2
Di fronte al perpetuarsi di violazioni gravi e sistematiche che negano 
il principio fondamentale del rispetto della dignità e dell'integrità 
fisica dell'uomo, la Comunità internazionale ha reagito impegnandosi 
su diversi fronti, confermando la convinzione che la protezione 
dall'uso della tortura rappresenti un diritto fondamentale dell'uomo 
che ha valore assoluto e crea un obbligo per lo Stato da rispettare nei 
confronti dell'intera comunità internazionale. 
   La Dichiarazione Universale del 1948, reagendo ai << barbari atti 
che avevano oltraggiato la coscienza del genere umano >>, prima e 
durante la seconda guerra mondiale, sancisce all'art. 5 che << nessun 
individuo potrà essere soggetto a tortura o a trattamenti o a punizioni 
crudeli, inumani e degradanti >>. 
   Nel 1949, le quattro Convenzioni di Ginevra relative al diritto 
internazionale umanitario applicabile ai conflitti armati, proibiscono 
all'art. 3: << il trattamento crudele e la tortura di persone che non 
prendono parte attivamente alle ostilità >> e proibiscono altresì << 
gli oltraggi alla dignità personale e in particolare il trattamento 
umiliante o degradante >>. Inoltre, ai sensi dell’art. 99 della III 
Convenzione di Ginevra, << nessuna coercizione morale e fisica può 
essere esercitata su un prigioniero di guerra allo scopo di indurlo ad 
ammettere di essere colpevole dell'atto del quale è accusato >>. 
 3
   Nel 1966, il divieto della pratica della tortura fu inserito nel Patto 
internazionale sui diritti civili e politici che, all'art. 7, recita << 
nessuno dovrà essere soggetto a tortura o ad altro trattamento o pena 
crudele, inumano o degradante >>. Ed il Patto non permette alcuna 
deroga a tale divieto. La proibizione della tortura è stata inoltre 
oggetto, sempre in ambito universale, di una specifica Dichiarazione 
adottata dall'Assemblea generale nel 1975. La << Dichiarazione sulla 
protezione di tutte le persone sottoposte a tortura ed altri trattamenti 
crudeli, inumani degradanti >>, oltre a proclamare il divieto assoluto 
dell'uso della tortura e di altri trattamenti crudeli, inumani e 
degradanti, fornisce, all'art. 1 una definizione della tortura nel termini 
che seguono: << il termine tortura indica qualsiasi atto per il quale il 
dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, sono 
deliberatamente inflitte ad un  individuo da parte di pubblici ufficiali 
o sotto loro istigazione, allo scopo di ottenere da esso o da un terzo 
informazioni o confessioni, di punirlo per liti atto che ha commesso o 
che si sospetta abbia commesso, o allo scopo di intimidirlo o di 
intimidire altre persone >>.  
   A livello regionale, disposizioni in materia di tortura, sono previste 
nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, del 1950 (art. 3), 
nella Convenzione americana sui diritti dell'uomo, del 1969 (art. 5 par. 
2), nella Carta africana sui diritti dell'uomo e dei popoli, del 1981 (art. 
 4
5), nella Dichiarazione islamica sui diritti dell'uomo, del 1981 (art. 7) 
e nella Carta Araba sui diritti umani, del 1994. 
   Come si è accennato, lo specifico strumento di carattere universale 
adottato in materia è la Convenzione contro la tortura e gli altri 
trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, adottata 
dall'Assemblea generale, il 10 dicembre 1984, ed entrata in vigore il 
26 giugno 1987. 
Nei 33 articoli che la compongono, la Convenzione prevede l'obbligo 
generale a carico degli Stati parti contraenti di considerare ogni atto di 
tortura quale crimine, e pertanto impegna gli organi nazionali ad 
elaborare ed adottare appositi strumenti giuridici, necessari per la 
punizione di coloro che hanno commesso azioni definibili in tal senso. 
   Nel testo, anzitutto, vengono introdotti alcuni elementi di particolare 
importanza. Fondamentale è il principio secondo il quale il crimine è 
ravvisabile anche qualora sia stato ordinato da un superiore o sia stato 
perpetrato in condizioni di evidente eccezionalità; in entrambe le 
circostanze, infatti, nessuna giustificazione è ammessa circa la 
commissione di tali atti. Altrettanto interessante è la enunciazione del 
diritto di perseguire il presunto criminale quando egli si trovi nel 
territorio di uno Stato membro della Convenzione, da cui l'opzione di 
procedere alla celebrazione del processo in quello Stato o la facoltà di 
garantire l'estradizione nello Stato nel quale egli ha commesso atti di 
 5
tortura, secondo il noto principio << aut dedere aut judicare >> (art. 
8). Ancora, la possibilità di adottare la procedura di inchiesta 
internazionale, se vi sono attendibili informazioni circa la 
commissione sistematica di atti di tortura nel territorio di uno Stato 
parte della Convenzione. 
   Per assicurare la piena ed effettiva attuazione dei contenuti della 
Convenzione, è stato istituito un apposito organo, i cui precisi compiti 
attengono all'azione di monitoraggio in ordine all'applicazione del 
disposto pattizio ed al supporlo agli Stati Parti contraenti affinché le 
misure in esso previste vengano effettivamente adottate. 
Il Comitato contro la tortura (CAT), istituito dalla Convenzione, è 
composto da 10 esperti di alto valore morale e di accertata 
competenza in materia di diritti umani, in carica per 4 anni (art. 17). Il 
CAT possiede ampi poteri di esame ed investigazione al fine di 
garantire la piena realizzazione dei fini della Convenzione. Secondo 
l'art. 19 della Convenzione, in particolare, esso ha competenza ad 
esaminare i rapporti prodotti dagli Stati membri e ad esso inviati, ogni 
4 anni, per il tramite del Segretario generale delle Nazioni Unite. 
Gli Stati sono invitati a prendere parte alle sessioni del Comitato, ed a 
fornire ulteriori informazioni, nonché rispondere ai quesiti inoltrati dal 
Comitato al fine di ottenere utili chiarimenti circa il contenuto dei 
rapporti stessi. Il CAT procede quindi alla elaborazione di commenti 
 6
generali in merito ai rapporti, segnalando eventuali mancati 
adempimenti al disposto pattizio: questi commenti sono trasmessi allo 
Stato interessato e vengono inclusi nella relazione annuale sottoposta 
dal Comitato all'attenzione dell'Assemblea generale. 
   Accanto alla procedura della comunicazione interstatale, è prevista, 
altresì, la facoltà di inoltrare comunicazioni al CAT anche da parte di 
singoli individui che pretendono di essere vittime di una violazione, 
sempre che lo Stato, nei cui confronti la comunicazione è proposta, 
abbia dichiarato di riconoscere tale specifica competenza del Comitato 
ai sensi dell'articolo 22 della Convenzione.  
  Nel sistema delle Nazioni Unite, così come in altri ambiti 
internazionali regionali particolarmente sensibili nell'affrontare una 
tematica delicata quale l'azione di tortura, a fronte di uno strumento 
specifico e di circostanziata efficacia, quale è la Convenzione 
esaminata, si è resa necessaria l’istituzione di ulteriori meccanismi e la 
utilizzazione di diversificate metodologie, al fine di prevenire il 
verificarsi di gravi fenomeni di violazione dei diritti umani. In questo 
contesto, particolare rilievo riveste il Relatore speciale delle Nazioni 
Unite sulla tortura . 
   Tale organo si inserisce nel quadro degli interventi posti in essere 
dalla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite. Il Relatore 
svolge un ruolo particolarmente incisivo nel settore della lotta e della 
 7
prevenzione contro ogni forma di tortura, ed agisce in stretta 
correlazione con il CAT, allo scopo di scambiare informazioni, 
rapporti e documenti di comune interesse, anche se tra i due organismi 
sussistono profonde differenze in merito alla struttura ed alle 
competenze da essi esercitate. 
   Al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, anche se in stretta 
correlazione al contenuto dei documenti nonché agli organismi 
dell'ONU, operanti in materia di tortura, sono da sottolineare le 
iniziative assunte in ambito europeo. 
   L’art. 3 della Convenzione europea, con una formula lapidaria, che 
riproduce quasi testualmente l'art. 5 della Dichiarazione Universale, 
stabilisce che << nessuno può essere sottoposto a tortura e a pene o 
trattamenti crudeli, inumani o degradanti >>. Il divieto è categorico, 
ha una portata assoluta, non prevede alcuna eccezione e non è 
suscettivo di alcuna deroga, compresa l'ipotesi di guerra o altro 
pericolo per la vita della nazione, così come stabilito dall'art. 15 della 
Convenzione. L'art. 3 non fornisce, tuttavia, una definizione del 
termine << tortura >> o di << pena e trattamento inumano o 
degradante >>, definizioni che, invece, sono state elaborate dalla 
giurisprudenza della Commissione e della Corte europea. 
   Grazie ad una interpretazione dinamica della Convenzione si è 
tenuto conto, nel corso degli anni, delle mutate condizioni sociali, 
 8
politiche e giuridiche degli Stati membri. In tale contesto la 
giurisprudenza ha enucleato una serie di criteri, a partire dalle 
situazioni concrete esaminate, che permettono di dare delle definizioni 
in ordine ai diversi trattamenti vietati: un << trattamento >> anzitutto 
è da considerarsi << inumano >> se è stato applicato a lungo, con 
premeditazione ed ha causato, se non anche delle vere lesioni, almeno 
delle vive sofferenze fisiche e morali; un trattamento è da ritenersi << 
degradante >> quando è di natura tale da creare, nelle vittime, 
sentimenti di paura e di angoscia e di inferiorità atti ad umiliarle, 
avvilirle, ed eventualmente fiancarne  la loro resistenza fisica o 
morale. Una << pena >> è << inumana o degradante >> quando la 
sofferenza o l'umiliazione che essa comporta superano quelle insite 
nel fatto di dover espiare una pena legittimamente inflitta. La << 
tortura >>, infine, non è un trattamento distinto dai precedenti ma è 
da considerarsi una forma aggravata di trattamento inumano. 
    Un ulteriore strumento normativo, specificamente elaborato dal 
Consiglio d'Europa per integrare le disposizioni di cui sopra è cenno, è 
la << Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle 
pene o trattamenti inumani e degradanti >>, firmata a Strasburgo il 
26 novembre 1987 ed entrata in vigore il 1° febbraio 1989, a seguito 
della ratifica da parte di sette Stati membri. Il sistema elaborato nella 
Convenzione ha lo scopo di completare la Convenzione europea dei 
 9
diritti dell'uomo integrando l'art. 3 ed affiancando alle procedure 
giudiziarie già esistenti, un meccanismo di natura preventiva, 
caratterizzato da un sistema di visite effettuate da un organo 
appositamente istituito: il << Comitato europeo per la prevenzione 
della tortura e delle pene inumane e degradanti >>. 
   Tale Comitato si compone di un numero di membri uguale a quello 
degli Stati contraenti, scelti tra persone che si distinguono per 
indiscussa moralità, per la loro competenza in materia di diritti 
dell'uomo e che abbiano una esperienza professionale negli ambiti 
regionali della Convenzione. Il Comitato non può comprendere più di 
un cittadino dello stesso Stato, anche se i membri sono eletti per 
svolgere le loro funzioni a titolo individuale. 
   Le competenze del Comitato sono disciplinate dal Capitolo III della 
Convenzione. Queste consistono essenzialmente nella possibilità di 
effettuare visite periodiche o ad hoc in ogni luogo sottoposto alla 
giurisdizione delle Parti contraenti in cui  delle persone sono private 
della libertà da parte di una autorità pubblica. Il Comitato, pertanto, 
può visitare carceri, commissariati di polizia, ospedali psichiatrici, 
strutture militari e civili, pubbliche o private, ma queste ultime solo a 
condizione che il provvedimento restrittivo della libertà sia il risultato 
dell'azione di una autorità pubblica e non di un atto volontario della 
persona. 
 10
   La procedura da seguire per effettuare la visita presso uno Stato 
membro è disciplinata dettagliatamente dalla Convenzione. Essa 
attribuisce al Comitato la più ampia possibilità di intervento ma gli 
impone, quale condizione preliminare necessaria, l'obbligo di 
notificare al governo dello Stato interessato la sua intenzione di 
effettuare una visita, indicando altresì i nomi di coloro che 
parteciperanno all'ispezione. Lo Stato, in particolare, deve assicurare il 
libero accesso al proprio territorio, senza alcuna restrizione, deve 
consentire la libera circolazione dei membri del Comitato e fornire 
ogni informazione per lo svolgimento dei suoi compiti. L'art. 9, 
tuttavia, consente agli Stati interessati, << in circostanze eccezionali 
>> di presentare obiezioni circa la possibilità per il Comitato di 
effettuare la visita in un momento particolare o in un luogo 
determinato. Gli Stati possono avvalersi di tale facoltà solo per motivi 
di pubblica sicurezza, di difesa nazionale e nell'ipotesi in cui siano in 
atto gravi rivolte nei luoghi nei quali la visita dovrebbe effettuarsi o a 
causa delle precarie condizioni di salute delle persone da visitare. 
   Una volta effettuata la visita, il Comitato è tenuto a redigere un 
rapporto sulla sua attività e sugli elementi raccolti durante l'ispezione. 
Nelle ipotesi di ripetute infrazioni o di deliberata non cooperazione da 
parte di uno Stato, il Comitato, successivamente alla presentazione da 
 11
parte allo Stato in questione delle proprie osservazioni al riguardo, 
può decidere di fare una << dichiarazione pubblica >>. 
   Successivamente sono stati adottati due Protocolli alla Convenzione, 
aperti alla firma il 4 novembre 1993, ed entrati in vigore entrambi il 1° 
marzo 2003: il primo dispone circa la posizione degli Stati non 
membri del Consiglio d'Europa, invitandoli ad aderire alla 
Convenzione. Il secondo, invece, disciplina alcune modifiche di 
carattere tecnico, concernenti la composizione del Comitato Europeo 
per la Prevenzione della Tortura (CPT). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 12
1. LA PREVENZIONE DELLA TORTURA E DEI 
TRATTAMENTI INUMANI E DEGRADANTI NEL DIRITTO 
INTERNAZIONALE 
 
 
1.1.   L’EVOLUZIONE DELL’INTERDIZIONE DELLA TORTURA 
NEL  DIRITTO INTERNAZIONALE
          
 
1.1.1. La tortura nei Trattati sui diritti dell’uomo 
 
Il desiderio di consolidare i diritti umani ed il principio di legalità fu 
espresso, inizialmente, nella Carta delle Nazioni Unite che entrò in 
vigore il 24 ottobre 1945. Durante la Conferenza di San Francisco, 
nella quale si discusse la bozza della Carta, fu fatta la proposta 
d’inserire, già nella prima stesura, una dichiarazione contenente un 
catalogo dei diritti umani
1
, proposta che, però, non fu messa in atto. 
Comunque, al Consiglio Economico  e Sociale, uno degli organi più 
importanti delle Nazioni Unite, fu attribuita la funzione di poter fare 
raccomandazioni al fine di promuovere il rispetto e l’osservanza dei 
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti. Questa 
                                                 
1
 N. Robinson, The Universal Declaration of Human Rights: its origin, significance, application, and interpretation, 
New York, 1958. 
 13
codificazione fu inserita in una dichiarazione, che sarebbe poi 
diventata universale, contenente un catalogo dei diritti umani. Il 
secondo passo fu l’accettazione, seguente la dichiarazione, dei trattati 
riguardanti i diritti umani, che diventarono tutti vincolanti. Il terzo 
passo fu l’approvazione di un sistema di protezione dei diritti umani 
secondo un metodo di sorveglianza, garanzia e sanzioni internazionali.  
   Seguendo i lavori preparatori delle Nazioni Unite, l’Assemblea 
Generale adottò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 
10 Dicembre 1948
2
. Questa Dichiarazione avrebbe in seguito provato 
di essere una dei migliori testi d’ispirazione per la successiva 
codificazione dei diritti umani, in quanto essa risulta essere il primo 
catalogo di principi universalmente riconosciuti. In questo senso, la 
Dichiarazione universale del 1948 implicitamente ammette, per la 
prima volta, l’esistenza di una comunità internazionale ed universale
3
.  
   Attraverso la Dichiarazione, si è gradualmente definita, nella 
comunità internazionale, la realtà della protezione della persona non 
come orientamento o auspicio, ma come riferimento centrale, di 
stimolo e d’ispirazione del diritto internazionale. Infatti l’enunciazione 
di apertura del Preambolo della Dichiarazione Universale sostiene: << 
il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia 
umana, e dei loro diritti inalienabili, costituisce il fondamento delle 
                                                 
2
 A/Res/217 A (III), 10 dicembre 1948. 
3
 C. Ingelse, The UN Committee against Torture: An Assessment, Maastricht, 2001, p. 49. 
 14
libertà, della giustizia, della pace >>. L’immagine offerta è quella di 
una nuova considerazione e collocazione della persona nell’ambito del 
diritto internazionale, che necessariamente si riflette all’interno della 
famiglia umana universale. Nuovi rapporti quindi nella stessa 
comunità internazionale: è la persona, la sua dignità, i suoi diritti che 
vengono considerati da un atto internazionale rilevante qual è la 
Dichiarazione Universale, e quindi diviene oggetto di attenzione da 
parte di disposizioni dello stesso ordinamento internazionale, fino ad 
allora poco incline ad ammettere la persona come vero “protagonista”.  
   Un ulteriore fenomeno, quello della protezione regionale, ha potuto 
evidenziare la caratteristica che la protezione su scala internazionale 
dei diritti fondamentali ha acquistato a partire dalla Dichiarazione 
Universale. Inoltre va tenuto presente che tale tutela è stata 
predisposta anche mediante l’istituzione di appositi meccanismi la cui 
natura è realmente configurabile come giurisdizionale, soprattutto se 
si pensa alla Commissione e alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, 
organi che danno la possibilità alla singola persona di chiamare in 
causa lo Stato sottoponendo a giudizio il suo operato, nonostante non 
sia ancora possibile un’assoluta ingerenza internazionale negli affari 
interni dello Stato.  
   In seguito, i diritti fondamentali enunciati nella Dichiarazione hanno 
assunto anche un’importanza politica rimarcata soprattutto nelle 
 15
riflessioni e conclusioni della Conferenza sui Diritti Umani convocata 
dall’ONU a Teheran (Iran) dal 22 aprile al 13 maggio del 1968, nella 
quale i rappresentanti di tutto il mondo hanno discusso il problema dei 
diritti umani, attribuendo un carattere vincolante alla Dichiarazione 
Universale
4
. Come risultato di questi sviluppi, gli Stati e le 
organizzazioni internazionali possono fermare altri Stati colpevoli, 
nell’amministrazione degli affari interni, di non rispettare lo status dei 
diritti e delle norme. Questo viene applicato in particolare al modo in 
cui gli Stati trattano i propri cittadini.  
   Una delle materie, per il rispetto della quale gli Stati non possono 
solo fare affidamento sulla giurisdizione interna, è sottolineata 
nell’articolo 5 della Dichiarazione Universale  dei diritti umani: << 
Nessuno potrà essere soggetto a tortura o a trattamenti o a punizioni 
crudeli, inumane e degradanti >>. Quest’articolo rappresenta il primo 
esempio di codificazione dell’interdizione internazionale della tortura. 
Esso rappresenta, inoltre, le fondamenta della legislazione 
internazionale circa il rifiuto della tortura o dei trattamenti e punizioni 
inumane e degradanti.  
   Sono state poi approvate  una serie di dichiarazioni e trattati diretti 
in modo specifico contro la tortura e i trattamenti inumani o 
degradanti, i quali sanciscono il carattere assoluto del divieto di 
                                                 
4
 V. Buonuomo, I diritti umani nelle relazioni internazionali: la normativa e la prassi delle Nazioni Unite, 2001, pp. 
15-16.