1 
 
INTRODUZIONE  
 
Con il presente lavoro, nato dalla volontà di mettere a confronto due sistemi 
linguistici apparentemente lontani tra loro, ho analizzato i punti in comune e le differenze 
che contraddistinguono la lingua italiana da quella serbo-croata.  
Ho deciso di procedere nell‟analisi grammaticale studiando dapprima la fonetica e 
la fonologia, poi la morfologia, seguita dalla sintassi e dal lessico. In ogni argomento 
trattato ho inserito un commento, ipotizzando i possibili dubbi che potrebbero sorgere 
negli studenti, sia italiani sia bosniaci/croati/montenegrini/serbi; percependo gli errori 
come opportunità di revisione e miglioramento e tenendo sempre presenti i principi della 
linguistica e dell‟analisi contrastiva. 
Com‟è possibile desumere già dalle righe sopra, nel corso dell‟elaborato, sarà 
utilizzato l‟aggettivo serbo-croato (cornice linguistica dell‟area neoštokava) in relazione 
al sistema linguistico mentre bosniaco/croato/montenegrino/serbo sarà riferito al 
discente.  
 
Aspetti sociolinguistici 
 
È opportuno iniziare con una breve precisazione sulla situazione linguistica nei 
Balcani. Il serbo, il croato e il bosniaco, insieme al macedone, allo sloveno e al bulgaro, 
appartengono al ramo meridionale delle lingue slave. Come affermato dal linguista Ivo 
Pranjković, a livello di standardizzazione il bosniaco, il croato e il serbo sono classificati 
come tre varianti di una stessa lingua seppur differenziate dall‟alfabeto: cirillico per il 
serbo (essendo la Serbia a maggioranza ortodossa), latino per il croato (la Croazia è di rito 
cattolico), entrambi per il bosniaco (l‟uso del cirillico è circoscritto al territorio della 
Republika Srpska).
1
 Alla base della lingua standard ritroviamo il dialetto štokavo, dal 
pronome interrogativo što o šta. Gli altri due dialetti, parlati perlopiù in Croazia, il čakavo 
e il kajkavo, non sono riconosciuti come lingue standard. Il dialetto štokavo si divide in 
tre parlate secondo come viene realizzata l‟antica vocale jat ( Ѣ o ĕ) che in alcune zone si 
pronuncia e (ekavo) mentre in altre je o ije (jekavo). A queste pronunce poi se ne 
aggiunge una terza, i (ikavo). Tuttavia esistono concezioni differenti da quella di 
Pranjković in quanto non tutti i linguisti, e non solo i linguisti, a riguardo della 
                                                                        
1
 Cfr. intervista su Slobodna Dalmacija del 07/02/2006.
2 
 
definizione di bosniaco, croato e serbo come un unico sistema, ritengono che siano tre 
varianti di una stessa lingua.  
Infatti, il linguista croato Miro Kaĉić nel suo Croatian and Serbian: Delusions 
and Distortions,
2
 dimostra come il croato e il serbo siano differenti, riportando a titolo di 
esempio i dialetti sui quali i due sistemi linguistici si basano.  
Oltre all‟alfabeto, si riscontrano alcune differenze a livello morfologico, prosodico 
e lessicale.
3
 È sufficiente pensare ai mesi dell‟anno (che in seguito saranno trattati nel 
dettaglio); ai sostantivi come treno e pane che in bosniaco vengono tradotti come voz e 
hljeb, in croato vlak e kruh, in serbo voz e hleb (воз / хлеб); all‟uso che il croato fa 
dell‟infinito e il serbo del presente (hoću ići – hoću da idem) e alla conseguente funzione 
svolta dalla lingua come caratterizzante di entità statali differenti. 
Inoltre, il serbo e il croato si diversificano per il loro atteggiamento nei confronti 
dei prestiti. Mentre il croato è incline al purismo (come afferma Stjepan Babić che “bez 
anglizama se moţe kad se hoće”
4
), il serbo è una lingua che ha accettatato prestiti dal 
turco, dall‟ungherese, dal tedesco, dall‟italiano, dal russo e dal ceco, e non ha avuto 
difficoltà nell‟assimilazione di termini dalle lingue occidentali, anziché creare derivati e 
composti propri, che avrebbero causato una maggiore resistenza (es. telegramma in 
croato è reso da brzojav, in serbo da telegram). La lingua, la sua denominazione (croato, 
serbo, serbocroato, croatoserbo, serbo-croato, ecc.) e i purismi sono stati spesso utilizzati 
per scopi nazionalistici. A tal proposito la linguista Snjeţana Kordić nel suo Jezik i 
nacionalizam afferma che “dominacija purizma znak je dominacije nacionalizma”.
5
 Fin 
dalla riforma ortografica di Vuk Stefanović Karadţić (piši kao što govoriš
6
) e dal Bečki 
dogovor (accordo letterario di Vienna del 1850 con il quale si riconosceva la presenza 
dello standard linguistico serbo-croato) si sono avuti contrasti tra la tendenza unitaria, 
perseguita poi da Tito, e l‟accentuazione delle differenze linguistiche, identitarie e 
politiche.  
  
                                                                        
2
 Cfr. Kaĉić M., Croatian and Serbian: delusions and distortions, Novi Most, Zagreb, 1997. 
3
 Cfr. Brodnjak V., Rječnik razlika izmeĎu hrvatskoga i srpskoga jezika, Školske Novine, Zagreb, 1992. 
   Cfr. Ćirilov J., Hrvatsko-srpski rečnik inačica / srpsko-hrvatski rečnik varijanti, Stilos, Beograd, 1989. 
4
 “è possible fare a meno degli anglicismi se si vuole”. 
Cfr. Babić S., Hrvatski jučer i danas, Školske Novine, Zagreb, 1995. 
5
 Cfr. Kordić S.; Jezik i nacionalizam, Durieux, Zagreb, 2010. 
6
. “scrivi come parli”.
3 
 
Bosniaco, croato, montengrino e serbo sono mutuamente comprensibili, come 
sostengono anche Klajn e Gröeschel: 
 
“in una regione come i Balcani, sia la lingua che la religione tendono da 
sempre ad assumere un valore di simbolo, di bandiera nazionale. Perciò 
la quasi totale comprensibilità reciproca veniva data per scontata (vedi il 
motto, solo parzialmente scherzoso, Govori srpski da te ceo svet razume), 
mentre si esageravano le differenze”.
7
 
 
“idiomi Hrvata, Bošnjaka i Srba (i naravno Crnogoraca) su kao i prije uzajamno 
razumljivi. Ta uzajamna razumljivost je sociolingvistiĉki korelat strukturnoj 
sliĉnosti utvrĊenoj u sistemskoj lingvistici”.
8
 
 
Esistono tuttavia due poli standardizzanti, l‟uno rappresentato da Zagabria e l‟altro 
da Belgrado e Novi Sad.  
L‟attuale situazione linguistica e sociolinguistica dell‟area balcanica continua a 
suscitare l‟interesse di non pochi studiosi, tra i quali ricordiamo Rosanna Morabito che, 
nel suo saggio La situazione linguistica attuale nell’area a standard neoštokavi (ex-
serbo-croato),
9
 apre un forum di discussione chiedendo ai suoi interlocutori di definire 
linguisticamente e sociolinguisticamente le regioni interessate dal serbo-croato. Le 
risposte che le sono state fornite spaziano dalla negazione assoluta di qualsiasi 
comunanza linguistica, sia nel presente sia nel passato, all‟affermazione dell‟esistenza di 
una unica lingua standard realizzata in diverse varianti nazionali e all‟accettazione 
dell‟unica denominazione di “serbo-croato”, passando per la definizione di standard 
policentrico di Snjeţana Kordić (“policentričnost znači da jednim jezikom govori 
nekoliko nacija u nekoliko drţava, i da svaka od tih drţava ima svoju nacionalnu 
varijantu, koja ima barem nekoliko vlastitih kodificiranih normi različitih od normi u 
drugim varijantama”)
10
. È comunque possibile rintracciare nell‟aggettivo caotico un 
punto in comune delle differenti definizioni fornite alla studiosa, come affermano Ljiljana 
Banjanin dell‟università di Torino (“sadašnja lingvistička i sociolingvistička situacija na 
području bivše Jugoslavije je vrlo haotična”)
11
 e Radmila Gorup della Columbia 
University (“chaotic situation”). 
                                                                        
7
 in Morabito R., La situazione linguistica attuale nell’area a standard neoštokavi (ex-serbo-croato), in 
“Studi Slavistici III”, Firenze, 2006. 
8
 “le lingue dei Croati, dei Bosniaci e dei Serbi (naturalmente anche quella dei Montenegrini), come anche 
prima, sono mutuamente comprensibili. Tale comprensibilità reciproca rappresenta il collegamento 
sociolinguistico alla somiglianza strutturale fissata nel sistema linguistico”. Cfr. Kordić S., 2010, op. cit. 
9
 Cfr. Morabito R., 2006, op. cit. 
10
. “policentricità significa che alcuni popoli in alcuni paesi parlano un‟unica lingua e che ognuno di questi 
paesi ha la propria variante nazionale, che possiede almeno delle norme proprie, relative alla codificazione, 
differenti dalle norme presenti nelle altre varianti”. 
11
 “l‟attuale situazione linguistica e sociolinguistica nel territorio della ex Jugoslavia è molto caotica”.
4 
 
Dal punto di vista letterario ogni variante ha una tradizione indipendente così 
come la storia dei popoli serbo, croato e bosniaco è stata distinta per secoli. Ciò che 
differenzia l‟evoluzione della lingua italiana da quella serbo-croata sta nella facilità di 
poter comprendere un testo italiano del XIV, XV o XVI secolo, fatto impossibile per la 
lingua serbo-croata. Si riportano come esempi un brano estratto dal XII capitolo de Il 
Principe (1513) di Niccolò Machiavelli e un passo della Kronika vezda znovič spravljena 
(1578) del croato Antun Vramec. 
 
“Dopo aver esaminato in dettaglio i caratteri dei principati, e dopo aver 
considerato le ragioni della loro stabilità o debolezza […], devo ora 
occuparmi dei mezzi di offesa e di difesa che ogni principato può 
adoperare […].” 
 
“Gvozdansko grad vezda na zaĉetke ovoga leta Turci zavješe. Dubovec 
varaš na Veliki petek Turci ves poţgaše […].” 
 
Nel croato contemporaneo sarebbe 
 
“Grad Gvozdansko sada na poĉetku ove godine Turci zauzeše. Cijeli su 
grad Dubovec zapalili Turci na Veliki petak […].”
12
 
 
Per poter comprendere il continuum linguistico dell‟italiano occorre tener presente 
la variabilità diacronica, ovvero il passaggio dal latino alle lingue romanze; la variabilità 
diatopica, rappresentata dalla Romània continua dei dialetti, degli italiani regionali e delle 
alloglossie; la variabilità diafasica, quella dei registri formali e informali e dei gerghi; la 
variabilità diastratica, formata dall‟italiano popolare, dall‟italiano colto e dalle varietà 
giovanili; e la variabilità diamesica, riprodotta dal parlato, dallo scritto e dal trasmesso. 
Nel caso dell‟italiano va precisato che questo sistema linguistico si configura 
come una continuazione del latino, tanto che in riferimento al periodo medievale è 
possibile parlare di diglossia,
13
 una situazione in cui la varietà alta era rappresentata dal 
latino mentre la varietà bassa dalle varietà volgari usate nei domini informali e nel codice 
orale. Tale diglossia fu superata nel XIV sec. quando la varietà alta, il latino, rimase 
circoscritta alla scrittura e all‟istruzione e le varietà basse, i volgari, riuscirono a emergere 
dal senso di inferiorità rispetto al latino, in particolare il toscano che fu promosso a lingua 
                                                                        
12
 Cfr. Moguš M., Povijest hrvatskoga knjiţevnoga jezika, Nakladni Zavod Globus, Zagreb, 1995. 
13
 La definizione di diglossia è stata ricavata da Ferguson nel 1959 durante lo studio di quattro particolari 
situazioni, per indicare una “situazione linguistica relativamente stabile in cui, in aggiunta ai dialetti 
originari della lingua (che possono comprendere una varietà standard o standard regionali) vi è una varietà 
sovrapposta molto divergente ed altamente codificata (spesso grammaticalmente più complessa), veicolo di 
un vasto e rispettato corpus letterario, sia di un periodo precedente sia di un‟altra comunità linguistica che 
viene appresa attraverso l‟istruzione formale e viene usata per scopi formali e nella forma scritta, ma che 
non è usata mai da nessun settore della comunità per la comune conversazione”. Cfr. Ferguson C.A., 
Diglossia, in “The Journal Word”, 1959.
5 
 
grazie a Dante, Boccaccio e Petrarca, i quali avevano impiegato tale variante nelle loro 
opere. Con il passare del tempo nelle altre regioni della penisola si creò una nuova 
situazione diglottica che trovò nel toscano letterario la varietà alta e nei dialetti locali la 
varietà bassa. Attraverso il processo di selezione vennero eliminati alcuni tratti tipici del 
toscano (es. la gorgia), procedendo in tal maniera alla sua codificazione. Dopo aver 
dotato il modello toscano di una grammatica prescrittiva e di un lessico riconosciuto, si 
passò al suo ampliamento funzionale, ovvero al suo adattamento alle diverse situazioni ed 
esigenze espressive. Il carattere fortemente letterario dello standard,
14
 che faceva 
percepire il toscano come una lingua straniera per coloro i quali abitavano in territori 
differenti dalla Toscana, è così giunto fino al 1861, anno dell‟unificazione dell‟Italia e del 
primo censimento, che rivelava che la popolazione analfabeta era pari al 78%.
15
 Con 
l‟unità d‟Italia si raccolsero zone linguistiche divergenti tanto da indurre il nuovo governo 
ad attuare una politica linguistica volta all‟unione. L‟allora ministro della Pubblica 
Istruzione, Broglio, chiese a Manzoni di intervenire e questi, dopo essersi trasferito a 
Firenze per “sciacquare i panni in Arno”, propose l‟adozione del fiorentino parlato dalla 
borghesia contemporanea. Tale proposta suscitò non poche polemiche, tra le quali si 
ricorda quella di uno dei maggiori linguisti europei, Isaia d‟Ascoli, che criticava la scelta 
della varietà fiorentina e il carattere diamesico del modelo stesso in quanto non era 
possibile inviare maestri di madrelingua toscana nelle scuole del territorio italiano. È 
possibile parlare di un vero e proprio superamento della diglossia solo a partire dagli anni 
‟50 e ‟60 del Novecento come conseguenza di determinati rivolgimenti economici, quali 
ad esempio il passaggio da un‟economia agricola a un‟economia industriale; sociali, come 
le migrazioni di massa verso il nord Italia; e di costume, rappresentati dalla diffusione dei 
mass media. Attualmente in Italia la diglossia ha lasciato spazio alla dilalia, una 
situazione linguistica dove la varietà standard è rappresentata da uno standard regionale 
determinato, più che da fattori linguistici, da fattori politici ed economici. 
 
A proposito del concetto di diglossia nella lingua serba si ricorda brevemente la storia 
dei serbi e dei croati che nel corso del VII secolo si stabilirono nelle attuali nazioni di 
Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Croazia. Attraverso i secoli la loro antica 
lingua comune, staroslovenski jezik, dotata di un complicato alfabeto di origine religiosa, 
                                                                        
14
 La definizione di standard è stata data da Dittmar per “indicare una lingua che nel corso della storia si è 
legittimata come mezzo di comprensione interregionale; è codificata da una serie di norme che stabiliscono 
il suo corretto uso e serve come lingua comune intersoggetiva nell‟ambito di istituzioni statali, sociali e 
contesti formali”. Cfr. Dittmar N., Manuale di sociolinguistica, Laterza, Bari, 1978. 
15
 Trattasi di dato ottimisitico poiché basato sull‟autovalutazione dei parlanti.
6 
 
il glagolitico, cominciò a diversificarsi. I serbi, collocati nei territori più orientali, 
subirono gli influssi di Costantinopoli e dell‟attuale Bulgaria, adottando l‟alfabeto 
cirillico. I croati, insediati a Ovest, subirono invece l‟influsso latino, adottandone vari 
riferimenti culturali e l‟alfabeto. Alla antica lingua comune seguì la srpska redakcija 
staroslovenskog jezika (staroslovenski jezik di redazione serba), chiamata anche 
srpskoslovenski, generando una situazione diglottica in cui il srpskoslovenski 
rappresentava la varietà alta mentre il narodni
16
 la varietà bassa utilizzata nella vita 
quotidiana. Tale situazione era espressione della stratificazione culturale e religiosa 
dell‟epoca.
17
 Alla diglossia tra il srpskoslovenski e il narodni nei secoli si sostituì quella 
tra il narodni e il ruskoslovenski, data la vicinanza culturale e linguistica tra serbi e russi. 
I due sistemi linguistici presentavano differenze solo dal punto di vista fonetico mente si 
riscontravano comportamenti simili a livello morfologico (infinito in –ti e uso 
dell‟aoristo) e lessicale.
18
 Essendo avvertita come una lingua morta e contraria alle norme 
della lingua nazionale il ruskoslovenski finì con il mescolarsi con il serbo parlato, dando 
vita allo slavenoserbski (serbo-slavo). Tale fusione fu definita da Novaković una 
“mescolanza arbitraria, indefinita e senza alcuna regola, di varie componenti 
linguistiche”.
19
 Alla definizione data da Novaković si contrapponevano i giudizi di 
Skerlić che nel suo Srpska knjiţevnost XVIII veka non distingueva tra ruskoslovenki e 
slavenosrpski.
20
 Skerlić suddivideva la storia della lingua letteraria serba in tre fasi: 
- 1690-1740: stara knjiţevnost marcata dall‟utilizzo dello slavo ecclesiastico; 
- 1740-1780: nova knjiţevnost caratterizzata dalla presenza dello slavo ecclesiastico 
russo in concorrenza con il serbo slavonizzato; 
- fine XVIII sec. – inizio XIX sec.: narodna knjiţevnost contraddistinta dai primi 
tentativi di imporre la lingua parlata come lingua letteraria. 
Tale suddivisione fu poi ripresa da Unbeganer in Les débuts de la langue littéraire de 
les serbes.
21
 Anche Tolstoj si occupa di diglossia ricorrendo a tale termine per definire i 
domini di utilizzo della lingua parlata, rappresentata dal narodni, e della lingua letteraria, 
                                                                        
16
 Per una corretta spiegazione dell‟aggettivo narodni (popolo – nazione) cfr. Morabito R., Tradizione e 
innovazione linguistica nella cultura serba del XVIII secolo, ed. Università di Cassino, 2001, p.12. 
17
 Cfr. Ranković Z., O srpskoj redakciji staroslovenskog jezika, Pravoslavni bogoslovski fakultet, Beograd, 
2007. 
18
 Cfr. Milanović A., Kratka istorija srpskog knjiţevnog jezika, Zavod za udţbenike, Beograd, 2004. 
19
 Cfr. Novaković S., Istorija srpske knjiţevnosti. Pregled ugodan za školsku potrebu, Beograd, 1867, p. 
136. 
20
 Cfr. Skerlić J., Srspka knjiţevnost XVIII veka, Beograd, 1909, in Sabrana dela, vol IX, 1966, p. 7. 
21
Cfr. Unbeganer B., Les débuts de la langue littéraire de les serbes, Paris, 1935, p. 14-15.
7 
 
slavo ecclesiastico.
22
 In Tolstoj la definizione di diglossia rimane circoscritta alla 
differenziazione funzionale tra lo slavo ecclesiastico come lingua scritta e al serbo come 
lingua parlata mentre, se consideriamo esclusivamente l‟ambito della lingua scritta, non è 
possibile parlare di diglossia bensì di livelli linguistici intermedi tra la lingua popolare e 
lo slavo ecclesiastico. Solo nel XIX secolo con la riforma di Vuk Stefanović Karadţić è 
possibile parlare del superamento della diglossia. 
 
Nota sull‟analisi contrastiva 
 
Per quanto riguarda l‟analisi contrastiva effettuata, questa si colloca come una 
maniera per evitare la trasposizione meccanica dalla L1 alla L2 considerando il 
linguaggio non soltanto come strumento di pensiero e di operazioni logiche, ma anche 
come maniera di integrazione, espressione e competenza
23
 allargata. 
Il discente, durante l‟apprendimento, può avere la sensazione temporanea di aver 
ottenuto un risultato positivo, ma in realtà questo non equivale a una prestazione 
linguistica corretta. A tal proposito si ricorda che le parole apprendimento e acquisizione 
designano due processi differenti. Con il primo termine si indica un processo razionale, 
basato sulla memoria a medio termine, e perciò non definitivo; mentre con il secondo 
termine un processo inconscio.  
Con l‟analisi degli errori prodotti dagli apprendenti, si cercano le cause che li 
determinano, in particolar modo la scelta degli articoli e delle preposizioni da una parte e 
dei casi dall‟altra, così come l‟impiego di un determinato tempo verbale in italiano al 
posto di un verbo perfettivo o imperfettivo in serbo-croato. Va comunque ricordato che 
alcuni errori possono essere causati da fattori personali (ad es. le capacità del discente), 
dall‟interferenza della lingua madre (trasposizione di regole dalla L1 alla L2), dalla 
cultura d‟origine, da un‟altra lingua straniera conosciuta e dal metodo di insegnamento. 
 
 
 In conclusione, l‟intento dell‟elaborato è quello di fornire una breve analisi dei 
due sistemi linguistici, al fine di evidenziarne i comportamenti simili, che provocano nei 
                                                                        
22
 Cfr. Tolstoj N.I., Literaturnyi jazyk Sebov v XVIII (do 1780), in Slaviankoe I balkanskoe jazykozhanie. 
Istorija literaturnych jazykov i pis’menost, Moska, 1979. 
23
 Per competenza si intende il sistema di regole linguistiche interiorizzate dal parlante che gli permettono di 
comunicare e generare frasi grammaticali. Tale definizione si distingue dall‟esecuzione in quanto 
espressione dell‟applicazione della competenza in situazioni specifiche. Cfr. Chomsky N., Aspetti della 
teoria della sintassi, in “Saggi linguistici”, 2, Boringhieri, Torino, 1960, pp. 41-258.
8 
 
parlanti transfer positivi, ma in particolare le dissimmetrie, causa di interferenze negative 
e problemi nella corretta realizzazione linguistica.