ciascuno Stato membro porta avanti per la soluzione dei suoi squilibri 
interni, e che, per quanto riguarda l'Italia, è stata presa in 
considerazione a partire dall'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno 
nel 1950, si affianca la politica regionale comunitaria il cui principale 
strumento è rappresentato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale 
istituito nel 1975.  
Esistono, quindi, due tipi di azioni convergenti dirette a realizzare una 
più completa coesione economica e sociale (azioni che ovviamente 
vanno coordinate): quella dei singoli Stati membri e quella condotta 
direttamente dalla Comunità. 
Nel primo capitolo ci occuperemo dell'evoluzione della "politica 
regionale comunitaria", dal Trattato di Roma (1957) ad oggi; nel 
secondo, dell'attuazione delle "politiche strutturali" dell'Unione 
Europea in Italia; nel terzo saranno presi in esame in via generale, alla 
luce dei principi emergenti dalla dottrina e dalla giurisprudenza 
comunitaria, gli "aiuti di stato"; infine, il quarto capitolo sarà dedicato 
all'evoluzione della politica regionale del nostro Paese, dalla Cassa per 
il Mezzogiorno alla nuova Agenzia "Sviluppo Italia". 
 CAPITOLO PRIMO 
 
L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA REGIONALE 
COMUNITARIA 
Introduzione. – 1.2. La prima fase (1958-1975). - 1.3. La seconda fase (1975-
1985).  – 1.3.1. Il regolamento n. 214\79. – 1.3.2. Il regolamento n. 1787\84. – 
1.3.3. Le operazioni integrate di sviluppo (OIS). - 1.3.4. Le modalità relative alla 
concessione del contributo del FESR. – 1.3.5. I programmi integrati mediterranei 
(PIM). – 1.4. La terza e attuale fase (1985 in poi). – 1.4.1. L’Atto Unico Europeo 
e la coesione economica e sociale. – 1.4.2. La riforma dei Fondi strutturali (1988). 
– 1.4.3. La riforma del Fondo di sviluppo regionale (FESR). – 1.4.4. Il Trattato di 
Maastricht e il rafforzamento della coesione economica e sociale. – 1.4.5. La 
“riforma della riforma” dei Fondi strutturali (1993). – 1.4.6. Il progetto di riforma 
dei Fondi strutturali (1998). 
 
1.1. INTRODUZIONE 
        La politica regionale ( contrariamente a quanto avvenuto per la 
politica  agricola, la politica sociale ecc. ) non e’ stata esplicitamente 
prevista dai Trattati comunitari e dal Trattato istitutivo della CEE, in 
particolare
1
. 
Tuttavia, la consapevolezza dell’esistenza di regioni in ritardo di 
                                                 
1
Cfr. V. Guizzi, “Manuale di diritto e politica dell’Unione europea”, Giuffrè, Milano, 1994, p. 
665. 
sviluppo all’interno degli Stati membri, indusse i Paesi firmatari, nel 
Preambolo del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea 
(CEE), firmato a Roma il 25 marzo 1957, ad assumersi l’impegno di 
"assicurare lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le 
differenti regioni ed il ritardo di quelle meno favorite”; impegno, 
questo, ribadito all’art. 2 ai sensi del quale “La Comunità ha il 
compito di promuovere (…) uno sviluppo armonioso delle attività 
economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed 
equilibrata…”. 
Questo indirizzo regionalista
2
 del Trattato emerge anche in vari altri 
articoli che ribadiscono lo scopo fondamentale di perequazione 
territoriale e di sviluppo armonioso : il 39, par. 2, e il 42 nell’ambito 
della politica agricola comune, il 49 sulla libera circolazione dei 
lavoratori, l’80, par. 2, in materia di politica dei trasporti, l’art. 92, par. 
3, sugli aiuti e l’art. 226 sulle clausole di salvaguardia. Uno squisito 
contenuto di politica regionale ha il Protocollo “concernente l’Italia”, 
che prevedeva l’impegno dei partners europei ad aiutare il Governo 
italiano nel suo programma decennale di espansione economica ( il cd. 
“piano Vanoni”) volto “a sanare gli squilibri dell’economia italiana, 
in particolare grazie all’attrezzatura delle zone meno sviluppate nel 
mezzogiorno e nelle isole e alla creazione di nuovi posti di lavoro per 
eliminare la disoccupazione”. 
Nonostante gli spunti contenuti nel Trattato, la politica regionale 
intesa come un insieme di strumenti normativi e finanziari, ha avuto 
una lunga gestazione. Nella sua evoluzione possiamo distinguere tre 
fasi: la prima dal 1958 al 1975; la seconda dal 1975 al 1985; la terza 
dal 1985 ad oggi.  
 
                                                                                                                                                                           
2
 Cfr. V. Del Punta-U. Triulzi, “Fondamenti di Economia internazionale”, 2° ed., La Sapienza 
editrice, Roma, 1992, p. 597. 
1.2. LA PRIMA FASE (1958-1975) 
        Possiamo definire la prima fase della politica regionale 
comunitaria, “una fase di mere enunciazioni verbali”
3
. Senza dubbio, 
infatti, l’eliminazione degli squilibri territoriali nell’ambito del 
Mercato comune europeo è uno degli obiettivi principali del Trattato 
CEE, come emerge sia dal Preambolo che dall’art. 2 dello stesso. Ma 
se, dall’esame degli obiettivi comunitari, si passa a quello degli 
strumenti apprestati per realizzarli, si riscontra un vuoto assoluto 
nell’ambito di questo Trattato
4
. Prima della creazione di un apposito 
strumento ad hoc, costituito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale 
(FESR), gli interventi di “politica regionale” sono stati realizzati 
attraverso altre politiche comunitarie, in particolare la politica sociale 
(attraverso il Fondo Sociale Europeo (FSE)
5
, previsto dagli artt. 123-
125 del Trattato di Roma ) e la politica agricola (attraverso il Fondo 
                                                 
3
Cfr. U. Leanza, , “L’evoluzione della politica comunitaria di sviluppo regionale”, in “ Saggi di 
diritto delle Comunità Europee”,  Il Mulino, Bologna, 1981, p. 429. 
4
 Cfr. U. Leanza, op. cit., pag. 4. 
 
5
 In base all’art. 123 del Trattato di Roma il FSE ha la finalità di “migliorare le possibilità di 
occupazione dei lavoratori all’interno del mercato comune e contribuire così al miglioramento del 
loro tenore di vita” e di agevolare “la mobilità geografica e professionale dei lavoratori”. 
Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA)
6
, istituito nel 
1962), oltre all'azione della Banca Europea per gli Investimenti 
(BEI)
7
, prevista dagli artt. 129-130 del Trattato CEE
8
. 
Il fatto che all’interno del Trattato istitutivo della CEE manchi  un 
capitolo appositamente dedicato alla politica regionale così come la 
previsione di strumenti specifici diretti allo sviluppo regionale, trova 
la sua giustificazione nell’accoglimento, da parte dei redattori del 
Trattato, della dottrina economica liberista, per cui il libero gioco delle 
forze economiche avrebbe condotto al naturale superamento degli 
squilibri regionali.
9
 Ma già nel 1960 si prende coscienza 
dell’inadeguatezza del disegno originario ed il Parlamento europeo 
                                                 
6
 Il FEOGA è stato istituito dal Regolamento CEE 25\62 del 4 aprile 1962, concernente il 
rifinanziamento della Politica Agricola Comune (PAC), ma è con il Reg. 17\64 del 5\2\65 che 
diviene operativo e la sua attività viene ripartita in due sezioni: la sezione “garanzia”, per il 
finanziamento diretto della PAC e la sezione “orientamento”, per il sostegno delle strutture 
agricole mediante il sistema di finanziamento decentrato. Più in particolare il FEOGA-
Orientamento persegue i seguenti obiettivi:1) potenziamento e riorganizzazione delle strutture 
agrarie e forestali; 2) riconversione delle produzioni agricole; 3) mantenimento di un equo tenore 
di vita per gli agricoltori; 4) sviluppo del tessuto sociale delle zone rurali, della difesa 
dell’ambiente e del mantenimento dello spazio rurale.  
7
 La finalità della BEI è quella di facilitare il finanziamento di progetti per la valorizzazione della 
regioni meno sviluppate, di progetti di interesse comune per più Stati membri e di progetti per 
l’ammodernamento o la riconversione di imprese, che per la loro ampiezza non possono essere 
finanziati dagli strumenti nazionali di interventi (artt. 129-130 del trattato CEE). 
8
 Cfr. Guizzi V., op. cit., p. 668; Monti L., “I fondi strutturali per la coesione europea”, Ed. 
SEAM, Roma 1996. 
9
 Cfr. R Sapienza, “L’azione comunitaria per lo sviluppo regionale”, in SVIMEZ, I problemi 
regionali nel Mercato Unico Europeo. Raccolta di documenti, Il Mulino, Bologna, 1991, pag.16. 
(con la  famosa relazione Motte) pone in discussione la necessità di 
impostare una vera e propria politica regionale comune; nel 1961 si 
tiene a Bruxelles la prima Conferenza sulle economie regionali, a cui 
fanno seguito la Prima comunicazione della Commissione sulla 
politica regionale della CEE (1965) e la proposta di decisione della 
Commissione su L’organizzazione di mezzi d’azione della Comunità 
in materia di sviluppo regionale (1969)
10
.Tappa fondamentale del 
dibattito comunitario in materia di sviluppo regionale è la Conferenza 
al vertice di Parigi (ottobre 1972) in cui si decide di riconoscere 
“un’alta precedenza all’obiettivo di rimediare, nella Comunità, agli 
squilibri strutturali e regionali”; alla Commissione viene affidato il 
compito di elaborare un rapporto sulla politica regionale e si invitano 
le istituzioni comunitarie a creare un Fondo di sviluppo regionale, 
finanziato con risorse proprie della Comunità. Mancando, tuttavia, 
nell’ambito del Trattato un’esplicita previsione in tal senso, si fa 
ricorso alla cd. clausola dei poteri impliciti, contenuta nell’art. 235 del 
Trattato CEE, che consente l’istituzione di nuovi strumenti giuridici 
                                                 
10
 In GUCE n. C 152 del 28 novembre1969, p. 6. 
comunitari, e quindi il conferimento di nuovi poteri di azione alle 
istituzioni comunitarie, precedentemente non previsti dal Trattato, a 
condizione che siano già previsti dal Trattato stesso gli obiettivi che si 
intendono perseguire mediante i nuovi strumenti. Nel 1973 la 
Commissione presenta il suo rapporto (rapporto Thompson dal nome 
del primo commissario CEE per la politica regionale
11
) in cui viene 
proposta, accanto alla creazione del Fondo, la costituzione di un 
Comitato di politica regionale e lo stanziamento di una congrua 
dotazione finanziaria. 
 Il successivo vertice di Parigi (Dicembre 1974) adotta finalmente la 
decisione di istituire il Fondo  Europeo di Sviluppo Regionale 
(FESR). 
Il 18 marzo 1975 viene adottato il Regolamento n. 724\75
12
, istitutivo 
del FESR  e la Decisione n. 185\75, istitutiva del Comitato di politica 
regionale, sulla base dell’art. 235 del Trattato CEE
13
. 
                                                 
11
 Commissione CEE, Rapporto sui problemi regionali della Comunità allargata, COM (73) 550 
def. 
12
 In GUCE n. L 73 del 21 marzo 1975, p. 1. 
13
 Com’è noto l’art. 235 conferisce al Consiglio il potere di adottare (all’unanimità) una misura 
necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità, in assenza di una specifica base 
giuridica nel Trattato. 
Secondo quanto stabiliva l’art.1del regolamento n. 724\75, il FESR "è 
destinato a correggere i principali squilibri regionali nella Comunità 
risultanti, in particolare, dalla predominanza agricola, dalle 
modifiche industriali e dalla sottoccupazione strutturale”. 
 Dovendo affiancare le politiche regionali nazionali, il FESR poteva 
intervenire unicamente nelle zone identificate dagli Stati membri in 
applicazione dei loro regimi d’aiuti a finalità regionale (in Italia, le 
zone soggette alla Cassa per il Mezzogiorno). In tali zone il FESR 
poteva partecipare ad investimenti superiori a 50.000 unita’ di conto 
relativi a: a) attività industriali, artigianali o di servizi, 
economicamente sane, che fruissero di aiuti statali a finalità regionale 
e che creassero almeno 10 nuovi posti di lavoro; b) infrastrutture 
necessarie per lo sviluppo delle attività di cui al punto a), purchè vi 
fosse la partecipazione di un’autorità pubblica; c) infrastrutture 
previste dalla direttiva 75\268 relativa alle zone di montagna e ad altre 
zone svantaggiate rientranti in quelle di operatività del Fondo.  
L’intervento del FESR non poteva superare il 20% del costo 
dell’investimento e comunque non il 50% del finanziamento 
nazionale. 
Due i principi base della prima disciplina del FESR: il principio 
dell’addizionalità o compartecipazione, per cui l’aiuto del Fondo 
doveva avere un carattere complementare rispetto a quello dello Stato 
membro, doveva aggiungersi ad esso non potendo costituire un mero 
rimborso delle spese nazionali; ed il principio del coordinamento, per 
cui era possibile che altri strumenti finanziari comunitari si 
affiancassero al FESR in un investimento (principio al quale si ispirerà 
poi la logica dell’0perazione Integrata).  Inoltre il Regolamento 
stabiliva che gli investimenti dovessero essere inseriti nel “quadro di 
un programma di sviluppo regionale” per poter beneficiare degli aiuti 
del Fondo. Alla Commissione, avente il compito di esaminare i 
progetti e di decidere in merito al loro finanziamento,  si affiancavano 
altri due organi nella gestione del FESR: il Comitato del Fondo, che 
esprimeva un parere obbligatorio ma non vincolante sulle domande di 
contributo, ed il Comitato di politica regionale (soppresso nel 1988), 
composto da alti funzionari nazionali con il compito di esaminare i 
problemi legati allo sviluppo regionale.  
Tuttavia, nonostante l’istituzione del FESR, le scelte fondamentali in 
materia di politica regionale continuavano a rimanere nelle mani degli 
Stati
14
: la Commissione, innanzi tutto,  aveva scarso potere di 
intervento sia nella scelta delle aree in cui operare sia nella 
distribuzione dei contributi, dovendo, da un lato conformarsi alle 
decisioni già prese in materia da ogni singolo Stato, e, dall’altro, 
rispettare un rigido criterio di quote nazionali fisse (all’Italia spettava 
il 40% delle risorse del FESR). Un altro difetto del modo di operare 
del Fondo era rappresentato dalla non-applicazione del principio 
dell’addizionalità: gli Stati, infatti, utilizzavano i contributi comunitari 
al solo fine di recuperare parte dei finanziamenti nazionali già investiti 
nello sviluppo regionale. Infine c’è da sottolineare l’insufficiente 
dotazione di risorse finanziarie del FESR (1.300 Mln di UCE per il 
primo triennio). 
L’Italia risulta essere il paese che più degli altri ha beneficiato di tali 
risorse: dal 1975 al 1979, infatti, ottenne il 37% dei contributi elargiti, 
seguita dal Regno Unito con il 26% e dalla Francia con il 17%. E, 
                                                 
14
 Cfr. G. Gallizioli, “I Fondi strutturali delle Comunità Eurpoee”, CEDAM 1992, pag.117. 
grazie all’azione della Cassa per il Mezzogiorno e alla copertura della 
quota nazionale, all’Italia furono effettuati pagamenti pari al 63% del 
contributo richiesto
15
. 
Dunque possiamo senz’altro affermare che nel 1975 la Comunità ha 
un suo strumento di intervento per lo sviluppo regionale ma, tuttavia, 
manca ancora una vera e propria politica regionale comunitaria, 
globale ed autonoma, essendo il Fondo strettamente collegato alle 
singole politiche degli Stati membri
16
 
                                                 
15
 Cfr. F. Caruso, “Riflessioni sull’Historique della politica regionale comunitaria”, in “Fondi 
strutturali e coesione economica e sociale nell’Unione europea” a cura di Alberto Predieri; Atti del 
convegno Firenze, 12-13 maggio 1995, pag.151. 
16
 Cfr. U. Leanza, op. cit, pag. 4. 
 1.3. LA SECONDA FASE (1975-1985) 
 
1.3.1. IL REGOLAMENTO N. 214\75 
        Il Regolamento n. 724\75, istitutivo del FESR, conteneva una 
clausola che prevedeva la revisione della disciplina del Fondo prima 
del 1978. Nel realizzare questa revisione, la Commissione tese ad 
accentuare il carattere comunitario della politica regionale. 
La principale innovazione nella disciplina di base del Fondo, 
introdotta con il regolamento n. 214\79
17
, fu la creazione, accanto alle 
“azioni comunitarie di sostegno alle misure di politica regionale 
adottate dagli Stati membri” finanziate secondo una rigida ripartizione 
per  quote nazionali, di “azioni comunitarie specifiche di sviluppo 
regionale”, chiamate “fuori quota” per indicare che l’allocazione delle 
risorse del Fondo aveva luogo al di fuori delle quote rigide fissate per 
ciascuno Stato. 
Attraverso la sezione “fuori quota”, il cui ammontare venne fissato al 
5% delle risorse globali del Fondo, il FESR poteva contribuire alla 
realizzazione di investimenti in qualsiasi area in cui lo Stato fosse già 
intervenuto o intendesse intervenire simultaneamente ad esso. Queste 
azioni, che potevano differire in tutto o in parte dalle azioni “in 
quota”, potevano consistere in azioni legate alla politiche della 
Comunità e alle misure da essa decise, o in azioni eccezionali 
destinate a porre rimedio ad avvenimenti particolarmente gravi. Le 
azioni “fuori quota” dovevano essere decise dal Consiglio, con voto 
unanime e previa consultazione del Parlamento europeo
18
. 
Un’altra innovazione consistette nella possibilità di finanziare studi 
strettamente legati alle operazioni del Fondo e richiesti dallo Stato 
interessato. 
La portata della riforma del 1979 risultò comunque assai limitata, per 
l’esiguità della sezione “fuori quota” e, ancora una volta, per 
l’inosservanza del principio di compartecipazione: pertanto il FESR 
più che uno strumento attivo di promozione di politica regionale 
comunitaria, rimaneva un semplice strumento di trasferimento di 
risorse. 
 
                                                                                                                                                                           
17
 In GUCE L 35 del 9 febbraio 1979, p. 1. 
18
 Tra il 1980 e il 1985 sono stati adottati dal Consiglio 15 regolamenti relativi ad azioni 
comunitarie specifiche di sviluppo regionale.