PREMESSA
Se nulla di sicuro conosciamo in merito alla datazione delle tragedie senecane, innegabile è 
l'innovazione di tali drammi rispetto ai modelli greci e ampie risultano le tracce da essi lasciate nel 
corso dei millenni successivi.
La seguente trattazione si propone pertanto di delineare, nella sezione introduttiva, i tratti 
principali dello stile, delle tematiche, della metrica e dell'ideologia ravvisabili nelle tragedie vergate 
da Seneca, concentrandosi maggiormente sull'Oedipus.
In questa sede viene dunque indagato, in primo luogo, il rapporto tra l'Edipo senecano e 
l'Οἰδίπους τύραννος sofocleo, in merito a cui risultano puntualizzate discrepanze e analogie; 
ulteriori spunti di riflessione fioriscono dal confronto tra le diverse modalità secondo le quali la 
vicenda edipica appare narrata nell'Oedipus e nelle fonti greche contemporanee o antecedenti a 
Sofocle. La sezione introduttiva si conclude con una rapida carrellata di testi – lirici, ma soprattutto 
tragici – inerenti alle sorti dello sventurato re di Tebe: dalla tarda antichità al XXI secolo, 
scorreremo le opere di numerosi autori al fine di constatare i diffusi e persistenti lasciti della 
versione senecana del dramma tra i suoi epigoni.
La seconda sezione dell'opera si focalizza maggiormente sull'Edipo senecano, al fine di 
cogliere, attraverso lo studio del lessico utilizzato, i temi, le caratteristiche, il pensiero e lo stile del 
Seneca tragico.
La prima sfera semantica indagata è quella legata a famiglia, generazione, fertilità, incesto, 
stirpe e parricidio, a cui segue l'analisi di termini inerenti al contrasto tra il sapere e il non sapere, 
all'indagine, alla dissuasione dalla ricerca e alla memoria. Interessante sarà poi rilevare i vocaboli e 
le espressioni appartenenti agli ambiti del dubbio, dell'inganno e della segretezza, ai concetti di 
molteplicità e duplicità, alle antitesi tra luce e ombra, vista e cecità.
Ampio spazio viene poi lasciato all'osservazione dei lessici tecnici (giuridico e sacrale, 
innanzitutto, ma anche militare) a cui Seneca sovente attinge nelle sue tragedie – e nell'Oedipus in 
particolare –. Terrore e timore, esilio e peregrinazione, peste, contaminazione e medicina, morte, 
orrore e dolore, odio, ira e follia concorrono infine a dipingere un affresco completo del lessico 
impiegato da Seneca nel corso della sua versione del mito di Edipo.
La terza fase della trattazione si articola in una serie di tre commenti continui di passi tratti 
dall'Oedipus, diversi per metro e contenuto (si tratta, rispettivamente, di una sezione corale, un 
dialogo inerente a un turpe sacrificio, un monologo incentrato sulla grottesca e macabra descrizione 
di una scena necromantica), eppure accomunati dal tangibile desiderio di Seneca di discostarsi dal 
modello greco.
L'accurata scelta dei vocaboli, l'insistenza su particolari oscuri e dettagli aberranti, la 
rappresentazione di un universo totalmente scevro di ogni speranza contribuiscono a convogliare la 
visione senecana del genere tragico e, in particolare, della leggenda di Edipo. Lo stile rigonfio, 
barocco e involuto, l'insistita polivalenza dei personaggi, la fitta trama di figure retoriche riflettono 
inoltre i gusti di un'epoca nella quale il contesto antropologico, giuridico, sociale e religioso alla 
base del nucleo originario della vicenda edipica si era ormai perduto irrimediabilmente, lasciando 
spazio a nuovi germogli – maggiormente contorti e tenebrosi, ma parimenti affascinanti – 
d'interpretazione del mito.
2
CAPITOLO PRIMO: IL MITO DI EDIPO NEL TEMPO
L'EDIPO DI SENECA: VISIONE D'INSIEME E CONFRONTO COL MODELLO 
SOFOCLEO
-Lucio Anneo Seneca: la vita.
Lucio Anneo Seneca nacque a Corduba, dal padre Seneca il Retore – altrimenti detto Il 
Vecchio – e dalla madre Elvia, nel 4 – o, in base ad altre ricostruzioni, nell'1 – a. C.
Trasferitosi a Roma, assieme ai genitori e ai fratelli Lucio Anneo Novato e Lucio Anneo 
Mela – futuro padre del poeta Lucano –, al fine di completare la propria formazione, si dedicò a 
studi di carattere retorico e letterario, avvicinandosi al contempo alla filosofia.
Significativi, in tal senso, gli incontri con personalità di spicco quali Quinto Sestio, Papirio 
Fabiano, Attalo e Sozione
1
. Assimilati tratti delle dottrine stoica
2
, cinica e neopitagorica, 
ampiamente rilevabili nelle sue più svariate opere, il giovane Seneca intraprese il sentiero di quel 
cursus honorum che, sebbene interrotto dal lungo esilio in Corsica
3
 deciso dall'imperatore Claudio
4
, 
1 Sull'accoglimento giovanile delle dottrine alimentari di Sozione da parte di Seneca (e sui suoi influssi nelle opere 
senecane) si occupa Michael V on Albrecht nel saggio Sulla lingua e lo stile di Seneca, raccolto in un'opera di 
Parroni datata 2000 (Parroni = P. Parroni, Seneca e il suo tempo: atti del Convegno internazionale di Roma-Cassino, 
11-14 novembre 1998, a cura di Piergiorgio Parroni, Roma-Salerno, 2000, pag. 229).
2 L'essenza del pensiero di Seneca è contenuta nell'Ep. 71 (…): il dominio della ragione, quale manifestazione 
incontrovertibile dell'assolutezza del Logos, permette all'individuo il conseguimento di un solido equilibrio 
interiore, che instaura un'imbattibile armonia spirituale (Dominici = C. Dominici, Epicureismo e stoicismo nella 
Roma antica: Lucrezio, Virgilio, Orazio (odi civili), Seneca, Francisci, Abano Terme 1985, pag. 9). Le tragedie 
senecane, tuttavia, sembrano proporre le controtesi dello stoicismo, come rileva Emanuela Andreoni Fontecedro nel 
suo saggio Seneca: L'altro aspetto della divinità (Parroni, 2000, pag. 182). In effetti, per quanto riguarda l'Oedipus, 
il re di Tebe è ben distante dall'equilibrio e dal dominio di sé propri dei saggi stoici, senza contare che, anziché 
seguire i dettami della Natura, Edipo ne sovverte le leggi. Inoltre, è totalmente assente la fiducia nelle divinità, che 
scelgono di punire innocenti per le colpe dei padri e non concedono ai malati nient'altro se non di lasciare la vita.
3 In un passo delle Epistulae (14, 3 s.), Seneca asserisce che sono tre i mali in grado di terrorizzare un individuo: 
miseria, malattie, persecuzioni da parte di potenti. Quest'ultimo è il peggiore, in quanto priva l'uomo del controllo su 
se stesso, sottoponendolo a una aliena potentia. Così commenta Traina in proposito all'aliena potentia: quella di 
Caligola che voleva mandarlo a morte, quella di Claudio che l'aveva mandato in esilio, quella di Nerone che lo 
avrebbe mandato a morte. Questo non è moralismo astratto: vi si riflette, con una coloritura esistenziale che 
potrebbe spiegarne l'asistematicità, quel senso di precario della vita che fu di Seneca e della sua classe sotto 
l'impero. In questa rapina rerum omnium (Marc. 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica l'instabilità della 
condizione politica, resta come unico punto fermo, come unico bene inalienabile il possesso della propria anima 
(Traina = A. Traina, Lo stile “drammatico” del filosofo Seneca, Pàtron Editore, Bologna 1987, pag. 13). Timore, 
morte, esilio – lo vedremo dettagliatamente in seguito – costituiscono cardini fondamentali dell'Edipo senecano; 
anche l'autorità dei potenti sui sottoposti si rivela tanto nello sfoggio di autorità effettuato da Edipo nei confronti dei 
sudditi, quanto nel controllo degli dei sulla vita degli uomini, in particolare dello stesso re di Tebe – che, soltanto al 
termine della tragedia, scoprirà che le sue passate azioni non sono state realmente dettate dalla sua volontà, bensì 
guidate da una mano superiore –. Afferma ancora Traina: sarà Seneca a trasferire l'opposizione giuridica suum 
esse/alienum esse al campo morale, forse per primo, certo con insistenza quasi ossessiva, che ricorda l'opposizione 
tra le cose che dipendono da noi e quelle che non dipendono da noi in Epitteto. L'interiorità come autopossesso 
domina il pensiero dell'ultimo Seneca (Traina, 1987, pag. 12).
4 Per il rapporto tra Seneca e Claudio appare interessante il saggio di Andrea Giardina Storie riflesse: Claudio e 
Seneca (Parroni, 2000, pagg. 59-90).
3
l'avrebbe condotto sino al prestigioso titolo di precettore di Nerone
5
, che svolse condividendolo con 
il prefetto del pretorio Afranio Burro.
In seguito alla condanna a morte di quest'ultimo da parte di Nerone, neo-eletto imperatore, e 
alla dissoluzione del proprio utopistico disegno di un impero illuminato, Seneca optò per ritirarsi, 
almeno formalmente, a vita privata.
Coinvolto nel processo susseguito alla sventata congiura dei Pisoni a danno dell'imperatore 
(64 a. C), Lucio Anneo Seneca venne condannato al suicidio
6
 al pari del nipote Lucano
7
. Recisosi le 
vene di polsi e polpacci, il filosofo si spense, fedele alla propria impostazione stoica dell'esistenza, 
nell'anno 65 a. C., lasciando una notevole mole di opere appartenenti ai più svariati generi letterari.
-Le opere di Seneca, dai trattati alle tragedie.
Il corpus di opere senecane, ampio e alquanto vario, comprende scritti di carattere etico-
politico
8
, quali De Beneficiis e De Clementia, nonché dieci dialoghi, tra cui spiccano il De Ira, in tre 
libri, dedicato al fratello Novato, e le tre Consolationes (Ad Marciam, Ad Polybium, Ad Helviam 
matrem).
Di sette libri constano invece le Naturales quaestiones, composte nella fase terminale della 
vita dell'autore, al pari delle Epistualae morales ad Lucilium, databili tra il 62 – anno del ritiro 
dall'intensa attività politica –  e il 65 – che ne sancì la morte –.
Svariati i testi perduti, tra cui si possono annoverare una biografia del padre, orazioni, trattati 
di carattere fisico, geografico ed etnografico di dubbia attribuzione, i Moralis philosophiae libri o il 
De Matrimonio, ancora leggibile nel IV secolo d. C.
Innegabilmente spuri appaiono epigrammi
9
 e la leggendaria corrispondenza di Seneca con 
San Paolo, mentre degno di nota risulta il prosimetro Apokolokyntosis – o Ludus de morte Claudi –, 
di carattere innegabilmente comico-satirico.
D'ispirazione ben diversa sono le nove tragedie
10
, a cui se ne aggiunge una, l'unica praetexta, 
l'Ottavia, assolutamente spuria
11
. Le restanti, invece, attingono per argomento e personaggi alla 
mitologia greca, così come appariva delineata nei drammi di Sofocle ed Euripide.
Hercules furens, Troades, Medea, Thyestes, Phaedra, Agamemnon, Hercules Oetaeus, quasi 
5 Amoroso 1984 = F. Amoroso, Seneca uomo di teatro? Le Troiane e lo spettacolo, Palumbo editore, Palermo 1984, 
pag. 6.
6 Tacito, Ann. XV , 62-4.
7 Tacito, Ann. XV , 70.
8 Lo stile di tali opere, piano e diretto, è ben lontano da quello complesso e articolato delle tragedie del medesimo 
autore. Ciò si deve al fatto che, al tempo, esisteva una molteplicità di genera dicendi adatti ciascuno a un particolare 
genere letterario, a una determinata parte dell'orazione, e così via (Setaioli 2000 = A. Setaioli, Facundus Seneca: 
aspetti della lingua e dell'ideologia senecana, Bologna, Pàtron 2000, pag. 158).
9 Un'ampia panoramica ne viene fornita all'interno del volume curato da Carlo Prato (Prato = C. Prato: Gli epigrammi 
attribuiti a L. Anneo Seneca, introduzione, testo critico, traduzione, commento, indice delle parole a cura di Carlo 
Prato, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1964).
10 Sull'armonica unitarietà interna al corpus di tragedie senecane così si esprime Petrone: Le tragedie di Seneca 
manifestano un'evidente identità ed un'omogeneità che non può essere circoscritta ai soli fenomeni di lingua e di 
stile; (…). C'è una coerenza ad un tempo tematica e formale, connaturata al linguaggio ma non limitantesi ad esso, 
che sembra esprimere una volontà poetica e drammatica. Dopo aver rilevato l'uniformità delle tragedie senecane 
rispetto all'elaborazione dei modelli greci, l'autrice prosegue: Oltre al linguaggio poetico e allo stile (…) appare 
autonoma (…) la realtà globale di forma e contenuto che unifica le tragedie e le fonda. Dietro all'appariscente e 
per certi aspetti vistoso linguaggio tragico di Seneca si sente (…) l'ambizione di svolgere una parte personale nel 
riesplorare e riattivare i vecchi miti, l'urgenza infine di un messaggio da comunicare attraverso il canale espressivo 
della struttura tragica (Petrone = G. Petrone, La scrittura tragica dell'irrazionale. Note di lettura al teatro di 
Seneca, Palumbo Editore, Palermo 1984, pag. 7).
11 Tra gli altri Richter (Richter = G. Richter, De Seneca tragoediarum auctore commentatio philologica, Max Cohen et 
filium, Bonnae 1862, pag. 1).
4
totalmente attribuibili a Seneca certezza
12
, costituiscono, assieme all'Oedipus, l'unico corpo di 
tragedie latine a noi pervenuto intatto: anche le Phoenissae
13
, altro dramma senecano ispirato alla 
vicenda edipica – avrebbe dovuto ricalcare l'Edipo re e l'Edipo a Colono, entrambi sofoclei, e le 
Fenicie di Euripide
14
 –, sono infatti incomplete.
Impossibile datare nel dettaglio le tragedie, eppure si potrebbe fondatamente pensare che 
Seneca le abbia composte tra il 49 e il 62 d. C., ossia nel periodo caratterizzato dallo splendore 
politico più intenso
15
; il modello maggiormente considerato, a livello stilistico, risulta Euripide
16
.
-Lo sviluppo della tragedia latina; il punto in cui si colloca la produzione senecana.
Della tragedia latina d'età repubblicana non resta che qualche frammento
17
; tuttavia, è già da 
allora che inizia a manifestarsi quello spirito di imitazione/emulazione nei confronti dei modelli 
greci che permarrà nei secoli successivi
18
.
In base a studi condotti da Leo
19
, Fraenkel
20
 e Jachmann
21
 basati sul parallelismo tra la 
commedia greca ai tempi di Menandro – la Nuova – e quella latina, si potrebbe giungere a 
ipotizzare che anche in ambito tragico gli autori latini d'età repubblicana innovassero i modelli greci 
attraverso allitterazioni, figure etimologiche, ampliamenti di concetti presenti nell'originale tramite 
frasi parallele e sinonimiche, affiancati dall'inventività verbale tipica del linguaggio arcaico.
Ancora più scarni appaiono i residui di tragedie latine di età augustea, periodo in cui la 
grecità classica viene maggiormente ripresa; è nei decenni immediatamente successivi – epoca 
12 Sull'Hercules Oetaeus permangono ancora dei dubbi (Castagna = L. Castagna, Nove studi sui cori tragici di 
Seneca, a cura di Luigi Castagna, Vita e Pensiero, Milano 1996, pag. VII). In merito all'autenticità del corpus 
tragico di Seneca e dei singoli drammi si è interrogato anche Giancotti nel suo Saggio sulle tragedie di Seneca, 
finendo per ritenere totalmente spuria solamente l'Octavia (Giancotti 1953 = F. Giancotti, Saggio sulle tragedie di 
Seneca, Società Editrice Dante Alighieri, Roma, Napoli, Città di Castello 1953, pagg. 7-13).
13 Le Phoenissae non costituiscono, ad ogni modo, una prosecuzione dell'Oedipus totalmente coerente. Basti pensare 
al fatto che Giocasta, suicidatasi al termine dell'Edipo senecano, nelle Fenicie compare ex abrupto nella sezione 
centrale della tragedia (Petrone = G. Petrone, Dalla tragedia corale all'assenza del Coro: Troades e Phoenissae a 
confronto, in Amoroso 2006 = F. Amoroso, Teatralità dei Cori senecani, Flaccovio, Palermo 2006, pag. 81). 
14 La contaminatio tra modelli diversi assume, in Seneca, le vesti di una libera, innovativa e ben armonica 
rielaborazione. Ad esempio, l'Edipo protagonista delle Fenicie euripidee appare rassegnato al suo destino, colmo 
d'ammirazione nei confronti d'Antigone sino al punto di lasciarsi guidare a ogni passo – tanto fisico quanto 
metaforico – dalla fanciulla. Verso la figlia l'Edipo delle Fenicie senecane assume invece un atteggiamento tutt'altro 
che succube: pur ammirandola, ne contesta alcune decisioni, sino ad avviare, talora, gare di ragionamenti capziosi 
(vv. 3-5, 49 e seguenti, 93 e seguenti) (Runchina, 1960, pagg. 133-6).
15 Nel XIV libro degli Annales (paragrafo 52), Tacito riporta gli attacchi denigratori rivolti a Seneca nel 62, 
comprendenti i rimproveri a certi carmina che il filosofo avrebbe composto con maggiore frequenza (crebrius) nel 
periodo intercorso tra il ritorno dall'esilio (49) e il ritiro alla vita privata (62). Tuttavia, non è sicuro che i carmina 
siano identificabili con le tragedie, né che esse siano state composte tutte nello stesso periodo. Altri tentativi di 
datazione, basati sugli elenchi dei drammi all'interno dei codici, sui riferimenti a ipotetici avvenimenti storici o a una 
possibile evoluzione delle idee politiche senecane nel corso del corpus tragico, si sono rivelati ancor più traballanti. 
Analogamente, appare impossibile tentare di definire l'ordine in cui le tragedie vennero composte: è più probabile 
che Seneca abbia seguito di volta in volta un impulso momentaneo verso una particolare tematica o un mito, 
piuttosto che seguire un disegno sistematico prestabilito (Giancotti, 1953, pagg. 7-29).
16 Amoroso, 1984, pag. 6.
17 Klotz = A. Klotz, Scaenicorum Romanorum fragmenta, Volumen prius: Tragicorum fragmenta, a cura di A. Klotz, 
München, 1953.
18 Interessante, a tal proposito, il capitolo Le materie mitiche nel saggio di Giancotti sulle tragedie senecane (Giancotti, 
1953, pagg. 77-81).
19 F. Leo, Plautinische Forschungen, Berlin, 1912 (rist. Darmstadt, 1966), in Giardina = G. Giardina, Tragedie di L. A. 
Seneca, a cura di Giancarlo Giardina, con la collaborazione di Rita Cuccioli Melloni, UTET, Torino 1987, pag. 15.
20 E. Frankel, Plautinisches in Plautus, Berlin, 1922; trad. it. Con Addenda finali originali: Elementi plautini in Plauto, 
Firenze, 1960, in Giardina, 1987, pag. 15.
21 G. Jachmann, Plautinisches und Attisches, Berlin, 1931, in Giardina, 1987, pag. 15.
5
neroniana – che giunge a collocarsi la produzione tragica senecana.
Non a caso, c'è chi ha rilevato in Seneca tratti propri di un teatro post-classico, appunto, 
pertanto barocco
22
, rigonfio, più orribile che terribile
23
, nonché estremamente legato ai concetti di 
morte, sofferenza, oscurità – propri del genere letterario, certo, ma ora notevolmente estremizzati –.
Del teatro della prima età imperiale i drammi di Seneca sono gli unici sino a noi pervenuti; 
tuttavia, svariate testimonianze concordano nel ricordare globalmente l'ampiezza dell'apparato 
scenico del tempo, il fasto delle messe in scena, le prodezze recitative di interpreti celebri, la 
rappresentazione di grida e pianti di dolore particolarmente verosimili
24
.
-Seneca tragico: stile, modelli, accoglienza.
Numerose e di svariato genere le correnti di pensiero in merito alle possibili chiavi di lettura 
dei drammi senecani: Leo
25
 e Zwierlein
26
 – dalla cui edizione oxoniense trarremo i passi citati – 
costituiscono i punti terminali di una esegesi delle tragedie in quanto opere retoriche
27
. Eppure, 
scarse sono le nostre obiettive conoscenze in merito alla declamazione di drammi in età neroniana, 
ed è innegabile la difficoltà di declamare opere senecane quali, soprattutto, Fedra e Medea.
Irrisolti appaiono pertanto i dibattiti, sviluppatisi negli ultimi decenni, in merito al livello di 
rappresentabilità delle tragedie senecane: alcuni critici le considerano destinate a un genere di 
lettura che lascia spazio a una recitazione, mentre altri le definiscono vere e proprie pièces teatrali
28
.
Un'ipotesi recente, quanto suggestiva, è stata avanzata da Fantham
29
 relativamente alle 
Troiane: il teatro senecano non sarebbe stato da destinare alla declamazione, né da giocarsi 
totalmente sulla scena, bensì dedicato a una lettura prettamente privata
30
.
22 R. J. Tarrant, Senecan drama and its antecedents, Harvard Studies in Classical Philology LXXXII, 1978, pag. 263, 
in Giardina, 1987, pag. 16.
23 L'evoluzione della tragedia da Atene a Roma è corsa nella direzione della perdita della funzione civile, sacrale, 
giurisdizionale di un teatro che si era rivolto a cittadini cui toccavano le decisioni e che chiedevano al teatro 
l'esercizio di una elaborazione culturale e la proposta e la discussione di idee e problemi. I sudditi dell'impero, cui 
nessuna decisione spetta, vogliono solo provare sensazioni, magari allibire, inorridire; sono pronti all'emozione, 
all'apprezzamento esteriore, al diletto; il circo è il vero teatro dell'Impero (Amoroso, 1984, pag. 14).
24 Amoroso, 1984, pag. 14.
25 F. Leo, Annaei Senecae Trogoediae, vol. I, De Senecae tragoediis observationes criticae, Berlin, 1878 (rist. 1963), 
pagg. 147-159, in Giardina, 1987, pag. 11.
26 O. Zwierlein, Die Rezitazionsdramen Senecas, Meisenheim am Glan, 1966, in Giardina, 1987, pag. 11.
27 Giancotti ritiene, a tal proposito, che la presenza di tratti retorici in Seneca si riduca ad accidentali deviazioni da un 
impianto più prettamente oratorio, nel quale la forma letteraria è al servizio del contenuto poetico e lo asseconda con 
aderente funzionalità. L'oratoria, puntualizza lo studioso, muove da impulsi etici a cui la retorica è estranea, tende 
all'eloquenza (mentre la retorica alla magniloquenza, nonché a un virtuosismo formalistico), può dissimulare, ma 
mai simulare un contenuto di vitale praticità (la retorica, al contrario, sorge dalla separazione tra essenziale 
contenuto poetico e forma letteraria) (Giancotti, 1953, pag. 161).
28 La questione si è posta sul finire dell'Ottocento con l'articolo di Boissier. L'edizione di Leo e la nota affermazione, 
“Novum autem genus tragoedia rhetorica inventa est (…)”, diedero vigore alla ancora oggi non esaurita querelle. 
(…) Herrmann, Paratore e Bieber sono stati i campioni della tesi della rappresentazione. Molti li hanno 
entusiasticamente seguiti; (…). Paratore, il quale sostiene che Le Troiane sono, tra le nove tragedie di Seneca, 
“quella che meglio potrebbe reggere alla rappresentazione” (Le Tragedie, 47), a riprova delle sue idee, ha anche 
sollecitato messe in scena importanti e probanti (…). Nel 1981 a Siracusa si è tenuto il Congresso Internazionale di 
Studi sul Dramma Antico sul tema “Seneca e il teatro”. Gli atti non sono stati a tutt'oggi pubblicati, ma il 
Congresso, che pur ha approfondito diverse tesi relative al teatro di Seneca, non si è definitivamente pronunciato 
sull'annoso tema della rappresentabilità (Amoroso, 1984, note al testo a pag. 7).
29 Seneca's Troades, A Literary Introduction with Text, Translation and Commentary by Elaine Fantham, Princeton, 
1982, pagg. 34-49, in Giardina, 1987, pag. 11.
30 Alla possibile destinazione delle tragedie di Seneca alla lettura privata tratta anche Giancotti nel capitolo Tragedie 
per il teatro o no?, presente nel suo saggio sui drammi senecani. Lo studioso analizza brevemente elementi a favore 
sia dell'ipotesi della destinazione alla lettura – scarsità d'azione sceneca e copiosità di monologhi e descrizioni – che 
della declamazione pubblica o di vere e proprie rappresentazioni, pubbliche o private – le accurate descrizioni di 
6
Un'ulteriore modalità interpretativa dei drammi senecani, avanzata in età contemporanea, è 
quella psicologistica
31
, la quale però viene a cadere nel momento in cui si considera l'assottigliarsi 
delle spessore psicologico dei personaggi rispetto ai corrispettivi greci che ne costituiscono il 
modello; inoltre, sia i Cori – di andamento lirico-sapienziale – che gli excursus narrativi – attribuiti, 
ad esempio, ai Messaggeri – sfuggono a qualsivoglia interpretazione a livello psicologico
32
.
Non è mancato chi abbia invece individuato nel Seneca tragico finalità didattiche precise
33
, o 
vi abbia, in alternativa, trovato preminenti gli aspetti retorici, concependo le tragedie quali 
suasoriae
34
; altri ancora ritengono dominante nelle tragedie senecane una componente politica
35
 o 
un mai comprovato scopo puramente letterario
36
.
A tali ipotetiche chiavi di lettura, giudicate eccessivamente riduttive, iniziò ad affiancarsene 
un'altra nel corso del XX secolo: la tendenza a ricercare messaggi etici
37
 ed exempla filosofici
38
 – 
perlopiù stoici
39
 – nelle tragedie senecane. Tuttavia, anche questo filone interpretativo – portato 
avanti da Egermann
40
, Knoche
41
 e Marti
42
 – si rivela piuttosto semplicistico
43
, in quanto nei drammi 
azioni dei personaggi potrebbero fornire, dissimulandole, indicazioni per gli attori sulla scena –. Tuttavia, Giancotti 
si astiene dal prendere esplicitamente una posizione, ritenendo che sia maggiormente importante comprendere le 
finalità delle opere di Seneca (secondo lui da identificare in un insegnamento morale), piuttosto che la loro 
destinazione (Giancotti, 1953, pagg. 30-7).
31 O. Regenbogen, Schmerz und Tod in den Tragödien Senecas, Vortrage det Bibliothek Warburg, VII, 1927-28, pagg. 
167-218 (rist., Darmstadt, 1963), in Giardina, 1987, pag. 12.
32 Un interessante studio in proposito si riscontra nel saggio Alcune osservazioni sul Coro della tragedia latina dalle 
origini a Seneca, di Antonio Martina (in Castagna, 1996).
33 Questa teoria trova in tempi recenti il suo miglior sostenitore in Lana (…), ma non è nuova; l'umanista Conrad 
Celtis l'aveva enunciata, lo Scaligero l'aveva esposta, Birt, all'inizio del Novecento, l'aveva metodologicamente 
sostenuta, concludendo col giudicare le tragedie solo esempi illustrativi del De ira. Oggi Pocina Perez ne è uno dei 
più accesi sostenitori (Amoroso, 1984, nota al testo a pag. 8). Per analogie tematiche tra l'Oedipus e il De ira, si 
scorrano le sezioni sull'ira, appunto (da pag. 201), o sul rapporto tra potere e timore (pag. 76).
34 Questa, sulla scia di Leo, è la teoria attualmente più seguita (Amoroso, 1984, nota al testo a pag. 8).
35 Esponenti di tale linea di pensiero sono Peiper e Pichon (Amoroso, 1984, pag. 9).
36 Herrmann propone, in merito ai drammi di Seneca, uno scopo letterario come elemento drammatico dominante 
(Amoroso, 1984, pag. 9).
37 Amoroso, 1984, pag. 8. Nel suo saggio sulle tragedie senecane, Giancotti rileva un'impostazione moralistica. Nel 
capitolo Nessi e antinomie d'idee e motivi generali, l'autore osserva, nella contrapposizione di elementi drammatici 
inevitabilmente contrapposti, quali furor e mens bona, una netta predilezione di Seneca per quest'ultima: ne 
conseguirebbe dunque un impianto tragico essenzialmente moralistico, in cui il furor diverrebbe oggetto di 
riprovazione da parte dell'autore. Eppure, l'oratoria moralistica, fatta di esempi e raccomandazioni e di incitamenti, 
presuppone in coloro a cui si indirizza la capacità di scelta, il libero arbitrio che il fatalismo nega. Da ciò 
scaturiscono, secondo Giancotti, nuove contrapposizioni: tra fato e libero arbitrio (il quale apparirebbe più forte e 
fattivo rispetto al primo: di qui il predominante moralismo delle tragedie senecane), tra religiosità tradizionale e una 
particolare forma di monoteismo (il Fato quale somma divinità). Tracce di moralismo si riscontrerebbero inoltre, 
nelle tragedie senecane, in brevi sententiae dal carattere, appunto, moralistico-didascalico, affiancate da 
caratterizzazioni di personaggi e situazioni drammatiche dal carattere esemplare (Giancotti, 1953, pagg. 51-2 e 56-
60). Per il contrasto tra furor e virtus, si legga anche Runchina (Runchina = G. Runchina, Tecnica drammatica e 
retorica nelle tragedie di Seneca, Università di Cagliari, Cagliari 1960, pag. 12).
38 Accenni filosofici si riscontrano, nelle tragedie senecane, perlopiù nei Cori e nelle sticomitie (Giardina, 1987, pag. 
14). Tuttavia, c'è chi definisce le sezioni corali dei controcanti talora posti ideologicamente in antitesi (talvolta, 
ironicamente, nei confronti della dottrina stoica) rispetto al punto di vista presentato nella fabula (Mazzoli = G. 
Mazzoli, Tipologia e strutture dei Cori senecani, in Castagna, 1996, pag. 9). Petrone, invece, rileva un perpetuo 
ondeggiare tra azione prevista dalla storia mitica e giudizio su di essa – talora accompagnato da sententiae 
filosofiche – tanto nei Cori quanto nella fabula (Petrone, in Amoroso, 2006, pag. 91).
39 Amoroso, 1984, pag. 9.
40 F. Egermann, Seneca als Dichterphilosoph, Neue Jahrb. f. Antike u. deutsche Bildung CXV , 1940, pagg. 18-36 (rist. 
in Senecas Tragödien, hrsg. v. E. Lefevre. Darmstadt, 1972, pagg. 33-57, in Giardina, 1987, pag. 12.
41 U. Knoche, Senecas Atreus. Ein Beispiel, Die Antike, XVII, 1941, pagg. 66-76 (rist. in Senecas Tragödien, hrsg. v. 
E. Lefèvre, Darmstadt, 1972, pagg. 477-489), in Giardina, 1987, pag. 12.
42 B. Marti, Seneca's tragedies: A New Interpretation, Trans. Proc. Am. Phil. Ass. LXXVI, 1945, pagg. 216-245; The 
Prototypes of Seneca's Tragedies, Class. Phil. XLII, 1947, pagg. 1-16, in Giardina, 1987, pag. 12.
43 Il teatro nell'età di Nerone non pretendeva affatto una problematica etica, né religiosa, né civile, né politica 
7
sono presenti le tematiche di morte, paura, dolore, ma non viene delineato alcun metodo per 
allontanare le preoccupazioni. Analogamente, non vi è nobiltà nella sofferenza, non è presente 
l'ἀπάθεια stoica, non vi è alcuna scintilla inderogabilmente divina e razionale nell'uomo
44
.
È anche per tali ragioni che le tragedie senecane non sembrano aver ricevuto esplicito 
consenso tra gli intellettuali a lui di poco successivi: Quintiliano, nell'età dei Flavi, non ne fa 
praticamente menzione
45
, sottolineando invece il valore dei classici augustei Vario e Ovidio
46
 – 
mentre Seneca, lo ricordiamo, era con tutta probabilità ritenuto post-classico e barocco –.
Una maggiore linearità e chiarezza si rileva anche nei modelli greci a cui Seneca si ispirava, 
ovvero Sofocle ed Euripide
47
; vale la pena sottolineare il fatto che il rapporto con gli originali non 
era certo di pedissequa imitazione, bensì di brillante emulazione
48
, ricca di modifiche e innovative 
inserzioni
49
.
Si pensi, ad esempio, alla funzione del Coro
50
, che anziché partecipare esplicitamente 
all'azione drammatica, dialogando direttamente coi personaggi principali, sembrerebbe a primo 
impatto relegato a meri interludi musicali tra gli atti
51
 – tendenza deplorata da Aristotele nella 
Poetica
52
 –, senza contare che la consueta opposizione tra strofe e antistrofe risulta abolita.
Altro atteggiamento tipicamente senecano s'incarna nella tendenza a sostituire a parti 
(sarebbe stato, in questo caso, teatro per un solo spettatore, anche se è probabile che Nerone avesse parte come 
destinatario e come interprete nel teatro di Seneca) (Amoroso, 1984, pag. 11).
44 Cfr. G. H. Graham, Seneca's Oedipus as Drama: Seneca and Sophocles on the Oedipus Legend, Diss (Ph. D.) The 
Ohio State University, 1977, pag. 35, in Giardina, 1987, pag. 13. Nel caso dell'Oedipus, inoltre, il personaggio del 
re, inquieto, iracondo e sospettoso, si trova agli antipodi rispetto alla raffigurazione di un saggio stoico, pacato, 
razionale e in grado di perseguire costantemente il giusto mezzo (tratti ravvisabili piuttosto a Creonte, mentre gli 
atteggiamenti e i pensieri del re passano costantemente da un estremo all'altro).
45 Soltanto in Inst. or. IX, 2, 8 appare una breve citazione da Medea 453 (Giardina, 1987, pag. 17).
46 Quintiliano cita il Tieste di Vario e la Medea di Ovidio in Inst. or. X, 1, 98, paragonando il primo alle più grandi 
tragedie greche, definendo il secondo geniale, sebbene bisognoso di autocontrollo (Giardina, 1987, pag. 16).
47 A volte il modello è duplice: così sembra per le Troiane, che derivano sia dalle Troiane sia dall'Ecuba di Euripide 
(Giardina, 1987, nota al testo a pag. 17). Rilevante, in proposito, il primo capitolo (Studio sulle fonti di Seneca 
tragico) di un'opera di Runchina pubblicata nel 1960. Sempre Runchina sottolinea l'influsso euripideo nella 
tendenza senecana a conferire al prologo un carattere nettamente anticipativo rispetto allo svolgimento della 
vicenda; lo studioso dimostra, al contempo, la capacità di Seneca di armonizzare tratti propri di autori e opere 
diversi in un nuovo testo, omogeneo, unitario e innovativo (Runchina, 1960, pagg. 3-17, 19, 31-2).
48 Sull'ambivalente rapporto di accoglimento e rigetto dei modelli greci nelle tragedie senecane, nonché sullo stile di 
Seneca tragico, così argomenta Petrone: Monolitica nelle sue affermazioni, fortemente accentrata su un nucleo 
tematico che riorganizza le forme e i miti, per quella chiusura coerente dei significati che ne è la grandezza e in 
fondo anche il reale limite, la tragedia senecana è vera scrittura tragica. Lo stile e la lingua sono infatti guidati da 
un'intenzione, che sceglie il genere tragico per un impegno nei confronti del proprio tempo. Le convenzioni tragiche 
sono accettate e continuate perché in esse andavano collocati quei contenuti (Petrone, 1984, pagg. 127-8). 
49 Seneca dunque nel costruire le sue tragedie legge a fondo i contenuti mitici che prende in esame e ne ricompone i 
significati in una nuova sintesi, trasponendoli in un diverso linguaggio formale. Una ideologia consapevole di ciò 
che è tragedia guida certamente l'articolazione della storia da rappresentare attraverso strutture ripetute, che si 
implicano e si combinano, dando vita ad una drammaturgia di segno innovatore, preoccupata però di restaurare 
l'antico e di inscriversi nella tradizione. Anzi alcune parti, che ci sono apparse distintive di un ricreato sistema di 
organizzazione dell'intreccio, sembrano nascere da uno scopo di conservazione di certi significati essenzialmente 
tragici, che per divenire operanti nel diverso contesto del mondo latino dell'età imperiale, esigevano di essere 
esplicitati. (…) Seneca opera dei collegamenti, riaccorda un mito con quanto lo precedeva o lo seguiva, oppure lo 
mette in relazione con l'intera saga da cui discende, esaspera i rapporti di parentela, sicché ogni personaggio è 
situato nella molteplicità dei suoi legami, cioè nell'integrità dei racconti della sua stirpe, tesse insomma una rete 
complessa, che riassume quanto si trovava sparso nel teatro greco. Alla profondità verticale della sua introspezione 
del mito, che riporta alla luce un significato recondito, si unisce una compresenza orizzontale di più trame di molti 
modelli; tutto il teatro antico è per lui un macrotesto e forse un grande unico modello su cui ha esemplato la sua 
architettura drammatica (Petrone, 1984, pag. 65).
50 Interessante, in merito a scopi, strutture e caratteri dei Cori senecani, l'opera di Amoroso che raccoglie una selezione 
di saggi in proposito composti da autori e inglesi e italiani (Amoroso, 2006).
51 Tale chiave di lettura dei Cori senecani, in voga per decenni, è stata recentemente ridimensionata (Caviglia = F. 
Caviglia, I Cori dell'Oedipus di Seneca e l'interpretazione della tragedia, in Castagna, 1996, pag. 87).
52 Poet. 1456 a, 25-30.
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