Introduzione 
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 4
 
La presentazione dei principali modelli che la teologia ha individuato come approccio al 
dialogo interreligioso sono le grandi aree dentro le quali il pensiero teologico riflette sul rapporto 
tra cristianesimo e altre religiosi. Il primo lavoro sistematico, e di non demonizzazione delle altre 
tradizioni religiose, è l’opera compiuta da Jean Daniélou che individua in una rivelazione cosmica, 
alla quale corrisponde un’alleanza con il creato, gli elementi cardine per articolare un percorso che 
condurrà all’alleanza abramitica e avrà il suo compimento nella manifestazione pubblica e 
definitiva di Dio, in Cristo Gesù. Il compimento sarà la chiave di lettura di tutta la teologia di 
Daniélou, il cristianesimo  riassume e compie il dire di Dio all’uomo. Il pensiero di Henri de Lubac 
andrà nella stessa direzione: attribuire valore salvifico alle altre tradizioni religiose equivale a 
metterle in competizione con il cristianesimo, e così offuscare l’unicità di quest’ultimo. 
Un nuovo passo, di grande spessore teologico, sarà la riflessione di Karl Rahner, che con 
l’ormai famosa espressione dei “cristiani anonimi”, o meglio del “cristianesimo anonimo, 
implicito”, individuerà nella natura stessa dell’uomo, che accetta sinceramente senza riserve la sua 
propria esistenza, l’apertura e la via che conduce ogni uomo a Gesù Cristo, anche nella forma della 
non consapevolezza riflessa.  
Articolata, stimolante, sicuramente sofferta la teologia proposta dal P. Jacques Dupuis, 
nell’ormai famosa opera Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, che insieme alla 
precedente: Gesù Cristo incontro alle religioni costituiscono la sintesi del suo pensiero sul tema 
del dialogo interreligioso. L’orizzonte della sua riflessione è la teologia: il dire di Dio all’uomo. Il 
cuore del suo pensiero sarà la cristologia trinitaria. “Un teocentrismo cristocentrico 
accomunerebbe le religioni per un comune riferimento a Dio e per il necessario riferimento a 
Cristo”. Un solo Dio – Un solo Cristo – Percorsi convergenti. In estrema sintesi è questa 
l’articolazione del pensiero del P. Dupuis. Percorsi convergenti: sono le religioni che conducono 
alla stessa meta testimoniata dall’opera del Verbo e dello Spirito. Non entreremo, e di proposito, 
nella discussione sulla figura di Gesù come unico salvatore o sull’unicità della via di salvezza, 
rispetto a percorsi differenti e multipli. Non è il nostro compito. Riconosciamo al P. Dupuis il 
grande merito di aver posto la questione e di aver elaborato, in maniera sofferta, una proposta di 
ricerca che, tenendo conto di tutta la tradizione, ancora chiede alla teologia cristiana un ulteriore 
approfondimento di esegesi e di riflessione biblica. 
Dalla presentazione dei modelli alle questioni aperte nella teologia cristiana. Il terzo 
capitolo si occuperà di quattro problematiche che la teologia delle religioni deve affrontare per 
ritrovarsi nel dialogo con le atre tradizioni religiose. 
  
 
Introduzione 
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 5
 
Il valore salvifico delle religioni e la verità come problema della teologia delle religioni, 
aprono il dibattito sulla domanda fondamentale che ogni ricerca sincera umana si pone 
nell’affrontare la relazione con l’Assoluto.  
 La risposta al primo interrogativo si trova nelle conclusioni del documento della 
Commissione Teologica Internazionale: Il cristianesimo e le religioni. È lo Spirito l’Agente 
principale della salvezza: “sarebbe difficile pensare al valore salvifico dello Spirito Santo quando 
opera nel cuore degli uomini presi come individui e non quando lo stesso Spirito opera nelle 
religioni e nelle culture”. Ma, conclude il Documento, la presenza universale dello Spirito non si 
può equiparare alla sua presenza particolare nella chiesa di Cristo. In questa logica le religioni 
sono portatrici di verità solo in quanto conducono gli uomini al vero amore.  
 La verità della fede cristiana non può essere elusa o annacquata. Il rispetto per tutte le verità 
che le altre religioni propongono sono elementi cardini del dialogo, ma non si può ammettere, 
come pretende la “teologia pluralista” delle religioni, che l’assoluta parità valoriale (di tutte le 
religioni) sia premessa indispensabile per un franco e possibile dialogo. L’annuncio di verità che 
Cristo è, afferma il Documento della Commissione Teologica Internazionale, non si può svendere.  
 Da queste premesse non può che discendere un sincero e schietto dialogo che ha come fine 
“la comune conversione dei cristiani e dei membri delle altre tradizioni religiose allo stesso Dio”. 
È un camminare insieme verso la verità, con umiltà, ma nella consapevolezza dell’autentica 
esperienza religiosa che ha permesso il cammino di fede. L’altra conseguenza che il terzo capitolo 
affronterà sarà appunto la complessa problematica dell’evangelizzazione che la chiesa cattolica ha 
da sempre dovuto affrontare. Non affronteremo il tema dell’inculturazione e tanto meno questioni 
di antropologia culturale. Accenneremo solamente al problema teologico sotteso: l’annuncio del 
vangelo di Gesù Cristo è la via di liberazione per l’uomo ed è la notizia che rende pienamente 
l’uomo vero a se stesso, al suo essere con l’altro e alla responsabilità che ha nei confronti del 
creato. 
 Il quarto capitolo di questa prima parte è una lunga carrellata storica che prendendo le 
mosse dalle prime riflessioni che i Padri dovettero operare per presentare il messaggio evangelico 
in una cultura molto diversa da quella dove si era sviluppato agli inizi, arriverà fino ai documenti 
post-conciliari. Dalla dottrina dei “semi del verbo” di Giustino e Clemente Alessandrino, alla 
enciclica “Redemptoris Missio”, passando per tutta una serie di difficoltà di ordine concettuale e di 
lotte interne ed esterne alla chiesa, che hanno avuto nell’assioma “Extra ecclesiam nulla salus” un 
punto di riferimento costante. 
  
 
Introduzione 
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 6
 
Se è vero che la storia della chiesa ha dimostrato di manifestare pluralità di posizioni, a 
volte contraddittorie tra loro, è altrettanto certo che l’attenzione alla ricerca sincera espressa dagli 
uomini di ogni epoca e periodo, è sempre stata oggetto di riconoscimento da parte della chiesa 
stessa e che l’esame di un autentico dialogo con la comunità degli uomini non è mai mancato, 
grazie a quelle figure sapienziali che lo Spirito ha saputo suscitare. 
 È di questa forma di “sapienza” che intende occuparsi la seconda parte del nostro lavoro. È 
quella particolare modalità della ricerca dell’Assoluto che il monachesimo ha saputo e sa 
esprimere, valida in Oriente come in Occidente, che rende possibile il dialogo tra culture ed 
esperienze religiose differenti.  
 L’articolazione di questa seconda parte prende l’avvio da una constatazione: la vita 
monastica è il naturale luogo di incontro. Potrebbe sembrare paradossale, ma è proprio nella fuga 
mundi, che il monaco ricerca la chiave di comprensione dell’incontro con l’altro. Il monaco 
rifugge non dal mondo, ma da quella parte di mondo che è male, che è peccato, così nella fatica 
silenziosa dell’incontro con l’Assoluto può ritrovare il gusto e la bellezza della condivisione di una 
esperienza di vita con l’altro. L’esperienza cenobitica non è altro che questo ritorno alla vita 
associata dopo la fase eremitica e solitaria di colui che “cerca”. Percorso ed esperienza, questa, che 
ritroveremo in Oriente e in Occidente.  
 Due figure di grande spessore teologico-spirituale, faranno da apripista al lungo processo 
dialogico, ora dato per scontato, che le comunità monastiche dei due mondi coltivano da tempo. 
Nella profonda analisi teologica di Jules Monchanin e nell’acuta teologia spirituale di Henri Le 
Saux si trovano i punti di convergenza di un dialogo, che non è solo simpatia, con l’esperienza 
indù, buddhista e orientale in genere, ma vi si riscontrano elementi di forza di un serio confronto 
fra tradizioni religiose millenarie. Forte sarà il richiamo di Le Saux a saper guardare oltre, o come 
preferisce dire, andare “all’altra riva”: metafora del saper oltrepassare le barriere del già 
conosciuto e incontrare l’altro su un terreno ancora vergine e ignoto. È stato il loro aver pagato di 
persona, il loro esserci stati fino in fondo in quella esperienza che ha permesso di scoprire tutta la 
ricchezza di un possibile incontro e di produrre frutti dei quali oggi beneficiamo. 
 Prima di passare alla presentazione dei contenuti del dialogo interreligioso monastico e a 
quelli che sono i compiti dei contemplativi nel terzo millennio, l’ultimo paragrafo del secondo 
capitolo ripropone il tema della preghiera come “cuore” dell’esperienza religiosa.  
L’esperienza cristiana della preghiera e la devozione amorosa, bhakti, della tradizione indù sono i 
cardini essenziali della ricerca dell’Assoluto. Assoluto che richiede la totale e completa devozione 
a sé perché il fedele possa ricevere la pienezza dell’esperienza di vita.  
 
Introduzione 
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 7
 
“Come per il cristiano la vera preghiera è nel cuore che aderisce a Dio; così nella tradizione 
indù il tema della Grazia Divina è l’opera della divinità che dona all’uomo la bhakti suprema 
capace di assicurare la liberazione definitiva dell’anima”. 
 Dopo la presentazione della storia del DIM/MID (Dialogo Interreligioso Monastico), 
comunità monastiche (prevalentemente legate alla grande famiglia benedettina) che da più di 
venticinque anni, sulla scia dei grandi precursori del dialogo, ai quali non va dimenticato T. 
Merton, presentiamo il lavoro svolto dalla Commissione italiana del DIM/MID. Lavoro che nella 
fase iniziale non ha avuto facile e immediata accoglienza, ma che il tempo e la tenacia di chi ha 
sempre creduto nel dialogo e all’incontro con esperienze religiose differenti, ha saputo conquistare 
l’impegno non solo dei monaci, delle monache, ma anche di molti laici che in questo percorso 
dialogico hanno riposto molte speranze. 
 Quattro sono i contenuti principali, presentati nel capitolo terzo di questa seconda parte, che 
costituiscono gli elementi fondanti il dialogo interreligioso monastico. La meditazione; la parola; 
la dialettica contemplazione-azione; il culto. Contenuti basilari e imprescindibili per l’esperienza 
monastica e dunque capaci di far entrare in dialogo al di la delle differenze culturale che li 
producono. 
 Saranno la pratica della meditazione buddhista e l’antica prassi della Lectio divina a far 
riscoprire i passi che il fedele è chiamato a compiere per avvicinarsi all’Assoluto; il tema della 
Parola è, incredibilmente nella forma negativa, la via dell’ascolto più che del poter o saper dire. Sia 
nell’esperienza cristiana che in quella indù il tema dell’ascolto silenzioso di un dire diverso da 
quello umano, diventa la condizione essenziale per capire sé e per comprendere l’altro. 
 Per tutta la storia del monachesimo, forse sarebbe meglio dire della storia della chiesa, il 
tema dell’azione-contemplazione è stato causa di grande dibattito. Seguiremo nell’esposizione la 
prospettiva di Favaro, che propone un superamento della dialettica contemplazione-azione per 
giungere, a livello fenomenologico, “a saper cogliere la profonda intenzionalità dell’atteggiamento 
contemplativo capace di dare ragione dell’azione”. 
 Il tema del culto, manifestazione esterna dell’atto di fede, evidenzia nelle tradizioni 
religiose l’esigenza fondamentale di avere un contatto, anche fisico, con la realtà del divino. 
Saranno richiamate le modalità principali delle due tradizioni, a dimostrazione che non esistono 
grandi differenze del sentirsi uomini nel rapporto con il divino. 
  
 
 
 
Introduzione 
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 8
 
Il lungo capitolo sui contenuti del dialogo interreligioso monastico è seguito dalla 
presentazione del valore teologico-spirituale del dialogo stesso. R. Panikkar ci farà da guida nella 
presentazione della figura del monaco come archetipo universale; dell’uomo religioso che cerca 
Dio. “Il monaco è spinto ad abbracciare una vita di assoluta essenzialità da nessun altra 
motivazione se non dalla profonda spinta antropologica che supera i differenti linguaggi delle 
tradizioni religiose che lo ha indotto a imboccare una strada simile”. Entro questo orizzonte si 
dipanerà la dimensione antropologica e, teologica, dell’uomo. La ricerca di perfezione è il vero 
humanum presente nell’essere umano, di cui ciascun uomo è fornito e verso il quale tende. Così 
nella pienezza della sua umanità l’uomo diventa “cercatore di Dio”. È l’ultimo paragrafo del 
capitolo terzo. Riscoprendo il vero progetto di Dio espresso nell’atto della creazione, “facciamo 
l’uomo nella nostra ombra e sia a nostra somiglianza”, l’uomo stesso diventa ricerca e desiderio di 
incontro. Ricerca e desiderio che ricadono sempre sull’essere umano, per un di più di umanità.  
Ecco così aperta la strada all’ultima parte di questo lavoro: Il compito dei contemplativi nel 
terzo millennio. Il capitolo riporterà, diviso per temi, le esperienze di monaci e monache che lungo 
gli anni si sono, e continuano ad essere, impegnati nel dialogo monastico interreligioso. Ne 
risulterà uno spaccato di grande spessore esperienziale. Elemento centrale sarà il grande rispetto 
che l’incontro con le differenti tradizioni monastiche è in grado di produrre: la scoperta in uomini e 
donne, diversi per cultura e tradizione, che si ritrovano nella ricerca della via che conduce alla 
verità ultima. 
Sarà il campo dell’esperienza il vero terreno di incontro, il vero ‘luogo’ dove misurare la 
profondità della propria capacità di ascolto dell’altro, riportato interamente su di un piano 
specifico, proprio, delle tradizioni monastiche: l’esperienza spirituale. Il vero incontro, così ci 
testimoniano coloro che lo sperimentano, consiste nella ricchezza spirituale che il dialogo è capace 
di produrre. 
Il lavoro termina con un solo accenno al monachesimo femminile. Non era nelle intenzioni 
di questo studio, affrontare una tematica così impegnativa e al tempo stesso affascinante. 
L’accenno che sarà fatto è un semplice, ma sincero richiamo ad una dimensione della vita 
contemplativa, che ha cambiato, nei secoli, il volto della storia e ridato dignità ad un impegno 
spesse volte poco riconosciuto, se non addirittura negato.  
 
   
 
Il cristianesimo e le religioni oggi 
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 9
 
PARTE PRIMA 
 
CAPITOLO PRIMO 
 
IL CRISTIANESIMO E LE RELIGIONI OGGI 
 
 
 La tema delle relazioni tra le religioni, soprattutto in questo momento storico, va  
acquistando sempre di più grande importanza.  
L’interdipendenza tra le diverse parti del mondo è sicuramente uno dei fattori che 
contribuiscono a rendere attuale il problema. Diversi sono i piani sui quali si manifesta: il numero 
delle persone che, nella maggior parte dei paesi, accedono all’informazione; le migrazioni di molti 
alla ricerca del meglio; le nuove tecnologie e l’industria moderna hanno prodotto scambi finora 
sconosciuti tra molti paesi.  
 Questi fattori di comunicazione e di interdipendenza tra i diversi popoli e le diverse culture 
hanno prodotto una maggiore conoscenza della pluralità delle religioni del pianeta, con i pericoli 
ma insieme con le opportunità che questo comporta. Nonostante la secolarizzazione, tra gli uomini 
del nostro tempo non è scomparsa la religiosità: sono noti i vari fenomeni in cui questa si 
manifesta, nonostante la crisi che, in diversa misura, interessa le grandi religioni. L’importanza del 
fattore religioso nella vita umana e gli incontri sempre più frequenti tra gli uomini e le culture 
rendono necessario il dialogo interreligioso, in vista dei problemi e dei bisogni che riguardano 
l’umanità, per chiarire il senso della vita e per promuovere un’azione comune in favore della pace 
e della giustizia nel mondo
1
.  
Il cristianesimo, crediamo non può rimanere al margine di questo  incontro e del 
conseguente dialogo tra le religioni. Anche se sono state, e talvolta lo sono ancora, fattori di 
divisione e di conflitto tra i popoli, è auspicabile che nel mondo attuale appaiano agli occhi di tutti 
come elementi di pace e di unione. In questa assunzione di grande  responsabilità da parte del 
cristianesimo, la teologia delle religioni ha l’importante compito di essere “ripensamento globale 
della teologia  in funzione di un punto particolare, normalmente in dialogo con la cultura e la 
sensibilità attuale”.
2
 
                                                 
1
 Cfr., H. KÜNG, Cristianesimo e religioni universali, Mondatori, Milano, 1986, pp. 3- 10. 
2
 L.SARTORI, Teologia delle religioni non cristiane in DizionarioTeologico Interdisciplinare, Marietti, Casale 
Monferrato, 1977, p. 400. 
Il cristianesimo e le religioni oggi 
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 10
Per poter avviare un dibattito, diventa imprescindibile, perché si possa fare un lavoro serio,  
la valutazione che il cristianesimo, e in concreto la chiesa cattolica, da delle altre religioni 
3
.  
È all’interno di questo grande scenario che si colloca il nostro lavoro, prendendo un aspetto 
della multiforme realtà religiosa: il monachesimo. Realtà questa che cerca di cogliere e vivere il 
cuore dell’ esperienza di fede. 
 
                                                 
3
 Cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Il Cristianesimo e le religioni, Regno-Documenti 3, 1997. 
   Teologia delle religioni: i principali modelli 
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 11
 
CAPITOLO SECONDO  
 
 
TEOLOGIA DELLE RELIGIONI  
I PRINCIPALI MODELLI 
 
 
2.1    CRISTIANESIMO COME COMPIMENTO:  
JEAN DANIÉLOU e HENRI DE LUBAC 
 
La ricerca iniziata da Jean Daniélou
1
 parte da un dato di fatto: la presenza di un 
atteggiamento religioso come realtà universalmente presente nella storia degli uomini. Le religioni 
che si sono via via formate, infatti, rispondono alla intuizione profonda della esistenza di Dio
2
.  
È dunque un fatto che 
 
“le religioni non cristiane hanno potuto conoscere quello che la ragione umana, abbandonata a se 
stessa, può raggiungere, in altre parole l’esterno di Dio, la sua esistenza e le sue perfezioni quali si 
manifestano attraverso la sua azione nel mondo. Ma v’è qualcosa che mai nessuna ragione al mondo 
ha potuto penetrare, è il mistero della vita intima di Dio, la profondità trinitaria assolutamente 
inaccessibile all’uomo e che solo il Figlio di Dio ha potuto rivelare”
3
. 
 
Il cristianesimo, per Daniélou, non disprezza la ricerca religiosa umana, anzi la valorizza e 
la fa propria elevandola ad un piano e ad un livello più alto, di perfezione. Ne consegue che 
“devenir chrétien n’est pas changer de religion, mais passer du plan de la religion à celui de la 
vérité. Et chaque race le fait à sa manièr”
4
.  
Volendo precisare ulteriormente il pensiero di Daniélou possiamo affermare che egli 
distingue e parla di una rivelazione cosmica primordiale alla quale corrisponde una alleanza 
cosmica, della rivelazione al popolo ebreo alla quale corrisponde l’alleanza stretta da Jahvè con 
Abramo e con Mosè e della rivelazione cristiana alla quale corrisponde la nuova e definitiva 
alleanza.  
 
 
                                                 
1
 Cfr. L. SARTORI, Le due tendenze nella teologia cattolica: La cosiddetta “linea Daniélou”, in Dizionario teologico 
Interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato, 1977, pp. 405-407; J. DUPUIS, Due posizioni contrastanti, in Gesù 
Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi, 1989
2
, pp. 173-176. 
2
 Ma  osserva: “non essendo illuminate da Dio stesso, s’ingannano circa l’oggetto e diventano spesso delle grossolane 
caricature di religione, talora però assurgono anche idee che possono essere elevatissime. Tutto ciò che hanno di buono 
viene loro da Dio, tutte le loro insufficienze derivano dalla confusione che è in esse”. J. DANIÉLOU, Saggio sul mistero 
della storia, Morcelliana, Brescia, 1963, p. 37. 
3
 IBIDEM, pp. 130-131. 
4
 J. DANIÉLOU, Christianisme et religions non chrétiennes, in Théologie d’aujourd’hui et de demain, Les edition du 
Cerf, Paris, 1967, p. 68. 
   Teologia delle religioni: i principali modelli 
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 12
 
Di fronte alla rivelazione cosmica si pone il problema di come innestare la rivelazione 
ebraica prima e quella cristiana poi. Daniélou è molto chiaro su questo punto. Tutta la religiosità 
umana, è come una lunga preparazione all’accoglienza della verità espressa nella rivelazione 
cristiana. Infatti “il cristianesimo conclude e completa le verità imperfette che sussistono nelle 
religioni pagane con la saggezza cristiana”
5
. 
La fede dei popoli pagani non dovrà dunque essere rinnegata, ma solo purificata ed elevata: 
 
“Come gli ebrei convertiti vedevano a giusto titolo nel cristianesimo non la distruzione, ma il 
compimento della loro fede, così questi pagani avranno coscienza, aderendo a Cristo, di non 
rinnegare il meglio di sé, ma anzi, di trovarne la esecuzione. Ciò vale a dire che per essi vi erano 
nella tradizione pagana, in cui erano stati educati, degli autentici valori religiosi. Questi valori essi li 
scoprivano soprattutto presso i filosofi”
6
. 
 
All’origine di tutto questo vi sarebbe appunto l’alleanza cosmica che, in ogni modo, è 
sempre un’offerta gratuita di grazia e non semplicemente frutto del ragionare buono degli uomini 
che colgono semplicemente l’esistenza del creatore a partire dalle creature. 
Questa convinzione, la convinzione cioè che anche nel mondo pagano vi possano essere uomini 
salvati trova, secondo Daniélou, conferma nella Bibbia. In essa, infatti vi sono personaggi giudicati 
giusti e non appartenenti né al popolo ebreo, né a quello cristiano. Sono dunque i rappresentanti, i 
credenti nella religione cosmica, ai quali viene assicurata la salvezza. Essi sono per Daniélou: 
Abele
7
, Enoch
8
, Daniele
9
, Noè
10
, Giobbe
11
, Melchisedech
12
, Lot
13
, e la regina di Saba
14
. 
                                                 
5
 J. DANIÉLOU, Saggio sul mistero…, p 134. 
6
 J. DANIÉLOU, I santi pagani dell’Antico Testamento, Queriniana, Brescia, 1988, p 27 (= SP). 
7
 Abele viene citato nella prima preghiera eucaristica: Abele era giusto (Mt. 23,35), le opere di Abele erano giuste 
(1Gv. 3,12), “per la fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino” (Eb. 11,4 vedi anche 12, 24). 
Di fatto Abele appartiene ad un periodo dell’umanità che ha preceduto il giudaismo e che ha conosciuto Dio grazie 
all’opera della creazione e che si è salvata grazie alla legge scritta nel proprio cuore (Rm. 2,15). Cfr. SP, 37-48. 
8
 Di Enoch, patriarca pre-diluviano, la Bibbia dice: “Enoch camminò con Dio; dopo aver generato Matusalemme, visse 
ancora trecento anni e generò figli e figlie. L’intera vita di Enoch fu di trecentosessantacinque anni. Poi Enoch 
camminò con Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso. (Gn. 5,22-24 vedi anche Sir. 44,16). Le interpretazioni del 
rapimento di Enoch portano a pensare che in tal modo lui sia stato istruito sui disegni nascosti di Dio per rivelarli poi 
al mondo pagano, dunque un profeta della religione cosmica, a testimonianza che Dio invia dei messaggi anche in 
questo periodo, oppure che questa ascensione sia il segno di una salvezza che è dono anche per i pagani. L’ascensione 
di Enoch (religione cosmica) e poi quella di Elia (religione ebraica) rimandano a quella di Cristo. Cfr. SP, 49-62. 
9
 È il Daniele di cui parla Ez. 14, 12-20 che si trova assieme a Noè e a Giobbe e che, come loro, precede Abramo e 
appartiene al mondo dei gentili, era forse un re di Canaan famoso per la sua giustizia. Ezechiele lo definisce giusto, 
cioè, biblicamente, ritenuto giusto da Dio, dunque santo. Cfr. SP, 63-73. 
10
 Noè ”trovò grazia agli occhi del Signore” (Gn. 6,8), fu trovato perfetto e giusto. Noè con la sua vicenda doveva 
anche invitare gli uomini alla penitenza prima del diluvio, egli è il “banditore di giustizia” (2Pt. 2,5), quindi un inviato 
da Dio al mondo pagano, un profeta come Enoch. Noè annuncia un giudizio che quindi è anche parte di una religione 
cosmica. Infine l’alleanza stabilita con Noè corrisponde alla religione cosmica e verte essenzialmente sulla fedeltà di 
Dio nell’ordine del mondo. All’interno di questo ordine proprio i cicli stagionali sono il segno della fedeltà del Dio 
vivente (Gn. 8,22). Cfr. SP, 75-90. 
11
 Giobbe si trova insieme a Noè e Daniele secondo Ez. 14, 14.20. Egli è un pagano presentato, nel libro omonimo, 
come un modello di giustizia e di pietà. Giacomo lo proclama beato (Gc. 5, 11). Giobbe è il modello di colui che è 
fedele all’alleanza cosmica, alleanza che prevede anche dei comportamenti morali. Egli è messo alla prova, superando 
   Teologia delle religioni: i principali modelli 
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 13
 
La lettura cristiana di tutta questa religiosità, che non esitiamo a definire buona, è come una 
preparazione ad accogliere la rivelazione di Gesù Cristo. 
“La missione del Logos nell’Antico Testamento non è, in realtà, che la preparazione di una terza 
missione, la vera missione: la venuta di Cristo nella carne”
15
. Fino ad allora era stata tutta una 
preparazione a questo momento, adesso siamo nel mistero di Dio, Cristo “ci rende capaci di 
partecipare alla sua filiazione. Egli fa di noi dei figli adottivi di Dio e, ciò facendo, ci introduce 
nella famiglia di Dio, nella famiglia divina”
16
. Questi passaggi sono funzionali alla pedagogia 
divina con la quale “il Verbo prepara a mano a mano l’umanità a ricevere in pienezza il messaggio 
che egli è venuto a portarci”
17
. 
Ancora oggi vi sono popoli che si trovano allo stadio della rivelazione primitiva. Per cui, 
per esempio, seguendo il pensiero di Daniélou, è possibile dire che l’Islam sia un cristianesimo 
incompleto. Sarà così necessario “sviluppare più profondamente il bisogno religioso e a forza di 
svilupparlo nelle anime, si farà ad esse sentire la necessità di superare l’Islam. Se un musulmano 
andasse all’estremo delle esigenze della sua anima, arriverebbe a Cristo, perché scoprirebbe che vi 
sono delle insufficienze e delle lacune nel suo spirito”
18
. 
Di fatto “il cristianesimo, nel corso del suo sviluppo, continua ad incarnarsi nelle civiltà e nei 
popoli con cui successivamente si incontra”
19
. 
Terminando questa breve presentazione possiamo dire che il merito di Daniélou è stato 
quello di avere per primo cercato di impostare una riflessione sulla realtà delle religioni non 
cristiane senza demonizzarle, cercando anzi di recuperare e valorizzare tutti quegli elementi 
positivi che si possono cogliere in esse.  
 
                                                                                                                                                                
la quale dimostrò che egli era legato a Dio per se stesso, non per quanto ne riceveva. Il tema della sofferenza e della 
retribuzione viene poi qui trattato sul piano della rivelazione cosmica. Cfr. SP, 91-105. 
12
 Il suo sacrificio è menzionato nella prima preghiera eucaristica. Melchisedech rappresenta qui il grande sacerdote 
della religione cosmica. Egli raccoglie in sé tutto il valore religioso dei sacrifici offerti dalle origini del mondo sino ad 
Abramo e attende il gradimento di Dio. Per l’autore della lettera agli Ebrei Melchisedech è figura di Cristo (Eb. 7, 1-
3). Cfr. SP, 107-113. 
13
 Il libro della Sapienza parla del giusto Lot (Sap. 10,6), il nipote di Abramo, lo cita Gesù (Lc. 17,29), Pietro lo 
definisce giusto (2Pt. 2,7). Lot è la discendenza di Abramo, egli è il capostipite dei moabiti così è un santo della 
religione cosmica. Lot è giusto per le sue virtù, egli dimostra di seguire la legge scritta nel cuore ed è così gradito a 
Dio. Egli abita in Sodomia in mezzo ai peccatori, ma disprezza il peccato. Lot rappresenta infine l’uomo semplice, è 
un rappresentante della vita comune che ha ottenuto la salvezza. Cfr. SP, 115-120. 
14
 Gesù stesso ci rivela che essa è giustificata (Mt. 12,42) dato che giudicherà e condannerà la generazione che non ha 
riconosciuto Gesù. Anch’essa è una santa della religione cosmica dato che non era ebrea. Essa è l’esempio di chi ama 
la sapienza e ne va alla ricerca (1Re. 10), è il modello del pagano dell’animo retto che cerca Dio sinceramente. Cfr. 
SP, 121-129. 
15
 J. DANIÉLOU, Il mistero della salvezza delle nazioni, Morcelliana, Brescia, 1966, p. 40 (=MS). 
16
 MS, 41. 
17
 MS, 43. 
18
 MS, 45. 
19
 MS, 76. 
   Teologia delle religioni: i principali modelli 
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 14
 
Il pregio di Daniélou è forse quello di aver trovato una via di mezzo tra due posizioni 
estreme in questo campo: il pessimismo della teologia dialettica e il relativismo della teologia 
liberale
20
. La ricerca di Daniélou ha poi il merito di aver ripreso gli studi biblici patristici, in favore 
di una più completa e attenta visione del problema che lo portò sì a negare un valore delle 
religioni, per affermare però dei valori nelle religioni. Daniélou diceva di no ad un cristianesimo 
anonimo, ma certamente sì all’esistenza di cristiani anonimi. 
 
“Secondo la ‘teoria del compimento’, il mistero di Cristo raggiunge quindi i membri delle altre 
tradizioni religiose come risposta divina all’aspirazione religiosa umana; ma le tradizioni religiose 
stesse non hanno alcun ruolo in questo mistero di salvezza”
21
.  
 
Introduciamo così, seppur brevemente, la posizione di H. de Lubac il quale spiega che 
attribuire alle religioni non cristiane un valore salvifico positivo equivarrebbe  a metterle in 
competizione con il cristianesimo e così a offuscare l’unicità di quest’ultimo. H. de Lubac fa 
notare che il piano divino non può essere privo d’ordine: bisogna che ci sia un ‘asse’ unico, un 
punto unico di convergenza. Questo è il cristianesimo, unica via di salvezza. Considerare le altre 
religioni come aventi un ruolo positivo nel mistero della salvezza dei loro membri significherebbe, 
infatti, definirle come vie parallele di salvezza e dunque distruggere l’unità del piano divino
22
. 
La conclusione riferita al pensiero di Jean Daniélou non muta ora: secondo la teoria del 
cristianesimo come compimento non vi è “salvezza senza il vangelo”, così come non esiste un 
“cristianesimo anonimo”.  
Abbiamo così aperto la strada al secondo modello proposto dalla teologia delle religioni, 
che ha in Karl Rahner l’esponente più rappresentativo, senza dimenticare un altro grande teologo 
contemporaneo: R. Panikkar, che nel libro Il Cristo sconosciuto dell’induismo
23
, già aveva  iniziato 
questo percorso. 
 
 
                                                 
20
 Per una rapida carrellata storica delle due posizioni, vedi: L. SARTORI, Teologia delle religioni non cristiane, in 
Dizionario Teologico Interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato, 1977, pp. 404-405. 
21
 J. DUPUIS, Gesù Cristo…, op. cit., p 175. 
22
 “A maggior ragione, altre religioni, quali che possano essere i loro meriti, non potrebbero essere considerate come 
‘salvifiche’, cioè entrare o restare in ‘concorrenza’ con la fede nel Cristo.” H. DE LUBAC, Paradosso e mistero della 
chiesa, Jaca Book, Milano, 1979, p 167; Ancor di più possiamo aggiungere che pur affermando la possibilità di 
salvezza di chi non è battezzato e ammettere la possibilità di un agire dello Spirito al di fuori della Chiesa, Henri de 
Lubac nega che da ciò si possa dedurre “che esiste un cristianesimo anonimo sparso dappertutto nell’umanità o, come 
si dice ora, un cristianesimo implicito e che il solo compito della predicazione apostolica sarebbe quello di farlo 
passare, immutato in se stesso, allo stato esplicito, come se la rivelazione dovuta a Gesù Cristo non fosse altro che la 
messa a fuoco di ciò che già trovavano esistente da sempre”, IBIDEM, p. 179; Il pensiero dell’Autore è ben esplicitato 
nel volume citato: pp 159 ss.; Cfr. J. DUPUIS, Gesù Cristo…, op. cit., p. 175. 
23
 R.PANIKKAR, The Unknown Christ of Hinduism, Darton, Longman and Todd, London 1964 (edizione rivista e 
ampliata, 1981) (tr. it. Il Cristo sconosciuto dell’induismo, Vita e Pensiero, Milano, 1976).