MARIA ELENA FUSACCHIA  
 
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creazione di segnali. Invece si pensa che la “macchina” 
raffreddi i messaggi. Si imputa alla televisione, e ai 
computer (massimi esponenti dell’immaginario 
tecnologico), la disumanizzazione dei rapporti umani, 
l’annichilimento della sensibilità emotiva e la difficoltà ad 
avere un “buon pubblico” teatrale. In parte è vero, ma solo 
nel senso che queste tecnologie della comunicazione hanno 
contribuito a rendere evidente, moltiplicandolo in forma 
esponenziale, un problema già esistente: il dominio della 
parola scritta e della vista sulle altre forme di percezione-
descrizione del mondo.  
(diffidate anche di questo testo)  
Capisco quindi l’accanimento contro i media da parte di chi 
usa in scena tutto se stesso, richiedendo quindi spettatori in 
grado di percepire con tutti i loro sensi, ma questo 
accanimento considera come responsabile del “disastro” il 
“messaggero” piuttosto che il re. Ma è il re che va 
incolpato e detronizzato.  
Mi spiego meglio. Negli ultimi secoli, con l’avvento della 
cultura industriale, il valore dato alla parola scritta e al 
senso che ne permette la lettura (la vista) è andato 
crescendo, fino a svalutare qualsiasi tipo di conoscenza 
diretta del mondo che non fosse confutata da un testo, sia 
scientifico che  poetico o religioso. Le culture orali, nomadi 
o contadine, sono state spazzate via da installazioni 
industriali e città fatte di ferro e contratti scritti. Le parole 
delle insegne dei negozi sono diventate la principale forma 
d' informazione sul prodotto in vendita; la vetrina ha 
sostituito la bancarella; la messa in bella vista del prodotto 
ha sconsigliato la prova d’assaggio. L’insegnamento 
scolastico a tutti i livelli si è strutturato sul passaggio di 
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VISIONI E RADIOVISIONI: IL TEATRO DI MUTA IMAGO E 
ROBERTO LATINI. 
 
 
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“informazioni scritte”, piuttosto che sullo sviluppo di 
capacità cognitive basate sull’esperienza. 
Contemporaneamente in teatro si è passati a una 
supervalutazione del testo scritto (e della regia) 
dimenticandosi che le parole sono solo una delle 
componenti della rappresentazione e che i migliori copioni 
sono stati scritti in scena, verificando nella carne degli 
attori e nell’eco della sala l’efficacia delle parole.  
Con l’avvento degli schermi, prima cinematografici e poi 
televisivi, l’importanza data all’informazione mediata dalla 
vista, come sostituto della conoscenza diretta, è cresciuta a 
dismisura anche grazie alle premesse create dalla “cultura 
del libro”.  
Infatti lo scontro tra cultura delle immagini (cinema e tv) e 
cultura scritta (letteratura e università) è stata una falsa 
battaglia tra fratelli della stessa famiglia: figli dell’occhio e 
della regola prospettica. I letterati, umanisti, che si 
accanivano contro le tv, il mercato delle immagini e le 
tecnologie (facendo di ogni erba un fascio) rivendicavano 
una “sapienza” che non riusciva a stare al passo con la 
velocità di trasformazione data dalle macchine. In realtà 
erano (sono) le loro istituzioni a essere lente e non le 
macchine troppo veloci. Mentre i “costruttori d'immagini”, 
che prima rivendicavano un’autarchica “modernità 
vincente”, hanno poi iniziato ad appropriarsi dei contenuti 
più sofisticati che la tradizione letteraria aveva elaborato in 
modo da adattarli alle forme più mature della percezione 
audiovisiva ed elettronica.  
Non è un caso, infatti, che ormai si stiano creando alleanze 
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sempre più strette, tra i due contendenti, per la 
realizzazione di trasmissioni didattiche a distanza, sia via 
satellite-tv che attraverso Internet: entrambi stanno 
riconoscendo che attraverso la loro rappacificazione 
possono amministrare meglio l’eredità di famiglia: il 
controllo del corpo e degli altri sensi attraverso la 
mediazione visiva.  
È il dominio della vista che va abolito, per un recupero del 
corpo e di tutto il suo bagaglio sensitivo, e non la diffusione 
di televisioni e computer. È il re occhio che deve abdicare.  
Questo non vuol dire abolire schermi e libri, ma farli 
convivere in armonia con gli altri sensi relativizzandone il 
valore. Infatti non si può negare che l’alfabetizzazione 
scolastica, la diffusione dei mezzi di informazione di massa 
e l’avvento dell’elettronica abbiano comunque contribuito a 
un miglioramento della qualità della vita e della cultura, 
nonostante le suddette aberrazioni.  
Il problema vero è la confusione tra immagine e realtà che 
si è instaurata, attraverso il re occhio, nelle nostre 
esistenze.Recuperare i sensi del corpo vuol dire recuperare 
il senso della realtà.  
Il potere della comunicazione scritta-visiva è quello di 
rendere condivisibile, esplicito ed elaborabile il nostro 
immaginario, e questo è un potere che non va perduto e che 
se si riesce a integrare con gli altri sensi ci permette di 
vivere la nostra “realtà aumentata di immaginario” con 
modalità coscienti finora impensabili.  
(fare esperienze tattili sviluppando connessioni)  
A teatro gli spettatori si comportano passivamente come di 
fronte a un film o a una televisione: sono ormai abituati a 
percepire il mondo come se fosse solo immagine (così come 
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per certi teatranti pare che il mondo sia principalmente 
letteratura). Pare che l’unico modo per riconquistare una 
fruizione attiva, tridimensionale, capace di far sentire il 
“qui e ora” proprio del teatro, sia creare azioni fisicamente 
coinvolgenti o sconvolgenti al limite dello scandalo. Questo 
in parte è vero: ma ciò che spesso in questi casi viene a 
mancare è la percezione mitica, archetipica o immaginifica 
dell’evento; percezione che una volta veniva creata dallo 
sviluppo drammaturgico (quando il senso comunitario del 
teatro era più forte o semplicemente più evidente).  
Durante questi ultimi anni di esperienza teatrale ed extra-
teatrale (con la tecnica del Tele-Racconto e con lo sviluppo 
del personaggio virtuale Euclide) mi sono convinto che 
l’uso di tecnologie della visione (schermi) in scena può 
aiutare a recuperare il senso del teatro più di tante 
“sollecit' azioni” cruente ma drammaturgicamente deboli.  
Il fatto di vedere sulla scena i corpi di attori e immagini 
elettroniche che entrano in dialogo diretto tra di loro può 
fare “magicamente” notare lo scarto e il dialogo possibile 
tra “persona-tridimensionale” e “cosa-bidimensionale”, 
tra consistenza del corpo e immaterialità del mito: le loro 
intrinseche potenzialità possono mostrarsi ai nostri sensi 
aiutandoci a comprendere la “realtà tecnologica-mente 
aumentata” in cui ci troviamo a vivere.  
Ma perché ciò accada bisogna che le immagini siano 
prodotte in tempo reale e che gli attori siano dei narratori, 
in grado di guardare gli spettatori in faccia e di modificare 
palesemente l’andamento della loro performance; insomma 
bisogna che si crei una sorta di “techno-commedia-
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dell’arte” che faccia sentire lo spettatore “necessario” alla 
rappresentazione.  
Le immagini, o le azioni tecnologiche, devono essere 
prodotte in tempo reale in modo da rispecchiare l’umore, il 
ritmo e la qualità della serata così come vengono generati 
dall’incontro tra gli attori e il pubblico. La tecnologia deve 
essere un mezzo che amplifica il contatto, il tempo reale, e 
non una gabbia che detta regole e ritmi immutabili, 
altrimenti non è possibile usarla per fare teatro.  
(essere o non essere non è più un problema)  
Oggi con la diffusione delle tecnologie della interattività 
(dal computer ai lettori CD-rom, dai video games a 
Internet) ci troviamo di fronte a un salto cognitivo dove la 
separazione tra produttore e consumatore, autore e fruitore 
diventa sempre più labile. Questa è una mutazione difficile 
da comprendere per chi non ci riflette quotidianamente, ma 
che comunque influisce sulla vita di tutti. Anche se si pensa 
di non essere responsabili di come “va il mondo”, se si 
pensa di essere inattivi e quindi innocenti, siamo comunque 
coinvolti, attraverso una rete di connessioni elettroniche-
economiche-emotive, in modo che qualunque sia il nostro 
comportamento diventiamo un dato rilevabile e connesso a 
mille altri. È sempre stato così ma ora risulta 
“tecnologicamente” evidente, e il sentimento di interazione 
responsabile con il mondo si manifesta attraverso 
un’infinità di scelte individuali.  
In questo nuovo contesto la separazione tra attore e 
spettatore va ripensata. È sempre meno possibile 
immaginare opere efficaci che non siano in grado di far 
sentire lo spettatore come necessario all’evento. Questo non 
vuol dire fare “animazione teatrale”, ma realizzare opere 
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che tengano conto del contesto culturale e antropologico di 
cui fanno parte sia gli autori che i fruitori. Vuol dire 
smantellare la torre dell’artista educatore e prometeico per 
fare in modo che la cosiddetta “ricerca teatrale” non sia un 
ambito ipocritamente separato e di élite, ma una pratica 
quotidiana in grado di trovare le giuste forme (piuttosto che 
le nuove forme) di comunicazione per riflettere con la 
propria comunità di riferimento. Vuol dire sporcarsi le 
mani. E quando si realizzeranno opere sceniche in grado di 
far sentire lo spettatore necessario all’evento, non ci sarà 
nemmeno bisogno di usare tecnologia in scena perché le 
mutazioni antropologiche indotte dalla cultura 
dell’interattività, in guerra con la cultura dell’occhio (che 
prevede una interazione minima), saranno comunque state 
comprese e condivise.  
Oppure possiamo immaginare due o più teatri in perenne 
compresenza: uno tecnologica.mente vivente, teso a 
recuperare un rapporto più stretto tra lo spettatore e il 
palco e che tiene conto della mutazione indotta dai mezzi di 
comunicazione elettronica, anche rinunciando ad un loro 
diretto uso sulla scena; e uno neo-letterario-visivo che crea 
opere solo per gli occhi e l’intelligenza di chi gli sta di 
fronte, anche usando super tecnologia in scena; nel mezzo 
ai due una miriade di ibridi mutanti ...  
(chi ha orecchi per intendere ... in Tenda!) 
1
 
 
                                                
1
 Per gentile concessione dell’autore da G.Verde, Artivismo politico: 
teatro e interviste su arte, politica, teatro e tecnologie.2007 pag. 97-100. 
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Il saggio di Giacomo Verde
2
 qui riportato è importante per 
                                                
2
 Giacomo Verde è nato in provincia di Napoli nel 1956. Diplomato 
all'Istituto d'Arte di Firenze attualmente abita a Lucca. Svolge attività 
teatrale e artistica dal 1973. Ha collaborato con diverse formazioni come 
attore, autore, musicista o regista. Nel '83 inizia a realizzare videotapes 
(attualmente più di cento), prima in rapporto alla pratica teatrale poi 
come opere a se stanti, con particolare attenzione alle potenzialità 
espressive dei mezzi poveri. Nell''85 fonda il gruppo di teatro-musica 
"BANDAMAGNAETICA" con cui realizza molte azioni di strada, lo 
spettacolo e il radiodramma "Vita in Tempo di Sport" e il mini L-P 
"Document'azione 86-87". Dal '86 realizza videoistallazioni 
partecipando a diversi festival ed esposizioni nazionali ed internazionali. 
Nell '89 inventa il TELE-RACCONTO (performance teatrale che 
coniuga narrazione, micro-teatro e macro ripresa in diretta) e da allora 
realizza o dirige diversi “teleracconti” sia nell’ambito teatrale che in 
quello della ricerca visiva. Dal '92 realizza installazioni interattive e si 
occupa di realtà virtuale e computer art. Dal '94 da "vita" con un 
cyberglove ai personaggi virtuali EUCLIDE di Stefano Roveda. Nel ‘99 
fonda l’associazione culturale ZoneGemma (laboratorio teatrale di 
cultura bio-tecnologica) con lo scopo di realizzare eventi teatrali che 
mettano in rapporto scena e nuove tecnologie. Nel 2000 realizza l’opera 
di net-art QWERTYU (e www.qwertyu.net) per il nuovo sito 
www.domusweb.it; lancia con Tommaso Tozzi il NETSTRIKE 214-T 
contro la pena di morte (in collaborazione con il sito www.netstrike.it) e 
la conseguente opera collettiva di protesta contro la censura NO-CENS-
214-T; avvia le docenze del corso su Video e Teatro all’Accademia 
delle Belle Arti di Macerata e del corso su Computer Art all’Accademia 
delle Belle Arti di Carrara. Nel 2001 apre il sito 
WEBCAMTHEATRE.ORG con la performance CONNESSIONE 
REMOTA dal Museo Pecci di Prato; avvia la collaborazione con 
www.italy.indymedia.org e realizza il video SOLO LIMONI, 
documentazione videopoetica in 13 episodi sull'anti-g8 di Genova 
(pubblicato dalla Shake Edizioni Underground). Nel 2002 intensifica 
l'attivita' del gruppo Xear.org realizzando installazioni interattive e la 
tecno-performance "oVMMO: ovidiometamorphoseon" su Le 
Metamorfosi di Ovidio; inoltre realizza i video-fondali-live in diversi 
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individuare la situazione teatrale presente in Italia.  
Espone con ironia e chiarezza la posizione del panorama 
teatrale italiano non “convenzionale”,  verso un teatro fatto 
di visioni,  siano esse con tecnologie o meno. 
Nei capitoli successivi infatti riporto l’analisi di spettacoli di 
due compagnie  che nel panorama italiano si distinguono per 
originalità di contenuti e di stile, per  l’uso intelligente di 
nuovi codici visuali e linguistici. 
Sono Fortebraccio teatro e Muta Imago; il primo con il 
progetto Radio-visioni ha creato una poetica teatrale fatta di 
visioni sonore ed immagini attraverso l’uso delle tecnologie.  
Muta Imago invece ha sviluppato la ricerca nel senso 
opposto, tornando all’utilizzo della scenografia come 
elemento scenico, la modellano utilizzando materiali grezzi.  
Nel modo di fare teatro d'entrambe, non convenzionale, il 
testo non è più la parte centrale della messa in scena. Il 
teatro  per essere ancora chiamato tale ha bisogno dell’attore 
e dello spazio scenico dedito ad esso. Dalla combinazione di 
questi elementi escono fuori visioni, in ambienti  di  realtà 
virtuale o realtà teatrale.  
Per realtà virtuale s’ intende un ambiente digitale all’interno 
del quale sono simulate delle condizioni d’ esperienza reale, 
sperimentabili sinesteticamente mediante apposite interfacce 
tra il corpo e l’apparato tecnologico (hardware o software). 
L’evoluzione di queste interfacce è costante, dalle tute, 
                                                
incontri internazionali di poesia e spettacoli teatrali. Continua e' la sua 
attività di laboratori video, colaborazioni teatrali, produzioni 
videoartistiche, net-art. 
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guanti e caschi interattivi agli impianti direttamente 
collegati negli occhi.  
Il termine “realtà virtuale
3
” è stato creato da Jaron Lanier, 
visionario esploratore e pioniere dell’informatica finalizzata 
all’interfaccia uomo-oggetti-ambienti virtuali. Jaron Lanier 
è tra gli inventori del data-gloove (guanto interattivo 
utilizzato da Roberto Latini in Ubu incatenato). 
Lavorare sull’interazione tra le tecnologie e lo spettacolo dal 
vivo oggi vuol dire soprattutto studiare lo spazio scenico, 
analizzare lo spazio che è intorno al fulcro al soggetto 
protagonista, sia esso un actor di un software sia esso un 
actor in carne ed ossa.  
Per far in modo che questo avvenga occorre uno studio 
approfondito dello spazio intorno, tant’è che la parola 
scenografia divenuta sempre meno didascalica, oggi assume 
più il significato di presenza scenica.  
L’importante è che la scena respiri, parli, comunichi, 
l'interazione dell'opera con lo spazio è importante perchè 
l'azione artistica non può più semplicemente occupare lo 
spazio ma deve interpretarlo. 
L’innovazione riguarda la nuova dimensione drammaturgica 
dello spazio, fare dello spazio un elemento o una 
dimensione della drammaturgia significa rifiutare l’idea che 
lo spazio sia un dato a priori immodificabile ed esterno alla 
messa in scena o più precisamente alla composizione 
dell’opera teatrale, insomma un contenitore neutro 
indipendente dai suoi possibili contenuti. Significa ritenere 
che la dimensione spaziale, scenico-architettonica di un dato 
                                                
3
 A. Balzala, A.M. Monteverdi, Le arti multimediali digitali. Storia, 
tecniche, linguaggi, atiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio. 
Garzanti 2004. p. 534