Primo capitolo 
Il quadro storico della televione 
spagnola e della regione andalusa 
In questa tesi tratterò della trasmissione dell’identità 
andalusa tramite la televisione autonoma. Per fare questo è 
necessario contestualizzare l’argomento della tesi illustrando 
innanzitutto la storia della televisione in Spagna. Il primo 
paragrafo di questo capitolo tratterà appunto di questo e di 
come sia cambiata col passar degli anni. 
Nel secondo paragrafo invece cercherò di spiegare in 
che modo si sia costruita la comunità autonoma di 
Andalusia, ripercorrendo storicamente le sue origini, la 
nascita del sentimento autonomista e delineando in generale 
i caratteri giuridici. 
7 
Storia d ella tel evisione spagnola 
La televisione, ha un ruolo fondamentale nella 
costruzione dell’identità. Come afferma Vereni (Vereni: 
2008) nel suo ultimo libro, la televisione, come strumento 
ancora fondamentale dei mezzi di comunicazione di massa, 
costituisce un capitale mediatico che, affiancandosi al 
capitale economico e culturale del modello bourdiano 
(Bourdieu: 1978), finisce per avere un importantissimo 
ruolo per la costruzione delle identità, sia individuali, sia 
collettive. Ormai non possiamo più ignorare il valore della 
televisione, perché forma le persone quasi allo stesso modo 
di un buon libro e dell’insegnamento dei genitori. 
Negli ultimi anni tuttavia in tutta Europa la 
televisione ha subito un processo di privatizzazione ma resta 
fondamentale valutare il peso del pubblico nella produzione 
televisiva nazionale. La Spagna si inserisce appieno nel 
panorama europeo, anche per quanto riguarda il profondo e 
pericoloso intreccio tra politica e comunicazione, o meglio 
tra politica e programmazione televisiva. 
Come suggerisce Enrique Bustamante (2007), si 
potrebbe dividere la storia della televisione spagnola in 
cinque tappe fondamentali, rispettive ai governi in cui si è 
sviluppata: il periodo franchista, la transazione democratica, 
il periodo socialista, i governi popolari e sotto Zapatero. 
Percorrendo dagli albori la televisione spagnola si può 
capire in che modo la politica e la televisione siano sempre 
stati connessi e come la programmazione di un’emittente 
non è solamente scelta in base al piacere dei telespettatori. 
8 
Cominciamo dal periodo franchista dicendo che sotto 
la dittatura del Generale Francisco Franco la televisione di 
Stato spagnola, così come gran parte dei media, è stata la 
rappresentazione diretta del sistema politico. Sin dalla sua 
nascita, la televisione di Stato si è rifiutata di assolvere al 
suo principale dovere di essere al servizio pubblico, 
mostrandosi per quarant’anni incapace di scrollarsi di dosso 
il peso della politica. Enrique Bustamante descrive a pieno 
l’enorme distanza del modello TVE da quello europeo di 
televisione di servizio pubblico: 
[…] controllata da governi che si avvicenderanno nel 
corso della dittatura, come non avvenne in nessun altro paese 
europeo da parte di un singolo partito di governo, rigidamente 
centralizzata e priva di qualsivoglia legittimità (pur detenendo 
il monopolio dell’offerta) la TVE creò un tipo di rapporto con 
il pubblico e, ovviamente, con la politica, che continuò a 
pesare negativamente sulla società spagnola (Bustamante: 
1988, p.327). 
La televisione spagnola inaugurò le prime 
trasmissioni regolari dagli studi del Paseo de la Habana il 28 
ottobre 1956. Allora il nuovo mezzo contava meno di 
cinquanta lavoratori, tra dipendenti e collaboratori. Anche se 
in ritardo rispetto alle altre realtà nazionali, ci fu il lancio 
della Primera Cadena, ovvero il primo canale televisivo. 
L’evento però non fu così seguito della stampa come si 
credeva, alcuni motivavano questo disinteresse con la 
portata limitata della nuova tecnologia: il segnale infatti 
arrivava entro settanta chilometri da Madrid, con un bacino 
9 
di utenza di seicento apparecchi televisivi. Inoltre, la grave 
crisi economica e politica che avrebbe alzato il costo della 
vita tra il 1955 e il 1959, la mobilitazione studentesca e 
operaia a Madrid, a Barcellona e nelle Asturie che avrebbe 
provocato la chiusura temporanea dell’Università 
Complutense e la sospensione della libertà di espressione 
affermata sulla carta dagli articoli 14 – 18 del Fuero de los 
Españoles, avevano catturato così tanto l’interesse della 
stampa, al punto che furono tralasciati i festeggiamenti per 
la nuova TVE. Fondata dunque come organo 
dell’amministrazione centrale dello Stato risultava priva di 
una personalità giuridica e soggetta al diritto 
amministrativo. Due anni dopo, nel 1958, si costituì la 
Dirección General de Radiodifusión y Televisión, che aveva 
in compito di controllare direttamente la realizzazione delle 
trasmissioni televisive e lo sviluppo tecnico della televisione 
nazionale. Il regime sceglieva i dirigenti e il personale 
tramite criteri severi, costruendo politicamente la struttura 
della TVE. Nel 1957 comparvero i primi annunci 
pubblicitari, che crebbero due anni dopo, nel 1959, quando 
il segnale cominciò ad estendersi prima a Barcellona e poi al 
resto della Spagna grazie ad una rete di trasmettitori e 
ripetitori, finanziati dai Comuni e dalle Province interessate. 
Già da quegli anni è possibile notare quanto la TVE fosse 
considerata come qualsiasi altra attività commerciale: partita 
dalle città per raggiungere le campagne. Durante quei due 
anni la programmazione passò dalle tre ore al giorno fino 
alle cinque ore nel 1959, ma per tutto il periodo del regime 
franchista il numero delle ore restò invariato. 
Negli anni tra il 1962 e il 1969 ci fu la nomina di 
10 
Manuel Fraga Iribarne a capo del Ministerio de Información 
y Turismo (MIT), cui seguirà quella di Roque Pro Alonso a 
capo della Dirección General de Radiodifusión y Televisión. 
Venne varato un Piano Nazionale della Televisione insieme 
al Primero Plan de Desarrollo, grazie al quale nel 1964 
furono inaugurati i nuovi studi di Prado del Rey. Nel marzo 
dello stesso anno ci fu la commemorazione dei XXV Años 
de Paz, ossia i venticinque anni dopo la guerra civile, in cui 
Franco decise di pubblicizzare le sue attività con una 
gigantesca campagna di propaganda gestita del Ministro per 
l’Informazione e il Turismo Manuel Fraga Iberne. Questo è 
uno degli esempi, susseguitesi negli anni della dittatura, di 
come la televisione ubbidisse ai dettami della politica. Con 
il passare degli anni la televisione franchista divenne sempre 
più il principale strumento di comunicazione di massa. 
Sempre nel 1964, il regime promosse la campagna dei 
“teleclub” che divennero oggetto di un provvedimento da 
parte del Ministerio de Información y Turismo. Nati come 
rete di aggregazione e di comunicazione sociale, 
consistevano in spazi dotati di televisione e altri dispositivi 
audiovisivi, fruibili dal pubblico. Venivano finanziati dallo 
Stato e dai Comuni ed erano gestiti da monitores ufficiali 
che venivano educati fortemente dal regime. Nell’ottobre 
del 1965 la TVE divenne a colori, ma neppure questa novità 
seppe modificare il giudizio negativo che aveva l’opinione 
pubblica riguardo la televisione. Il motivo andava cercato 
nello scetticismo di concepire la TVE come «strumento al 
servizio della crescita culturale dei cittadini, dal momento 
che l’informazione trasmessa quotidianamente non era altro 
che uno strumento ideologico al servizio del Gobierno del 
11 
generale Franco» (Bustamante: 2007, p.49). Fino a quel 
momento la televisione aveva dato un’immagine di se stessa 
non propriamente conforme a quello di televisione pubblica 
e il ruolo fondamentale che ricopriva la pubblicità non 
lasciava presagire segni di miglioramento. Tra il 1958 e il 
1963 infatti, ogni anno lo Stato bandiva gare d’appalto per la 
vendita di spazi pubblicitari della TVE, comprate da agenzie 
pubblicitarie che rivendevano a loro volta gli spazi al 
dettaglio ai singoli inserzionisti. Nel 1961 si pose fine alle 
gare d’appalto costituendo una società concessionaria, la 
Gerencia de Publicidad, che gestiva, e gestisce ancora oggi, 
la vendita degli spazi pubblicitari. In questo modo, dalla 
metà degli anni Sessanta la TVE grazie alla pubblicità 
divenne redditizia, tanto che con quegli introiti coprì il 
decifit delle spese di gestione della Radio Nacional de 
España e dei servizi centrali della Dirección General de 
Radiodifusión. La pubblicità rappresentò la risorsa 
principale di finanziamento, tanto che nel 1963 arrivò ad 
assicurare una copertura del 91,39 per cento su un totale di 
526,95 milioni di pesetas. Nel 1966 la TVE vide la nascita 
della Segunda Cadena, il secondo canale televisivo, che 
offriva una programmazione limitata a tre ore al giorno, che 
avrebbe trattato temi più delicati rispetto al primo canale. 
Qualche anno più tardi, nel 1973 nacque la Radio 
Televisión Española (RTVE), integrazione delle reti 
emittenti appartenenti a Radio Nacional de España e 
Televisión Española. Se pur si illudeva di essere un ente 
statale autonomo, avrebbe continuato a dipendere 
direttamente dallo Stato come prima, tanto che il Direttore 
Generale continuava ad essere a capo della Dirección 
12 
General de Radiodifusión y Televisión in seno al medesimo 
Ministerio de Información y Turismo. In quegli anni infatti, 
la nomina del Direttore Generale costituiva una sorta di 
tappa nella scalata all’interno dell’organico politico 
dell’Amministrazione. Molti fra i politici (come Adolfo 
Suárez, Jesús Sancho Rof ed altri) che si avvicendarono alla 
Dirección General de Radiodifusión y Televisión e alle 
direzioni tecniche ed editoriali delle filiali della radio e della 
televisione spagnola finirono infatti per entrare nella lista 
dei ministri duranti gli anni finali del franchismo e in quelli 
del periodo di transizione. Appare quindi evidente che 
durante la dittatura franchista la radiotelevisione spagnola 
non poté godere di alcuna autonomia, dipendendo 
completamente dallo Stato, anzi, essendo proprio uno degli 
strumenti dello Stato stesso. 
Entriamo così nella transazione democratica che 
vede il breve periodo di governo Carlos Arias Navarro. 
Dopo di lui, nel 1976 il Re nominò Adolfo Suarez Capo 
dello Stato. In questa nuova fase, la televisione non attenuò 
il suo carattere autoritario, intensificò invece i suoi interessi 
economici con gli inserzionisti pubblicitari e politici. Il 
processo di democratizzazione politica è stato infatti per la 
RTVE quasi un processo verso la privatizzazione ed il 
susseguirsi di numerosi direttori non ha giovato inoltre alla 
sua gestione. 
Nel 1977, in virtù di un Real Decreto, la RTVE 
divenne un organismo autonomo operante nell’ambito del 
Ministerio de Cultura. In seguito ai Patti della Moncloa 
venne istituito il Consejo Rector Provisional de RTVE che 
aveva il compito di controllare il bilancio, la vigilanza ed il 
13 
rispetto dell’obiettività dell’informazione. Nonostante il 
Consejo, le accuse di manipolazione mosse al governo non 
si arrestarono. Così come erano acerbe durante la dittatura 
franchista, restarono acerbe durante la transizione, 
soprattutto dopo la realizzazione che l’assetto giuridico 
ereditato da Franco venne mantenuto in vigore per diversi 
anni prima di venire abrogato. Dal 1976 cominciarono a 
susseguirsi le nomine dei direttori, evidenziando come la 
politica di gestione dell’ente fosse ancora in alto mare. 
Suárez nominò dapprima Rafael Ansón alla Dirección 
General de Radiodifusión y Televisión, seguito dal fratello 
Luis María Ansón. I due fratelli guidarono la RTVE verso il 
nuovo regime con competenza e professionalità. Nel 1977 
venne nominato Fernando Arias Salgado alla Dirección 
General della RTVE, erede di Gabriel Arias Salgado, 
Ministro nazionalcattolico de Información y Turismo sotto 
nel 1956 sotto Franco. Il suo mandato perdurò fino al 1981 
anche se fu caratterizzato da accuse di corruzione e di 
cattiva amministrazione della RTVE. Il 1976, dopo quattro 
anni di tentativi fallimentari, vide il costituirsi delle prime 
imprese private candidate a trasmettere. Nel 1979 lo Statuto 
di Autonomia Catalogna attribuì alla Comunità Autonoma 
competenze in materia di radio e di televisione. Fu il primo 
passo verso un decentramento delle Comunità Autonome, 
che chiedevano una televisione più rispettosa delle 
peculiarità linguistiche e culturali catalane. In seguito, gli 
anni Ottanta, furono caratterizzati dalla promulgazione della 
prima legge democratica sulla radio e sulla televisione, che 
trasformò la RTVE in soggetto autonomo. L’Estatuto de la 
Radio y Televisión Española è stato il punto di partenza per 
14 
la creazione di canali autonomi: prevedeva la concessione 
per le Comunità Autonome della gestione di un canale 
televisivo di proprietà dello Stato creato appositamente per 
l’area di competenza di ciascuna Comunità Autonoma. Lo 
Statuto portava inoltre notevoli novità in seno alla sua storia 
giuridica. In primo luogo stabiliva che lo Stato avrebbe 
dovuto gestire direttamente il “servizio essenziale della 
televisione” e che avrebbe operato tramite tre Sociedades 
Anónimas Estatales a capitale interamente pubblico: Radio 
Cadena Españla (RCE), Radio Nacional Española (RNE) e 
Televisión Española (TVE). In secondo luogo la RTVE 
veniva organizzata intorno ad un Consiglio di 
Amministrazione costituito da dodici membri, scelti in base 
a meriti professionali, in carica per quattro anni ed eletti per 
metà dal Congreso de los Diputados e per metà dal Senado, 
con maggioranza per due terzi per entrambi. Inoltre il 
Governo nominava direttamente il Direttore Generale per un 
periodo di quattro anni. Infine, venivano istituiti un Consejo 
Asesor per ognuna delle tre società anonime, un Censejo 
Asesor territorial per ogni Comunità Autonoma e una 
Commissione parlamentare costituita ad hoc in seno al 
Congreso de los Deputados. Dopo Arias Salgado, con il 
mandato più lungo, fu il momento di Fernando Castedo. Il 
suo mandato durò undici mesi, le sue dimissioni avvennero 
dopo il tracollo elettorale dell’UCD. Castedo passò la 
direzione a Carlos Robles Piquer, con il quale la RTVE fece 
un passo indietro verso la censura e la manipolazione. Nel 
1982 fu Eugenio Nasarre a prendere le redini della 
Dirección General della RTVE, ma anch’egli come gli 
ultimi tre direttori non fece altro che dimostrare come 
15 
l’attribuzione da parte del Governo della nomina del 
Direttore Generale fosse stato un errore clamoroso. Se la 
gestione dell’ente procedeva a singhiozzi, durante tutto il 
periodo di transizione, gli introiti provenienti dalla 
pubblicità continuavano ad aumentare confermando quanta 
valenza avessero nelle risorse finanziarie della RTVE. La 
televisione incrementava la propria quota sul totale del 
mercato pubblicitario del sistema mediatico, incidendo 
sempre di più sul PIL spagnolo. Ma nonostante il monopolio 
dell’offerta, il numero degli spot ed il tempo dedicato alle 
pubblicità non crebbero in proporzione all’aumento degli 
introiti. La televisione continuò quindi ad essere un mezzo 
di comunicazione di élite, come durante il franchismo, di cui 
solo le grandi aziende avevano l’accesso. Possiamo 
concludere citando le parole esaustive di Bustamante: 
In definitiva, la transizione democratica spagnola 
lasciò irrisolta una questione particolarmente seria, in 
netto contrasto con quanto stava avvenendo nello 
scenario europeo dell’epoca: sulla traccia di altri Paesi 
mediterranei, si consolidò una cultura politica clientelare 
alla base dell’organizzazione del servizio pubblico, senza 
che, nel contempo, si sviluppassero politiche volte a 
riformare il sistema per svincolarlo, almeno in parte, dal 
potere esecutivo (Bustamante: 2007, p.110). 
Il periodo socialista invece iniziò sotto il Governo di 
Gonzáles alla guida del PSOE, denominato da alcuni autori 
“partito dominante” in seguito alla ingente maggioranza con 
cui vinse l’elezioni. Quegli anni sono segnati da una 
profonda volontà di democratizzazione della RTVE, nonché 
da un bisogno espresso di liberare l’informazione pubblica 
16 
dalla macchina manipolatrice del Governo. In realtà i fatti 
non hanno reso giustizia alle pretese del PSOE, il 
“consolidamento della democrazia” (Tussel: 2005, p.481) 
non portò quasi nessun cambiamento né al piano 
organizzativo né a quello gestionale alla radiotelevisione 
pubblica. Nonostante questo ci sono state importanti riforme 
nel settore culturale e nel sistema delle comunicazioni. 
Innanzi tutto sono state varate leggi a sostegno del cinema, 
c’è stata la regolamentazione sugli aiuti alla stampa, la 
promozione della televisione regionale e il riordinamento 
della legislazione sulla proprietà intellettuale. Per quanto 
riguarda la RTVE, nel 1977, prima ancora che si conoscesse 
il risultato delle elezioni, venne firmato dai rappresentanti 
dei partiti di opposizione un documento congiunto con il 
quale si vedeva necessaria la creazione di un organo 
democratico di vigilanza sul sistema radiotelevisivo, che 
avesse il compito di controllare la gestione dell’azienda e di 
elaborare una proposta di Statuto. Nelle “proposte culturali 
del PSOE” del 1978 si insisteva sul carattere pubblico della 
RTVE, puntando a realizzare una televisione libera, 
pluralista, democratica e decentrata. Con l’intenzione di 
“eliminare la dipendenza della RTVE dal Governo”, i 
socialisti affermavano: 
[…] noi socialisti proponiamo una radio e una 
televisione concepite come servizio pubblico, pluralista, 
libero, democratico, decentrato, volto a diffondere la realtà 
viva dei diversi popoli e nazionalità dello Stato; strumento, 
insomma, di libertà e non di oppressione, di informazione e 
non di inganno, di riflessione e non di coazione (Pérez 
Ornia:1988, p.590). 
17 
Il primo Direttore Generale socialista della RTVE fu 
José María Calviño, che partì con un gran slancio ma 
terminò la sua carriera sommerso dalle critiche della stampa 
e dei partiti di opposizione. Nel giorno della sua nomina 
aveva affermato: «la RTVE la deve smettere di essere al 
centro delle notizie e diventare, al contrario, un mezzo che 
veicoli informazioni puntuali, veritiere, obiettive e 
2
attendibili». Nel settembre del 1983 si dimise il Direttore 
della Televisión Española Antonio López e diversi 
responsabili dei programmi informativi, seguiti dalle 
dimissioni di molti dipendenti nel settore tecnico, della 
programmazione e della produzione. Di conseguenza 
Calviño venne sostituito da Pilar Miró. Durante il suo 
mandato, la RTVE intraprese una politica di incremento del 
distacco territoriale. Si raggiunse così un buon livello di 
decentramento, cominciando a correggere il centralismo 
della RTVE. Nel 1984 si inaugurarono nuovi centri 
territoriali delle Isole Baleari, della Cantabria e di Madrid, 
poi quello di La rioja. Nello stesso anno il Governo 
socialista presentò in Parlamento una legge che 
regolamentasse il Terzo Canale Televisivo. Nel primo 
articolo di questa legge si autorizzava il Governo ad attivare 
un terzo canale di televisione di titolarità statale e ad 
assegnarlo, in un regime di concessione, nell’ambito 
territoriale di ogni Comunità Autonoma. La maggior parte 
degli altri articoli contenevano una lunga serie di limitazioni 
per evitare la concorrenza con la TVE. Inoltre, dal 1986 
2
 Citazione tratta da Diario 16 del 10 dicembre 1982. 
18 
venne avviato un secondo canale in alcune Comunità 
Autonome. 
L’incarico di Pilar Miró terminò in due anni, e al suo 
posto il Governo nominò come Direttore Generale Luis 
Solana ed anch’egli venne preso di mira dalla stampa e 
dall’opposizione per mancanza di imparzialità 
nell’informazione. Comunque, tra il 1983 e il 1985 ci furono 
diverse proposte per modificare l’Estatudo de la Radio y la 
Televisión del 1980, ma a causa di astensioni dei partiti alle 
votazioni e di voltafaccia, nessuna di queste venne accettata. 
Lo Statuto restò così inalterato. Qualche anno più tardi, nel 
1989, cominciarono a manifestarsi i primi scontri tra la 
RTVE delle emittenti pubbliche e le Comunità Autonome, 
manifestandosi in boicottaggi per impedire che quest’ultime 
trasmettessero sul segnale di radiodiffusione statale. Dopo il 
mandato di Solana, venne il momento di Jordi García 
Candau nel 1990, colui che restò Direttore Generale più a 
lungo dal regime franchista. Sotto il suo mandato ci furono 
altri tentativi di riformare lo Statuto, tra cui il più importante 
è stato il contributo dato da una Comisión Especial in seno 
al Senato, che presentò le sue conclusioni sull’analisi delle 
disfunzioni della televisione. Da una parte suggeriva di 
concepire un nuovo Statuto per la RTVE in cui prevalessero 
le funzioni sociali e in cui ci fosse un finanziamento volto a 
diminuire progressivamente la partecipazione nel mercato 
pubblicitario. Dall’altra richiedeva la nascita di un Consejo 
Audiovisual che avesse il compito di “favorire 
l’intermediazione tra le istituzioni politiche e il sistema 
audiovisivo da un lato, e, dall’altro, tra quest’ultimo, la 
19 
3
società e i diritti dei cittadini”. Il Consejo avrebbe dovuto 
essere eletto dal Parlamento a maggioranza di due terzi, 
avrebbe dovuto assolvere alle funzioni di vigilanza e 
controllo del rispetto della legislazione, di vigilanza sui 
diritti fondamentali delle minoranze, di mediazione e 
arbitrato e avrebbe dovuto rispondere alle richieste e 
denuncie dei telespettatori. Parallelamente a questo 
processo, durante gli anni Novanta, la programmazione 
diventò il fulcro di una concorrenza commerciale sempre 
più spietata, soprattutto dopo l’avvento della televisione 
satellitare. Infatti nel 1987 il segnale di TVE Internacional 
passò sul satellite, ma il successo reale della televisione 
satellitare fu legata all’introduzione di nuovi vettori che 
consentirono la ricezione dei segnali Direct-to-Home 
(DTH), quindi direttamente nelle case dei telespettatori. Con 
il lancio del sistema Hispasat, nel 1992, ebbe inizio la storia 
della televisione satellitare spagnola. Nello stesso anno fu 
approvata la Ley de Telecomunicaciones por Satélite che 
concedeva un canale per ogni emittente analogica, e più 
tardi, nel 1995, un nuovo testo giuridico proclamava 
l’assoluta libertà delle trasmissioni via satellite, 
considerandole al di fuori del concetto di servizio pubblico. 
Negli anni Novanta dunque, la televisione commerciale fece 
il suo ingresso nel panorama mediatico spagnolo. Questo 
ingresso fu facilitato da una serie di manovre legislative. Nel 
3
 Citazione tratta dall’appendice V “Propuesta de la 
Comisió especial sobre los contenidos televisivos para la 
creación de un Consejo Superior de los Medios Audiovisuales”, 
in Senado, Informe de la Comisión especial sobre los contenidos 
televisivos, Madrid, Espejo de tinta, 2006, p.249. 
20 
1987 venne promulgata la Ley de Ordinación de las 
Telecomunicaciones che, pur ribadendo che le 
telecomunicazione erano “servizi essenziali di titolarità 
statale” riservati al settore pubblica, prevedeva delle 
eccezioni, tra le quali figuravano i “servizi di diffusione” 
come la televisione che potevano essere sottoposti al regime 
di “gestione indirette” tramite concessione. Di seguito, nel 
1989 venne approvata in Parlamento la Ley de Televisión 
Privada che nel preambolo si presentava come uno 
strumento per “ampliare le possibilità di pluralismo 
informativo”. Le società concessionarie dovevano essere 
stabilite da Governo secondo criteri volti a garantire la 
libertà di espressione e il pluralismo delle idee. Le tre 
concessioni vennero dunque attribuite ad Antena 3 TV , 
Telecinco e Sogecable. Nel 1990 Antena 3 TV cominciò a 
trasmettere i propri programmi, seguita da Telecino e da 
Canal Plus España. A causa però di perdite economiche 
costanti nel tempo, ci furono due cambiamenti: Gestevisión 
Telecinco passò alla proprietà della Fininvest e della ONCE. 
Nel caso Antenna 3 TV il controllo di maggioranza passò al 
Grupo Zeta. Soltanto Canal Plus (Sogetel) mantenne un 
azionario stabile. La situazione cambiò radicalmente quando 
gli investimenti pubblicitari si arrestarono e cominciarono a 
diminuire nel 1991. In seguito a questo crollo, Telecinco 
cominciò a concedere grossi sconti sulle tariffe 
pubblicitarie, contratti più flessibili e la possibilità di 
negoziare direttamente per i grandi inserzionisti. Antena 3 
TV fece lo stesso, e nel 1992 anche le televisioni 
autonómicas furono costrette a ricorrere alle stesse modalità. 
L’impatto sui conti della RTVE fu immediato e dannoso. 
21