4 
 
regolate nel dettaglio; un ruolo decisivo veniva riconosciuto, in particolare, 
alla Commissione interna, chiamata a decidere sull‟opportunità del 
provvedimento di licenziamento, e ad un collegio arbitrale il cui intervento, 
finalizzato all‟esperimento di un tentativo di conciliazione, era eventuale in 
quanto subordinato alla mancata prestazione del consenso da parte della 
Commissione all‟adozione dell‟atto di recesso2.  
Il procedimento conciliativo rappresentava un momento essenziale della 
disciplina del licenziamento per rdp, tanto da doversi esperire a due livelli 
diversi: in prima istanza tra Commissione interna e direzione dell‟impresa, 
in seconda istanza, in ipotesi di mancato accordo, tra Associazioni 
Provinciali degli industriali e Camera Provinciale del Lavoro. 
L‟accordo cessava, però, di avere efficacia il 31.12.1948 per disdetta 
dell‟organizzazione datoriale; la lacuna normativa creatasi ha portato 
all‟emanazione della legge n. 264 del 1949, nella quale si riconosceva ai 
lavoratori licenziati per rdp il diritto di precedenza nelle assunzioni 
effettuate dalla stessa azienda entro un anno dalla cessazione del rapporto di 
lavoro3. 
Con accordo del 21 aprile 1950, successivamente recepito nel D.P.R. 14 
luglio 1960, n. 1019, si assisteva ad una prima netta delimitazione del 
potere imprenditoriale di recesso; comincia a parlarsi di 
                                                          
2
 La Commissione aveva tre settimane di tempo per trovare un accordo con l„azienda, altrimenti la 
trattativa era demandata all„esame delle organizzazioni sindacali territoriali. 
3
 Art. 15, comma 6, L. 223. 
 5 
 
procedimentalizzazione degli obblighi datoriali, in quanto si delineava un 
procedimento nel quale la direzione dell‟impresa era tenuta ad indicare nel 
provvedimento di licenziamento comunicato alla propria Associazione 
territoriale i motivi, la data d‟attuazione e l‟entità numerica dei lavoratori 
destinatari del provvedimento stesso. Due le novità; innanzitutto, emergeva 
un obbligo in capo all‟imprenditore di consultazione delle OO. SS.4 
interessate e di esperimento del tentativo della conciliazione, in caso di 
mancato accordo fra le parti. Tuttavia, era forte l‟influenza dell‟art. 41 
Cost., che permette di ricondurre il potere di organizzazione dell‟impresa 
alla libera iniziativa economica, ivi riconosciuta e tutelata; in tal modo 
l‟imprenditore era considerato esonerato dall‟obbligo di giustificazione 
della propria scelta, e dunque non era obbligato ad esporre alla controparte, 
nell‟ambito di una consultazione sindacale, i motivi determinanti il 
licenziamento per rdp5. La Corte Costituzionale sottolinea la meritevolezza 
di tutela del diritto del datore di lavoro di procedere ai licenziamenti 
collettivi, tanto da considerarlo prevalente all‟interesse dei singoli 
dipendenti alla conservazione del posto di lavoro6. Secondo elemento di 
novità consiste nell‟aver individuato nella riduzione o trasformazione di 
attività o di lavoro il carattere costitutivo della fattispecie di riduzione del 
                                                          
4
 D‟ora in avanti OO. SS per organizzazioni sindacali. 
5
 GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2006, 710. 
6
 Corte Costituzionale, 8.2.1966, n. 8, in GU, 12.2.1966, n. 38. 
 6 
 
numero del personale, anche se mancava una espressa definizione positiva 
di licenziamento collettivo. 
Ecco allora che l‟Accordo del 5 maggio 1965, ultimo in materia e 
sostanzialmente riproduttivo dei contenuti dell‟accordo precedente, detta 
una definizione di licenziamento collettivo funzionale all‟assetto normativo 
dell‟epoca ma, proprio per tale caratteristica, finalizzata a costituire una 
“via di fuga” dalla disciplina del licenziamento individuale.7 L‟accordo 
identificava il licenziamento per rdp sulla base del criterio meramente 
qualitativo della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro; un 
requisito causale, dunque, seppur accompagnato da un criterio numerico 
aperto.8 
Il requisito di cui all‟art. 1 dell‟Accordo del 1965 aveva dato luogo ad un 
dibattito che, partendo dal dato testuale della disgiuntiva “o” (“riduzione o 
trasformazione“), era giunto a ritenere non indispensabile un 
ridimensionamento materiale della struttura aziendale o una riduzione della 
produzione, reputando sufficiente una effettiva e non transuente riduzione 
di lavoro9. Volontà del legislatore era quella di tracciare una linea di 
demarcazione tra licenziamento individuale e licenziamento per rdp, 
individuando i caratteri costitutivi di quest‟ultimo. A fronte di tale 
                                                          
7
 GALANTINO, I licenziamenti collettivi, Giuffrè, Milano, 1984, p. 171. 
8
 CARINCI, Diritto del lavoro Vol. III, Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, 
estinzione e tutela dei diritti, UTET, 2006. 
9
 GALANTINO, I licenziamenti collettivi, cit.; VENTURA, Licenziamenti. I licenziamenti 
collettivi, voce Enc. giur. Treccani, XIX, 11; GENOVIVA, I licenziamenti, Collana di dottrina e 
 7 
 
definizione normativa, infatti la giurisprudenza ha dato un significativo 
contributo all‟individuazione della fattispecie, ravvisandola in presenza di: 
una pluralità di licenziamenti, una riduzione o trasformazione di attività o di 
lavoro, un nesso di causalità fra la insindacabile scelta economica datoriale 
e la soppressione di un certo tipo e numero di posti di lavoro e il rispetto 
delle procedure sindacali10. 
Il riferito nesso di causalità escludeva che il rapporto di congruità dovesse 
sussistere fra la scelta economico-organizzativa del datore di lavoro e 
l‟individuazione dei singoli lavoratori da licenziare, poiché tale 
individuazione diretta è caratteristica precipua dei licenziamenti individuali 
plurimi per giustificato motivo oggettivo11; la netta distinzione ha fatto 
nascere la convinzione che si potesse parlare di autosufficienza della 
disciplina prevista per il licenziamento per rdp e, in particolar modo, di 
autonomia del sistema di tutele previste nell„uno e nell„altro caso12. 
L‟esito finale della procedura era comunque rappresentato 
dall‟individuazione concreta dei lavoratori da licenziare, ovvero 
dall‟applicazione di criteri di scelta tipici del licenziamento collettivo. Il 
                                                                                                                                                               
giurisprudenza di diritto del lavoro diretta da G. GIUGNI, Torino, Utet, 1988, 211; Cass. 
16.1.1975, n. 172, in RGL, 1975, II, 79. 
10
 Cass. 27.2.1979, n. 1270, in RGL, 1979, II, 27; Cass. 13.2.1982, n. 922, in RGL, 1982, II, 64; 
Cass. 2.9.1986, n. 5384, in RIDL, 1987, II, 593. 
11
  VALLEBONA, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, in MGL, 1992, 429; 
Cass. 87.11.1998 n. 11251, in RCDL, 1999, 82; Cass. 26.4.1996 n. 3896, in MGL, 1996, 603; 
Cass. 27.5.1997 n. 4685, in RCDL, 1997, 769. 
12
 Corte Cost. 8.2.1966, n. 8, cit. La Corte Costituzionale confermava la distinzione tra le due 
fattispecie ritenendo che il D.P.R. 1019/60 avesse garantito applicabilità generale all‟accordo 
esclusivamente con riferimento ai profili e alle disposizioni di carattere sostanziale riguardanti i 
criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, e non anche alle previsioni procedurali le quali 
 8 
 
vero elemento di novità consisteva, infatti, nell‟obbligo dell‟imprenditore di 
tener conto di una serie di criteri oggettivi in concorso fra loro13: esigenze 
tecnico-produttive, anzianità e carichi di famiglia. 
La disposizione, in un primo momento, era stata interpretata nel senso che 
tali criteri dovessero essere osservati rispettando l‟ ordine di priorità 
rigorosamente stabilito, assegnando quindi, a priori, una prevalenza al 
criterio economico su quelli c.d. sociali. Tuttavia in giurisprudenza si era 
consolidato un diverso orientamento, divenuto maggioritario, che esonerava 
il datore dal rispetto di tale rigida sequenza, all‟interno quindi di una 
valutazione globale e complessiva dei criteri di scelta14. Laddove ci si era, 
invece, pronunciati in termini di rigoroso rispetto dell‟ordine di priorità, le 
conseguenze pratiche non si discostavano, comunque, molto 
dall‟orientamento prevalente; infatti, anche all‟interno della posizione 
minoritaria, al datore di lavoro era riconosciuta la possibilità di dare 
prevalenza al criterio delle esigenze tecnico-produttive, purché fosse data la 
prova in concreto dell‟esistenza di fattori obiettivi giustificativi della scelta 
di tale criterio, oltre che dell‟assenza di intenti elusivi o ragioni 
discriminatorie. La scelta datoriale non era quindi sottratta al sindacato 
                                                                                                                                                               
conservavano la loro efficacia contrattuale. 
13
 Art. 2, ultimo comma, Accordo 1965. 
14
  Cass. 13.2.1990 n. 1039, in MGL, 1990, 44; Cass. 14.3.1992 n. 3167, in MFI, 1992; Cass. 
6.7.1990, n. 7105, in RGL, 1990, II, 440. 
 9 
 
giudiziale di giustificazione della preminenza assegnata al criterio 
economico15. 
La nozione interconfederale veniva ripresa nei successivi interventi 
legislativi, dove la rdp viene sempre più considerata un corpo 
autosufficiente di norme sostanziali e strumentali, tanto da poter, ancora 
oggi, riconoscere spazi residuali di applicabilità alla disciplina pattizia (si 
pensi alle imprese, operanti nel settore industriale che non abbiano i 
requisiti numerici oggi richiesti ed alle quali non sia neppure applicabile la 
disciplina normativa della CIGS). 
 
                                                          
15
  FRANCO, Le modalità d’applicazione dei criteri di scelta nei licenziamenti collettivi prima e 
dopo la L. 223/1991, commento a Cass.15.7.1995, n. 7708, in RIDL, 1996, II, 424. Come detto, si 
tratta di una posizione minoritaria, comunque coerente con la finalità dell‟Accordo di dare 
prevalenza alla tutela delle esigenze dell‟impresa e coerente col carattere di libertà, 
costituzionalmente riconosciuto, dell‟iniziativa economica privata; CONTE, Questioni in tema di 
licenziamento collettivo, commento a Cass. 4.2.1998 n. 1150, in RIDL, 1999, II, secondo il quale il 
prevalente criterio economico consentiva una comparazione tra licenziandi soltanto nell‟ambito 
dei reparti interessati dalla rdp, ogni volta in cui ciò fosse funzionale a fronteggiare la crisi, 
sussistendo un rapporto fra le cause della stessa e l‟ambito di selezione del personale in esubero. 
. 
 10 
 
I.2  La lacuna normativa generata dalla legge 604/1966 
 
La nozione di licenziamento collettivo offerta dagli accordi interconfederali 
si potrebbe dunque definire quali-quantitativa, caratterizzata dalla 
previsione di una  procedura di consultazione sindacale: la giurisprudenza 
dell‟epoca affermava che il criterio discretivo tra le due forme di 
licenziamento previste negli accordi, non fosse da ricercare nel numero dei 
lavoratori licenziati, bensì nel motivo obiettivamente considerato, ovvero, 
indipendentemente dalla persona del lavoratore16; nel licenziamento 
individuale il motivo concerne la persona del lavoratore licenziato ed un 
inadempimento degli obblighi contrattuali a lui imputabile17 (v. infra II.2). 
In virtù di tale netta distinzione ed in mancanza di un‟apposita normativa in 
materia, si era posto sin da subito il problema della carenza di tutela dei 
lavoratori licenziati per rdp. Infatti, dopo aver individuato nel momento 
procedurale un elemento costituente la disciplina del licenziamento 
collettivo, la normativa vigente nulla diceva in merito alle conseguenze di 
un eventuale esito negativo della procedura conciliativa. Interrogativo 
aggravato dall‟efficacia limitata dell‟Accordo del 1965 ai soli stabilimenti 
industriali che normalmente occupavano più di dieci lavoratori, la cui 
disciplina, per di più, si limitava a garantire un mero confronto tra impresa e 
organismi locali dei sindacati stipulanti, prima che si procedesse ai 
                                                          
16
  Trib. Napoli 10.6.1957, in Foro it., 1958, I. 
 11 
 
licenziamenti, lasciando a dottrina e giurisprudenza il compito di tracciare 
una tutela sostanziale dei lavoratori (già di tutta evidenza era quella 
procedurale). 
La questione dell‟esito negativo della procedura conciliativa veniva, allora, 
risolta attraverso due diversi orientamenti. Un primo sosteneva la possibilità 
di conversione del provvedimento di licenziamento per rdp in individuale, 
ciò comportando, da un lato, l‟impugnabilità del provvedimento stesso, 
dall‟altro lato, la possibilità per l‟imprenditore di veder comunque 
realizzato il proprio interesse che aveva originariamente determinato la 
scelta di procedere al licenziamento per rdp18. Un secondo orientamento 
faceva riferimento alla tutela apprestata in alcune norme dell‟Accordo del 
196519, basandosi sulla convinzione che un esito negativo fosse comunque 
una eventualità strutturale alla norma sindacale, e non il frutto di una sua 
violazione.  
Ben diverso il caso di inosservanza delle norme sindacali, durante lo 
svolgimento della trattativa. Per una parte della dottrina, il licenziamento 
                                                                                                                                                               
17
 MENGONI, Deformazioni giurisprudenziali della disciplina collettiva dei licenziamenti 
dell’industria, in RDC, 1957, II, 211. 
18
  ARANGUREN, Concorso fra procedure e procedimento in sede giurisdizionale, in I 
licenziamenti collettivi per riduzione di personale/ relazioni di BRANCA, Milano, Giuffrè, 1973, 
432. 
19
 GHEZZI, ROMAGNOLI, Il rapporto del lavoro, Bologna, Zanichelli, 1995, 360. La disciplina 
interconfederale consta di norme sostanziali e strumentali: i licenziamenti per rdp devono essere 
motivati come tali (art. 5); i provvedimenti esecutivi del progetto di rdp si intendono sospesi per 
tutta la durata degli incontri in sede sindacale ovvero finché ha senso l‟aspettativa delle parti di 
giungere ad un accordo (art. 2, comma 2); in caso di nuove assunzioni entro un anno nelle 
mansioni e nelle specialità proprie dei lavoratori già licenziati, questi ultimi hanno diritto di essere 
riassunti con criteri obiettivi diversi rispetto a quelli in base ai quali furono eseguiti i licenziamenti 
(art. 5); non sono poi configurabili come licenziamenti collettivi, benché possano essere di massa, 
 12 
 
per rdp, intimato senza l‟osservanza della suddetta procedura, era da 
considerarsi inefficace e quindi inidoneo a determinare l‟estinzione del 
rapporto di lavoro: ci si muoveva nella direzione di una ferma distinzione, 
anche per quel che riguarda la disciplina applicabile alle due fattispecie20. 
Tuttavia, c‟era anche chi, su posizioni più caute, non parlava di 
conversione, bensì di un licenziamento per rdp da considerarsi individuale 
plurimo. Soluzione interessante non solo perché permetteva l‟impugnazione 
del provvedimento secondo le norme interconfederali, così garantendo 
un‟estensione della disciplina pattizia dei licenziamenti individuali a tutte le 
ipotesi in cui il mancato accordo fra le parti producesse un vuoto di tutela 
dei lavoratori; ma anche perché cominciava a delineare una qualificazione 
di licenziamento collettivo fondata sulla concreta applicazione di una 
disciplina autonoma. 
Tuttavia, tale linea divisoria, così netta dal punto di vista normativo-
concettuale, si rivelava poi molto mobile quando si trattava di applicare la 
disciplina. La posizione di voluto astensionismo che, in materia, il 
legislatore aveva tenuto di fronte alla complessità del fenomeno e alla 
difficoltà di apprestare un‟idonea tutela a tutti gli interessi coinvolti, non 
poteva più essere conservata. Ecco, allora, giusto un anno dopo l‟entrata in 
                                                                                                                                                               
né le estinzioni di rapporti di lavoro per scadenza del termine, né l‟estinzione derivante da fine 
lavoro nelle costruzioni edili e nelle industrie stagionali e saltuarie. 
20
 LATTANZI, Sui rapporti tra licenziamenti collettivi per rdp e licenziamenti individuali, in 
Giur.it, 1971, I, 255, il quale spiega che il tentativo di conciliazione, seppure coerente con la 
struttura dell‟accordo interconfederale, poteva condurre ad un esito negativo e quindi alla 
realizzazione dei licenziamenti. 
 13 
 
vigore dell‟ultimo Accordo, l‟emanazione della L. 604/1966. Un intervento 
chiarificatore in quanto pone, in maniera netta, il principio della necessaria 
giustificazione causale dei licenziamenti individuali, una sorta di 
cristallizzazione formale della motivazione a favore del lavoratore, per 
garantirgli una chiara conoscenza del thema decidendum ai fini 
dell‟eventuale giudizio d‟impugnazione21. 
Molto più importante, ai fini della nostra indagine, è la scelta legislativa di 
stravolgere il precedente sistema fondato sulla distinzione tra licenziamento 
individuale-soggettivo e licenziamento collettivo-oggettivo; veniva infatti 
introdotta una nozione di licenziamento individuale alla cui base porre una 
motivazione tanto di tipo soggettivo (giusta causa/giustificato motivo 
soggettivo), quanto di tipo oggettivo22. 
Diversa sorte tocca all‟istituto del licenziamento collettivo, per il quale 
l‟unica “norma” di riferimento restava l‟ultimo accordo interconfederale; 
infatti, stabiliva l‟art. 11, comma 2 legge n. 604 (come modificato dall‟art. 
2, comma 2, L. 108/1990), che “la materia del licenziamento collettivo per 
rdp è esclusa dalle disposizioni della presente legge”. Si tratta di un vero 
vuoto di regolamentazione determinato da una norma, tuttora in vigore, che 
riconosce implicitamente la categoria dei licenziamenti collettivi, senza 
                                                          
21
 SALOMONE, Licenziamenti collettivi: gli obblighi di forma nella comunicazione del recesso al 
lavoratore e il controllo sulla giustificatezza dei motivi, commento a Cass. 6.7.2000, n. 9045, in 
RIDL, 2001, II, 573, il quale chiarisce che si tratta della stessa finalità oggi perseguita tramite la 
certa e trasparente comunicazione effettuata all‟Ufficio del lavoro e alle OO. SS. 
22
  VERGARI, Licenziamento per riduzione di personale e licenziamento per motivi oggettivi: due 
nozioni da riunificare, in LD, 1991, n. 1, 57. 
 14 
 
però stabilirne in alcun modo una definizione23. Dottrina e giurisprudenza 
hanno cercato in varie maniere di colmare tale vuoto. C‟è chi aveva 
sostenuto, schierandosi a favore di un‟interpretazione letterale dell‟art. 11, 
comma 2, la sussistenza giuridica di una fattispecie di recesso 
ontologicamente autonoma: il licenziamento assumeva natura collettiva 
quando il provvedimento di risoluzione del rapporto, oltre a riguardare una 
pluralità di lavoratori, fosse causato da una riduzione o trasformazione di 
attività o di lavoro e fosse, altresì, preceduto dalle procedure di 
consultazione sindacale24. Si tratta di una tesi che guardava con favore alla 
disciplina interconfederale del licenziamento per rdp, in quanto dettata da 
una scelta di politica del diritto tesa, da una lato, a restringere il campo 
d‟azione della tutela nei confronti del licenziamento individuale tout court, 
ma dall‟altro lato, pronta ad allargare lo spazio d‟azione della tutela nei 
confronti dei licenziamenti illegittimi. 
Un secondo orientamento cercava di attrarre i licenziamenti collettivi nella 
zona d‟ombra delineata dalla stessa legge n. 604; quest‟ultima infatti, 
all‟art. 3, fonda il licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo 
                                                          
23
  Cass. 17.5.1985 n. 3034, in RGL, 1986, II, 61. 
24
 Cass. 5.5.1995, n. 4874, con commento di GALEONE, Il licenziamento collettivo prima e dopo 
la L. 223/1991, in RIDL, 1996, II, 639, è collettivo il licenziamento che si ricollega ad un‟effettiva 
e non transuente riduzione dell‟attività d‟impresa, che comporti una mera riduzione dell‟elemento 
del personale, ogniqualvolta l‟azienda possa effettivamente attuare il suo ridimensionamento senza 
dover necessariamente modificare, trasformare o sopprimere le sue strutture organizzative e 
materiali; Cass. 8.7.1982 n. 4050, in NGL, 1983, 2; Cass. 14.12.1982 n. 6897, in Mass. Foro it., 
1982; Cass. 8.3.1988 n. 2215, in Mass. Foro it., 1988, individuavano, tutte, quale connotato 
essenziale del licenziamento collettivo per rdp l‟insindacabilità della scelta imprenditoriale, 
l‟espletamento delle procedure sindacali come elemento costitutivo della fattispecie, e, sotto il 
profilo degli effetti, la sola risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione dei criteri di scelta. 
 15 
 
oggettivo25 sull‟organizzazione del lavoro. Di conseguenza, pur avendo in 
comune con il licenziamento per rdp l‟irrilevanza delle qualità proprie del 
singolo lavoratore, il recesso subiva un‟individualizzazione in relazione ad 
uno o più dipendenti, la cui attività lavorativa fosse immediatamente 
investita dalle ragioni produttive od organizzative determinanti la 
soppressione dei posti cui essi erano addetti. Dal combinato disposto 
dell‟art. 3 con l‟art. 11, comma 2, emerge, in caso di licenziamento per 
g.m.o., la configurabilità del licenziamento per rdp come fattispecie di 
recesso dell‟imprenditore, o meglio, come terza ipotesi di giustificato 
motivo26. Prima conseguenza di tale orientamento era la sottoponibiltà del 
provvedimento al controllo giudiziale27; laddove, ciò che l‟art. 11, comma 
2, intendeva salvaguardare con la sua accezione negativa era 
l‟insindacabilità della scelta datoriale, restando, invece, in ogni caso 
soggetta a controllo giudiziale l‟adeguatezza in concreto del singolo 
licenziamento al programma di ridimensionamento insindacabilmente 
deciso dall‟imprenditore28. Il secondo effetto riguardava il licenziamento 
dichiarato illegittimo per insussistenza dei presupposti sostanziali e delle 
procedure di consultazione sindacale, in relazione al quale non opererebbe 
la riserva di cui all‟art. 11, comma 2, bensì riacquistava pieno vigore la 
                                                          
25
 D‟ora in avanti g.m.o. per giustificato motivo oggettivo. 
26
  Cass.  27.2.1979, n. 1270, in RGL, 1979, II. 
27
  Corte Cost. 28.1.1985, ord. n. 191, in FI, 1986, I; Trib. Milano 25.5.1994, in OGL, 1994, n. 3,             
629; Cass. 17.6.1997 n. 5419, in Rep. Foro it., 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1626. 
28
  PERA, Relazione, in Aidlass, I licenziamenti nell’interesse dell’impresa, 252. 
 16 
 
disciplina sui licenziamenti individuali29. Di tutta evidenza era la volontà di 
espandere la disciplina di cui alla L. 604 sulla base di una possibile diversa 
qualificazione degli stessi fatti giuridici, una qualificazione razionale e 
giustificata dalla diversità delle fattispecie e degli interessi in gioco; 
diversità che consente, sul piano processuale, di stabilire procedure 
differenziate in relazione alle varie situazioni sostanziali dedotte in 
giudizio.  
E proprio sul piano delle tutele si muoveva un terzo orientamento che parla 
di un‟implicita abrogazione dell‟art. 11, comma 2, da parte dell‟art. 18 dello 
Statuto dei Lavoratori: la differenza fra i due tipi di recesso perderebbe 
rilevanza in concreto a seguito della generale applicabilità riconosciuta al 
regime di stabilità reale, così come garantito nello Statuto30. 
Da quanto esposto si comprendono i successivi numerosi interventi 
legislativi a protezione dei rischi connessi all‟intimazione di un 
licenziamento per rdp: dalla normativa in materia di intervento straordinario 
della Cassa integrazione guadagni31 (v. infra II.3) alla predisposizione di un 
più ampio sistema di ammortizzatori sociali fino a tentativi di supporto 
economico dello stato alle imprese, ai fini della salvaguardia tanto  dei 
livelli occupazionali, quanto del reddito dei lavoratori. 
                                                          
29
  Cass. 5.5.1984, n. 4874. 
30
 BALLESTRERO, I licenziamenti, 1975, cit.; Pret. di Taranto 29.7.1976, in RGL, 1977, II. 
31
 D‟ora in avanti Cig per Cassa integrazione guadagni. 
 17 
 
I.3  Gli interventi normativi comunitari: le Dir. 75/129/CEE 
     e 92/56/CEE     
 
Il vuoto di regolamentazione lasciato dall‟art. 11, comma 2, L. 604, aveva 
posto problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, la quale, in 
merito al sistema di garanzie dei diritti dei lavoratori eventualmente 
coinvolti in una crisi di impresa, si era sin da subito attivata intensamente ai 
fini di una definizione uniforme, in ambito europeo, della nozione di 
licenziamento collettivo per rdp. L‟obiettivo prioritario perseguito a livello 
comunitario era la conformazione, o quanto meno il riavvicinamento della 
legislazione dei vari Stati Membri mediante l‟individuazione di tutele 
uniformi, ferma restando la possibilità, per i singoli Stati Membri, di 
introdurre discipline nazionali più favorevoli32. 
Si è posto innanzitutto un problema di natura giuridica in merito allo 
strumento normativo adottato, ovvero la direttiva, la quale impone, in 
termini di efficacia, l‟emanazione di specifici provvedimenti attuativi da 
parte dei vari legislatori nazionali. Tale ulteriore produzione normativa non 
sempre, però, è stata ritenuta indispensabile prospettandosi, in linea con la 
giurisprudenza della Corte Costituzionale33 sul rapporto fra gli ordinamenti 
comunitario ed interno, ed a seguito della reiterata inadempienza agli 
obblighi comunitari, un‟efficacia diretta quantomeno delle disposizioni 
                                                          
32
  SANTONI, Il dialogo tra ordinamento comunitario e nazionale del lavoro: legislazione, in 
GDLRI, 1992.