Percorsi della migrazione. Un'esperienza con la comunità nigeriana di Palermo
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4 psicologica e culturale. Per questo, Salvatore Inglese (1996) paragona l’etnopsichiatria ad una “stazione di smistamento che invia gli individui ai loro diversi mondi, ma è anche una sorta d’incrocio dove s’intrecciano temporaneamente varie visioni del mondo”. Ugo Corino (1995) pone l’accento sul fatto che: “Operare psicoterapeuticamente con pazienti immigrati porta all’impatto con le loro culture “altre”, che ci costringono a relativizzare ed a ripensare gli strumenti (teorie e tecniche) di cui siamo portatori. Questi pazienti portano con sé una doppia rottura, quella del passaggio migratorio (i legami con le proprie radici etniche, culturali, ecc.) e quella del mancato inserimento nel nuovo contesto sociale e culturale del paese ospitante”. I pazienti immigrati sono, per così dire, sospesi fra due mondi, e questo alimenta una condizione di fragilità identitaria che può declinarsi in modo psicopatologico. A questo proposito, Winnicott (1971) 2 afferma che all’immigrato, al centro di una sorta di terra di nessuno tra il vecchio ed il nuovo, “manca il posto dove poter mettere quello che trova”. Inoltre, può capitare di imbattersi in persone che hanno vissuto nel paese di origine esperienze estreme (guerre, torture, abusi sessuali) e quindi portano in terapia un’ulteriore, drammatica, richiesta di aiuto. Beneduce (op.cit.) sostiene che “gli immigrati testimoniano di una volontà e di un desiderio di appartenenze multiple: rispetto a questa volontà e a questo desiderio, la nozione di identità etnica e culturale rende cogente un’ulteriore ed urgente ripensamento, e ciò proprio ai fini concreti di una clinica etnopsichiatrica”. La consapevolezza del fatto che il nostro sapere non riusciva a coprire l’intera area della sofferenza espressa da queste persone, ha reso necessario “inventare” una tecnica psicoterapeutica applicabile a soggetti provenienti da altri mondi culturali. Nathan (op. cit.) ha proposto una nuova dinamica d’interazione clinica con questi pazienti, all’interno di un inedito dispositivo tecnico di matrice gruppale, in cui il terapeuta è circondato da un certo numero di co-terapeuti di diversa lingua e nazionalità in veste di mediatori etnoclinici. Il dispositivo della consultazione etnopsichiatrica è plurietnico, plurilinguistico e pluriculturale, poiché le sue caratteristiche strutturali sono considerate decisive per l’innesco, lo sviluppo e gli esiti del processo terapeutico. “In psicopatologia - afferma Devereux – non esistono dati indipendenti dallo specifico dispositivo clinico adottato per raccogliere ed interpretare i fenomeni prescelti”. Per questo motivo, “l’etnopsichiatria s’impegna a non considerare mai un disturbo come naturale, ma sempre costruito da determinati professionisti” (Nathan, 1997). Quello che, allora, distingue una pratica professionale da una “banale” relazione umana, è che le interazioni che si producono all’interno di un dispositivo tecnico vengono ad inscriversi in un’operazione di costruzione di senso “indotta” dal dispositivo stesso. Proprio a questo proposito, Jean Benoist (1996) ci ricorda che: “La 2 Cit. in Le Roy, 1996, "La psiche e il mondo sociale. La gruppoanalisi come strumento del cambiamento sociale", Milano, R. Cortina.
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Informazioni tesi
Autore: | Annalisa Vezzosi |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1998-99 |
Università: | Università degli Studi di Palermo |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Gabriele Profita |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 70 |
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