8 
 
coordinatrice ESN di Cagliari e i Professori Vito Erriu e Salvatore Meloni che si sono resi 
disponibili affinché io li riprendessi mentre producevano i segni. 
Un altro obiettivo del mio lavoro è stato quello di verificare il grado di trasparenza o opacità 
dei segni presi in esame. A tal fine ho fatto due diversi esperimenti; il primo in una quinta 
classe elementare composta da 15 bambini, ai quali ho sottoposto 90 segni molto comuni, 
quasi tutti tratti dalla lista di nomi usati per la ricerca di confronto (animali e mestieri), con 
l‟aggiunta di altri 30 termini rappresentati da verbi comuni e nomi di oggetti della vita 
quotidiana. 
La prima richiesta fatta ai bambini per verificare l‟eventuale “trasparenza” dei segni è stata 
quella di individuare il significato dei segni senza fornire loro nessun tipo di indizio. Ho poi 
ripetuto l‟esperimento con gli stessi bambini ma questa volta, nel mostrare i segni attraverso 
un video, fornivo loro qualche indizio per facilitarne l‟identificazione. 
In questo modo ho potuto verificare il reale grado di iconicità del segno ottenendo dei risultati 
molto soddisfacenti. Ho somministrato lo stesso tipo di test a ragazzi più grandi che 
frequentano la 3 ° superiore di un liceo linguistico. Anche a loro è stato chiesto dapprima di 
individuare il significato del segno (senza fornire nessun tipo di aiuto), mentre nella seconda 
parte dell‟esperimento ogni segno era accompagnato dalla corrispondente traduzione in 
italiano. Ciascuno doveva descrivere quale fosse, secondo lui, la relazione tra forma e 
significato. In questo caso le persone intervistate hanno fornito risposte simili per circa la 
metà dei segni presentati, dimostrando di poter cogliere il rapporto tra segno e referente, ossia 
la “traslucidità” dei segni. Ad esempio, nel caso del segno FALEGNAME, gli udenti hanno 
fornito risposte del tipo “azione di segare”, “segare un tronco”. I risultati di questi esperimenti 
hanno, quindi, confermato che senza dubbio tra molti segni e gli oggetti o eventi che 
designano vi è una relazione di tipo iconico.  La distinzione, introdotta dalla Bellugi, tra 
“trasparenza” e “traslucidità” si rivela molto importante perché sottolinea che la 
“comprensibilità” dei segni è solo parziale: non si capisce il significato dei segni che non si 
conoscono; solo quando se ne conosce il significato, si può ricostruire, in molti casi anche 
abbastanza facilmente, il rapporto tra segno e referente. Sulla base di questi risultati è stato 
affermato che molti segni mostrano tratti iconici anche se a livelli diversi (cfr Caselli, 
Maragna, Volterra 1994). L‟esperimento si è rivelato davvero chiarificatore nel determinare 
l‟iconicità dei segni. Soltanto il 20 % circa dei segni sono risultati immediatamente trasparenti 
o perché riproducevano l‟esatta forma del referente (es. FARFALLA) oppure perché hanno 
una relazione diretta di somiglianza fisica con l‟oggetto o l‟evento rappresentati (CAPRA, 
RINOCERONTE, AQUILA, LUMACA, GALLO, BUE, SBUCCIARE) altri ancora  perché 
sono simili a gesti convenzionalizzati normalmente usati dagli udenti italiani (BERE, 
MANGIARE, SCRIVERE, CAMMINARE), altri infine perché hanno una relazione fisica 
con il luogo di esecuzione e il significato del segno (SENTIRE, ASCOLTARE, VEDERE, 
GUARDARE), l‟ 80% dei segni invece non sono stati subito compresi nemmeno suggerendo 
la categoria di appartenenza. 
 
9 
 
1. Lingue da sentire e lingue da vedere. 
 
  
Prima di affrontare un discorso sul Linguaggio dei Segni Italiano (LIS), occorre definire che 
cosa sia una lingua e in che modo essa venga appresa dagli individui. Si sa che anche le 
persone sorde sviluppano un vero e proprio linguaggio “silenzioso”, fatto di gesti e soprattutto 
di segni manuali. 
Come sostiene Violi [1997,71], il linguaggio è “ il più potente sistema semiotico che l‟essere 
umano ha a disposizione per riferirsi, descrivere, evocare e costruire l‟universo della propria 
esperienza” mettendola in relazione con quella altrui. Di certo sentiamo spesso parlare di 
linguaggio, si parla di “linguaggio degli animali”, “linguaggio dei media”, di “linguaggio dei 
gesti” e così via. 
Ora è il caso di domandarsi se tutti questi tipi di linguaggi siano la stessa cosa oppure no, e, se 
no per quale motivo li definiamo tutti “linguaggi”? Ciò che possiamo affermare con certezza è 
che tutti i tipi di linguaggio appena citati hanno un elemento in comune: sono tutti sistemi di 
comunicazione, con la funzione di trasmettere informazioni da un individuo (emittente) ad un 
altro (ricevente). 
Il linguaggio nasce perciò dalla necessità dell‟individuo di poter esprimere le proprie esigenze 
e i propri bisogni, le proprie esperienze.  Per riuscire in questo intento bisogna far ricorso ad 
un mezzo che veicoli le informazioni, ossia una lingua che sia condivisa dai soggetti coinvolti 
nella comunicazione linguistica. È ora pensabile immaginare l‟esistenza di una lingua che non 
utilizzi il sistema fono-articolatorio e che perciò non possa essere parlata? Forse è complicato, 
eppure questo tipo di lingua esiste in ogni Paese: si tratta della Lingua dei Segni utilizzata e 
condivisa dalle persone sorde. Come dimostrano gli studi di William Stokoe, essa è, al pari 
della lingua vocale, una  lingua a tutti gli effetti. Il ricercatore americano, infatti, studiando 
l‟A.S.L. (American Sign Language) e confrontandola con la lingua fonica ha evidenziato le 
grandissime similitudini tra di esse. Stokoe partendo dalla considerazione dei fonemi, ossia 
delle particelle prive di significato che unendosi ad altri fonemi formano le parole, ha scoperto 
anche nella Lingua dei Segni l‟esistenza di forme equivalenti, i cosidetti CHEREMI, che altro 
non sono che unità minime non dotate di significato. In particolare Stokoe ha dimostrato che 
parametri formazionali come luogo di articolazione, configurazione della mano, movimento e 
orientamento del palmo della mano, sono l‟equivalente dei tratti fonologici utilizzati per 
descrivere i suoni del parlato. Nella Lingua dei Segni Italiana (LIS) a questi parametri viene 
aggiunto anche quello dell‟espressione, che ha un ruolo veramente importante nella 
formazione delle frasi segnate. Nel corso dei suoi studi, Stokoe ha verificato che 
l‟organizzazione lessicale dei segni è molto simile a quella delle lingue vocali. 
Ad esempio “mano” e “nano” hanno un significato diverso, e ciò in virtù della variazione di 
un solo suono: [m] e [n] sono, quindi, suoni dell‟italiano che contribuiscono a formare coppie 
minime, ossia coppie che differiscono tra loro solo per un suono nella stessa posizione. Anche 
nella lingua dei segni esistono le coppie minime: la variazione di uno dei parametri 
formazionali, infatti, cambia il significato della parola. Così come capita nelle lingue foniche, 
è anche possibile avere diverse realizzazioni di uno stesso parametro. In particolare Stokoe, 
relativamente al tratto della CONFIGURAZIONE, ha individuato numerose varianti di una 
stessa configurazione, che ha definito ALLOCHERI. Questi ultimi corrispondono agli 
10 
 
allofoni della lingua italiana e non cambiano il significato del segno. Da questi dati si possono 
mettere in risalto alcuni elementi interessanti: la lingua dei segni non è una semplice mimica, 
ma una forma di comunicazione che trova la sua espressione nella modalità visivo-segnica 
invece che acustico-vocale; di più, la complessità delle sue  caratteristiche permette di 
definirla una "lingua a tutti gli effetti". Di seguito sono riportati alcuni esempi di coppia 
minima in Lingua dei Segni Italiana tratti da Volterra (1987) 
 
Figura 1: GOMMA (Volterra, 1987: 67)      
Figura 2: SAPONE (Volterra 1987: 67) 
 
 
Figura 3: VERO (Volterra 1987: 73) 
Figura 4: SBAGLIARE (Volterra 1987: 73) 
 
Come possiamo notare, ciò che cambia è esattamente la configurazione del segno, ovvero la 
forma che la mano assume nell‟eseguire lo stesso. Nella figura 1 viene utilizzata la 
configurazione  , in cui l‟indice è ripiegato intorno al polpastrello del pollice mentre le altre 
dita sono chiuse a pugno. Nella figura 2 invece viene usata la configurazione A in cui tutte le 
dita sono chiuse a pugno. 
Nella figura 3 è utilizzata la configurazione V (l‟indice e il medio sono estesi e distanziati), 
mentre nella figura 4 è utilizzata la configurazione 5,in cui la mano è aperta con le dita 
distanziate. 
Come abbiamo potuto notare quello dei sordi è un linguaggio tanto complesso quanto 
affascinante, dotato di proprie strutture e regole grammaticali. 
11 
 
E così come noi udenti impariamo a esprimerci verbalmente in modo naturale e spontaneo 
attraverso un processo cui siamo esposti fin dalla nascita, anche i sordi acquisiscono questo 
tipo di linguaggio non verbale in modo naturale e spontaneo se esposti ad esso fin dalla più 
tenera età. 
 
1.1.   Sordo, sordomuto, non udente, termini differenti. 
 
Stando alla definizione del vocabolario di Lingua italiana il termine sordità indica la 
riduzione più o meno grave dell‟udito, mentre con l‟aggettivo sordomuto si indica colui che è 
colpito da mutismo derivante dalla sordità congenita o acquisita prima dei cinque anni di vita. 
Ma è corretto l‟utilizzo di questo termine? Per quale motivo si è soliti definire queste persone 
“sordomute”? 
La risposta è da ricercarsi nella valutazione che della sordità si dava nel passato, quando non 
vi era consapevolezza del legame fra sordità e mutismo. In tutta Europa i sordi non avevano  
alcun diritto essendo considerati persone con gravi problemi mentali. La concezione per cui il 
pensiero si potesse sviluppare solo attraverso la parola articolata portava  a credere che i sordi 
fossero addirittura "mentecatti furiosi". Durante il Medioevo prevaleva il pregiudizio che 
portava a considerare il sordomuto come un individuo stolto, incapace di ricevere la parola e 
di conseguenza estraniato da una qualsiasi educazione, diritto legale e sociale; essendo 
incapace di produrre la parola era perciò un selvaggio neanche riconosciuto giuridicamente. 
In realtà ora è ormai noto che l‟apparato fono-articolatorio dei sordi è perfettamente integro e 
perciò, se opportunamente educati al linguaggio verbale tramite rieducazione logopedica, i 
sordi possono imparare a regolare l‟emissione di suoni e parole. Nel corso degli anni la 
comunità degli udenti ha sempre cercato di trovare differenti termini per definire le persone 
colpite da sordità. Si sono susseguiti termini quali: “sordomuto”, “non udente”, “sordi 
preverbali” ecc. Ma questo nostro voler essere “politicamente corretti”, in realtà ai sordi non 
piace affatto. A testimonianza di ciò riporto un‟intervista apparsa nel giornale La Stampa il 23 
Maggio 2009 a Serafino Timeo, ragazzo torinese sordo dalla nascita e presidente 
dell‟associazione Lislandia il quale dice: 
 
«Il termine "sordomuto" non esiste più […] La legge ha ufficialmente cambiato il termine 
"sordomuto" in "sordo". E non vogliamo neanche essere chiamati "non udenti", perché quel 
"non" rende l'espressione negativa. Allora noi dovremmo chiamarvi "non sordi"?». 
«Quello che veramente ci differenzia da voi è la nostra lingua, il Lis, Lingua, non linguaggio 
- ci tiene a specificare - perché non è un modo di comunicare e basta ma una vera e propria 
lingua, tanto che come la Lingua Italiana dei Segni, esistono innumerevoli altre lingue, una 
per ogni nazione. 
 
Anche una nota attrice sorda francese scrive nella sua autobiografia: 
 
Ho anche voglia di rispondere, a volte, a tutti quei termini tipo: «non udenti», […] proprio 
non mi vanno giù. I sordi dicono di se stessi: «sordi». È una parola francese, è chiara. Non 
udenti? È forse un difetto? Forse perché gli altri bisognerebbe specificare che non ci 
12 
 
«sentono»? 
(Laborit E., 1995:239). 
 
Appare perciò evidente che le persone sorde vogliano essere riconosciute nella loro assoluta 
normalità di persone perfettamente in grado di condurre la loro vita al pari di tutti. 
 
1.2.  Cenni storici sulla cultura e l’educazione dei sordi 
 
La scarsa attenzione ai problemi dei sordi non si traduce certo nella loro inesistenza. 
Sappiamo che fin dall‟antichità i sordi sono stati oggetto di discriminazioni: privi di 
istruzione, erano completamente isolati nel loro stato e sfruttati per i lavori più umili e faticosi 
sia in seno alla famiglia che nel mondo esterno. Erano considerati ritardati mentali o peggio, 
secondo la legge degli antichi Romani, “mentecatti furiosi” e per decreto non educabili 
(Grimandi,1960). 
La sordità, però, colpisce persone di qualsiasi estrazione sociale, anche i membri di famiglie 
ricche e nobili che a causa di questo svantaggio non erano considerati in grado di diventare 
possibili eredi. Si può dire che anche che per questi motivi di ordine pratico, dagli strati 
superiori della società sono arrivate le maggiori pressioni per “risolvere” il problema. 
L‟educazione del sordo era, negli ambienti nobili, fondamentale affinché questi potesse 
liberarsi dalla condizione d‟incapacità giuridica. Infatti solo in questo modo egli avrebbe 
potuto ereditare il patrimonio di famiglia, i titoli nobiliari e ricoprire incarichi d‟alto rango. La 
prima persona che considerò seriamente la possibilità di educare i sordi fu Girolamo Cardano 
(1501-1576). È in questo periodo che nasce “l‟arte” di educare e istruire i sordomuti. Visto il 
carattere privato di questi maestri solo i figli sordi di persone ricche ed influenti potevano 
godere del privilegio di un‟educazione, mentre la maggior parte di loro rimaneva 
nell‟ignoranza e nella miseria. Il metodo su cui si concentrano questi maestri è quello orale. 
Essi partono dall‟ipotesi che, nell‟istruzione di un individuo, il senso dell‟udito possa essere 
sostituito da quello della vista. 
I primi esercizi che venivano impartiti erano innanzitutto quelli legati all‟apprendimento della 
distinzione tra respirazione o funzione vegetativa (fenomeno del tutto involontario, atto 
all‟ossigenazione del sangue) e respirazione fonica (per l‟emissione dei suoni).  
Quindi si passava all‟apprendimento delle diverse posizioni articolatorie dei singoli suoni. 
Successivamente si procedeva con lo studio delle sillabe, poi di gruppi fonetici più complessi 
e, infine delle parole. Per poter apprendere tutto ciò l‟alunno faceva affidamento sul suo senso 
della vista, agevolato dal tatto (per percepire le vibrazioni dei diversi suoni grazie alla leggera 
pressione sulla gola del maestro prima, e sulla propria poi) attraverso un processo di 
osservazione-imitazione. 
Dopo l‟insegnamento della pronuncia si passava all‟apprendimento del senso delle parole 
pronunciate dall‟allievo. Si entrava quindi nella fase di apprendimento della lingua, della 
lettura e della scrittura, associando i singoli suoni ai corrispondenti simboli grafici, e le parole 
all‟oggetto, all‟azione o alla qualità che esse designavano. Alla fine si poteva passare 
all‟insegnamento delle materie quali la religione, la storia, ecc.  Il metodo di insegnamento 
13 
 
consigliato era quello occasionale-oggettivo2. A questo punto è d‟obbligo citare alcuni tra i 
più conosciuti e importanti educatori di questo periodo. Primi fra tutti vanno ricordati come 
precursori del metodo orale  Pedro Ponce de Leòn (1520-1584), monaco benedettino che 
prestò servizio presso la famiglia dei de Velasco, e Emanuel Ramìrez de Carriòn (1579-1652), 
a cui si è attribuito il merito dell'istruzione di diversi sordomuti di notevole influenza (tra i 
quali Emanuele Filiberto Amedeo, Principe di Carignano) e dell'invenzione di un metodo di 
istruzione oltre che di un sistema di riduzione delle lettere che avrebbe reso l'insegnamento 
della lettura più veloce e più semplice. Sull'esempio di Ponce de León, proseguì lo spagnolo 
Juan Pablo Bonet (1579-1633), autore del primo trattato teorico-pratico sull'educazione 
verbale dei sordomuti dal titolo “Riduzione delle Lettere3 ai loro Elementi Primitivi e Arte 
d'Insegnare a Parlare ai Muti”, pubblicato nel 1620. 
La situazione dei sordi rimase pressoché immutata fino alla seconda metà del 18° secolo 
quando l‟abate francese Charles-Micheal de l‟Epée (1712-1789), fondò a Parigi l‟Institut 
National des Sourds-muets, creando un metodo basato sulla gestualità. 
Il metodo di de L‟Epée, definito “mimico-gestuale”,ebbe un enorme successo poiché 
associava il segno alla parola francese scritta. Tale metodo fu poi perfezionato dal suo 
successore, l‟abate Roch-Ambroise Sicard (1742-1822) il quale diresse dopo di lui la scuola 
parigina (1789). Grazie a Sicard, il metodo e la lingua dei segni francese si diffonderanno 
anche negli Stati Uniti. Qui un religioso statunitense di nome Hopkins Gallaudet (1787-1851), 
dopo essere stato incaricato dal facoltoso padre di una bambina sorda di recarsi in Europa per 
apprendere il metodo di de l‟Epée, incontrò proprio l‟Abate Sicard che si rese disponibile ad 
insegnargli tale metodo. Il linguaggio dei segni viene così importato negli Stati Uniti e dalla 
collaborazione tra Laurent Clerc (1785-1869), ex studente sordo dell‟istituto ed educatore, e 
Thomas Hopkins Gallaudet, nacquero nel nuovo continente diverse scuole, finché il figlio di 
Gallaudet, Edward Miner (1837-1917), fondò nel 1864 il primo College per sordi, divenuto in 
seguito Gallaudet University (Washington), tuttora attivo . 
 
1.2.1.  Tommaso Silvestri  e l'educazione dei sordomuti in Italia 
 
Fino alla prima metà dell'Ottocento, la situazione politica di divisione e isolamento dell'Italia 
impedisce un'adeguata diffusione e circolazione di scritti, pubblicazioni ed esperienze nel 
campo dell'istruzione dei sordomuti. 
Gli educatori di questo periodo si basano spesso su metodi e pubblicazioni estere, senza 
sapere dell'esistenza di altrettanti validi metodi e scritti italiani che si diffondono all‟esterno 
quasi esclusivamente grazie alle visite di educatori stranieri in Italia e alle riunioni 
internazionali che avvengono tra gli insegnanti dei sordi. L‟educazione dei sordi resta anche 
in Italia un argomento abbastanza attuale, le scuole speciali per sordomuti (impostate sia 
secondo il metodo orale sia secondo quello mimico) crescono in numero e risultati nel giro di 
qualche decade. La prima scuola per sordi nasce a Roma nel 1784 per opera di Tommaso 
                                                     
2
 Insegnare secondo questo metodo significa partire da esempi o situazioni pratiche, per dedurne poi le regole e i 
principi grammaticali, considerando ogni momento come possibile occasione d’istruzione. 
3
 Il  metodo di riduzione delle lettere consiste, in poche parole, nel pronunciare i suoni da esse rappresentati, anziché 
nominare le lettere per esteso. Questo procedimento, sostiene Bonet, snellisce e semplifica l’apprendimento della 
lettura, e può essere di grande aiuto nell’educazione dei sordomuti 
14 
 
Silvestri (1744-1789). Egli era stato mandato a Parigi, alla scuola di de l'Epée e al suo ritorno 
aprì una scuola con otto alunni presso l‟abitazione dall'avvocato Pasquale Di Pietro che gli 
aveva finanziato il viaggio. Come risulta dal manuale “Sulla maniera di far parlare e di 
istruire speditamente i sordomuti di nascita”, scritto da Silvestri e conservato presso la 
biblioteca dell‟Istituto, si utilizzò il metodo orale: si istruivano gli allievi nell‟articolazione, 
nella lettura labiale, ma con il supporto gestuale come mezzo primario di comunicazione. I 
risultati sono buoni, si diffondono in poco tempo, e contribuiscono alla formazione di nuovi 
educatori dei sordi e alla nascita di nuove scuole speciali. Un'altra scuola molto importante 
impostata sul metodo orale è quella di Napoli, diretta da un allievo di Tommaso Silvestri, 
Benedetto Cozzolino, e divenuta istituto pubblico nel 1788. Per quanto riguarda il metodo 
mimico, non si può dimenticare l'opera di Ottavio Assarotti (1753-1829), detto l'Apostolo dei 
sordomuti italiani per la carità e lo zelo con cui si è dedicato ai sordomuti poveri della città di 
Genova. Assarotti inizia a dedicarsi a quest'opera quasi da autodidatta, e come de l'Epée 
apprende e utilizza come strumento di insegnamento la mimica naturale dei sordomuti. 
Insegna loro la lingua, la lettura e la scrittura, ed infine qualche materia, come la religione e 
l'aritmetica. La scuola aperta a Genova all‟inizio del 1800 vuole essere inizialmente un istituto 
modesto ma ben presto si sviluppa fino ad ottenere dei sussidi pubblici. Nel frattempo, 
Assarotti si informa e si documenta sui metodi di istruzione praticati all'estero, ma arriva alla 
conclusione che 
 “[...] il miglior metodo per l' istruzione dei sordomuti esser quello di non 
averne alcuno.”4.  
Egli,  
“[...] avendo studiato senza preconcetti didattici la varietà delle attitudini dei 
sordomuti, si era convinto essere sommamente utile conoscere le diverse 
maniere e i metodi dei vari maestri, ma non doversi rendere schiavo di 
alcuno”.  
 
Assarotti fu una figura di estrema importanza poiché grazie alla sua scuola di Genova si sono 
formati altrettanti validi educatori tra cui Cesare Bagutti, Tommaso Pendola e Matteo 
Marcacci. 
Un ruolo importante per l‟educazione dei sordi secondo il metodo mimico è rivestito anche 
dall‟Istituto Regio di Milano, mantenuto grazie a sussidi statali e diretto per diversi anni dal 
sopraccitato allievo di Assarotti, Cesare Bagutti (1776-1837). Per quanto riguarda invece le 
scuole oraliste, non si può dimenticare quella fondata nel 1828 a Siena da Tommaso Pendola 
(1800-1883)5. Pendola aveva studiato le opere di Sicard e i segni metodici, aveva acquisito 
esperienza da Assarotti, ma aveva riconosciuto i risultati dati in molti casi dal metodo orale, e 
aveva infine contribuito alla sua diffusione grazie alla fondazione nel 1872 di un periodico, 
“L'educazione dei Sordomuti in Italia”, tuttora esistente. Questa rivista include discussioni e 
                                                     
4
 Citato da Ferreri, Giulio; Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti, parte seconda: il Secondo Periodo Storico dell’Istruzione 
dei Sordomuti, Milano, 1917, pag. 53. 
5
 Nel 1843 l'istituto di Siena si unisce a quello di Pisa per formare il Regio Istituto Toscano dei Sordomuti. 
15 
 
dibattiti di educatori dei sordomuti anche stranieri sui diversi metodi di istruzione e sui 
rispettivi risultati. Con l'avanzare del XIX secolo è sempre più sentito l'interesse per 
l'insegnamento orale nell'educazione dei sordomuti, e le scuole speciali sono sempre più 
orientate verso questo tipo di metodo. Basti pensare al Pio Istituto dei Sordomuti Poveri di 
Campagna, inaugurato a Milano nel 1854 e diretto da Giulio Tarra (1832-1889), convinto 
propugnatore del metodo orale e futuro presidente del Congresso di Milano. 
Tarra vorrebbe la diffusione del metodo orale a livello internazionale, e l'utilizzo della parola 
articolata come unico mezzo di educazione dei sordomuti. Il suo desiderio verrà realizzato 
dopo il Congresso di Milano. Diversi educatori dei sordi seguiranno la strada intrapresa da 
Tarra e si batteranno per il metodo orale e per l'istruzione obbligatoria dei sordomuti. 
Gli Istituti per sordi che nacquero (Milano, Bologna, Roma, Torino) tra la fine del 1700 e il 
1850 ebbero il merito di dar loro un‟istruzione e insegnargli un mestiere, facendoli vivere a 
contatto con altri sordi, sempre utilizzando la lingua dei segni come metodo principale. 
Nella storia dei sordi si sono sempre contrapposti due principali metodi, quello oralista e 
quello mimico, tra gli educatori vi era chi riteneva un metodo più valido dell‟altro ai fini 
dell‟apprendimento. Col passare del tempo si assiste a una disputa ideologica tra i sostenitori 
dell‟oralismo, quindi della verbalità con esclusione dei segni, e quelli del gestualismo, che 
venne risolta al Congresso Internazionale di Milano nel 1880 dove si esaltò la lingua orale e 
venne bandita la lingua dei segni. Anche nella realtà venne scelto il metodo orale come 
metodo ufficiale, annullando in tal modo tutte le esperienze precedenti che utilizzavano i 
segni e il metodo misto.  Questa data rappresenta quindi una svolta nella storia 
dell‟educazione dei sordi. I diversi istituti italiani dovettero conformarsi alla decisione 
approvata, abbandonando così l‟uso ufficiale della lingua dei segni, che però sopravvisse 
poiché nella vita quotidiana, il gesto continuava a essere utilizzato in modo stabile. In effetti 
la lingua orale veniva usata per l‟apprendimento scolastico e i segni solo nella vita di tutti i 
giorni, in quanto i ragazzi sordi riuscivano a comunicare in modo più spontaneo e con meno 
fatica. Bisogna attendere gli anni ‟20-‟30 del ‟900, per poter vedere in Italia qualche 
innovazione nell‟educazione del sordo grazie all‟avvento delle protesi acustiche, molto rozze 
e non certamente sofisticate come quelle attuali e grazie anche alla psicolinguistica che 
comincia ad individuare un metodo scientifico specifico per differenziare e diagnosticare i 
pazienti sordi.  Negli anni ‟40 e ‟50, in Italia lo Stato inizia ad occuparsi dell‟educazione del 
sordo e comincia ad entrare negli Istituti la figura del medico specialista e del riabilitatore. 
Queste scuole Speciali dove i bambini sordi accedevano già dalla “materna” sono rimaste in 
funzione fino all‟entrata in vigore della Legge Speciale 517 del 19776 , il cui articolo 10 
recita: 
 
L'obbligo scolastico sancito dalle vigenti disposizioni si adempie, per i fanciulli sordomuti, 
nelle apposite scuole speciali o nelle classi ordinarie delle pubbliche scuole, elementari 
e medie, nelle quali siano assicurati la necessaria integrazione specialistica e i servizi di 
sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, in 
                                                     
6
 L. 517/77, Norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di 
modifica dell'ordinamento scolastico. 
16 
 
attuazione di un programma che deve essere predisposto dal consiglio scolastico distrettuale 
[…]. 
 
Con questa legge vengono abolite le classi differenziali e si stabilisce che il bambino sordo sia 
inserito nella scuola pubblica con insegnante di sostegno.  
Nei sordi, tuttavia, permaneva la difficoltà di instaurare rapporti sociali e/o affettivi con altre 
persone, data la predominanza del linguaggio verbale nella nostra società. Proprio per questa 
esigenza di comunicare, nel senso di trasmettere l‟informazione, dal 1970, comincia a 
diffondersi il concetto di comunicazione totale, ovvero l‟unione dei metodi comunicativi, 
uditivi, gestuali e orali al fine di capire e farsi capire. La verbalità, può venire affiancata ad 
altre forme comunicative, quali il gesto, il disegno, il mimo, l‟espressione corporea, ecc.  
L‟uso dei segni può anche essere utile per facilitare l‟apprendimento dei contenuti scolastici. I 
vari metodi usati nella riabilitazione del bambino sordo sono: italiano, cued speech 
(rappresentazione di fonemi), dattilologia (alfabeto manuale), I.S.E. (Italiano Segnato Esatto), 
I.S. (Italiano Segnato), L.I.S (Lingua dei Segni Italiana). 
Si possono raggruppare questi metodi in tre categorie: 
1)“italiano, cued speech e dattilologia” fanno parte dei metodi oralisti;  
2)“italiano, cued speech, dattilologia, I.S.E., I.S. e L.I.S.” sono definiti metodi misti o 
bimodali. 
3) Tutti insieme, compresa la L.I.S., fanno parte dell‟ educazione bilingue.  
 
1.2.2.  Samuel Heinicke e l'educazione dei sordomuti in Germania 
 
Passando ora a considerare quanto è stato fatto nel versante tedesco per l‟educazione dei sordi 
non possiamo non  ricordare Samuel Heinicke. Il suo ruolo di educatore nasce molto 
casualmente, infatti durante la sua carriera di maestro si trova di fronte ad un alunno 
sordomuto e vuole cercare il metodo migliore per insegnargli ad esprimersi. I risultati 
dell'istruzione di questo e di altri alunni porteranno alla nascita, nel 1778, della scuola 
pubblica per sordomuti di Lipsia, il secondo istituto per sordomuti nel mondo, ma che dal 
primo si distingue per il metodo praticato: quello orale.  
Heinicke è un sostenitore dell‟oralismo , ma tiene il suo metodo gelosamente segreto, 
adducendo come motivo per questa scelta il dispendio eccessivo di tempo, denaro e fatiche 
che la sua publicizzazione comporterebbe. In realtà ciò che trattiene il maestro tedesco dal 
rivelare il suo metodo è una pura forma di venalità: egli sarebbe infatti pronto a venderlo 
dietro un elevato compenso. Quando, dopo la morte di Heinicke, questo metodo verrà reso 
pubblico, in realtà si scoprirà che non aveva nulla di miracoloso o singolare, infatti consisteva 
nell'applicazione del metodo adottato da Pedro Ponce, da Bonet, da Wallis (insegnamento 
della parola parlata e della parola scritta, lettura labiale, eventuale ricorso iniziale all'alfabeto 
manuale) con una sola aggiunta, neanche essa però inventata da Heinicke. 
L'aggiunta consiste nel portare l'alunno all'articolazione delle diversi vocali attraverso lo 
stimolo del gusto, toccando cioè la lingua di questo con una penna imbevuta di particolari 
17 
 
liquidi7. Tra i più importanti successori di Heinicke nella scuola tedesca troviamo la vedova 
Heinicke che, insieme ad August Friedrich Petschke, continuò l'attività nell'istituto di Lipsia, 
ed il dottor Ernst Adolph Eschke (1766-1811), genero di Heinicke e fondatore della scuola di 
Berlino nel 1788. 
Il metodo tedesco era opposto al metodo mimico o "francese" ideato da De L'Epée, e questo 
fatto portò a una vera e propria controversia tra i sostenitori dei due metodi dopo la 
fondazione della scuola per sordomuti di Vienna che utilizza il metodo mimico. Heinicke 
cerca di convincere l'abate Storck, direttore di questa scuola ed ex-allievo di de l'Epée, ad 
abbandonare un metodo a suo parere dannoso ed insensato, perché essendo sconosciuto ai più 
avrebbe contribuito a tenere i sordomuti in completo e perenne isolamento dalla società. 
Venuto a conoscenza del fatto  De l'Epée inizia uno scambio epistolare con Heinicke, nel 
quale espone il metodo mimico ed i suoi vantaggi. 
Il maestro tedesco non risparmia critiche nei confronti di questo, senza peraltro scrivere nulla 
intorno al metodo da lui adottato. L‟unica a dare il suo giudizio fra le tante interpellate è 
l'Accademia di Zurigo, che si pronuncerà in favore dell'abate francese e quindi del metodo 
gestuale. 
 
1.3. I segni nome nella cultura sorda 
 
Nel corso della lettura del libro della nota scrittrice francese Emmanuel Laborit dal titolo Il 
grido del gabbiano [1995], sono stata incuriosita da alcune pagine in cui la scrittrice descrive 
il modo in cui i segnanti sordi sono soliti indicare i nomi delle persone, facendo una sorta di 
“secondo battesimo” che può prendere spunto da diversi fattori. Per questo motivo ho voluto 
approfondire l‟argomento in questo paragrafo, provando ad analizzare i criteri attraverso i  
quali i segnanti attribuiscono i segni nome alle persone. 
I sordi infatti non usano la dattilologia per indicare una persona, poiché risulterebbe un 
processo troppo lungo.  Ma si “inventano” dei nomi che spesso indicano una particolare 
caratteristica fisica, oppure tratti caratteriali (l‟essere distratto, battagliero,ciarliero ecc.), 
comportamenti tipici (per es. piangere per ogni cosa), o abitudini passate o attuali di quella 
determinata persona. Per spiegare meglio di cosa si tratta, riporto un brano tratto dal citato 
libro della Laborit, che nonostante faccia riferimento alla realtà della LSF (essendo la 
scrittrice francese), si può applicare anche alla LIS:  
 
ho anche mescolato la “J” iniziale del suo nome col segno a lato della testa, che significa 
«nella luna». Lui è spesso distratto. Mio padre è «Jacques la luna». I sordi danno 
nomignoli particolari a tutti. A Vincennes, i sordi avevano deciso di chiamare mia madre 
«Denti di coniglio», perché aveva i denti leggermente sporgenti. La mamma diceva: «Non se 
ne parla […]». 
Le abbiamo dato un altro nome, che le sta a pennello: «Anne la battagliera». Si fa il segno 
della “A”, braccio alzato, pollice divaricato, e il pugno chiuso proteso. […] 
                                                     
7
 L'aceto forte avrebbe così stimolato la produzione della vocale <i>, l'estratto di assenzio quella della vocale <e>, 
l'acqua zuccherata  quella della <o>, l'olio di oliva quella della <u> ed infine l'acqua pura quella della <a>. 
18 
 
Altri sono soprannominati «Capellone» e «Nasone». Il mio grande amico […] è detto 
«Pollice sotto il naso». Passa il tempo ad asciugarsi con il pollice la goccia che gli 
cola di continuo dalla punta del naso! 
In effetti, nella lingua dei segni, conferiamo alle persone una caratteristica visiva che ricorda 
un comportamento, certi tic, una particolarità fisica. È molto più semplice che sillabare 
ogni volta un nome in francese. A volte è buffo, a volte poetico, sempre preciso. Agli 
udenti la cosa non piace gran che. Taluni si seccano. Non così i sordi. Il presidente 
Mitterrand si indica con l’indice e il mignolo, che formano due canini davanti alla bocca. 
Come denti di vampiro. (Sappiamo che si è fatto limare i denti. Prima, aveva due splendidi 
canini). […] Gérard Depardieu è il naso enorme con le gobbe. Jacques Chirac è il naso 
appuntito con la “V” di vittoria. 
Si tratta  di  esempi  di  particolarità  fisiche.  Ma  io  ho  un  amico  che  si  chiama 
Esagerato». È  un  ragazzo  che  «le  spara  sempre  grosse»  quando  racconta qualcosa. 
[…] 
I sordi avrebbero potuto chiamarmi «Fiore che piange», se non avessi avuto accesso alla loro 
comunità linguistica. A partire dai sette anni, sono diventata ciarliera e luminosa. La lingua 
dei segni [che ho appreso solo a partire da quell’età] era la mia luce […]. Sono diventata 
«Sole che si sprigiona dal cuore». 
(Laborit E., 1995:90-91). 
 
Tommaso Russo Cardona ha analizzato le peculiarità del linguaggio visivo gestuale dei sordi 
in relazione alla comunità sorda romana e ha dimostrato come, anche a livello del codice 
linguistico, si manifestino le tracce dello sfondo culturale entro cui ha luogo la formazione 
quotidiana dell‟individualità personale. Dalle osservazioni è emerso che i segni nome possono 
essere raggruppati in due grandi categorie onomastiche: 
 
- segni nome arbitrari  
- segni nome descrittivi  
  
Ciascuno di questi gruppi si suddivide in altrettante sottocategorie che si possono riassumere 
in questo modo. Fanno parte del primo gruppo: 
a) segni nome inizializzati: ossia  i segni nome che vengono indicati dai segnanti sordi 
attraverso l‟indicazione dell‟iniziale del nome in italiano di una persona, che viene 
tradotta nella corrispondente lettera dell‟alfabeto manuale.8 
Per comprendere meglio questo fenomeno basta notare la figura sottostante con la quale viene 
indicata la ricercatrice Cristina Caselli. 
 
                                                     
8
 Ogni lingua dei segni possiede un sistema per comunicare le lettere dell‟alfabeto tramite l‟uso delle mani; 
l‟alfabeto manuale risulta molto utile in presenza di nomi propri, difficili o stranieri: in questo caso si fa infatti 
ricorso alla dattilogia, ossia alla trasposizione di parole in segni manuali.