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INTRODUZIONE 
 
            Lo studio dell’italiano L2 rappresenta, allo stato attuale, un’area di ricerca 
di sicuro interesse descrittivo e di indiscussa rilevanza teorica. Negli ultimi anni, in 
particolare, si è avvertita la necessità di indagare a tutti i livelli la produzione 
linguistica di soggetti adulti non nativi, con l’obiettivo di sviluppare modelli 
linguistici alternativi e fornire suggerimenti per la didattica delle lingue. Tale 
necessità è maggiormente avvertita in un contesto globale in cui gli interscambi, 
sia culturali che commerciali, si fanno sempre più frequenti e le distanze tendono 
ad accorciarsi progressivamente. 
            Il tema del presente lavoro, l’apprendimento dell’italiano come lingua 
seconda (L2) da parte di soggetti cinesi, risulta di notevole attualità per una serie 
di motivi: innanzitutto, l’ingente ondata migratoria delle comunità cinesi in Italia, 
fenomeno sorto in anni recenti e che sembra destinato ad aumentare; inoltre, i 
crescenti rapporti economici tra i due Paesi, con la Cina che sta assumendo un 
ruolo politico ed economico sempre più importante nel panorama mondiale. Infine, 
l’enorme distanza socio-culturale, oltre che linguistica tra Italia e Cina, che ha 
rappresentato un ulteriore stimolo nella scelta dell’oggetto di questa indagine. 
            Questa indagine prende spunto dal PRIN (Programma di Ricerca di 
Rilevante Interesse Nazionale) 2005/2007 (cfr. § 1.6.16), con il quale condivide 
alcuni aspetti metodologici e tecnici relativi alla raccolta dei dati, inserendosi 
dunque nella panoramica degli studi sull’apprendimento dell’italiano L2 in una 
prospettiva tipologica, e con il preciso intento di indagare su più livelli le 
caratteristiche del parlato spontaneo di parlanti non nativi.   
            Il nucleo del presente studio è costituito, nello specifico, dall’analisi 
dell’eloquio prodotto da tre soggetti femminili di lingua madre cinese, reperiti in 
un gruppo di studenti cinesi che avevano scelto di trascorrere un periodo di tempo 
in Italia per frequentare le lezioni dei Corsi di studio dell’Università di Pisa. 
            In occasione di questo lavoro è stato effettuato un ciclo di tre registrazioni 
per ognuna delle parlanti. La sessioni di registrazione hanno previsto alcune 
interviste volte ad instaurare una conversazione informale per l’elicitazione del 
parlato spontaneo; inoltre, è stato richiesto lo svolgimento di una serie di compiti 
comunicativi specifici, come la lettura di un testo o l’esecuzione del Map Task (cfr. 
§ 3.4), i quali ci hanno fornito il materiale semi-spontaneo. 
            Nel capitolo 1, dopo aver dato uno sguardo generale ad alcuni dei più 
importanti fattori, linguistici ed extralinguistici, che condizionano a vari livelli il 
processo di apprendimento di una L2, presentiamo un quadro dettagliato della 
letteratura relativa all’apprendimento dell’italiano come lingua seconda, con 
particolare riferimento ai livelli di analisi trattati nei capitoli successivi; il capitolo 
 8 
2 vuole essere un compendio delle principali caratteristiche della lingua e della 
grammatica del cinese standard, che vengono tuttavia presentate in prospettiva 
contrastiva mediante una descrizione in parallelo delle stesse categorie della 
grammatica italiana. Tale prospettiva è di importanza fondamentale per la 
successiva analisi empirica, poiché consente di valutare correttamente i risultati 
conseguiti nella suddetta analisi in relazione alle somiglianze, e soprattutto alle 
differenze, tra le due lingue prese in esame. Il capitolo 3 è dedicato alla 
presentazione dei soggetti partecipanti all’indagine, alla descrizione del corpus e 
della metodologia utilizzata per la raccolta, la trascrizione e l’elaborazione dei dati. 
Nel capitolo 4 sono presentati i risultati dell’analisi, la quale è stata ripartita su due 
livelli d’indagine, quello morfosintattico e quello fonologico; i dati si presentano 
suddivisi per categoria grammaticale e parlante. Nel quinto e ultimo capitolo si 
cerca di fornire una visione d’insieme dell’indagine effettuata e di stabilire un 
confronto con le principali teorie dell’acquisizione linguistica trattate nel primo 
capitolo. 
            Per concludere, confidiamo, con questo lavoro, di essere riusciti ad 
aggiungere un altro tassello alla crescente attività di ricerca sull'italiano lingua 
seconda, da una parte confermando con i nostri risultati le scoperte più recenti in 
l’ambito morfosintattico, dall’altra aggiungendo qualcosa di nuovo per il livello 
fonologico.  
 9 
1. L’APPRENDIMENTO DI UNA LINGUA STRANIERA E 
L’ITALIANO L2 
1.1       Lo studio dell’acquisizione di una seconda lingua 
            Con l’espressione acquisizione di una seconda lingua o SLA – second 
language acquisition – si intende il processo di apprendimento di un’altra lingua 
dopo che la lingua madre è già stata appresa; il termine si riferisce unicamente ad 
un contesto in cui la seconda lingua (L2) sia utilizzata come mezzo di 
comunicazione nel paese dove essa è appresa. In un contesto diverso, ovvero 
quello in cui la lingua straniera sia appresa nel paese di origine dell’apprendente, 
tipicamente in un contesto scolastico, si parla di apprendimento di una lingua 
straniera (foreign language learning).  Tuttavia il termine seconda lingua (L2) può 
essere utilizzato più genericamente in opposizione a prima lingua (L1) per 
indicare qualsiasi lingua non appresa come lingua madre, indipendentemente dalla 
modalità e dal contesto. 
            Sempre in relazione alla terminologia applicata a questo ambito di studio 
bisogna ricordare brevemente che l’apprendimento, secondo la definizione data 
pocanzi, è stato variamente designato a seconda del contesto di applicazione: si è 
parlato infatti di apprendimento spontaneo o non guidato, nel caso in cui la L2 sia 
appresa nel paese dove essa è usata come principale mezzo di comunicazione e 
senza l’ausilio di mezzi didattici, contrapposto ad un apprendimento guidato che 
fosse invece direttamente associabile ad un contesto scolastico.  
            Per quanto riguarda la fondamentale distinzione tra i termini acquisizione e 
apprendimento – in inglese acquisition e learning – non verrà qui presa in 
considerazione la radicale separazione operata da Krashen (1981), il quale 
definisce l’ acquisizione come il processo spontaneo e inconscio con cui un 
bambino arriva gradualmente ad interiorizzare le strutture della sua lingua madre, 
nettamente distinto dal processo di apprendimento cosciente e affatto automatico 
delle regole di un lingua in ambito scolastico. Preferiamo piuttosto la terminologia 
adottata da Klein (1984), il quale considera i due termini come delle varianti 
stilistiche, in quanto in questo testo entrambi i vocaboli verranno usati in modo 
indifferenziato.  
            Il campo di studio dell’acquisizione di una seconda lingua (SLA) si occupa 
di come le lingue straniere vengano apprese, ovvero di come un apprendente crei 
un nuovo sistema linguistico attraverso l’esposizione ad una lingua diversa dalla 
sua lingua madre; fra gli aspetti principali dello studio dell’acquisizione delle 
lingue straniere va annoverata la ricerca delle cause per le quali la maggioranza 
degli apprendenti adulti non possa raggiungere una competenza nativelike, la 
stessa della loro L1. Questo campo di studi indaga anche sulle regole che 
 10 
sottendono alle strutture delle lingue apprese come L2, chiedendosi se queste 
regole sono le stesse per tutte le lingue o se varino a seconda del contesto di 
apprendimento. A questo proposito è utile ricordare la scoperta di vincoli 
linguistici che guidano la costruzione della grammatica della L2.  
            A fronte di quelli appena elencati e di altri interrogativi, è chiaro come lo 
studio dell’acquisizione di una seconda lingua richieda di essere sviluppato in un 
contesto multidisciplinare; oltre alla linguistica risultano coinvolti i campi 
d’indagine della psicologia, della psicolinguistica, ma anche quelli della sociologia 
e della sociolinguistica. Innumerevoli sono anche le teorie linguistiche che si sono 
sviluppate in questi settori; comune a tutte queste ricerche è la tendenza a vedere 
l’acquisizione linguistica come un fenomeno unitario (Giacalone Ramat 1986:13), 
nel senso che tra i diversi tipi di acquisizione1 linguistica si osservano somiglianze 
per quanto riguarda la struttura e le fasi del processo. Il limite estremo di questa 
tendenza è rappresentato dall’ipotesi dell’identità avanzata da Ervin-Tripp (1974),  
secondo cui l’apprendimento di una lingua come seconda lingua segue la stessa 
sequenza di acquisizione della medesima lingua appresa come L1. 
 
1.2       Fattori linguistici 
1.2.1    Il concetto di somiglianza 
            Punto di partenza fondamentale negli studi sull’acquisizione di una L2 è il 
filone di ricerca di orientamento comportamentista che si sviluppa a partire dagli 
anni Quaranta e culmina negli anni Sessanta del Novecento, quello della cosiddetta 
analisi contrastiva: i sistemi linguistici di partenza e di arrivo degli apprendenti 
venivano messi a confronto e, sulla base di questo confronto, venivano fatte 
previsioni sulle aree in cui gli apprendenti avrebbero incontrato maggiori difficoltà 
e addirittura sui possibili errori. 
            L’ipotesi dell’analisi contrastiva (Contrastive Analysis Hypothesis CAH)2 
scaturiva dal tentativo di spiegare tutti gli errori commessi dagli apprendenti 
mediante il confronto tra la loro lingua madre e la seconda lingua; da questo 
confronto nasce la nozione del transfer. Mentre la versione rigida di questa ipotesi 
riportava qualunque tipo di errori a fenomeni di transfer e sosteneva di prevedere 
gli errori sulla base di un’analisi contrastiva della L1 e della L2 a priori, la 
versione moderata spiegava a posteriori gli errori commessi dagli apprendenti 
affermando che fenomeni simili erano più difficili da apprendere rispetto a 
                                                 
1
 Con tipi di acquisizione si intendono le forme diverse a cui giunge il processo di acquisizione in 
dipendenza da fattori linguistici ed extralinguistici. Infatti, mentre la prima lingua è per definizione 
appresa da bambini in un ambiente naturale, per la seconda lingua si possono prevedere situazioni 
assai varie. 
2
 Cfr. Weinreich (1953) e Lado (1957) 
 11 
fenomeni dissimili. Questa versione della teoria era largamente indagata nel 
campo della fonologia più che in qualunque altro campo della linguistica, 
probabilmente perché a questo livello il concetto di somiglianza e quello di 
differenza erano più facilmente definibili. La ragione psicolinguistica per cui 
l’apprendimento risulta essere più difficoltoso nel caso di fenomeni simili che non 
in quelli dissimili sembra essere la salienza percettiva, ovvero: mentre grosse 
differenze tra due lingue risultano facilmente individuabili, al contrario differenze 
minime tra suoni di lingue differenti sarebbero più difficilmente riconoscibili, con 
il risultato di un non-apprendimento (cfr. Major 2001: 37). 
 
1.2.2 L’interlingua 
            Alla fine degli anni Sessanta la Contrastive Analysis Hypothesis aveva 
perso il favore di molti studiosi. La nuova teoria dell’apprendimento proposta da 
Chomsky3 e la successiva nascita della psicologia cognitiva avevano messo in luce 
le numerose lacune della CAH; una nuova corrente di studi dimostrò infatti che 
non tutti gli errori erano giustificabili sulla base dell’interferenza tra lingue, e che 
molti degli errori che la stessa analisi contrastiva prediceva in realtà non si 
verificavano mai. Questa nuova corrente di studi è raggruppata sotto l’etichetta di 
Error Analysis. Il nuovo ruolo rivestito dagli errori commessi dagli apprendenti è 
messo in luce dall’articolo di Pit Corder (1967) The significance of learner’s 
errors [L’importanza degli errori dell’apprendente], nel quale si afferma che gli 
errori rappresentano un’importante finestra sul “sillabo incorporato 
nell’apprendente” (Corder 1981:11); essi sono la prova che l’apprendente tenta di 
formulare ipotesi intorno alla lingua d’arrivo sulla base di un sistema linguistico 
composto da regole precostituite che l’apprendente costruisce sulla base dell’input 
linguistico al quale viene esposto. In questi anni si comincia quindi a parlare di 
dialetto idiosincratico (Corder 1971), sistema approssimativo (Nemser 1971) e 
interlingua (Selinker 1969 e 1972), tutte nozioni che cercano di rendere conto del 
carattere indipendente e sistematico delle produzioni degli apprendenti. 
Il termine introdotto da Selinker, interlingua (interlanguage o IL), è quello che fra 
gli altri ha riscosso maggiore approvazione e che è per questo entrato nell’uso 
comune. Probabilmente la causa di questo successo è la maggiore neutralità del 
termine rispetto ad altri che, al contrario, erano proiettati esclusivamente verso la 
lingua d’arrivo. Caratteristiche salienti delle interlingue sono l’instabilità e il forte 
dinamismo interno. Un approccio teorico molto fecondo al riguardo risulta essere 
la teoria dell’interlingua o delle varietà di apprendimento, che considera 
                                                 
3
 Per ulteriori approfondimenti sulla teoria chomskiana cfr. Chomsky (1997) 
 12 
l’apprendimento di una L2 come la graduale costruzione di sistemi linguistici 
sempre più complessi che tendono verso la lingua d’arrivo. 
Il sistema linguistico di un’interlingua – definita da Giacalone Ramat (1986: 11) 
come una “varietà della lingua di arrivo” – è il prodotto di una combinazione di 
elementi, alcuni provenienti dalla L1, altri dalla L2, altri ancora originali ma 
riconducibili ai principi della Grammatica Universale (UG) validi per tutte le 
lingue naturali (Major 2001).  
 
Figura 1.1 Le componenti dell’interlingua: schema adattato da Major (2001) 
 
Sebbene un interlingua non abbia tutte le caratteristiche di una lingua naturale 
perfettamente sviluppata, i ricercatori sono concordi nell’affermare che tutte le 
caratteristiche delle interlingue sarebbero anche caratteristiche delle lingue naturali 
e che gli universali delle interlingue sarebbero universali di tutte le lingue naturali:  
“underlying the IL hypothesis is the unwritten assumption that ILs are 
linguistic systems in the same way that Natural Languages are. (By natural 
language I mean any human language shared by a community of speakers 
and developed over time by a general process of evolution.) That is, ILs are 
natural languages”. (Adjemian 1976:298)  
Come abbiamo visto l’IL è composta sia da elementi della lingua di partenza che 
da elementi della lingua di arrivo. Questa sua duplice natura è messa in evidenza 
nel modello di acquisizione di una seconda lingua proposto da Major (Ontogeny 
Model, 1987). Tale modello stabilisce l’esistenza di due tipi di errore in una 
grammatica di una IL: gli errori di transfer (transfer errors) e gli errori evolutivi 
(developmental errors). Gli errori di transfer sono errori dovuti alle interferenze 
con la L1; gli errori evolutivi sono invece classificati dall’Autore come tutti quegli 
errori che non sono in alcun modo riconducibili alla L1: si tratta sostanzialmente 
dello stesso tipo di errori commessi dal bambino nel corso dell’apprendimento 
della sua L1. Secondo Archibald (2001:4) è possibile che il processo di transfer e 
quello di overgeneralization siano entrambi il risultato di un’unica strategia messa 
in atto dall’apprendente, che egli chiama informalmente “use what you know” [usa 
ciò che sai]. Questo implicherebbe che il tipo di errore fatto dall’apprendente 
dipenda dal suo livello più o meno avanzato di competenza nella L2. L’Ontogeny 
Parti di L1 Parti di L2 Parti di 
IL 
 13 
Model di Major (1987) prevede infatti che il numero degli errori di transfer 
decresca con l’andare del tempo, mentre il numero di errori evolutivi sarebbe 
basso nelle prime fasi dell’apprendimento, elevato nel corso delle fasi intermedie 
( dal momento che l’apprendente avrà acquisito una certa quantità di conoscenza) 
e infine di nuovo scarso al raggiungimento di un livello elevato di competenza 
linguistica. Questo andamento è giustificato dal fatto che nelle prime fasi 
dell’apprendimento della L2 l’apprendente ha come unico punto di riferimento 
costante la sua lingua madre; egli quindi tenderà a trasferire le strutture della sua 
L1 nella lingua target. Successivamente, man mano che aumenta il bagaglio di 
conoscenza della seconda lingua, aumenteranno anche le possibilità di errore nel 
tentativo di utilizzare le nuove strutture appena apprese (Fig. 1.2). Una delle cause 
di errore più frequenti è, ad esempio, il fenomeno della overgeneralization, per il 
quale l’apprendente tende ad utilizzare le regole apprese anche quando queste non 
sono applicabili. 
Es. “le carne” e non “la carne” 
L’apprendente in questo caso utilizza l’articolo determinativo femminile plurale 
anziché quello singolare; questo errore si verifica perché egli ha memorizzato la 
terminazione in -e come corrispettivo plurale del femminile singolare in -a, e la 
utilizza in presenza di un sostantivo singolare in -e.    
 
Frequenza                               
 
        Errori di transfer                              Errori evolutivi 
Figura 1.2 The Ontogeny Model di Major (1987). Schemi riprodotti da Major (2001:49) 
 
            Nel momento in cui la grammatica dell’IL cessa di cambiare e si 
stabilizzano certe forme linguistiche si può parlare di fossilizzazione (Gass-
Selinker 2001:12). Gli apprendenti di una L2 mostrano infatti caratteristiche non 
native a qualsiasi livello linguistico e di competenza. Il Random House Dictionary 
of the English Language definisce la fossilizzazione di una forma linguistica, un 
tratto o una regola nel modo seguente:  
 14 
«to become permanently established in the interlanguage of a second language 
learner in a form that is deviant from the target language norm and that continues to 
appear in performance regardless of further exposure to the target language».  
(Random House Dictionary of the English Language 1987:755) 
Data la difficoltà nel determinare quando si interrompa effettivamente 
l’apprendimento di una lingua, si preferisce parlare semplicemente di 
stabilizzazione di una forma linguistica piuttosto che di cessazione 
dell’apprendimento e fossilizzazione.  
            La grammatica dell’IL, come abbiamo visto, sarà quindi influenzata tanto 
dalla L1 quanto dalla L2; il grado di influenza di ognuna delle singole componenti 
dipenderà dal grado di competenza linguistica degli apprendenti. Gli errori che non 
sono dovuti all’interferenza con L1 o L2 sono riconducibili agli universali 
linguistici dell’acquisizione. Alcuni di questi universali riguardano processi 
cognitivi come quello della overgeneralization, altri sono invece di natura 
strettamente linguistica (ad es. in tutte le lingue naturali una sillaba è composta da 
una combinazione di consonanti e vocali).  
            La Grammatica Universale (Universal Grammar o UG) raggruppa tutti 
questi universali linguistici: si riferisce dunque a quei principi astratti e invariabili 
che descrivono la grammatica di tutte le lingue, che determinano ciò che è 
possibile e ciò che non lo è in una lingua naturale, che definiscono i parametri e le 
proprietà di ogni lingua che può essere definita come tale. La teoria della 
Grammatica Universale, di matrice generativista, postula l’esistenza di un 
dispositivo specifico per l’acquisizione del linguaggio, il cosiddetto LAD 
(Language Acquisition Device). L’esistenza di questo dispositivo è giustificata 
dalla considerazione che il bambino non possa raggiungere l’acquisizione 
completa del sistema grammaticale complesso di un adulto sulla sola base 
dell’input proveniente dall’esterno. L’insufficienza dell’input viene definita come 
povertà dello stimolo (Gass & Selinker 2001, Chomsky 1997). La Grammatica 
Universale guiderebbe dunque il bambino nell’acquisizione della sua lingua madre, 
mettendolo di fronte ad una serie di vincoli e regole tra i quali scegliere di volta in 
volta l’opzione che  ritiene corretta sulla base dell’input ricevuto. In questo modo 
egli costruisce la sua personale grammatica della prima lingua. 
            C’è tuttavia profondo disaccordo per quanto riguarda il grado di accesso 
alla UG da parte dell’apprendente adulto nel corso del processo di apprendimento. 
Agli estremi opposti troviamo, da un lato, l’Ipotesi della differenza fondamentale 
(Fundamental Difference Hypothesis) di Bley-Vroman (1989) e Schachter (1988), 
secondo la quale l’apprendimento della lingua madre e quello della seconda lingua 
sarebbero totalmente separati; l’apprendente adulto non avrebbe alcun tipo di 
 15 
accesso alla GU, essendo egli già in possesso di un bagaglio di conoscenze 
linguistiche completo, quello della sua L1. Dall’altro lato si colloca la posizione di 
White (1985, 1989, 1996), la quale descrive vari gradi di accesso alla UG, fino ad 
arrivare ad un accesso totale (Access to UG Hypothesis) da parte dell’apprendente 
adulto che sottolinea la presenza di un meccanismo di apprendimento 
estremamente simile per quanto concerne l’apprendimento della L1 del bambino e 
quello della L2 nell’apprendente adulto. 
            La Fundamental Difference Hypothesis nasce dalla considerazione che 
bambini e adulti sono estremamente diversi sotto molti aspetti per quanto concerne 
l’apprendimento di una seconda lingua. In primo luogo, soltanto i bambini 
raggiungono una conoscenza completa della loro lingua madre: nell’acquisizione 
di una seconda lingua è raro se non impossibile il raggiungimento di una 
competenza tale da essere considerata madrelingua. In secondo luogo, 
l’apprendente adulto possiede già un bagaglio di conoscenze relative al suo 
sistema linguistico, mentre il bambino deve imparare ogni singolo aspetto del 
linguaggio come tale. Relativamente a questo aspetto è importante accennare alla 
nozione di equipotenzialità introdotta da Schachter (1988). Questa nozione 
riguarda la capacità risaputa dei bambini di imparare qualsiasi lingua straniera 
senza differenze per quanto riguarda la difficoltà di apprendimento di una lingua 
piuttosto che di un’altra, capacità che risulta totalmente assente negli apprendenti 
adulti. La terza e ultima differenza tra l’apprendimento della lingua madre da parte 
del bambino e l’apprendimento di una seconda lingua da parte dell’adulto riguarda 
la motivazione e l’attitudine linguistica. E’ chiaro come non tutti gli apprendenti 
siano ugualmente motivati nell’apprendere una lingua specifica; la motivazione 
non sembra però influenzare in alcun modo l’acquisizione del bambino della sua 
lingua madre. 
 Sul versante opposto a quello della Fundamental Difference Hypothesis 
troviamo la Access to UG Hypothesis, secondo la quale la Grammatica Universale 
rimarrebbe attiva anche durante l’apprendimento di una lingua straniera da parte 
dell’adulto. White (2000) definisce varie posizioni intermedie in riferimento 
all’accessibilità di UG da parte dell’apprendente adulto; queste posizioni sono 
definite in base a due variabili principali, il transfer e la porzione di UG accessibile 
di volta in volta. 
 
1.2.3    Transfer 
            La nozione di transfer è senza dubbio una delle aree maggiormente 
indagate nel campo della fonologia della seconda lingua. Nel momento in cui ci si 
appresta ad affrontare una qualsiasi nuova situazione di apprendimento, si ha la 
tendenza a trasferire schemi simili nella nuova situazione. Nella Contrastive