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1. L’espressione insider trading designa le operazioni su 
valori mobiliari compiute da soggetti in possesso di 
informazioni riservate, che consentono loro di prevedere 
il successivo corso delle quotazioni e di realizzare, così, 
un profitto mediante l’acquisto di titoli destinati al rialzo o 
la vendita di titoli prossimi al ribasso. 
L’introduzione dell’art. 180 del Testo unico delle 
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, 
rubricato “Abuso di informazioni privilegiate”, costituisce 
l’esito di un lungo percorso legislativo volto a configurare 
un’adeguata fattispecie penale repressiva dell’insider 
trading.  
A lungo, infatti, si è discusso circa l’opportunità di 
sanzionare penalmente tale fenomeno dal momento che 
il codice Rocco non contempla tale fattispecie, ma si 
occupa, in generale, nel titolo ottavo del libro secondo 
“Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il 
commercio”. Ha costituito motivo di dibattito la diversa 
considerazione dell’insider trading da parte degli 
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interpreti. Alcuni ne hanno dato una valutazione positiva, 
ritenendo tale pratica una remunerazione dell’attività di 
quel ristretto ceto di enterprenueurs responsabile dei 
successi delle società, nonché addebitandole una 
positiva funzione di arbitraggio, consistente nell’impedire 
sbalzi improvvisi del corso delle azioni e nel consentire 
un più preciso adeguamento delle quotazioni al reale 
valore dei titoli.  
Altri, al contrario, ritenendo che l’insider trading 
costituisca una operazione finanziaria capace di alterare 
la parità dei punti di partenza per tutti coloro che 
partecipano alle contrattazioni nel mercato azionario e di 
ledere la credibilità di quest’ultimo, hanno avvertito 
l’esigenza di un intervento legislativo.  
Considerata l’insufficienza delle soluzioni civilistiche, 
soprattutto per le difficoltà di individuazione dei soggetti 
danneggiati, la scelta operata dal legislatore con la legge 
n. 157 del 1991, intitolata “Norme relative all’uso di 
informazioni riservate”, in attuazione della Direttiva CEE 
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del 1989 n. 592, è stata di impronta marcatamente 
penal-repressiva, incentrata su un divieto assoluto di 
taluni comportamenti. 
  
2. Nell’elaborazione della disciplina volta alla repressione 
dell’insider trading, ha meritato notevole attenzione 
l’individuazione dell’interesse protetto, al fine di 
assicurare la rispondenza dell’intervento penale alle 
indicazioni costituzionali tracciate per la tutela degli 
interessi economici. Accanto alle disposizioni relative al 
contenuto delle scelte legislative in tema di diritto 
d’impresa (art. 41 Cost., sulla libertà di iniziativa 
economica e art. 47 Cost. sulla tutela del risparmio), la 
Costituzione contempla quelle relative al modo di 
articolazione di tale intervento. Infatti, anche nel campo 
dell’economia, l’intervento penale deve mantenere i suoi 
caratteri peculiari: il rispetto del principio di tassatività e 
tipicità della norma penale e del principio di personalità 
della responsabilità penale, nonché del principio, 
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correlativo a quest’ultimo, di prospettiva rieducativa della 
sanzione, non possono venire meno per soddisfare 
esigenze repressive. Il principio di offensività impone un 
aggancio delle scelte di penalizzazione, operate dal 
legislatore, alla tutela di interessi significativi, anche non 
contemplati in Costituzione, purché compatibili con i 
valori costituzionali, e non solo al dato formale 
dell’inosservanza di una norma. Il principio di tassatività, 
conseguenziale a quello di riserva di legge, di cui all’art. 
25 Cost., richiede il più elevato grado possibile di 
determinatezza del precetto penale al fine di garantire 
l’eguaglianza di trattamento per i destinatari, la possibilità 
di previa conoscenza della norma ed il diritto di difesa. 
La personalità della responsabilità penale, di cui all’art. 
27 Cost., infine, impone il divieto di responsabilità per 
fatto altrui, la riconducibilità psichica del fatto all’autore e 
l’adeguamento della specie e del quantum della pena 
alla personalità del responsabile.  
     
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3. Quanto all’interesse tutelato, si è detto che l’insider 
trading troverebbe il suo fondamento nel principle of 
equal access: tutti gli investitori devono avere un pari 
accesso alle conoscenze in grado di influire sulle loro 
decisioni e a nessuno è consentito compiere transazioni 
utilizzando notizie ancora ignote alla collettività. L’errore 
di fondo, insito in tale teoria, consiste nel fare riferimento 
ad una situazione ideale, di trasparenza societaria o di 
parità di chances degli investitori, la quale non può 
essere richiamata per giustificare la repressione 
dell’insider trading, non essendo, le norme giuridiche, in 
grado di aspirare al conseguimento di valori puri 
ignorando la realtà. Tuttavia, è proprio nel contestato fine 
di assicurare la par condicio di quanti operano in borsa 
che è stato ravvisato l’interesse tutelato dalla legge n. 
157 del 1991, secondo un’interpretazione che trova 
riscontro nei lavori preparatori ed è coerente con il 4° 
considerando della Direttiva CEE n. 89/ 592. 
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Si è, poi, sostenuto che, in realtà, fondamento 
dell’incriminazione è l’esigenza di trasparenza volta ad 
impedire ogni turbamento nella regolare formazione dei 
prezzi di mercato dei valori mobiliari, sulla base delle 
leggi economiche, da parte di chi, conoscendo notizie 
riservate, se ne potrebbe avvalere per manovre 
speculative. Alla luce della trasparenza va sicuramente 
interpretato, in coerenza del 6° considerando della 
Direttiva CEE n. 89/592, l’oggetto della tutela apprestata 
dal legislatore nell’odierna normativa dei mercati 
finanziari, cioè, il corretto funzionamento del mercato 
finanziario, dipendente in larga parte dalla fiducia che 
esso ispira agli investitori. Gli effetti negativi prodotti dalla 
presenza di insider trading nel mercato finanziario si 
traducono, infatti, in perdita di liquidità e di efficienza 
allocativa del medesimo. 
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4. Il Testo Unico Draghi ha snellito la struttura normativa 
sull’insider trading, condensandola in un’unica 
disposizione, l’art. 180, contro le tre della precedente 
legge n. 157 del 1991. 
Conservando la tradizionale distinzione tra insider 
primari e tippee, l’art. 180, come la previgente disciplina, 
incentra la qualificazione soggettiva sulle modalità di 
acquisizione dell’informazione. Nella nuova fattispecie è 
insider chiunque si trovi “in possesso di informazioni 
privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di 
una società, ovvero nell’esercizio di una funzione, anche 
pubblica, di una professione o di un ufficio”. Tale nozione 
ricomprende sia gli insider istituzionali, sia gli altri 
soggetti la cui funzione o professione consenta, anche 
episodicamente, l’accesso ad informazioni privilegiate. 
Inoltre, continua ad esser considerato tippee chiunque 
abbia ottenuto “direttamente o indirettamente, 
informazioni privilegiate” dagli insiders primari, 
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nonostante la condotta vietata sia ora delimitata al 
compimento di operazioni borsistiche.   
Quanto agli azionisti, primi destinatari del divieto, essi 
saranno considerati insiders, quando la loro qualità 
costituisca la ragione del possesso dell’informazione: in 
difetto del collegamento tra posizione e apprendimento 
della notizia, il soggetto sarà ricompreso nella categoria 
dei tippee, sempre che abbia ottenuto direttamente o 
indirettamente le informazioni da un insider primario. 
Inoltre, il generico riferimento alla partecipazione al 
capitale di una società permette di estendere l’ambito di 
applicazione del divieto anche agli azionisti di una 
società diversa dall’emittente.  
L’espressione “esercizio di una funzione, anche pubblica, 
professione o ufficio”, includendo tutti i soggetti agevolati 
nell’accesso ad informazioni privilegiate in forza della 
loro appartenenza alla struttura della società o in forza 
dell’attività svolta, permette di inserire tra i soggetti attivi 
dell’illecito i quasi insiders, collaboratori dei quali la 
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società si avvale per il perseguimento di fini di volta in 
volta individuati.  
L’abbandono nella nuova fattispecie, poi, dello schema di 
reato di pericolo presunto ha condotto all’abrogazione 
dei commi tre e sette dell’art. 2 della legge n. 157/1991, 
che, in determinate situazioni, configuravano una 
presunzione di conoscenza dell’informazione privilegiata 
a carico sia degli insider istituzionali, sia dei ministri e 
sottosegretari di stato.   
Quanto, poi, al tippee, opportunamente l’art. 180, onde 
evitare un’ingiusta equiparazione tra insider e tippee, ha 
eliminato i divieti di comunicare a terzi l’informazione 
privilegiata o di consigliare a terzi di operare sulla base 
della stessa, restringendo la condotta vietata al solo 
compimento di operazioni borsistiche, rispettando, così, i 
canoni di effettiva lesività e disvalore delle condotte 
perseguite. 
 
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5. Le condotte vietate dall’art. 180 consistono 
nell’acquistare, vendere o compiere “altre operazioni, 
anche per interposta persona, su strumenti finanziari 
avvalendosi delle informazioni” privilegiate, nonché nel 
comunicare, senza giustificato motivo, le stesse 
informazioni (tipping), o consigliare ad altri “sulla base di 
esse il compimento di taluna delle operazioni” suesposte 
(tuyautage).  
Sotto il profilo oggettivo, la novità introdotta dal Testo 
Unico consiste nel sanzionare le condotte illecite solo se, 
oltre al possesso, la transazione è stata effettuata 
“avvalendosi dell’informazione”, negando, così, ogni 
spazio ad una costruzione della fattispecie in termini 
presuntivi e rendendola pienamente rispondente al 
principio di colpevolezza. Ai fini della condanna sarà 
necessaria, quindi, l’influenza della conoscenza detenuta 
sul processo decisionale e la correlativa consapevolezza 
da parte dell’agente di utilizzare un’informazione 
privilegiata. 
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Nel vietare il tipping, invece, l’art. 180, rimane ancora 
attestato sulla mera violazione del dovere di 
riservatezza: manca, infatti, una riformulazione del 
divieto di comunicare a terzi l’informazione riservata. Il 
divieto, anche oggi, può essere disatteso 
indipendentemente dal dolo di favorire l’altrui operazione 
borsistica.  
Per quel che riguarda il tippee, le novità apportate dal 
nuovo testo consistono nell’estensione del divieto a colui 
che utilizza informazioni privilegiate ricevute da quanti le 
abbiano acquisite in virtù della partecipazione al capitale 
di una società, e nell’omissione del riferimento espresso 
alla consapevolezza del carattere riservato 
dell’informazione. Sotto questo profilo, infatti, il divieto di 
“avvalersi” di informazioni privilegiate presuppone 
necessariamente l’esistenza dell’elemento soggettivo, 
consistente nella coscienza di possedere tale 
informazione e nella volontà di utilizzarla in operazioni di 
borsa. 
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 Al tippee, concludendo, è vietato avvalersi 
dell’informazione privilegiata, mentre al tuyauteé che 
compia l’operazione suggeritagli non si può ascrivere 
alcuna responsabilità: in mancanza dell’elemento 
soggettivo non potrà ritenersi integrata la fattispecie 
delittuosa. 
 
6. Il terzo comma dell’art. 180 dispone che “per 
informazione privilegiata si intende un’informazione 
specifica di contenuto determinato, di cui il pubblico non 
dispone, concernente strumenti finanziari, che, se resa 
pubblica, sarebbe idonea ad influenzarne sensibilmente 
il prezzo”. Permangono, quindi, i requisiti della specificità 
e della determinatezza, mentre, si sostituiscono, rispetto 
alla definizione contenuta nell’art. 3 della legge n. 
157/1991, l’attributo “riservata” con “privilegiata” e 
l’espressione “non resa pubblica” con “di cui il pubblico 
non dispone”. Riguardo al primo elemento, l’attributo 
privilegiata sottolinea la posizione di vantaggio derivante 
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dalla conoscenza detenuta rispetto alla generalità degli 
investitori; quanto al secondo, l’innovazione indica come 
momento rilevante al fine della libera utilizzabilità 
dell’informazione non la sua formale pubblicazione, ma 
la sua effettiva disponibilità presso il pubblico, la sua 
accessibilità. Le modalità da osservare per la 
divulgazione dei fatti rilevanti consistono, secondo l’art. 
20 del reg. n. 11520/98, nella diffusione di un 
comunicato, da inviare alle società di gestione del 
mercato, ad almeno due agenzie stampa ed alla Consob. 
Quanto, poi, al carattere price sensitive, elemento 
centrale della nozione di informazione privilegiata, la 
idoneità della stessa, se resa pubblica, ad influenzare 
sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari deve 
essere valutata in base ad un giudizio ex ante. Ai fini 
dell’imputazione di responsabilità a carico dell’insider, 
non rileva, quindi, la mancata realizzazione dell’influenza 
sensibile sul prezzo dei titoli, in seguito all’utilizzazione 
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dell’informazione, né la verificazione di un’influenza in 
senso opposto a quello ipotizzato.         
 
7. Fondamentale elemento di novità è la definizione, 
contenuta nell’art. 185 del Testo Unico, di un nuovo 
rapporto tra l’autorità giudiziaria e l’organo preposto alla 
vigilanza del mercato. L’abrogazione del primo comma 
dell’art. 8 della legge n. 157/1991, che nel sancire 
l’obbligo di proporre la denuncia di cui agli artt. 361 e 362 
c.p. al Presidente della Consob, derogava al principio 
generale per cui i pubblici ufficiali e gli incaricati di un 
pubblico servizio devono denunciare all’autorità 
giudiziaria i reati di cui vengono a conoscenza 
nell’esercizio delle loro funzioni, ha comportato due 
ordini di conseguenze. Innanzi tutto, all’autorità 
giudiziaria inquirente è restituito un ruolo di primo piano 
nello svolgimento delle indagini. In secondo luogo, così 
come, in virtù del primo comma dell’articolo 185, il 
pubblico ministero è tenuto ad informare senza ritardo il 
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Presidente della Consob quando ha notizia di un reato di 
abuso di informazione privilegiata, allo stesso modo le 
notitie criminis, accertate dall’Autorità andranno 
trasmesse senza ritardo al pubblico ministero o ad un 
ufficiale di polizia giudiziaria, secondo il disposto dell’art. 
331 c.p., secondo comma. Sotto quest’ultimo aspetto, 
l’innovazione comporta un rischio in termini di fughe di 
denunce e sovrapposizione di indagini, che la norma 
soppressa riusciva ad evitare. 
  
8. Quanto all’applicabilità del divieto di cui all’art. 180 
T.U. ai gruppi societari, è opportuno distinguere due 
ipotesi: lo sfruttamento da parte della holding delle 
conoscenze che gli derivano da parte degli 
amministratori delle società del gruppo oppure dalle 
direttive loro impartite. Nel primo caso, pur essendo 
lecita la trasmissione alla holding delle informazioni delle 
controllate, costituendo l’esigenza di elaborare una 
comune strategia di gruppo giustificato motivo ai sensi 
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dell’art. 180, comma 1, lett. b) T.U., non è possibile 
affermare che la capogruppo possa sempre sfruttare le 
notizie detenute acquistando e vendendo azioni della 
controllata prima della pubblicità di un evento riguardante 
quest’ultima. Gli amministratori della capogruppo sono, 
pertanto, insider primari rispetto alle notizie ottenute in 
virtù della loro funzione. Nel secondo caso, occorre 
distinguere ulteriormente tra fatti attinenti alla strategia 
del gruppo, lecitamente utilizzabili, e decisioni assunte 
dalla holding che siano in grado di incidere sensibilmente 
sul corso dei titoli, le quali costituiscono informazioni 
privilegiate, sottoposte all’obbligo di divulgazione di cui 
all’art. 114 T.U. 
Sempre riguardo all’ambito societario, un’ultima 
considerazione va dedicata alla possibilità di 
verificazione dell’insider trading nel quadro della nuova 
disciplina in materia di Opa. Il T.U. ha sancito all’art. 102, 
primo comma, l’obbligatorietà della comunicazione, a 
mezzo di un atto cui deve essere allegato un documento 
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destinato alla pubblicazione e contenente le informazioni 
necessarie affinché i destinatari siano in grado di 
valutare l’offerta, solo per coloro che effettuano l’offerta e 
non anche per coloro che abbiano intenzione di 
procedervi, come previsto nell’abrogata legge 149/1992. 
La nuova disciplina coprendo con il segreto la fase 
relativa alla comunicazione dell’offerta alla Consob e 
considerando l’effetto sorpresa cruciale per il successo di 
un’Opa, evidenzia la necessità che la legge garantisca 
che chiunque venga a conoscenza dell’operazione, per 
motivi professionali o istituzionali, non diffonda la notizia. 
 
9. A poco più di un anno dall’entrata in vigore del Testo 
Unico, il 6 ottobre, è stato presentato a Milano il codice di 
autodisciplina delle società quotate italiane. Tra le tredici 
regole di condotta di cui esso è composto, le quali si 
propongono di favorire la nascita anche in Italia di 
amministratori “indipendenti” e di speciali comitati 
chiamati ad assistere gli amministratori esecutivi, 
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svolgendo anche un ruolo di contrappeso, nelle 
tematiche più delicate della gestione aziendale, desta 
interesse l’art. 6, riguardante il trattamento delle 
informazioni riservate. Esso prescrive l’adozione di una 
procedura interna, proposta dagli amministratori delegati 
al consiglio di amministrazione, relativa alla 
comunicazione delle informazioni price sensitive 
riguardanti la società. Il fine è quello di evitare che tale 
comunicazione possa avvenire in forma selettiva, 
intempestivamente, in forma inadeguata o incompleta, 
considerata la rilevanza dell’informativa tanto per gli 
investitori quanto per la regolare formazione dei prezzi 
sui mercati finanziari nei quali le società sono quotate. 
Nonostante gli evidenti punti di contatto con la disciplina 
di cui all’art. 180 del T.U., è opportuno sottolineare che il 
Codice è soltanto un modello di riferimento di natura 
organizzativa e funzionale ed in quanto tale non è fonte 
di alcun obbligo giuridico.  
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L’adesione volontaria delle società al codice costituirà, 
comunque, un importante passo in avanti nel senso della 
prevenzione dei comportamenti scorretti suscettibili di 
integrare condotte vietate, seppure nei limiti del ristretto 
ambito di applicazione considerato dall’art. 6 rispetto alla 
varietà di condotte e di soggetti previsti nell’art. 180 del 
T.U.