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Ogni viaggio è un’esperienza diversa, lo stesso viaggio fatto da più persone è una somma 
di esperienze diverse. E’, dunque, impossibile trovare punti fissi sui quali ragionare? La 
risposta che Eric Leed fornisce nella sua “Mente del viaggiatore” (1991) risulta 
particolarmente interessante. L’autore inglese sostiene che ogni viaggio, qualunque 
forma, lunghezza, motivazione abbia, si compone sempre, con modalità e tempi 
differenziati, di tre fasi: la partenza, il transito, l’arrivo. 
 
E ALLORA……SI PARTE! 
Il proverbio “partire è un po’ morire” oggi appare un po’ anacronistico, anche se 
appartenente alla cultura di generazioni anche molto recenti. I saluti con i fazzoletti non si 
usano più, anche perché i fazzoletti di carta hanno in molti casi soppiantato quelli di 
stoffa e tendono a solennizzare meno l’evento; però le lacrime derivanti dal distacco sono 
ancora molto frequenti. La partenza, accompagnata sovente da problemi ed ansie, 
rappresenta, tuttavia, un momento positivo, per le aspettative legate al viaggio, che in 
quel frangente si manifestano. La verifica di ciò che si cerca, o comunque, il momento in 
cui il viaggio, la vacanza , l’esperienza ha inizio, è costituita dall’arrivo.  
 
INDIETRO NON SI TORNA…. 
Minore interesse sembra suscitare il transito, visto talvolta come semplice incombenza, 
ma che invece può anche ritenersi il viaggio in sé. La sua valorizzazione, ovvero la sua 
trasformazione da strumento a obiettivo (identificato col punto di arrivo), può 
rappresentare una svolta decisiva nel connotare di un più alto valore il viaggio. Eppure 
 4
non sempre questo si verifica pur tenendo presente che le esperienze di movimento sono 
solitamente preferite dai viaggiatori: cerchiamo di capirne il motivo.  
Per James Gibson
1
 (1979): “Si suppone che il moto  da un luogo ad un a un altro sia 
fisico, mentre la percezione sarebbe mentale, ma questa dicotomia è fuorviante.  
                La locomozione è guidata dalla percezione visiva .  
 
Non soltanto essa dipende dalla percezione, ma la percezione dipende a sua volta dalla 
locomozione, nella misura in cui è necessario un punto di osservazione in movimento per 
conoscere in maniera adeguata l’ambiente circostante. Dobbiamo dunque percepire per 
muoverci, ma dobbiamo anche muoverci per percepire”. James Gibson sottolinea così lo 
stimolo costituito dal movimento nei confronti della percezione. In tal modo 
abbandonarsi al transito significa portare ad un livello superiore una serie di capacità di 
osservazione che levigano i gusti, diventano esperienza di crescita, con conseguente 
riscontro in termini di soddisfazione. Pertinente ed ironico, allora,  Paul Theroux
2
 (1983) 
nel dire “Per me prendere il treno è come andare al cinema”. 
 
TERRA! TERRA! 
 L’arrivo è infine un momento delicato perché persone, territori e cose vengono a 
contatto. . Read (1980) riassume essenzialmente in quattro caratteristiche la funzione di 
questa fase nell’esperienza turistica: 
a) ricompensa (il viaggio premia l’individuo in termini di benefici psicologici e  
sociali);                
                                                          
                     
1
 (J. Gibson, The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston, 1979) 
                     
2
 (P. Theroux, The Kingdom of the sea. A journey around Great Britain, Washington Square Press, New  York,1983) 
 5
b) arricchimento ( L’esito del viaggio è di arricchire la persona essendo      occasione 
di nuove esperienze e  nuove conoscenze); 
c) apprendimento (elemento inscindibile dal viaggio soprattutto se motivato da un 
interesse particolare. Il coinvolgimento può essere puramente conoscitivo o 
profondamente personale). 
 
Tuttavia molti studiosi ritengono fondamentale che non ci sia una dimensione strumentale 
nel fenomeno turistico, ma tale aspetto trova incerto accordo, perché fortemente 
condizionato da cultura, gruppo sociale, periodo storico e la relativa caratterizzazione del 
turismo come fenomeno tipico dell’era moderna, testimone dei lenti, ma progressivi primi 
passi nel passaggio dal bisogno al desiderio. 
La società subisce continue metamorfosi, l’uomo lentamente si scopre attivo, in grado di 
orientare le proprie scelte ed ambire a ciò potrebbe risultare più gratificante per lui. Il 
turismo, allora, può essere bene inteso come costruzione sociale, che basandosi su bisogni 
fisiologici, ( riposo, curiosità, distrazione) ha prodotto dei bisogni personali, culturali e 
sociali. 
In ogni caso tutto ciò avviene molto lentamente come anche l’evoluzione stessa della 
parola “turismo”. Inventata, per Dumaziedier, da Stendhal, al fine di indicare chi 
viaggiava per divertimento o istruzione. Nello stesso periodo circa il termine “tourist” 
apparve in Inghilterra anche se già in circolazione vi era, tuttavia, il termine “tour” (giro, 
viaggio), da quando nacque il Grand Tour (viaggio dei nobili inglesi del Settecento, con 
tragitto da Londra a Napoli attraversando Francia, Svizzera, Austria, Germania, Paesi 
Bassi). 
 6
Il francese “tour” potrebbe derivare dal verbo “tourner” (girare), proveniente a sua volta 
dal latino “tornare” (lavorare al tornio). 
La circolarità, comune denominatore delle varie diciture, consente di distinguere il 
viaggio (dove la dimensione circolare non è necessariamente prevista) dal tour (dove si 
prevedeva il compimento di un giro attraverso diverse località con ritorno al paese di 
partenza).  
Differenze sono rinvenibili anche tra viaggiatore e turista relativamente all’autonomia, al 
rispetto dell’alterità, alla profondità del contatto stabilito con i luoghi e le persone 
incontrate. 
Il primo viene comunemente considerato una persona che si muove per motivi diversi 
dallo svago e dal divertimento entrando in relazione autentica con luoghi e popolazione 
locale.Il secondo, ricercando il divertimento, tenderebbe a contatti più superficiali con 
luoghi e persone. 
Inevitabile considerare e ripercorrere l’iter secondo una sequenza storica e concettuale 
che va dal Grand Tour al turismo di massa. Prima dell’esame di questa circonvoluzione 
temporale un irrinunciabile accenno merita l’epoca del prototurismo, ossia il periodo che 
va  dall’antica Roma alla rivoluzione industriale e che si caratterizza  per la dimensione 
elitaria del fenomeno e per l’assenza di strutture specializzate.  
Protagonista è comunque, anche se con diverse vesti, idee e sogni, il genere umano, per 
cui il viaggiare si fa, attraverso i secoli, esperienza di vita. Tuttavia documenti scritti delle 
loro esperienze sono stati lasciati solo dalle civiltà mediorientali, asiatiche, mediterranee 
che compirono spedizioni a scopo di conquista. 
 
 7
PRIMA FERMATA: L’URBE 
Dalla fine del I secolo all’inizio del II, i Romani delle classi agiate andavano 
regolarmente in villeggiatura; vi era la distinzione tra il feriari ( l’essere in ferie) dal 
rusticari (il soggiornare qualche tempo in campagna, da cui “rus”). 
La vacatio, intesa come senso di vuoto, si tentava riempirla con l’inattività, l’otium della 
villeggiatura.  
Tedio dei romani, contrapposto al negotium che trova espressione nella laboriosità e nella 
partecipazione alla vita pubblica e politica, l’otium è uno spazio da riempire con la 
conoscenza di se stessi, alla ricerca della propria dimensione umana o del proprio “essere 
un altro”, come direbbe Seneca. 
Nelle città marittime l’abitudine dei Romani a farsi costruire ville per la residenza estiva e 
pre-autunnale, dove poter esprimere la mondanità del tempo, segna gli antipodi della 
odierna “seconda casa”. 
Villeggiatura comincia a coincidere con corruzione dei costumi sessuali e con una minore 
definizione comportamentale di giovani e anziani. Ovviamente la parola d’ordine è 
“vanità”. 
Il periodo di Augusto e dei Flavi vede “villeggianti” sempre più variegati: aristocratici, 
politici, potenti, personaggi delle culture più diverse… Le modalità di raggiungimento dei 
centri di vacanza erano ben sostenuti da una efficiente rete viaria, attraversata a seconda 
dei percorsi, lunghi o brevi, dalla raeda (carro a quattro ruote trainato da muli, ad alto 
carico) o dai carpenta (cocchio a due ruote trainato da cavalli). L’incedere era lento in 
ogni caso, per l’elevata quantità di oggetti portati con sé. 
 8
VISITA NEL MEDIOEVO: HABEMUS CHIESAM! 
Mutamenti di scena subentrarono nel periodo medievale quando pellegrini, crociati, 
cavalieri abbandonano la loro vita sedentaria per compiere lunghi giri intorno al mondo. 
La religione diventa parte integrante di tutti gli aspetti della vita sociale e politica.  
La Chiesa ha il primato assoluto e in tale ottica va compreso il fenomeno del 
pellegrinaggio: non solo pratica religiosa, ma autentica istituzione che in quanto tale 
godeva del riconoscimento sociale. Società e leggi approvavano. Conferma ne è quella 
particolare forma di pellegrinaggio cristiano che è il giubileo.  Il giubileo del 1300, 
infatti, fu uno dei trionfi del papato medievale e da esso Bonifacio VIII trasse nuova 
fiducia nella propria potenza e nella propria visione teocratica. I 200.000 pellegrini che 
raggiunsero Roma durante questo primo anno santo comprendevano donne, bambini, 
spesso provenendo da molto lontano. Il grande afflusso pose seri problemi organizzativi 
(approvvigionamento cibo, rischi di contagio epidermico..), ma si rivelò un ottimo affare 
per osti, banchieri, speziali e pittori. Il sentimento di universalità e condivisione dei 
pellegrini si scoprì avere alto “valore” sociale ed economico.  
Tra alti e bassi i giubilei si sono susseguiti, con novità organizzative rilevanti. I giubilei 
del Novecento appartengono già ad una nuova epoca turistica: spesso i viaggi sono 
organizzati da agenzie di viaggio, si può raggiungere Roma in treno, in pullman o in 
aereo, la durata del pellegrinaggio è molto breve e perfettamente conciliabile con 
l’attività lavorativa. I valori, la fede, le tradizioni diventano prodotto turistico dal 
packaging sociale: tutti meritavano e potevano prenderne parte. 
Viaggio coincide, adesso, con ricerca della propria interiorità e spiritualità, con la brama 
del sublime e dell’eccezionale. Poco importava se ci sarebbero voluti mesi, anni o se i 
 9
rischi erano l’ombra di questi nuovi coraggiosi: c’era qualcosa di grandioso che animava 
il cosmo e scoprire quell’anima avrebbe permesso la scoperta della propria. 
 
VISITA “GUIDATA” NEL MEDIOEVO FINO ALLA SCOPERTA DELL’UOMO 
Nel XII secolo vede la luce la pubblicazione della prima vera e propria guida turistica ( 
dal provenzale “guis”, scritto che indica il percorso): il Codex Calixtinus.  
Non mancano riferimenti topografici a osterie, locande o centri ideali per lo shopping. 
Vacanza romana e medievale per quanto simili si differenziano per la loro stagionalità: 
essenzialmente estiva la prima, anche invernale la seconda. 
Eloquente descrizione dei viaggi e della vita in villa ,di questo periodo, ci viene da autori 
quali Boccaccio e Petrarca  che in nulla ne trascurano le licenziosità e gli ozi, come anche 
descrizioni più mistiche come quelle dantesche. 
Dal Quattrocento, quindi, le trasformazioni culturali che portarono prima all’umanesimo 
poi al rinascimento, diffusero una concezione dell’individuo differente, dove arte, cultura, 
scienza acquisirono un nuovo ruolo e la formazione letteraria e artistica divenne un 
momento fondamentale nella vita delle classi aristocratiche. Una tal rivoluzione culturale 
cambiò il modo di fare turismo: santuari e luoghi sacri perdono il primato fra le tappe 
degli itinerari dei viaggi, cedendolo alle città d’arte dell’Europa centrale e mediterranea. I 
nuovi viaggi non avevano più come obiettivo le indulgenze,ma quello di ricevere una 
formazione culturale, acquisire una nuova sensibilità artistica o scientifica. 
 10
IL RINASCIMENTO: LA CHIESA INVOCA IL PUDORE. 
Floridi successi scopre la vacanza rinascimentale. Il target diviene più ampio e l’offerta 
diversificata. Vacanze in villa per i ceti più abbienti e vacanze termali per i meno. 
Entrambi i ceti non erano comunque esonerati dalle condanne della Chiesa per la 
dissolutezza dei luoghi e dei piaceri che qui si consumavano in un’aurea di vanità ed 
esibizionismo sociale. Infatti, il Medioevo acconsentiva ad una promiscuità salace, 
mentre con il Rinascimento il pudore riveste i corpi e separa i sessi: “bagni per uomini” , 
“bagni per donne”. Ricordiamo che il costume da bagno è un’invenzione del XX secolo e 
solo dopo il 1920 ci si stenderà a prendere il sole. In quel momento la spiaggia diventerà 
lo scenario dove si parla e si gioca, ma adesso siamo ancora lontani da questo 
“exploit”…. 
 
PANE, AMORE E FANTASIA: IL TURISMO SEICENTESCO 
Nel ‘600 oltre ai “ritorni di fiamma” per le località marine, nuovo amore nasce anche per 
la montagna. Turismo giocoso, disinteressato, per diletto, per la buona tavola e il buon 
vino seguono, anticipano in nuce il futuro turismo gastronomico. L’entusiasmo e la 
passione per la villeggiatura viene ben “cantata” dalla penna di Carlo Goldoni nelle cui 
commedie è rinvenibile la figura dell’animatore, erede moderno dello “scroccone” antico, 
abile e furbo, homo novus per formazione, ma con più simpatia nelle “ res gesta” . La 
dimensione sociale diventa connotato imprescindibile del turismo, spesso motivato da un 
desiderio di allontanamento dalla città dove condizioni igieniche e sociali erano alquanto 
sconvenienti. 
 11
Successivamente i progressi tecnologici, concorrono all’aumento direttamente 
proporzionale degli italiani all’estero e degli stranieri in Italia, date le migliori condizioni 
di percorribilità delle strade di quest’ultima. 
Il viaggio strumentale vien messo “in valigia”, da dove prende aria un viaggio deciso 
sempre più per svago: comodi spostamenti in carrozza, soste in stazioni di posta per dar 
ristoro ai cavalli, alloggio in accoglienti locande, poca attenzione  a luoghi o a persone. 
Fra questi viaggiatori c’è il giovane e caparbio Vittorio Alfieri. 
  
IL VIAGGIO RIPRENDE  COL PROGRESSO CHE AVANZA E L’UOMO CHE SI 
INTERROGA 
Il rapido viaggio fra i secoli, fra antiche popolazioni, atteggiamenti e progressi, esige ora 
una sosta e un punto di domanda: l’essere umano finora ha sperimentato una forma di 
turismo vera e propria o all’antica concezione del viaggio, connaturata all’essere umano 
ed espressione di un bisogno di mutamento, è stato col tempo aggiunto solo qualche 
imbellettamento o scusante per uscire da una concezione di mondo per tanto tempo stretto 
e confinato dalle “Colonne d’Ercole”?  
Eppure per quanto catapultato verso nuove terre ed esperienze, ben poco c’è di liberatorio 
in una concezione di spostamento che anzi inneggia implicitamente alla più autentica 
espressione di libertà. 
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SECONDA FERMATA: IL SETTECENTO 
La “prossima fermata” ci vede nel ‘700 ( o comunque a cavallo tra ‘600 e ‘700) e ci dà 
modo di meglio comprendere e rispondere al precedente quesito.  E’ l’epoca del Gran 
Tour, modello di tipo elitario e da potersi considerare come uno dei primi modelli di 
turismo della storia.La visione del viaggio muta e diviene riflesso di una timida 
aspirazione all’indipendenza da vincoli e divieti familiari. Realtà sconosciute e nuove si 
aprono all’orizzonte, giovani inglesi si recano all’estero per migliorare il loro livello 
culturale ed anche per divertirsi. Non è questa l’ennesima ricerca di  libertà? La ricerca 
sopravvive, persiste, si rafforza, ma la libertà muta aspetto. Molto enfaticamente 
potremmo dire che l’espressione della stessa, è incastonata in quel verso dantesco per il 
quale  “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”(Purgatorio, I, 
71-72). Attualmente potremmo anche sol considerare la prima proposizione. E’ una 
forzatura forse strana a leggersi o ad udirsi, ma che lascia intendere quanto ancora 
l’influenza sociale esterna privi del più ampio respiro il desiderio individuale di vivere 
come meglio si crede.  
Il turismo è, adesso,  l’espressione, dopo le licenziosità passate, di ciò che direbbe Dante: 
“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” (Inferno, XXVI, 
119-120). Questa è la versione ufficiale, tanto che gli intellettuali dell’età romantica, si 
compiacciono di aggiungere al vissuto del viaggio due nuove componenti: il fascino 
dell’esotico e il gusto del rischio. Eppure l’inglese Pope (1688-1744), in “La Zucconeide” 
non si esenta dall’evidenziarne il paradosso dicendo che in realtà l’aristocratico 
viaggiatore inglese, nel suo Grand Tour, “ ha visto tutto senza capire nulla…” Difficile 
oggi dire quanto pellegrini e grand turisti fossero guidati da sincera passione o seguissero 
la moda e le consuetudini sociali del loro tempo. Nel corso dei secoli, il Grand Tour 
modificò parte delle sue caratteristiche. Inizialmente aveva una durata piuttosto lunga, dai 
 13
3 ai 4 anni, proprio per garantire la formazione culturale dei giovani ed era concepita 
come una sorta di scuola itinerante. Locke (1632-1704) ne elenca i meriti: -Il viaggio 
arricchisce lo spirito, rettifica il giudizio, rimuove i pregiudizi,  forgia le maniere 
esteriori che plasmano il “complete gentleman”-. Il giovane studente veniva affiancato 
durante il viaggio da uno o più tutori che dovevano guidarne l’apprendimento culturale. 
Tappa imprescindibile di ogni itinerario era l’Italia, per il suo primato culturale, 
considerata il paese delle cento città dove ovunque era possibile trovare prodotti artistici, 
manifatture, libri, monete, artisti e quant’altro. Inoltre nell’immaginario collettivo 
europeo, le principali città italiane erano viste come promotrici di una rivoluzione 
artistica di valore internazionale. La stessa Roma, ritenuta “caput mundi”, tappa 
conclusiva di ogni Grand Tour, riceve da M.de Montaigne (Viaggio in Italia,1991,p.211) 
il  seguente profilo: “città dal carattere più cosmopolita del mondo e quella dove meno si 
bada se uno è straniero, e ognuno sta come a casa sua…”. Ancora oggi l’espressione è 
appropriata….Trova diffusione sempre in questo periodo anche la nuova pratica di un 
lungo soggiorno nei collegi  di educazione: cultura cosmopolita dell’umanesimo e amore 
per la tradizione letteraria si uniscono sino a farne un vero e proprio fenomeno sociale. 
L’immagine “di civiltà urbana progredita e creatrice” (Comparato, 1979) “ospita” le 
fondamenta del successo turistico dell’Italia sino al Seicento, dove di notevole prestigio 
godevano le università italiane, come centri propulsori nella divisione internazionale del 
lavoro.  
Nel corso del Settecento l’Italia e il Mediterraneo presentavano un lieve ritardo nello 
sviluppo civile ed economico, ma tale convinzione non segnò la fine del flusso turistico 
verso la penisola; anzi il Settecento fu il secolo in cui l’Italia conquistò il primo posto 
nella preferenza dei grandtouristi, ben adattandosi alla nuova dimensione che in questo 
secolo il Grand Tour aveva assunto, quella paesaggistica. Caffè, ristorante, albergo, sono 
tre parole nuove, tre invenzioni del Settecento. Ospitare i cavalli non è più la prima 
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funzione degli alberghi; il servizio al ristorante diventa decoroso e i caffè sono finalmente 
aperti alla donne. Emerse un aspetto ludico, sensitivo, naturalistico del viaggio, che mise 
parzialmente in ombra le motivazioni formative. La trasformazione provocò dei 
cambiamenti nelle modalità organizzative: la durata subì una riduzione tale tanto che 
all’inizio dell’Ottocento difficilmente superava i 4 mesi e la fascia d’età riguardava non 
più ragazzi di 20-30 anni, ma uomini sui 30-40 anni. Cambia anche lo status sociale: ai 
giovani aristocratici o alto borghesi si erano affiancati scrittori, artisti, filosofi e 
rappresentanti delle classi medie. A tal punto necessita chiedersi come le città italiane del 
Settecento si attrezzarono per ospitare e far divertire questi nuovi grandtouristi, per i quali 
la cultura non era che una scusa per un viaggio di piacere. Di conseguenza quali 
trasformazioni dell’offerta turistica permisero al paese di conservare i flussi turistici 
conquistati nel secolo precedente, quando ancora poteva contare sul primato culturale? 
Innanzitutto, la diffusione dei viaggi fu facilitata dal miglioramento di tutta una serie di 
tecniche nella costruzione delle navi, nella strumentazione di bordo e dalla realizzazione 
di mappe dettagliate. Tuttavia solamente nell’Ottocento il sistema di trasporto cambiò 
radicalmente grazie all’introduzione delle ferrovie e delle imbarcazioni a vapore. Per un 
breve periodo il Grand Tour sposò la moda dell’esotico: la nuova figura del viaggiatore è 
quella del viaggiatore eclettico, archeologo dilettante alla ricerca delle testimonianze 
delle antiche civiltà. La lunga storia del Grand Tour merita un’ultima annotazione. Nuova 
tipologia del Grand Tour a diffondersi è ora quella a scopo educativo: tanti piccoli viaggi 
di poche settimane nel corso della vita per visitare i patrimoni artistici delle città di tutto il 
mondo. Le guide fissano quello che deve essere visto, cioè il “videndum o sight- seeing”. 
E’ quello che noi oggi chiamiamo turismo culturale.   
In ogni caso si diffondono altre forme di turismo e un crescente interesse per la montagna 
e le terme. L’iniziale diffusione di mode, dall’alto verso il basso (trickle effect) attraverso 
 15
gruppi socio-culturali stratificati, cade lentamente  a partire dal XIX secolo, per 
“capitolare” decisamente nella prima metà del ‘900. 
L’aspetto dinamico ed innovativo del ‘700 trova continuità e causa in un evento peculiare 
di fine secolo: la rivoluzione industriale. Iniziata in Gran Bretagna, caratterizzata dallo 
sfruttamento del carbone e del vapore come fonti di energia, essa si manifestò con un 
grande sviluppo dell’industria, del commercio, dei trasporti, con conseguente incremento 
degli spostamenti e dei viaggi, come di ogni altra attività umana.. 
 
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA: L’OTTOCENTO  
L’800 è perciò identificabile come periodo di assestamento: declina il Grand Tour, in 
seguito alla Rivoluzione Francese, il termine “tourist” fa il suo ingresso ufficiale per 
indicare il partecipante a una nuova modalità di viaggio piacevole ed educativo alla 
riscoperta delle civiltà classiche. In un processo circolare e non più lineare è previsto il 
ritorno al punto di partenza. La parola “tourism” verrà utilizzata dal 1811. La vacanza si 
fa moderna: l’otium latino diventa ”cultura del relax” e le città di villeggiatura sono dette 
città del tempo libero o ancora città del loisir, dove escursioni in montagna, stazioni 
balneari, crociere ne costituiscono gli artefatti. Tra il 1750 e il 1850, per l’esattezza, la 
trasformazione è notevole. La seconda rivoluzione industriale è alle porte con l’avvento 
dell’elettricità, del telefono, del motore a scoppio, dell’automobile, dell’aeroplano ecc. 
Per secoli la città ha rappresentato lo spazio della libertà, il centro della civiltà: chi aveva 
il privilegio di viverci non se ne allontanava, la sedentarietà era legittima. A partire dal 
XVIII secolo, la città diventa luogo di perdizione e corruzione. Celebrazione dei monti, 
desiderio di rive, piacere della campagna: questi fenomeni, tutti sincroni, indicano il 
tramonto dell’egemonia urbana. 
 16
La sollecitazione ad allontanarsene è, ancora una volta, spesso medica, grazie alla 
riscoperta delle funzioni benefiche dell’aria di mare e del sole, di quello stesso  
Meridione bocciato nel ‘600 e ‘700 e che adesso acquista un’ immagine illuminista, 
salutista e sportiva. Ancora una volta, dettami medici guidano la trasformazione culturale 
e la resa del “colore della miseria uno status symbol” 
3
. Da sottolineare che inizialmente il 
turismo balneare nel Mediterraneo viene apprezzato per le acque fredde: il mare 
d’inverno esercita una forte attrattiva sui turisti e l’offerta che ne deriva è in un certo 
senso sublimazione di quello inglese. La sua fruizione, poi, in una stagione differente 
evitò la competizione diretta con le coste fredde del mare del Nord. La moda del 
soggiorno balneare invernale, oltre a creare un nuovo segmento di mercato, ebbe il pregio 
di avvicinare i turisti europei alle coste del Mediterraneo; inoltre la progressiva 
eliminazione di problemi, quali scarsa igiene, pirati e banditi, giovò all’immagine dei 
mari del sud. A completare l’apporto benefico sono l’ambiente mite e una vegetazione 
ricca di fiori e frutta, fra i quali l’arancio, portatore di “virtù paradisiaca”.  
 
NOVECENTO:SCOPRIRSI E SCOPRIRE 
La svolta decisiva, che segnò l’inizio della loro grande popolarità, fu il diffondersi della 
cultura del sole. Questa svolta si completò negli anni Venti e Trenta, quando nacque il 
mito dell’abbronzatura e la spiaggia assunse un ruolo centrale nella vita balneare. L’ 
”epoca del sole” segnò anche l’affermarsi di una nuova modalità di rapportarsi all’acqua: 
il bagno perse la funzione terapeutica e divenne un momento di svago esteso a tutti i ceti 
sociali. Nel Novecento le località turistiche italiane che si affacciano sul Mediterraneo si 
preparano ad accogliere ospiti profondamente diversi da quelli del passato. 
  
                                                          
                   
3
 (G. Triani, “Pelle di sole, Pelle di luna. Nascita e storia della civiltà balneare 1700-1946)