gli occhi della società dal suo 
stesso comportamento deviato
7
. 
Ad ogni modo, comunque sia intesa, la 
prostituzione non deve considerarsi un fenomeno di 
disordine sociale, poiché facendo ricorso a nozioni 
antropologiche, tale pratica corrisponde ad una 
manifestazione di ordine. Infatti, anticamente, la 
prostituzione era un’istituzione sociale e, soprattutto in 
quelle popolazioni in cui l’etica tribale vietava alle 
ragazze di avere rapporti sessuali prima del matrimonio, 
costituiva la salvaguardia della castità delle altre donne. 
                                                 
6
  Pitch T., Ventimiglia C. Che genere di sicurezza. Donne e uomini in città, 
Franco Angeli, Milano 2001 
7
  Pavarini M., La filosofia del progetto, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 13, Bologna 
1998, pp. 5-15.
10
Sappiamo effettivamente che le vedove erano obbligate 
a darsi alla prostituzione a favore dei celibi; e che 
esisteva una pratica meretrice esercitata costantemente 
da determinate donne presso alcuni templi
8
. 
Risalendo a questi casi la prostituzione appare 
quindi tutt’altro che una pratica contro i principi morali, 
ma soltanto un atto imposto dalle necessità sociali
9
. 
Per la nostra cultura conservatrice, al contrario, 
chi pratica la prostituzione è propriamente una persona 
dedita al vagabondaggio, a stretto contatto con 
l’illegalità e la criminalità poiché deviata. Paragonando 
la prostituta alla donna normale, ossia a quella donna 
inquadrata nei canoni culturali assorbiti da tempi 
indefiniti, la si vede come tipico esempio di donna non 
per bene che cioè vive di notte, si sveglia tardi, passa la 
sua giornata fra ciance e sigarette, è sporca, sudicia, e 
                                                 
8
  Da Dizionario Enciclopedico Treccani, Roma 1970, vol. IX, pp. 861, subvoce 
“prostituzione”. 
9
  Da Dizionario Enciclopedico Treccani, Roma 1970, vol. IX, pp. 861, subvoce 
“prostituzione”.
11
trae il suo guadagno dalla pratica di comportamenti 
sessuali mal sani. Ecco perché poi la prostituta appare 
come la donna che identifica un soggetto debole, 
segnato da particolari tipi di deficit (sociali, culturali ed 
economici) e quindi in qualche modo costretta ad offrirsi 
sul mercato del sesso mercenario
10
. 
2. La nozione contrattualistica 
Il concetto di prostituzione deve tuttavia essere 
esteso alla concezione contrattualistica più moderna 
dove non è solo un’attività criminale, ma piuttosto un 
lavoro che definisce un libero scambio fra domanda ed 
offerta, cioè un mercato. Un mercato dominato da una 
domanda fondamentalmente rigida di prestazioni 
sessuali da parte della popolazione maschile 
sessualmente adulta e con un’offerta estremamente 
flessibile, poiché un eventuale eccesso, a conti fatti, 
resta solo di breve periodo, stante l’immediata 
                                                 
10
  Pavarini M., La filosofia del progetto, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 13, Bologna 
1998, pp. 5-15.
12
contrazione dei prezzi che la riduce immediatamente
11
. 
Deve tuttavia ribadirsi che esiste un’alterazione 
concettuale, portata innanzi da altri sociologi, che porta a 
definire come non-mercato l’incontro tra offerta e 
domanda di prestazioni sessuali mercenarie e non-
contratto il rapporto stesso, inquadrandoli in un ambito 
atipico rispetto a quello tipico del diritto, finendo così per 
considerare e collocare l’esercizio della prostituzione 
come non-diritto. 
Sicuramente poi è solo nel garantire in concreto 
l’esercizio di questo diritto di libertà che è possibile 
contrastare l’esercizio non libero dello stesso
12
. 
Per questo prostituirsi diviene libertà di scelta e 
non ancora diritto nel senso che offrire prestazioni 
sessuali mercenarie non è un’attività in sé astrattamente 
illecita, lo è invece spesso nel suo esercizio concreto. 
                                                 
11
  Pavarini M., La filosofia del progetto, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 13, Bologna 
1998, pp. 5-15. 
12
  Pavarini M., La filosofia del progetto, “Quaderni di Cittàsicure”, n° 13, Bologna 
1998, pp. 5-15.