4 
 
          Introduzione 
 
I principali obiettivi di questo lavoro sono distinti ma 
strettamente connessi. Il primo è quello di tentare di tracciare un 
quadro dello sviluppo e dell’espansione della Banca Commerciale 
Italiana nell’Europa Balcanica e Danubiana tra le due guerre 
mondiali. Il secondo obiettivo è quello di tentar di indagare sul 
rapporto tra l’espansione della Commerciale e le coeve mosse 
diplomatiche mussoliniane atte a creare uno spazio d’influenza 
italiana nei medesimi territori. Entrambi i processi, uno di natura 
privata, l’altro di natura pubblica, pur essendo in embrione già dai 
primi anni del XX secolo, ebbero concreta affermazione grazie alle 
conseguenze del primo conflitto mondiale. L’espansione della 
Commerciale fu parte del più ampio processo di sviluppo e 
d’internazionalizzazione del capitalismo italiano iniziato con il 
decollo industriale giolittiano e bruscamente accelerato 
nell’immediato dopoguerra. La “Drang nach osten” (Spinta verso est) 
italiana ebbe principio anch’essa nei primi anni del secolo e, dopo la 
guerra, divenne uno dei cardini della politica di potenza messa in 
campo dal fascismo. La vittoria nel primo conflitto mondiale permise 
dunque all’Italia, potenza industriale in ascesa, di concentrare le 
proprie attenzioni su un’area d’influenza che fino a quel momento era 
stata appannaggio del mondo germanico, austriaco o tedesco che 
fosse. L’ascesa del movimento fascista al potere fuse e ricombinò tali 
aspetti politici ed economici e ne restituì un quadro nuovo e inedito. 
Lo studio di questo quadro - il rapporto tra politica estera di potenza 
mussoliniana nei Balcani e l’espansione dei gruppi privati nei 
medesimi territori – è il fine ultimo di questo lavoro.  
Se in quest’analisi il motore primo degli eventi che vanno dal 
1919 al 1929 è stato individuato nelle conseguenze del primo conflitto 
mondiale, per gli anni Trenta tale motore è individuato nella crisi
5 
 
economica del 1929. Si ripropone, anche in questo caso, quella 
complessa relazione tra sfera pubblica e privata che rappresenta una 
costante nella storia economica italiana e che, dopo il 1931 e la nascita 
dello Stato imprenditore, troverà una più esplicita ricomposizione. Un 
ulteriore campo d’analisi è dunque fornito dallo studio dei rapporti tra 
Stato, holding pubblica e banca privata negli anni Trenta. Si è tentato 
in questo caso di comprendere il rapporto tra la strategia egemonica 
che l’Italia tentò di stabilire nell’area del Danubio – di cui il “Sistema 
Brocchi” fu l’espressione più evidente – e il nuovo ruolo della Banca 
Commerciale. Questa era divenuta nel 1936, con l’avvio della politica 
autarchica e la riforma bancaria, “Banca di interesse nazionale”; 
posseduta dall’Istituto per la ricostruzione industriale ma gestita con 
criteri e stili manageriali di carattere privatistico. 
L’analisi del rapporto tra Stato Italiano e imprese italiane è solo 
uno dei nodi di una triplice relazione di forza che si è tentato di tener 
presente nella stesura dei capitoli. Difatti, a mio avviso, per tentare 
una comprensione il più possibile completa dell’espansione italiana 
verso est è necessario affiancare alla dinamica di un rapporto di natura 
endogena, come quello tra Stato italiano e imprese, l’analisi di 
ulteriori nodi, di natura esogena, quali i rapporti tra gli Stati successori 
e il resto d’Europa e i rapporti tra Italia ed altre le potenze europee. 
Pertanto i primi tre capitoli hanno la funzione di restituire un quadro il 
più possibile completo dei più significativi aspetti della storia europea 
del periodo interbellico. Questo ha permesso di avere uno sguardo 
comparativo di riferimento continentale, che ha messo in luce 
peculiarità e le analogie del caso italiano. Il primo capitolo si 
concentra sulle vicende politiche ed economiche focalizzandosi sulle 
conseguenze del primo conflitto mondiale e dei successivi trattati di 
pace e quindi sugli esiti della crisi del 1929. Il secondo capitolo è 
incentrato sulla dinamica del commercio intereuropeo tra le due 
guerre; anch’essa, come si vedrà, risponde a molteplici fattori di
6 
 
natura pubblica e privata e marca una profonda discontinuità tra gli 
anni Venti e gli anni Trenta. Il terzo capitolo, infine, ha lo scopo di 
delineare in maniera quanto più possibile esauriente le condizioni 
economiche degli stati balcanici e danubiani nel periodo in esame. 
Il quarto e il quinto capitolo sono dedicati alle vicende italiane. 
Rispondendo alla logica espressa in precedenza, compito del quarto 
sarà narrare in parallelo – tentando di intrecciarli – alcuni nodi chiave 
della storia economica e della politica estera italiana negli anni tra il 
1919 e il 1939. Il quinto e ultimo capitolo ha come finalità quella di 
illustrare l’espansione della Banca Commerciale Italiana nei Balcani. 
Dopo una prima parte dedicata all’espansione delle imprese italiane 
nell’area, il capitolo si concentra sull’attività intrapresa dal gruppo 
Comit in Bulgaria, Romania e Ungheria. Per la stesura del quinto 
capitolo mi sono avvalso della documentazione inedita consultata 
presso l’Archivio Storico della Banca Commerciale Italiana (Milano) 
e presso l’Archivio Storico dell’IRI. La consultazione di fonti originali 
ha permesso di costruire un quadro dettagliato del ruolo della Comit in 
Europa orientale, mettendo in luce importanti aspetti del 
funzionamento di un istituto di credito di caratura internazionale.
7 
 
1. L’Europa negli anni Venti e Trenta 
 
 
La frattura del primo conflitto mondiale fu così profonda da 
segnare in maniera indelebile tutto il ventennio di storia successiva. 
Partendo da assunto, in questo capitolo si è tentato è di ricostruire i 
principali aspetti degli anni tra le due guerre. Si è cercato il più 
possibile di narrare gli eventi in maniera cronologica, facendo però, 
dove possibile, dei salti temporali per raccogliere la trattazione in 
modo tematico. Si è accennato inoltre ai temi che saranno affrontati in 
maniera approfondita nei capitoli successivi.  
La prima parte del capitolo è dedicata alle implicazioni 
geopolitiche del trattato di Versailles, mentre la seconda sezione tratta 
della nascita e dello sviluppo dei regimi autoritari e dittatoriali nei 
primi anni Venti. La terza parte è dedicata alla storia economica e 
finanziaria degli anni Venti e la quarta descrive le implicazioni della 
crisi del 1929 in Europa.  
 
1.1 Le conseguenze della pace 
 
Terminata la guerra nell’ottobre del 1918, nel gennaio del 1919 
si aprirono i lavori della Conferenza di Pace di Parigi, che si 
protrassero per più di un anno. I trattati che ne seguirono, firmati in 
vari castelli nei dintorni della città
1
, ridisegnarono dal principio la 
cartina d’Europa. Ai tavoli della pace, i delegati delle nazioni 
vincitrici tentarono di costruire un nuovo sistema internazionale, il cui 
scopo principale sarebbe stato evitare il ripetersi della sciagura che 
                                              
1
 Il trattato di Versailles sancì tecnicamente solo la pace con la Germania; la pace con l’Austria fu 
firmata a Saint-Germain, con L’Ungheria nel salone del Trianon, con la Turchia a Sèvres e a Neuilly 
con la Bulgaria. Per comodità si userà la dicitura Versailles per indicare l’insieme dei trattati. 
I trattati solo liberamente disponibili in lingua inglese presso il sito: 
http://en.wikisource.org/wiki/Category:World_War_I_treaties
8 
 
aveva attraversato il continente e il mondo nei cinque anni precedenti. 
Poiché la Germania fu considerata responsabile della guerra, i 
principali nodi da sciogliere riguardarono proprio il suo ruolo nella 
nuova Europa. 
In primo luogo, alla Germania fu imposto un 
ridimensionamento territoriale: l’Alsazia e la Lorena tornarono alla 
Francia
2
, diversi villaggi di confine passarono al Belgio e lo 
Schleswig del nord fu incorporato dalla Danimarca. Inoltre, con la 
creazione del “corridoio polacco”, la Prussia orientale fu divisa della 
Germania. Il timore di nuove possibili invasioni spinse inoltre i 
vincitori a stabilire restrizioni alla potenza militare tedesca. L’esercito 
non avrebbe dovuto superare i centomila effettivi e non sarebbe potuto 
esser equipaggiato con armamenti pesanti. L’articolo 231 del trattato 
di Versailles
3
 costrinse inoltre la Germania ad accettare la piena 
responsabilità dell’inizio delle ostilità e, a titolo di risarcimento, i 
vincitori gli imposero il pagamento in trent’anni di 32 miliardi di 
dollari, equivalenti a circa 133 miliardi di marchi d’oro
4
. 
 La portata di tali pretese e le loro possibili conseguenze furono 
profeticamente colte da diversi osservatori. Il Generale francese 
Ferdinand Foch, capo delle forze armate alleate durante la guerra, 
sembra abbia commentato il trattato con la frase “Non è pace. È un 
armistizio di vent'anni”
5
. L’economista inglese John Maynard Keynes, 
delegato alla conferenza per il Ministero del Tesoro britannico, espose 
in due saggi usciti nel 1919 e nel 1922 - The economic consequences 
                                              
2
 L’Alsazia e la Lorena erano state annesse all’Impero tedesco dopo la guerra Franco-Prussiana del 
1870-1871. 
3
 L’articolo 231 del trattato di Versailles recita: “Gli Alleati e i Governi Associati affermano, e la 
Germania accetta, la responsabilità della Germania e dei suoi alleati per aver causato tutte le perdite 
ed i danni che gli Alleati ed i Governi Associati e i loro cittadini hanno subito come conseguenza 
della guerra loro imposta dall'aggressione della Germania e dei suoi alleati”. Anche l’articolo 177 del 
trattato di Saint-German e l’articolo 161 del trattato del Trainon contenevano l’assunzione di 
responsabilità da parte rispettivamente di Austria e Ungheria. 
4
 L’articolo 233 del Trattato di Versailles stabilì che cifra esatta della riparazioni sarebbe stata 
stabilita nel 1921 dall’organismo interalleato denominato Commissione per le riparazioni di guerra.  
Si tornerà sul ruolo della Commissione nel Cap.5. 
5
 Citato in I. T. Berend, Storia economica dell’Europa del XX sec., Bruno Mondadori, Milano, 2008, 
p. 60.
9 
 
of peace e A revision of the Treaty - le critiche alle decisioni emerse a 
Versailles. Per Keynes il trattato “cartaginese” imposto alla Germania 
sarebbe potuto divenire un problema per tutta l’Europa poiché la 
prosperità del continente è essenzialmente legata alla capacità delle 
nazioni di costruire un mercato integrato, equo ed efficace. Senza la 
Germania, prostrata dalle condizioni impostole, tale mercato non 
sarebbe mai potuto nascere, ponendo sin dal principio del presunto 
nuovo ordine, forti elementi di instabilità
6
. Quasi a conferma delle 
intuizioni di Keynes, viste le difficoltà tedesche nell’adempire gli 
obblighi delle riparazioni, nel gennaio del 1923 gli eserciti francesi e 
belgi occuparono il bacino industriale e minerario della Ruhr e presero 
il controllo delle attività produttive della regione. Quanto all’Europa 
orientale, la caduta dell’Impero Austro-ungarico e dell’Impero 
Ottomano aveva lasciato un enorme vuoto di potere che fu colmato 
con la costituzione di nuovi stati, comunemente definiti “stati 
successori”. Per riconfigurare politicamente l’area, a Versailles si 
tenne conto di due elementi principali. Il primo riguardò la creazione 
di una serie di piccoli stati cuscinetto per evitare, a est, il contatto tra 
la Germania e la Russia sovietica. Il secondo elemento preso in 
considerazione per la costruzione dei nuovi Stati nazionali fu di natura 
etno-linguistica. I nuovi stati sarebbero stati creati seguendo il 
principio di autodeterminazione dei popoli espresso dal Presidente 
americano Woodrow Wilson nel discorso dei 14 punti
7
. In tal modo si 
ensò di garantire un certo grado di uniformità culturale nelle nuove 
entità statuali e scongiurare la presenza di minoranze troppo deboli. 
Tuttavia il principio di autodeterminazione fu applicato in modo 
arbitrario e discontinuo e i vincitori imposero i nuovi stati - o 
                                              
6
 J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, Milano, 2007. 
7
 In particolare nei punti dal 9° al 13°, riguardanti i confini italiani, la condizione degli stati balcanici 
e la nascita delle repubblica turca e polacca. 
 Il discorso di Wilson è integralmente disponibile in lingua inglese all’indirizzo: 
http://www.presidency.ucsb.edu/woodrow_wilson
10 
 
modifiche territoriali a quelli già esistenti – spesso secondo logiche di 
realpolitik
8
. 
Seguendo i principi indicati, i territori dell’Impero Asburgico furono 
smembrati e furono create la Repubblica Austriaca, di nazionalità 
tedesca, e il Regno d’Ungheria, a maggioranza magiara.  La Romania, 
alleata dell’Intesa, fu ampliata con l’annessione della Transilvania, 
prima ungherese, e della Bessarabia, scorporata dalla Russia. Fu creata 
ex novo la 
Cecoslovacchia, 
unificando il cuore 
industriale asburgico, la 
Boemia, con la 
Slovacchia e la 
Reutenia, appartenuti 
all’Ungheria. I territori a 
maggioranza slava 
dell’Impero asburgico 
furono unificati al regno 
dei Serbi e si fusero in 
unico stato denominato 
Regno dei Serbi, dei 
Croati e degli Sloveni (dal 1929 regno di Jugoslavia). La Bulgaria, 
scesa in guerra al fianco degli imperi centrali, perse alcune province 
meridionali, incorporate dalla Grecia. Nei territori occidentali 
dell’Impero Russo
9
 nacquero la Finlandia, le tre repubbliche baltiche 
                                              
8
 Ad esempio, nell’idea di applicare a pieno il diritto di autodeterminazione furono indetti dei 
plebisciti in Alta Slesia, Prussia Orientale, nello Schleswig, nella Carinzia meridionale e a Sopron, 
con esiti spesso contestati e fonte di successive tensioni internazionali. Altri territori, come quasi tutta 
la Posnania e la Prussia Occidentale, il territorio di Memel e l'Alsazia-Lorena furono invece staccati 
dalla Germania senza interpellare le rispettive popolazioni, spesso maggioritariamente di lingua 
tedesca. I Sudeti passarono alla Cecoslovacchia insieme alla maggioranza ungherese del sud della 
Slovacchia e l'Alto Adige passò all'Italia pur essendo a maggioranza tedesca. La parte interna 
dell'Istria passò all'Italia nonostante vi fosse una maggioranza slava. Esemplificativo anche il caso 
rumeno: la Transilvania, pur contando su una consistente minoranza ungherese, quasi due milioni di 
persone, passò alla Romania. 
9
 La Russia uscì dalla Grande Guerra nel gennaio del 1918 firmando una pace separata con gli imperi 
centrali a Brest-Litovsk. Il trattato riconobbe sconfitta la Russia e le impose delle durissime 
FIGURA 1. LE CONSEGUENZE DELLA PACE
11 
 
Estonia, Lettonia e Lituania e la Polonia riottenne l’indipendenza dopo 
più di cento anni. Il nuovo stato polacco fu ampliato inoltre grazie 
all’annessione dell’Alta Slesia e della Galizia. Solo con il trattato di 
Losanna del 1923, furono determinati i confini della Repubblica 
Turca, nata sulle ceneri dell’Impero Ottomano
10
. I territori medio-
orientali ottomani e le colonie tedesche furono trasformati in 
“mandati” sotto l’egida della Società delle Nazioni
11
. A guida 
soprattutto francese e britannica, il sistema dei mandati fu creato per 
permettere una transizione pacifica dallo status di colonia 
all’indipendenza. Tuttavia, gli stati “mandatari”, che oltre alle già 
citate Inghilterra e Francia furono Belgio, Unione Sudafricana, Nuova 
Zelanda, Australia e Giappone, amministrarono i territori assegnategli 
in stile coloniale, decretando il fallimento dell’operazione societaria
12
. 
 
             1.2 L’eclissi della democrazia 
 
Ne “Le origini del totalitarismo”
13
 Hannah Arendt descrive 
come, tanto per il nazismo tedesco quanto per il comunismo sovietico, 
un elemento strutturale comune dei due regimi sia stata la capacità di 
mobilitare le masse di individui provate da congiunture economiche, 
sociali e politiche particolarmente difficili. Tali congiunture furono 
                                                                                                                   
condizioni. Oltre a dover pagare una cospicua indennità di guerra, la Russia perse i territori 
occidentali, che includevano il 32% della sua popolazione.  
10
 La Turchia firmò inizialmente il Trattato di Sevrès, che aveva previsto la cessione di parte della 
Tracia e di alcune province anatoliche alla Grecia. Con lo scoppio della guerra greco-turca (1919-
1922) e la sconfitta greca, solo nel 1923 fu possibile determinare i confini turchi. Cfr. A. Biagini, 
Storia della Turchia contemporanea, Bompiani, Milano, 2002, p.59 
11
 La creazione della SdN fu decisa per dirimere su base pacifica i potenziali conflitti e favorire la 
rinascita dalla collaborazione internazionale. Fortemente voluta da Wilson, i risultati pratici della 
Società furono piuttosto scarsi. I motivi dell’insuccesso furono numerosi ma proprio la mancata 
partecipazione americana – le spaccature all’interno del Congresso impedirono la ratifica del trattato 
di Versailles – compromise la reale capacità operativa dell’organizzazione. Rimasta una questione 
essenzialmente europea, l’organizzazione divenne un direttorio Anglo-francese, vista anche la breve 
partecipazione tedesca (1926-1931) e l’atteggiamento ostruzionista dell’Italia fascista.  
12
 Alla Nuova Zelanda, l’Australia e il Giappone furono affidate le isole del Pacifico, le Samoa 
occidentali e la Nuova Guinea. La Francia e l’Inghilterra amministrarono rispettivamente le colonie 
tedesche in Africa e le province medio-orientali ottomane. R.F. Betts, La decolonizzazione, Il Mulino, 
Bologna, 2003, pp. 20-21. 
13
 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2004.
12 
 
individuate dalla Arendt nelle conseguenze della partecipazione al 
primo conflitto mondiale, nel caso russo, e nelle conseguenze della 
crisi del 1929, nel caso tedesco. Allo stesso tempo – pur tralasciando 
in questo scritto le numerose implicazioni del saggio della Arendt - ne 
“Le origini del totalitarismo” il fascismo italiano è escluso 
dall’analisi, poiché considerato una dittatura di tipo tradizionale non 
associabile  – a causa della mediazione tra poteri diversi – all’idealtipo 
totalitario
14
. Quest’aspetto ha visto sin dal dopoguerra un acceso 
dibattito storiografico, specialmente tra gli studiosi italiani
15
. Tra essi 
il testo di Enzo Collotti “Fascismo, Fascismi”
16
 supera le categorie 
del testo arendtiano e cerca di individuare le caratteristiche comuni dei 
diversi regimi autoritari di destra nati in Europa nel periodo 
interbellico. Collotti individua il rifiuto del meccanismo parlamentare, 
l’opposizione al movimento operaio, la gerarchizzazione dello Stato e 
della società, la massificazione e la militarizzazione degli individui e 
la figura del leader carismatico, quali affinità dei regimi di destra degli 
anni Venti e Trenta che, pur nati da esperienze storiche differenti, 
inducono a considerarli come un fenomeno omogeneo su scala 
europea. I “Fascismi” di cui parla Enzo Collotti includono dunque il 
fascismo italiano, il nazismo tedesco, l’austrofascismo, il franchismo, 
il salazarismo, le “Dittature del Re” in Bulgaria, Romania e i regimi 
politici in Polonia e Ungheria. Questi movimenti nacquero, 
riprendendo in questo caso l’interpretazione di Hanna Arendt, in 
momenti di congiuntura politica, sociale ed economica 
particolarmente difficile, come il caos post-bellico e la crisi 
economica del 1929
17
. Poiché essi furono una risposta a questi ordini 
                                              
14
 La parola “Totalitarismo” fu coniata dall’intellettuale antifascista Giovanni Amendola. Usato 
inizialmente dai soli antifascisti italiani, il termine, fatto proprio dai fascisti, perse in seguito la 
connotazione denigratoria. 
15
 Per una rapida sintesi del dibattito storiografico sul tema del totalitarismo: A.M. Banti, Le questioni 
dell’età contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 261-285. 
16
 E. Collotti, Fascismo, Fascismi, Sansoni, Milano, 1989.    
17
 Per un quadro sull’ascesa dei movimenti di estrema destra. M. Mazower, Le ombre dell’Europa, 
Garzanti, Milano, 2005 pp.17-86. Nei capitoli in questione, l’autore, similmente a Collotti, tenta di
13 
 
di difficoltà, alle affinità individuate da Collotti, tutte di natura 
politico-sociale, è possibile aggiungere ulteriori affinità di natura 
economica. I regimi autoritari europei del periodo interbellico 
associarono difatti un estremo nazionalismo economico al controllo 
del commercio e delle finanze. Puntarono all’indipendenza 
economica, all’autarchia e, attraverso la nazionalizzazione o alla 
creazione ex-novo di industrie, si impegnarono per lo sviluppo di 
economie moderne
18
. Questa prassi economica è stata definita dallo 
storico Ivan T. Berend “dirigismo economico
19
” e rappresenta 
un’ulteriore affinità riscontrabile nei diversi regimi autoritari-
dittatoriali sorti in Europa tra gli anni Venti e Trenta. 
Fu il fascismo italiano il primo movimento a raggiungere il 
potere ed esso fu un modello per i regimi sorti negli anni successivi. 
Benito Mussolini raggiuse il 
potere nel 1922 dopo la mancata 
rivoluzione socialista del 
“Biennio Rosso 1919-1920”. Il 
generale António Óscar 
Carmona conquistò il potere in 
Portogallo nel 1926,  mettendo 
fine alla repubblica nata solo 4 
anni prima. Nel 1932 António de 
Oliveira Salazar relegò Carmona 
a un ruolo di secondo piano e 
divenne dittatore del Portogallo fino al 1970. In Ungheria 
l’ammiraglio Miklós Horthy si autonominò reggente e guidò il paese 
dal 1920 al 1944.  Zogu d’Albania governò dal 1922 al 1939, prima 
                                                                                                                   
analizzare l’ascesa di tali movimenti in un’ottica europea. Si rimanda inoltre a: E. J. Hobsbawn, Il 
secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 135-171. 
18
 Parte di questi principi economici furono applicati anche nei paesi tradizionalmente liberali come la 
Gran Bretagna, la Francia o gli Stati Uniti. In tutto il periodo interbellico, il “pendolo” tra Stato e 
Mercato tende a scivolare, in maniera piuttosto omogenea, dalla parte dello Stato. Nei regimi 
dittatoriali e autoritari, tuttavia, queste tendenze furono estremizzate e ideologizzate.   
19
 I. T. Berend, Storia Economica …. pp. 103-105 
FIGURA 2. REGIMI AUTORITARI IN 
EUROPA 1920-1945
14 
 
come Primo Ministro, poi come Presidente della Repubblica e infine 
come Re. I movimenti rivoluzionari del “Trienio Bolchevique 1918-
1921” sfociarono in Spagna nella dittatura di Primo de Rivera nel 
1923. Al governo militare di Primo de Rivera seguì la seconda 
repubblica spagnola (1930-1939), la cui esperienza si chiuse con la 
definitiva vittoria di Francisco Franco nella guerra civile iniziata nel 
1936. Nel 1919, in Germania, il movimento comunista rivoluzionario 
Spartakusbund guidato da Rose Luxemburg fu represso dal 
movimento paramilitare di estrema destra Freikorps, vicino al 
cancelliere Friedrich Ebert. Dieci anni più tardi, i capi dei Freikorps 
avrebbero avuto un ruolo di primo piano nelle Sturmabteilung (SA), le 
camice brune che fiancheggiarono Hitler nella sua scalata al potere 
conclusasi nel 1933
20
. L’Austro-fascismo si impose in Austria, grazie 
al movimento paramilitare delle Heimwehr, tra il 1934 e il ’38. 
Ioannis Metaxas fu il dittatore della Grecia tra il 1936 e il 1941 e Józef 
Piłsudski impose in Polonia il regime dei colonnelli dal 1926 al 1935. 
In Europa orientale, l’instabilità politica culminò con le “dittature del 
re”, monarchie solo apparentemente costituzionali dove il re accentrò 
il potere nelle sue mani imponendo un regime autoritario o semi-
dittatoriale. Il re Jugoslavo Alessandro I – di nazionalità serba - rese 
legale la dittatura del suo casato con un colpo di Stato il 6 gennaio del 
1929. In Bulgaria, nel 1935 fu re Boris III a compiere la svolta 
autoritaria. In Romania, infine, Carlo II fece approvare nel 1938 la 
nuova costituzione che consegnò il potere nelle sue mani.  
1.3 I tentativi di ritorno al gold standard 
La Grande Guerra fu la prima guerra moderna industriale, nella 
quale, oltre agli scontri sui campi di battaglia del fronte esterno, 
primaria importanza rivestirono le unità produttive del fronte interno, 
                                              
20
 Cfr. E. Collotti, Hitler e il nazismo, Giunti, Firenze, 1994, pp. 10-28. Per il rapporto tra Freikorps, 
Sa e Hitler; E. von Salomon, I Proscritti, Baldini Castoldi, Milano, 2008.
15 
 
gestite con la massiccia presenza dallo Stato. Il mutamento del ruolo 
dello Stato e la nascita dell’economia di guerra furono tra i 
cambiamenti più gravidi di conseguenze nella storia economica 
europea degli anni successivi. 
 La caratteristica cruciale dell’economia di guerra fu lo 
spostamento delle risorse dai consumi alla produzione bellica e la 
conseguente riorganizzazione dell’intera vita economica
21
. La forza 
lavoro si spostò rapidamente e forzosamente dalle normali operazioni 
di pace alla trincea e alla catena di montaggio. Contemporaneamente, 
lo Stato finanziò lo sforzo bellico e industriale stampando carta 
moneta e ricorrendo a prestiti da parte delle nazioni alleate. La stampa 
di carta moneta alimentò l’inflazione - la circolazione monetaria 
aumentò in Germania e in Inghilterra di 11 volte e in Francia e in 
Italia di 5 volte – che i Governo tentarono di contenere attraverso il 
controllo forzoso dei prezzi.  Il coinvolgimento diretto dello Stato 
nella gestione della vita economica per sostenere lo sforzo bellico fece 
esplodere la spesa pubblica, che raggiunse livelli solo pochi anni 
prima impensabili. Nel 1917 il 53% del Pil tedesco fu destinato alle 
spese militari
22
 mentre, durante il conflitto, in Inghilterra il debito 
pubblico salì del 300% rispetto al livello pre-1914
23
. In ogni modo, in 
tutti i paesi belligeranti il debito pubblico aumentò vertiginosamente
24
. 
Accantonata la normale vita economica di pace, in poco più di un 
anno dall’inizio delle ostilità, gli Stati impegnati nel conflitto 
divennero i proprietari, i gestori e i committenti della forza produttiva 
interna. Il Ministero del Munizionamento britannico, istituito nel 1915 
e guidato da Lloyd George, amministrò direttamente 250 fabbriche, 
                                              
21
 C. H. Feinsten, P. Temin, G. Toniolo, L’economia europea tra le due guerre, Laterza, Roma-Bari, 
2004, p. 20. 
22
 Ibidem 
23
 I. T. Berend, Storia Economica...., p. 54 
24
 In Francia il debito pubblico passò da 33.5 miliardi di franchi nel 1914 a 216 miliardi nel 1919. In 
Germania da 5 miliardi di marchi a 156. In Italia da 15 miliardi di lire a 94. Negli Stati Uniti passò da 1 
miliardo di dollari nel 1914 a 25 nel 1919. Il Gran Bretagna passò da 650 miliardi di sterline a 7400 
miliardi. S. Pollard, La conquista pacifica :L'industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, Il Mulino, 
Bologna, 1984, pp. 433-434
16 
 
impose ai produttori di carbone prezzi controllati e nel 1918 la totalità 
dei macelli e del commercio all’ingrosso passò sotto il suo controllo. 
In Germania la gestione dell’economia di guerra fu particolarmente 
complessa e accurata e si configurò come un nuovo modello 
economico
25
. Con la creazione nel 1914 del  Kriegsrohstoffabteilung 
(in sigla KRA, in italiano Ufficio per l'approvvigionamento delle 
materie prime di guerra) guidato da Walther Rathenau, l’economia 
tedesca fu militarizzata  e l’attività delle industrie produttrici di beni di 
consumo civili limitata, allo scopo di dirottare la forza lavoro verso 
settori strategici. Il KRA fu uno dei primi esempi di organizzazione su 
vasta scala dell’economia di un paese industrializzato e fu, inoltre, per 
Lenin e gli economisti sovietici il modello per i successivi esperimenti 
di socializzazione e organizzazione della vita economica
26
. In Italia, il 
Mistero delle Armi e Munizioni creò nel 1915 il Comitato per la 
Mobilitazione Industriale che nel 1918 gestì direttamente quasi 
duemila stabilimenti industriali e occupò 600.000 persone
27
. Grazie 
alle commesse statali, le industrie direttamente coinvolte ottennero 
profitti elevatissimi; l’economia di guerra favorì, inoltre, la 
concentrazione e la creazione di grandi gruppi industriali nel settore 
siderurgico, navale e meccanico. Anche in virtù dei suoi contatti con il 
mondo della politica, la FIAT di Giovanni Agnelli divenne, alla fine 
della guerra, la terza azienda d’Italia, passando da 4.000 e 10.000 
occupati proprio negli anni del conflitto
28
. L’Ansaldo, dai 6.000 operai 
anteguerra, arrivò a 56.000 occupati, più altri 50.000 nelle aziende 
affiliate
29
. Alla fine della guerra il 30-40% del Pil dei paesi 
belligeranti fu, in diverso modo, controllato allo Stato. Il ritorno 
all’economia di pace fu un processo che segnò tutta la prima parte 
degli anni Venti. 
                                              
25
 I. T. Berend, Storia Economica...., p. 55. 
26
 Cfr. H. Kessler, Walther Rathenau, Mulino, Bologna 1995. 
27
 V. Zamagni, Lo stato italiano e l'economia, Le Monnier, Firenze, 1981, p. 25.                 
28
 I. T. Berend, Storia Economica…, p. 32. 
29
 V. Zamagni, Lo stato italiano... p. 25.
17 
 
L’istruzione sulla quale si era basata l’economia europea nel 
XIX secolo e nel primo decennio del XX era stata il gold exchange 
standard. Mantenendo un regime di cambi fisso grazie alla parità 
oro/sterlina, il gold standard era stato il fulcro del commercio e 
dell’organizzazione internazionale e aveva esteso il mercato interno di 
ciascuna nazione  al campo internazionale
30
. Lo scoppio della Grande 
Guerra aveva, tuttavia, comportato l’abbandono del regime della 
parità aurea, determinando un crollo vertiginoso degli scambi 
commerciali internazionali. Solo le nazioni dell’Intesa erano riuscite, 
grazie a prestiti interalleati concessi soprattutto da Inghilterra e Stati 
Uniti, a sostenere le importazioni e le esportazioni in modo da 
consentire il massimo sforzo possibile alla causa comune. Il credito 
totale che gli Stati Uniti versarono agli Alleati fu nell’ordine di 12 
miliardi di dollari. La Gran Bretagna prestò somme simili e la Francia, 
principale beneficiaria dei prestiti, prestò a sua volta 15 miliardi di 
franchi, pari a 3 miliardi di dollari. Italia, Belgio e Russia furono i 
maggiori debitori. In totale i prestiti interalleati ammontarono a 26 
miliardi di dollari
31
. Con la fine del conflitto tuttavia, i prestiti 
interalleati furono accantonati, il governo delle economie e delle 
monete europee cadde in balia delle difficoltà dell’immediato 
dopoguerra. Nelle nazioni sconfitte, inoltre, tale quadro fu aggravato 
dal sommarsi di crisi politiche ed economiche, che determinarono 
livelli d’inflazione incontrollabili. Nel 1920 il marco tedesco aveva 
già perso il 93% del valore rispetto alla quotazione del 1914, il franco 
francese il 36% e la sterlina britannica circa il 25%
32
. Con la fine della 
guerra, la restaurazione della base aurea e il ripristino degli scambi 
internazionali divennero pertanto il dogma internazionale e, con 
l’Inghilterra a guidare tale tentativo, la prima parte degli anni Venti fu 
                                              
30
 K. Polany, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974, pp. 5-15 
31
 S. Pollard, La conquista pacifica, pp. 433-434 
32
 C. H. Feinstein et alt., L’economia europea…, p. 37