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più netta e distinta tra queste due facce coesistenti
della realtà globale.
La corsa verso traguardi ambiziosi in campo tecnologico e
sanitario ci ha permesso di raggiungere livelli senza
dubbio rassicuranti in termini di progressione sociale e
culturale, liberandoci dai timori ancestrali relativi
all’incapacità di far fronte ai bisogni primari, quali
l’alimentazione e la salute. Questi successi, però, sono
comunque parziali perché il meccanismo che ne ha
determinato il conseguimento possiede spesso ingranaggi
cinici, ben oliati sì, ma troppo veloci per dare il tempo
necessario a tutte le popolazioni di goderne i frutti. In
questa maniera si delinea una paradossale convivenza tra
chi beneficia a pieno di questo progresso e chi continua,
suo malgrado, a rimanerne non solo escluso, ma
addirittura schiacciato.
In ambito sanitario sono riscontrabili entrambi gli
aspetti: da un lato la presenza di una società
multietnica impone un ampliamento delle conoscenze in
merito alla epidemiologia del paese di provenienza di
ogni singolo individuo, al fine di affrontare la diagnosi
di patologia con un ventaglio di supposizioni il più
completo possibile, e di prevenirne la diffusione; in
secondo luogo, l’esigenza di fornire l’assistenza
sanitaria basilare in territori altrimenti totalmente
sprovvisti ha determinato la nascita di numerose
organizzazioni, che cercassero di colmare il vuoto
creatosi dalla forbice che divide il nord dal sud del
mondo, spostando medici, infermieri e volontari di ogni
categoria verso i luoghi dove il loro aiuto fosse più
necessario.
Le pagine di questa tesi hanno l’intenzione di delineare
un quadro sufficientemente esaustivo delle differenze che
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si possono sviluppare in campo sanitario, ed in
particolar modo in campo urologico, confrontando due
modalità, quella italiana e quella di alcune aree
dell’America Latina, di interpretare il concetto di
salute.
La variabilità nelle percentuali di prevalenza di una
malattia, la presenza di patologie infettive altrimenti
debellate, le condizioni igienico sanitarie al limite, i
tassi di mortalità infantile e l’età media di
sopravvivenza di una popolazione sono soltanto la
sequenza numerica e statistica che fa da corollario ad un
ben più complesso intreccio di ostacoli che impediscono
il corretto sviluppo di una normale ed efficace rete
assistenziale.
Infatti, indubbiamente saranno pur presenti in Sud
America numerosi fattori ambientali e genetici che
condizionano l’insorgenza e la gravità di sviluppo di
alcune patologie, ma il concetto di prevenzione e di
approccio terapeutico dipendono inequivocabilmente
dall’organizzazione di un sistema sanitario paradossale,
dalla mancanza di un intervento statale a garanzia di
cure gratuite, da un elevato livello di corruzione e da
un ritardo culturale diffuso.
Il confronto tra l’organizzazione ospedaliera italiana e
quella di due stati sud americani è frutto di due
esperienze (Perù 2001, Bolivia 2004), nelle quali il
quotidiano riscontro delle difficoltà oggettive, e spesso
insormontabili, per attuare le normali misure di cura ha
determinato la volontà di approfondire quali fossero i
motivi capaci di condizionare tanto negativamente un
diritto così fondamentale, come quello della salute.
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Il Confronto Epidemiologico
La figura del medico incarna più di un ruolo
nell’immaginario collettivo, oscillando pericolosamente e
repentinamente tra modelli di deificazione e
demonizzazione, che risentono dell’influenza sul singolo
paziente di un trattamento, di un atteggiamento, a volte
di una singola parola, in una condizione senza dubbio
unica, come quella della propria malattia. La
trasformazione del malato, debitore nel suo stato di una
assistenza sanitaria il più adeguata possibile, in
cliente, fruitore di una prestazione per la quale paga,
ha contribuito a scremare la relazione tra medico ed
infermo da quelle forme di terapia non convenzionali o
non protocollate, quali il dialogo aperto o la semplice
ma fondamentale alleviazione dal dolore, privandola di
quel grado di speciale confidenza e relegandola quasi ad
un esclusivo rapporto commerciale. In questa ottica, un
buon medico sarà solamente quello capace di ottenere i
risultati migliori, la cui fama gli potrà permettere di
vendere la sua opera a qualunque prezzo, che in
proporzione diretta rappresenterà già una presunta
garanzia di guarigione. Ma il trattamento curativo è
soltanto l’ultimo anello di un percorso che presuppone
una corretta analisi del corredo sintomatologico, una
adeguata valutazione degli esami laboratoristici o
radiologici praticati e l’approdo ad una diagnosi di
patologia quanto più accurata e definita possibile.
Nella pratica occidentale, e quindi anche italiana,
questo iter si è arricchito favorevolmente di una serie
di tappe, utili per un inquadramento raffinato e
completo, responsabili di una successiva super selezione
tra le eventuali procedure interventistiche da attuare.
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Difficilmente, con un proposito del genere, si lesinano
richieste per l’esecuzione di studi iconografici ad alta
risoluzione, si risparmiano ripetuti e ravvicinati
controlli, che nulla di nuovo aggiungono, senza realmente
interrogarsi sulla necessità di tali studi e,
soprattutto, sull’effettivo rapporto costo/beneficio,
che, quando negativo, si ripercuote su tutto l’ambito
sociale. La disponibilità di queste metodiche e il loro
libero accesso, garantito da una copertura sanitaria
spesso totale, non si traduce, però, in un impiego
razionale e responsabile, ma piuttosto in un eccesso,
spesso superfluo.
Nei paesi in via di sviluppo, invece, il cammino che
conduce alla definizione di malattia obbligatoriamente
deve svilupparsi seguendo una impostazione imbrigliata
nelle maglie di un ritardo scientifico ed economico, che
limitano l’emulazione dei modelli già descritti e che
ostacolano sensibilmente l’accuratezza della diagnosi.
Non potendosi verificare non solo l’abuso, ma talvolta
nemmeno l’uso di alcune tecnologie, è evidente che il
tentativo di attribuire una connotazione precisa ad una
serie di segni e sintomi, scarsamente indagabili, debba
seguire un percorso differente che non si traduce
univocamente con la necessità di fare un passo in dietro,
ma forse più correttamente con l’esigenza di ricorrere
alle fondamenta della medicina, a quei richiami di
epidemiologia, troppo spesso dimenticati o collocati in
secondo piano dall’evidenza e dalla quantità di esami
praticati.
L’insieme di fattori genetici, razziali, ambientali, le
regole socio-culturali che regolano una popolazione e il
suo grado di sviluppo condizionano l’aspetto sanitario di
una regione, determinano la prevalenza di una malattia e
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possono fornire spunti di interesse scientifico per
comprendere le ragioni sottostanti lo sviluppo o meno di
una specifica patologia. Lo studio di tutti questi
aspetti prende il nome di epidemiologia. Consultando,
però, un qualsiasi testo ed analizzando, ad esempio,
l’epidemiologia di un gruppo di malattie ci accorgiamo
che i dati forniti, per quanto validi e oggettivi, non
possono tener conto di tutte le realtà che costituiscono
il patrimonio etnico mondiale. Del resto sarebbe una
pretesa assurda e un lavoro improbo cercare di
rappresentare ognuno dei diversi fenomeni restringendolo
di volta in volta ad uno spicchio di terra, delinearne le
caratteristiche e giustificarle alla luce di quel tipico
aspetto ambientale e culturale. Sarebbe altrettanto
superficiale, però, non considerare che le statistiche
sciorinate tra le pagine anche del più completo dei
volumi facciano riferimento a nozioni, a numeri e a
valutazioni di certo non globali, ma frutto dell’analisi
dei rilievi effettuati nei paesi sviluppati, e che
pertanto non possano essere, per quanto attendibili,
universali. Inoltre, la maggiore facilità nel raccogliere
i dati da sistemi sanitari occidentali non può
giustificare la mancanza di una differenziazione, che in
riferimento ad alcune circostanze è sostanziale, tra i
diversi scenari, la conoscenza diretta dei quali è spesso
sufficiente per comprendere quale enorme divario esista
in ambito epidemiologico, diagnostico e terapeutico.
Una branca specialistica come l’urologia, per la vasta
gamma di patologie che include, può fornire un buon
terreno di analisi, di confronto tra le modalità che
inducono l’insorgenza di alcune malattie, può
rappresentare un riferimento per chiarire con evidenze,
con esempi quanto i particolari spesso trascurati nella
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nostra quotidianità diventino essenziali chiavi di volta
se traslati a latitudini lontane. L’urologia offre uno
spaccato completo, in cui sono raffigurate tutte le
numerose sfaccettature della malattia: le infezioni, le
patologie benigne (la litiasi, l’iperplasia prostatica
benigna o l’incontinenza urinaria) e le patologie
tumorali. Dal confronto con le realtà sud americane del
Perù e della Bolivia nasce il contrasto tra le
informazioni in possesso della maggior parte dei medici
formatisi in Europa e la effettiva manifestazione di
ognuna delle singole infermità precedentemente elencate.