2 
differenziazione sociale, che ha accompagnato la nascita delle moderne 
democrazie e il conseguente sviluppo dello “stato sociale”; il concetto di 
welfare state indica infatti  l’ampliamento dei compiti dello stato, che si fa 
carico di un sempre maggior numero di funzioni come: l’attività di 
educazione, di solidarietà, di fornitura di servizi di pubblica utilità, ecc., nei 
confronti degli appartenenti alla collettività. Questi compiti durante il potere 
assoluto venivano assolti dai privati cittadini o da loro organizzazioni 
volontarie. Di fondamentale importanza è stata anche la presa di coscienza da 
parte dei cittadini dei “diritti di cittadinanza”, che hanno portato al concetto di 
“qualità della vita” intesa sia come soddisfazione in chiave personale dei 
bisogni postmaterialistici, sia come il collegamento tra la dimensione 
soggettiva e quella collettiva del benessere. 
La comunicazione sociale in campo socio – sanitario ha come fine la 
promozione della salute; la sua legittimazione si ha con la Carta di Ottawa (un 
documento redatto durante il primo Congresso Internazionale sulla 
Promozione della Salute, tenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità 
nel 1986, integrato poi nel 2005 con la Carta di Bangkok) che ha definito la 
promozione della salute come il processo che mette in grado gruppi e 
individui di aumentare il controllo sui fattori determinanti della salute e di 
poterla migliorare. 
 3 
Dunque, nel primo capitolo tratterò in modo più chiaro e approfondito questo 
scenario nel quale si è sviluppata la comunicazione sociale, in particolare in 
ambito socio – sanitario, parlerò dei principali attori che fanno questo genere 
di comunicazione (le Istituzioni pubbliche, le organizzazioni non profit, le 
imprese) e le motivazioni che li spingono verso tale direzione. A tal proposito 
porterò come esempio “Pubblicità Progresso”, la più importante 
organizzazione privata non profit, che rappresenta una delle esperienze 
italiane più significative nel campo della comunicazione sociale. 
Poiché questo genere di comunicazione ha come scopo quello di 
sensibilizzare l’opinione pubblica su temi che riguardano il bene comune, 
utilizza per la divulgazione dei suoi messaggi tutti i mezzi mediatici possibili 
(avvalendosi talvolta anche di alcuni principi del marketing). Come esempio 
dell’operato della comunicazione sociale in ambito socio – sanitario riporterò, 
nel secondo capitolo, alcune campagne di comunicazione i cui temi sono tra i 
più importanti a livello nazionale e internazionale: la lotta al fumo e la 
sicurezza stradale. Inoltre parlerò della prima campagna sociale svolta da 
Pubblicità Progresso nel 1971 sull’altrettanto importante tema della 
“Donazione Sangue”. 
Infine, grazie all’opportunità che ho avuto negli ultimi 6 anni di poter 
collaborare con loro, nel terzo capitolo parlerò dell’Agenzia SEDES della 
Regione dell’Umbria, un’agenzia senza scopo di lucro che si occupa di 
 4 
comunicazione sociale in campo socio – sanitario. Il SEDES si preoccupa di 
promuovere la salute in modo capillare su tutto il territorio regionale. Dopo 
una parte, per così dire storica, dove spiegherò come e perché è nato il 
SEDES, illustrerò le sue campagne di comunicazione realizzate in 
collaborazione con l’AVIS regionale, sul tema della “Donazione Sangue”, 
prendendo in esame quelle svolte dal 2000 al 2005, con particolare riguardo 
per l’ultima. Poiché il sangue non è riproducibile in laboratorio, ma è 
indispensabile alla vita (in tutte le attività di primo soccorso e in tutti gli 
interventi di cardiochirurgia, di ematologia, ecc.), e poiché ad oggi l’uomo è 
l’unica fonte possibile di sangue, bisogna sensibilizzare i cittadini a donarlo, 
bisogna persuaderli a diventare donatori periodici al fine di raggiungere e 
mantenere l’autosufficienza regionale.  
 
 
 
 
 
 
 5 
Capitolo 1:   La promozione della salute 
 
1.1 Qualità della vita e cittadinanza attiva 
Da ormai più di un decennio sono stati avviati numerosi programmi di 
promozione della salute1 sia da parte di pubbliche amministrazioni che da 
parte di altri attori sociali. Si tratta di una tendenza relativamente nuova, frutto 
di numerosi cambiamenti che hanno investito il settore delle politiche 
pubbliche e delle riflessioni attorno ai temi della sanità e della salute in 
particolare. 
Il passaggio ad un modello di promozione della salute centrato sulla persona, 
che implica un’analisi più organica e globale dei problemi connessi alla 
salute, è stato favorito da alcuni cambiamenti che riguardano l’ambito della 
salute e della società stessa: numerosi mutamenti che hanno portato anche a 
svolte epocali nel modo di vivere e di considerare la salute. 
 
                                                           
1
 Quando si parla di salute è opportuno fare riferimento alla Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della 
Sanità (OMS), l’agenzia dell’ONU istituita nel 1948 con l’obiettivo di operare per far raggiungere a tutte le 
popolazioni il livello di salute più elevato possibile.  
La salute, definita dalla Costituzione dell’OMS, come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale 
e non semplice assenza di malattia”, viene considerata un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri 
diritti fondamentali che spettano alle persone. Questo principio assegna agli Stati e alle loro articolazioni 
compiti che vanno ben al di là della semplice gestione di un sistema sanitario. Per dare un impulso 
significativo al perseguimento della salute da parte dei governi, ai diversi livelli, l’OMS ha cercato di rendere 
operative, a partire dagli anni ottanta, due strategie: la “promozione della salute” e la “strategia della salute 
per tutti”. E questo soprattutto nella consapevolezza che la salute è il risultato di una serie di determinanti di 
tipo sociale, ambientale, economico e genetico, e non il semplice prodotto di una organizzazione sanitaria.  
Per ulteriori approfondimenti si consulti il sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 
 6 
La comparsa della comunicazione sociale, e la sua affermazione, sembra 
avere tre diverse radici: la prima ha a che fare con l’ampliamento dei compiti 
dello stato, la seconda con l’aumento della consapevolezza da parte dei 
cittadini dei propri diritti, e la terza con la nuova struttura dell’arena 
pubblica2.  
L’evoluzione della società implica un sempre più accentuato processo di 
specializzazione delle istituzioni e quindi lo sviluppo dello “stato sociale” 
(welfare state), un’istituzione cioè che si fa carico di un sempre maggior 
numero di funzioni (assistenza ai poveri, difesa della salute, istruzione 
pubblica, ecc.) nei confronti degli appartenenti alla comunità. Per molti autori 
questo allargamento dei compiti dello stato provoca a sua volta lo sviluppo di 
altrettante organizzazioni private di supporto e supplenza a tali compiti.  
La nozione di welfare state ha dunque una duplice anima: indica un 
ampliamento dei compiti dello stato, ma contemporaneamente anche l’avvio 
di iniziative volontarie, private o semiprivate, di assistenza e solidarietà, 
finalizzate al raggiungimento di obiettivi specifici e determinati3. 
Comunque il motivo principale dell’odierno sviluppo dell’area della 
comunicazione sociale è dovuto all’aumento della domanda di informazione  
                                                           
2
 P. Mancini, Manuale di comunicazione pubblica, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996. 
3
 Alcuni osservatori notano come queste due forme tendano molto spesso ad integrarsi a vicenda, mentre altri 
fanno notare come l’associazionismo civile si sviluppi una volta che lo stato ha dimostrato la sua incapacità 
ad intervenire per assicurare con efficienza servizi di pubblica utilità o fallisca nel promuovere cause di 
interesse dell’intera comunità (Ascoli, 1987; op. cit. in Mancini). 
 7 
che si diffuse in tutti i livelli della società. In molti hanno collegato questa 
domanda con l’affermazione del “diritto alla cittadinanza”: esso caratterizza 
la nostra società civile, che in misura sempre maggiore è composta da 
individui consapevoli dei propri autonomi diritti. 
Un autore classico che parla di questo argomento è Marshall, il quale 
distingue tre diverse parti della cittadinanza: l’elemento civile, quello politico 
e quello sociale. L’elemento civile è composto dai diritti necessari alla libertà 
individuale (libertà personali, di parola, di pensiero, di fede, di possedere cose 
in proprietà, di stipulare contratti e di ottenere giustizia). Per elemento 
politico si intendono il diritto di partecipare attivamente all’esercizio del 
potere politico (come elettore, ecc.). Infine per elemento sociale si intende 
tutto ciò che va da un minimo di benessere e di sicurezza economica al diritto 
di partecipare in pieno al retaggio sociale e a vivere la vita di persona civile 
secondo i canoni in vigore nella società4. Questi diritti in origine, per 
Marshall, erano fusi in un unico elemento che solo in seguito hanno assunto 
una autonomia propria. 
Le ipotesi di Marshall sono state riprese poi da Achille Ardigò, il quale 
colloca tra i diritti sociali anche quello all’informazione. Inoltre sostiene che, 
contrariamente al passato, sembra prevalere più la domanda di essere 
informati che quella di informare: i cittadini infatti chiedono sempre più 
                                                           
4
 Marshall, 1976, pag. 9. 
 8 
coscientemente di essere messi al corrente su un numero di argomenti sempre 
più specialistici5. 
L’aumentata percezione dei diritti di cittadinanza ha determinato anche un 
mutamento nel modo in cui l’istituzione pubblica viene percepita, e nel modo 
in cui i cittadini si confrontano con essa.  
Non bisogna inoltre scordarsi del “terremoto” provocato dalla crisi energetica 
che pone in modo drammatico intorno agli anni ’70 l’esigenza di una 
trasformazione del modello di crescita economica e di sviluppo dominante 
nella maggior parte dei paesi occidentali. Benessere e progresso divengono 
oggetto di dibattito e controversia tra le forze politiche e sociali; sempre più si 
diffonde nell’opinione pubblica la percezione che lo sviluppo, sia inteso come 
progresso tecnologico che come processo storico di modernizzazione, non 
necessariamente produca benessere materiale e spirituale per l’intera 
comunità. 
Ed è nella seconda metà degli anni ’70 che i molteplici limiti dello sviluppo 
diventano vero e proprio oggetto di quesito: ciò che entra in crisi è il “credo 
                                                           
5
 Dal punto di vista dell’informazione Giuseppe Sciortino propone la distinzione tra informazione come 
trasparenza, informazione come razionalizzazione e informazione come incremento della sociabilità; proprio 
quest’ultima implica il diritto ad essere informati circa le reali opportunità di vita del proprio ambiente 
mettendo ognuno in condizioni di potervi partecipare a pieno titolo e con pari opportunità. Tutte e tre queste 
modalità interagiscono con il complesso della cittadinanza, l’opportunità cioè di prendere parte alla vita dalla 
comunità avendo gli strumenti di controllo e di pressione nei confronti dei centri di potere il cui numero 
appare incrementato dal processo di differenziazione sociale (Sciortino, 1990). 
 9 
della crescita”  che si fondava sul dogma della “crescita economica” intesa 
come “fonte di benessere sociale” e come “fonte della pace sociale”6. 
In effetti l’idea di benessere era stata legata fino a quel momento all’offerta di 
livelli materiali di vita sempre più elevati, corrispondenti ad un pacchetto 
standard, più o meno variabile, di beni di consumo. Quindi si prese atto che 
l’equazione tra disponibilità di maggiori risorse materiali e crescita del 
benessere palesava la sua debolezza manifestando gli effetti negativi sia di 
carattere oggettivo (erosione dell’ambiente sociale) che soggettivo 
(aspettative crescenti dei cittadini frustrate). La crescita economica da sola 
non è sufficiente a garantire il benessere sociale, ma può costituirne la base 
riuscendo a non cadere nella logica quantitativa della crescita. 
Questi sono gli anni che vedono emergere il concetto di “qualità della vita”, 
come espressione di un nuovo sentimento orientato al benessere e alla felicità. 
Si tratta di un concetto che rappresenta una creazione culturale nuova, 
sottendendo una rottura, una discontinuità culturale7.  
La rivendicazione di una diversa qualità della vita assunse una valenza 
contestativa del modello di sviluppo in vigore: venne legittimata la 
formulazione di nuovi obiettivi di sviluppo e di crescita della collettività 
nazionale e transnazionale, e vengono perseguite a livello sia individuale che 
collettivo nuove strategie di condotta in diverse sfere della vita.  
                                                           
6
 G. Gadotti, Pubblicità sociale, FrancoAngeli editore, Milano, 1999. 
 10
Sono appunto questi orientamenti culturali emergenti, variamente definiti8 che 
inaugurano stili di vita innovativi. 
Com’è stato giustamente osservato da diversi autori questi cambiamenti negli 
stili di vita non sono semplici cambiamenti nella forma esteriore, bensì sono 
la risultante e l’espressione di cambiamenti da parte delle istituzioni e dei 
sistemi di valore della nostra società. E come tali, essi sono indicatori di 
mutamenti più rilevanti di quanto non lo siano quelli nelle tecnologie e nelle 
ricerche sull’orientamento economico del mercato. Certo è che questo nuovo 
modo di pensare non si diffuse uniformemente nelle società, negli individui o 
nei gruppi sociali, negli apparati pubblici e nel mercato. 
Il fatto che la tematica della qualità della vita nasca dall’analisi critica della 
società del benessere ha determinato degli equivoci sul significato da 
attribuire a questo concetto: esso è divenuto infatti una sorta di magnete 
capace di attrarre e mantenere nel proprio campo ogni discorso che prenda in 
atto e sottolinei i limiti e le distorsioni della crescita economica. Infatti l’uso 
del postulato della “qualità della vita” è tanto largo quanto ambiguo poiché è 
capace di evocare un modo di vita genericamente migliore di quello attuale, 
senza che si chiariscano precisamente i progetti e gli obiettivi cui quella 
formula rinvia. Al di là di questa vaghezza però ci sono due prevalenti 
                                                                                                                                                                                
7
 Ibidem. 
8
 L’espressione più comunemente usata per definire questo insieme di valori è “valori postmaterialistici”, 
proposta da R. Inglehart. 
 11
declinazioni che sono state offerte dal postulato della qualità della vita alla 
letteratura e all’opinione più sentita: 
- Nella prima declinazione la qualità della vita è intesa in senso 
sostanzialmente coincidente con la “valorizzazione di se stessi e della 
propria esperienza esistenziale”; una ricerca della qualità della vita che si 
esprime in un ripiegamento sul sé, e che intrattiene rapporti con una 
cultura narcisistica. Tale cultura è caratterizzata dall’enfasi su un privato 
che prescinde dal senso di responsabilità collettiva. La qualità della vita 
insomma viene intesa come soddisfazione in chiave personale e privata dei 
bisogni postmaterialistici di autostima, di crescita personale, di autonoma 
determinazione delle proprie relazioni, del proprio tempo,e delle proprie 
risorse. 
- La seconda declinazione invece è più palesemente legata ad una visione 
complessiva, collettiva e sistemica del benessere. In questa accezione si 
condensa un atteggiamento progettuale che sollecita un maggiore 
equilibrio nei rapporti con l’ambiente e in quelli sociali. La qualità della 
vita si presenta insomma come il prodotto di una riflessione sullo stretto 
legame che c’è tra la dimensione soggettiva - privata e quella collettiva del 
benessere come consapevolezza del carattere globale di ogni strategia di 
buona vita individuale. 
 12
Queste due declinazioni sono strettamente intrecciate tra di loro; un esempio 
può essere offerto da una questione corrente come la tutela della salute. Tale 
questione ha guadagnato prepotentemente nell’opinione pubblica, negli ultimi 
due decenni soprattutto, attenzione e rilievo. Essa è sicuramente divenuta uno 
degli aspetti preminenti della qualità della vita. 
Da un lato troviamo che la cura della propria salute fisica si è sempre più 
identificata con la parola fitness, cioè con la riscoperta del corpo e del piacere 
connesso alla sua efficienza e bellezza. Dall’altra la concezione della salute è 
rimasta associata a criteri ed immagini più tradizionali, che impongono il 
rispetto di alcuni precetti igienici capaci di porre al riparo da una condizione 
di malattia. Il primo atteggiamento appare nuovo e intimamente collegato alla 
cultura narcisistica: in questo caso la salute è il risultato di un investimento 
individuale, di strategie che si traducono in pratiche prevalentemente 
personali di tipo sportivo o terapeutico, sia fisico che psicologico. Il secondo 
atteggiamento è legato invece alla riscoperta dei precetti tradizionali. 
I principali interlocutori coinvolti nel cambiamento della qualità della vita 
possono essere raggruppati in: pubblica amministrazione, mercato, e 
cittadinanza. Che la prima possa e debba svolgere un ruolo primario nella 
produzione e nella garanzia di una nuova qualità della vita appare ovvio, 
prescindendo però dalla considerazione di ridisegnare il confine tra statualità 
e socialità, e circa la capacità effettiva dei poteri pubblici di rispondere 
 13
soddisfacentemente alla domanda in questione9. Altrettanto evidente è il ruolo 
che rispetto ad esse può svolgere il mercato, soprattutto quando i suoi 
principali attori, le imprese, si muovono all’interno di una cultura che 
enfatizza la loro responsabilità sociale, il loro diritto/dovere di contribuire a 
modellare forme più evolute di benessere sociale. 
Ma l’interlocutore della domanda di una nuova qualità della vita che mi 
interessa qui analizzare maggiormente è la cittadinanza; essa in un duplice 
senso è protagonista della spinta verso la riqualificazione del benessere 
sociale: da un lato la sua azione è fondamentale quando ci sono in gioco beni 
collettivi come l’ambiente, o l’adozione di comportamenti sociali che 
risultano inefficaci se non sono praticati dalla totalità dei cittadini; dall’altro 
la cittadinanza è anche il tramite necessario attraverso il quale le domande di 
nuova qualità della vita avvertite dai singoli diventano opinione pubblica, e 
sono perciò in grado di interagire con gli altri due interlocutori: gli apparati 
pubblici e le imprese. 
Se quindi la comunicazione sociale può rafforzare le motivazioni e le scelte 
che perseguono il benessere individuale attraverso comportamenti orientati al 
                                                           
9
 Già dall’Ottocento gli Stati nazionali sono investiti della responsabilità di garantire la “felicità” della 
popolazione, intesa come “raggiungimento del massimo delle soddisfazioni individuali del cittadino 
borghese. Il buon governo si misura - e nello stesso tempo si legittima – proprio in base alla sua capacità di 
garantire questa felicità a tutta la popolazione. Con lo stato sociale, che si realizza pienamente dopo la 
seconda guerra mondiale, l’obiettivo della felicità si trasforma in quello più quantificabile del benessere 
assicurato alla popolazione per via economica”; P. Donati, Benessere e qualità della vita, pag.240.  
 14
sociale, allora essa può anche svolgere il suo ruolo rispetto alle strategie di 
una nuova qualità della vita concepita in termini sociali10. 
 
 
1.1.1 La legittimazione della promozione della salute: la Carta di Ottawa e 
la Carta di Bangkok 
La piena legittimazione della promozione della salute sul piano internazionale 
si raggiunge con la Carta di Ottawa, un documento dell’Organizzazione 
Mondiale della Sanità redatto durante il primo Congresso Internazionale sulla 
Promozione della salute, riunitosi ad Ottawa in Canada nel novembre 1986. 
La Conferenza fu soprattutto la risposta alla richiesta sempre più diffusa di un 
nuovo movimento mondiale per la salute che prendesse in considerazione i 
mutamenti in campo sanitario e la nuova natura delle patologie. 
Nella Carta di Ottawa la promozione della salute viene definita come il 
processo che mette in grado gruppi e individui di aumentare il controllo sui 
fattori determinanti della salute e di migliorarla. Si aggiunge che “per 
completare uno stato di benessere fisico, mentale, e sociale, l’individuo o il 
gruppo devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie 
aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o di 
adattarvisi”. Questa è una definizione che coinvolge soprattutto il singolo 
                                                           
10
 G. Gadotti, Pubblicità sociale, FrancoAngeli editore, Milano, 1999. 
 15
individuo, che è il diretto responsabile della propria condizione di salute: tutti 
gli interventi promotori di un miglioramento delle condizioni di salute 
dovranno necessariamente basarsi su di un processo che consenta a tutti i 
cittadini di accrescere la propria autodeterminazione sulla salute al fine di 
rafforzarla. Empowerment è il termine che generalmente definisce questo 
processo che porta l’individuo ad assumere maggiore responsabilità nelle 
scelte, un maggior peso nella gestione del potere sociale ed una maggiore 
partecipazione delle scelte politiche. È un termine questo usato anche in altri 
ambiti, soprattutto in quello dell’associazionismo e della “Cittadinanza 
Attiva”, dove assume il significato di “efficacia che emerge quando la gente 
comprende che può risolvere i problemi che si trova di fronte e ha il diritto di 
contestare condizioni ingiuste”11. 
La promozione non è vista solo come un miglioramento delle condizioni di 
salute o della cura patologica, ma è vista come un’azione integrata che abbia 
anche conseguenze dirette sulla qualità della vita sociale della persona. La 
promozione della salute è dunque quel processo attraverso il quale le persone 
vengono messe nelle condizioni di aumentare il loro controllo verso la salute 
e sono quindi in grado di migliorarla, attraverso un controllo diretto 
responsabile dei fattori che determinano lo stato di salute. 
                                                           
11
 H.Rubin, I.Rubin, Community Organizing and Development, Macmillan Publishing Company, New York, 
1992, pag.62.