6
capire il suo pensiero, ma nelle riforme
3
. Il proposito enunciato nella 
sua prima Enciclica “E Supremi Apostolatus”, di “Instaurare omnia in 
Christo”, destinato a divenire il programma del pontificato, era frutto 
di una genuina e profonda ispirazione religiosa, ma scaturiva da una 
semplificazione della dialettica sociale e delle forze spirituali nelle 
quali già allora molti non si riconoscevano più. Nello schema mentale 
di Pio X c’era un profondo sentimento di chiusura verso la modernità 
vista esclusivamente come errore e apostasia. La cultura intransigente 
e di scontro che aveva appreso nel seminario di Padova non venne mai 
meno durante il pontificato ma anzi, trovò nuovi argomenti a propria 
giustificazione. Eppure egli non era soltanto l’uomo della chiusura, 
perché la restaurazione in Cristo esigeva una profonda azione 
riformatrice. 
Sul terreno della questione romana il pontificato di Pio X segnò 
un mutamento sostanziale di rotta, benché un papa, come ricordava 
Jemolo, non potesse annullare bruscamente le disposizioni del 
predecessore
4
. Formalmente, infatti, il divieto per i cattolici di andare 
alle urne nelle elezioni politiche continuò per tutto il pontificato di 
papa Sarto; ma quel divieto subì con le elezioni del 1904, e con quelle 
                                                           
3
 M. Falconi, I Papi del 20° secolo, Firenze 1966 
4
 A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione ai giorni nostri, Torino 1955 
  
 
7
successive, delle attenuazioni progressive, e l’inosservanza di esso, 
anche là dove disposizioni particolari non sancivano la deroga, fu 
circondata da una maggiore indulgenza. 
Così, dopo il duello serrato tra Pontificato e Stato liberale, si 
realizzò il riavvicinamento fra Roma vaticana e Roma italiana: le due 
“Rome” pur continuando ufficialmente ad ignorarsi, una volta 
abbandonati gli antichi rancori, scoprirono di aver obiettivi comuni da 
raggiungere. Alla lunga battaglia portata avanti dalle milizie 
dell’intransigentismo cattolico, seguì l’ora del ripiegamento e della 
meditazione: nel giro di breve tempo si assistette così alla chiusura 
dell’Opera dei Congressi, principale organo dell’intransigentismo 
cattolico, alla nascita di una diversa e diversamente articolata Azione 
cattolica, alla discesa nell’arena politica delle prime falangi cattoliche, 
resa possibile dall’attenuazione del “non expedit”. Tutto questo si 
dovette in buona parte alla politica accorta di Giovanni Giolitti che, a 
differenza dei suoi predecessori, evitò di urtare la Chiesa con accenti 
anticlericali. La sua politica nei riguardi della Chiesa, obbediva ad una 
logica rigorosa: evitare “le punture a spillo” che avevano 
caratterizzato tutta una stagione della politica italiana; non tollerare 
  
 
8
nessuno sconfinamento della sfera religiosa in quella politica, e 
comporre i dissidi, dove era possibile  
Il senso della politica giolittiana verso la Chiesa rimase questo: 
l’invito a separare le due sfere, ad “allargare le rive del Tevere”, ad 
evitare ogni commistione, o contaminazione, fra potere civile e potere 
ecclesiastico. Con l’età giolittiana la data del 20 Settembre 1870, così 
carica di significati per il destino dell’Italia, entrava in una nuova 
dimensione, perdeva molte delle asprezze e delle intolleranze del 
recente passato
5
. La sopravvivenza, per oltre un trentennio, del papato 
nella capitale italiana costituiva ormai un dato acquisito alla storia. 
Così la politica giolittiana e la politica religiosa di Pio X, libera dalle 
preoccupazioni temporalistiche, contribuirono a svelenire quel giorno, 
a farlo accettare pacificamente dalla nazione. 
Nella storia della Chiesa Pio X resta come il papa 
“dell’antimodernismo”. La diversa tipologia del modernismo 
esprimeva le molte esigenze spirituali, che postulavano al tempo 
stesso l’abbandono dell’attaccamento alla tradizione e dell’obbedienza 
incondizionata alla Santa Sede, partendo dalla fiducia nella scienza 
contemporanea e dalla certezza dei risultati che questa aveva 
                                                           
5
 G. Spadolini, Giolitti e i cattolici, Firenze 1966 
  
 
9
raggiunto
6
. Il modernismo fu indice chiaro di quanto vi era di mutato 
nello stato d’animo della classe politica italiana di fronte ai problemi 
che concernevano la Chiesa
7
. La reazione di Pio X fu netta in tutti i 
campi, tanto che per i modernisti ci furono solo due possibilità: o 
sottomettersi o uscire dalla Chiesa. La condanna del papa verso questo 
movimento è stata considerata da molti, successivamente, un errore 
ma certamente impedì la formazione di un movimento organico di 
ribelli
8
. 
Di fronte ad un mondo dove i partiti socialisti erano in continuo 
progresso, dove l’ideologia umanitaria dilagava incontrastata, Pio X 
osò affermare i diritti della proprietà nella loro interezza, ripetere che 
il povero poteva aspirare alla carità del ricco e protestare per ottenere 
la soddisfazione dei suoi bisogni ma rispettando le leggi. Egli pose 
come principio, in ogni ambito, l’autorità religiosa, perché la Chiesa 
doveva insegnare non solo ciò in cui credere ma anche ciò che 
bisognava fare. Pio X voleva una Chiesa presente nelle lotte politiche 
in difesa dei valori cattolici e delle organizzazioni cattoliche 
dipendenti direttamente dall’autorità ecclesiastica
9
. Poche furono le 
                                                           
6
 P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico, Bologna 1961 
7
 A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione ai giorni nostri, Torino 1955 
8
 A. Sala, L’Enciclica Pascendi e i suoi insegnamenti, Milano 1909 
9
 D. Secco Suardo, Da Leone XIII a Pio X, Roma 1967 
  
 
10
ribellioni a queste imposizioni pontificie e quasi tutte provenienti dal 
clero che si trovò a dover fare scelte drastiche, perché per un sacerdote 
non ci poteva essere una via di mezzo tra la sottomissione o la rivolta.  
Il periodo analizzato in questo lavoro prende in considerazione 
i primi anni di Pontificato di Pio X, dal momento della sua elezione 
fino alla condanna del modernismo, ponendo particolare attenzione ai 
rapporti che si instaurarono tra lo Stato liberale italiano e la Santa 
Sede durante le elezioni del 1904. Un’analisi, questa, affrontata con 
l’ausilio delle numerose fonti bibliografiche ma soprattutto con 
l’esame degli articoli della rivista “Civiltà Cattolica” e dell’organo 
ufficiale del Vaticano, “l’Osservatore Romano”. Documenti 
importanti che definiscono i termini e i caratteri della politica 
ecclesiastica e che introducono ad una migliore comprensione di 
questo periodo in cui l’Italia seppe realizzare un equilibrio fra 
coscienza religiosa e coscienza politica, senza teorizzarlo o tradurlo in 
formule definitive, senza impegnare il futuro e senza compromettere 
nessuna delle conquiste del passato. 
  
 
11
CAPITOLO I° 
 
LA QUESTIONE ROMANA E LA STAMPA 
CATTOLICA 
 
1.Dopo la Breccia di Porta Pia  
 
All’indomani della breccia di Porta Pia la situazione del Papa e 
dei cattolici era oltremodo delicata, poiché sia il Papa che la maggior 
parte del mondo cattolico continuarono a rivendicare i territori perduti 
ritenendo il potere temporale indispensabile per il libero esercizio del 
potere spirituale.  
Pio IX, non avendo accettato una pacifica trattativa con lo Stato 
Italiano, aprì una nuova fase della questione romana. Quello che 
bisognava definire erano i rapporti fra uno Stato che aveva posto fine 
al potere dei papi, contro la volontà del pontefice, e una Chiesa il cui 
capo non riconosceva la legittimità di quello Stato e ne scomunicava il 
re e i suoi governanti. 
L’atteggiamento di Pio IX era tanto più grave in quanto 
coinvolgeva quello dei cattolici sudditi italiani, cui nel 1874 dal 
  
 
12
Vaticano fu vietato, con il Non Expedit, di partecipare alla vita 
politica di uno Stato accusato di aver usurpato i diritti della Santa 
Sede
10
. Il governo italiano si trovò così nella necessità di definire 
unilateralmente i rapporti con la Chiesa, attraverso la promulgazione 
della Legge delle Guarentigie che non fu riconosciuta dal suo 
destinatario. Questa legge, che si ispirava al principio cavouriano della 
separazione dello Stato dalla Chiesa, pur essendo riconosciuta la 
religione cattolica come religione di Stato, era ispirata da un’idealità 
liberale quanto mai aperta verso la Chiesa, la cui libertà risultò 
pienamente tutelata
11
. Non accolta dalla Santa Sede, la legge delle 
Guarentigie venne applicata da parte dello Stato in modo rigoroso, 
consentendo alla Chiesa di agire, sostanzialmente, in un clima di 
libertà che le permise di mantenere alta la sua protesta, senza poter 
credibilmente atteggiarsi a perseguitata.
12
 
All’ombra dell’intransigenza pontificia si sviluppò rapidamente 
il movimento cattolico intransigente, fermo nella difesa del potere 
temporale e convinto che il nuovo Stato unitario non sarebbe durato a 
lungo. 
                                                           
10
 V. Del Giudice, La questione romana e i rapporti fra Stato e Chiesa fino alla 
conciliazione, Roma 1947 
11
 F. Della Rocca, I Papi della questione romana, Roma 1981 
12
 G. Candeloro, Movimento Cattolico in Italia, Roma 1953 
  
 
13
L’idea cavouriana della conciliazione, nonostante la violenta 
ostilità dei clericali intransigenti, fu tuttavia accolta favorevolmente da 
molti cattolici militanti, laici ed ecclesiastici, dando vita ad un 
movimento conciliatorista nel quale sfociarono tendenze cattoliche 
liberali. Contro questo movimento il Vaticano reagì con forza tenendo 
conto del clima teso che c’era tra la Chiesa e l’Italia; con il Sillabo, 
infatti, Pio IX volle condannare tutte le dottrine e le tendenze e 
soprattutto le società clerico moderate. I cattolici liberali cercarono di 
continuare nella loro attività, sostenendo che la società poteva essere 
integralmente cattolica ma anche (come quella italiana) laica e 
liberale
13
. E’ certo però che il Sillabo segnò la sconfitta del 
cattolicesimo liberale dando invece un grande impulso alla corrente 
intransigente e gesuitica. Una posizione intermedia fra questi due 
movimenti, fu quella dei cattolici moderati. Essi si distinguevano dagli 
intransigenti perché accettavano lo Stato unitario e quindi non 
approvavano l’astensionismo elettorale, ma differivano dai liberali che 
non avevano abbandonato la speranza di riforma della Chiesa. Più 
tardi, molti clerico moderati avranno una parte preminente nei vari 
tentativi di formare un partito conservatore
14
. 
                                                           
13
 F. Malgeri, Storia del movimento cattolico in Italia, Roma 1980 
14
 M. Reineri, Il movimento cattolico in Italia dall’Unità al 1948, Torino 1975 
  
 
14
2. La nascita della Civiltà Cattolica e dell’Osservatore 
Romano 
 
Non si può fare storia del movimento cattolico intransigente 
senza dare un posto di primo piano di ispirazione e di guida ai gesuiti, 
non solo per le figure di spicco come quelle di Paganuzzi, di Sandri, di 
Curci e di Taparelli d’Azeglio, ma soprattutto per il ruolo svolto dalla 
loro rivista “Civiltà Cattolica”
15
. Attraverso di essa i gesuiti si 
sforzarono di inculcare un modo di pensare comune a tutto il 
movimento cattolico intransigente, di unificarlo non solo nel 
programma e nelle prospettive di azione a favore della causa papale, 
ma anche nel senso filosofico e politico, disancorandolo dalle 
molteplicità delle tradizioni regionalistiche degli ex Stati dinastici 
decaduti, sostenendo una critica di tipo integralista contro lo Stato 
liberale e il liberalismo. 
Quella della Civiltà Cattolica fu una vita agitata, fin dal 1850, 
anno della sua nascita, e non soltanto per i continui spostamenti di 
sede. Se da un lato il linguaggio estremista e impetuoso di Curci 
irritava i legittimisti e i liberali, dall’altro il pensiero di Taparelli sulla 
                                                           
15
 S. Tramontin, L’intransigentismo cattolico e l’Opera dei Congressi, Roma 1977 
  
 
15
legge fondamentale degli Stati moderni non piaceva ai sostenitori 
dello Stato.
16
 Le polemiche più aspre Civiltà Cattolica le ebbe con la 
stampa liberale, la quale sosteneva il concetto di una Chiesa che si 
spogliava dei suoi dogmi e della sua istituzionalità storica, per ridursi 
a momento della vita e dello spirito. Pagine lucide e preveggenti si 
alternavano nella Civiltà Cattolica a pagine meno chiare, ma non si 
può negare che il problema della formazione di una coscienza 
nazionale fosse presente tra i suoi autori. Secondo la rivista, bisognava 
fare prima gli italiani e poi l’Italia, e farli secondo i principi di quella 
società pluralistica e autonomistica caldeggiata dalla filosofia 
neotomista. Così gli scrittori della Civiltà Cattolica non ammisero 
l’intervento rivoluzionario per accelerare l’unità nazionale; 
l’unificazione avrebbe dovuto essere il risultato finale, il coronamento 
di un processo di progressiva costituzionalizzazione del paese 
nell’ambito di una filosofia cattolica
17
. Date queste premesse, nella 
formazione dello Stato Unitario, per il modo con cui si realizzò, 
poteva esserci, secondo la rivista dei gesuiti, difetto di volontà. La 
questione della formazione della volontà materiale del nuovo stato fu 
connessa dalla Civiltà Cattolica con il problema elettorale: le due cose 
                                                           
16
 De Rosa, Storia del Movimento cattolico in Italia, Bari 1966 
17
 D. Secco Suardo, I cattolici intransigenti, Brescia 1962 
  
 
16
non furono mai disgiunte. Prima del 1860, la rivista aveva dedicato al 
problema elettorale cenni sporadici, notizie commentate di cronaca, da 
cui non era possibile ricavare una norma valida per i cattolici 
obbedienti al papa. Dopo la formazione del Regno d’Italia, Civiltà 
Cattolica conservò per qualche tempo ancora un atteggiamento 
possibilista, anche se, sul piano dei principi i gesuiti finirono per 
essere favorevoli all’astensione dei cattolici dalla vita politica come 
protesta contro la teoria dei fatti compiuti. Lo Stato Risorgimentale 
era stato fondato sulla forza e quindi secondo i gesuiti mancava il 
principio morale per legittimarlo. Questa considerazione non voleva 
essere un invito all’insurrezione; il disfacimento dello Stato sarebbe 
avvenuto da sé, in quanto non c’era a sostenerlo il necessario consenso 
popolare e, di conseguenza, i cattolici non avrebbero dovuto fare nulla 
per rafforzare questo stato illegittimo, neanche votare. Quindi con la 
caduta del dominio temporale dei papi e il varo della legge delle 
guarentigie, l’esile possibilismo della Civiltà Cattolica in materia 
elettorale finì. La causa dei cattolici transigenti, di quei cattolici, cioè, 
che credevano di poter conciliare i loro sentimenti religiosi e di 
devozione alla Santa Sede con l’idea di una partecipazione attiva alla 
vita pubblica, trovò da questo momento nella rivista dei gesuiti la più 
  
 
17
aspra condanna. L’astensione divenne un fatto qualificante del 
cattolicesimo militante: i cattolici che non la seguivano furono sempre 
più criticati. Per la rivista dei gesuiti, anzi, l’astensionismo fu messo in 
rapporto con l’intensità della fede: ciò che non era avvenuto mai 
prima, quando era stato tenuto distinto il convincimento politico 
elettorale dei cattolici dal loro convincimento religioso
18
. 
Lo Stato Liberale veniva criticato anche per il modo in cui 
affrontava i problemi di ordine economico senza preoccuparsi di 
difendere i diritti dei più deboli. I gesuiti ricordavano che il lavoro 
umano non poteva essere considerato un mezzo da sfruttare per utilità 
propria come un terreno. Civiltà Cattolica si occupò molto della 
questione operaia grazie al contributo di padre Liberatore, il quale 
compose l’ultima bozza dell’Enciclica Rerum Novarum. Nei suoi 
commenti, cronache e polemiche Liberatore invitava i governi ad 
operare concordemente per una legislazione in favore del mondo del 
lavoro. Il gesuita prendeva le distanze dalla ideologia capitalistica, ed 
auspicava l’intervento dello Stato in funzione di mediazione tra 
capitale e lavoro. Un’intera fetta della popolazione viveva ormai in 
condizioni vergognose, denunciava Liberatore, e concretamente 
                                                           
18
 V. M. Gasdia, La Civiltà Cattolica nei tempi presenti, Bologna 1883 
  
 
18
proponeva di rivedere la durata dell’orario di lavoro nelle fabbriche, il 
lavoro femminile e minorile, la prevenzione degli incidenti, il salario. 
Lo sciopero diveniva il solo mezzo che rimaneva all’operaio oppresso 
che non poteva avere in sua difesa alcun tribunale legittimo; era per 
questo motivo che Civiltà Cattolica, come vedremo successivamente, 
giustificava lo sciopero e criticava duramente lo Stato Liberale 
incapace di evitare la tensione.
19
 Civiltà Cattolica fu dunque, dal 1850 
sino agli inizi del nuovo secolo, l’interprete più autorevole e preparato 
delle ragioni e della protesta intransigente; fu la rivista che fornì 
maggior copia di argomenti ai sostenitori dell’astensionismo elettorale 
e agli oppositori cattolici dello Stato Liberale. 
Nonostante la Santa Sede avesse un organo ufficiale, il 
Giornale di Roma, il primo luglio 1861, fra numerose esitazioni e 
incertezze, vide la luce l’Osservatore Romano. L’Osservatore 
Romano, in realtà, nacque per iniziativa di spiriti illuminati e 
lungimiranti (come il sostituto Ministro degli Interni Pacelli), i quali si 
rendevano conto che la situazione di incertezza creata dall’espansione 
del Regno d’Italia non sarebbe durata a lungo, e dunque era necessario 
approntare gli strumenti per una rinnovata difesa delle posizioni 
                                                           
19
 F. Dante, Storia della Civiltà Cattolica, Roma 1990 
  
 
19
cattoliche. Occorrevano strumenti rinnovati, adeguati ai tempi e in 
grado di adempiere a quelle precipue funzioni che fogli con 
impostazione ideologica ben definita, come il Giornale di Roma, non 
erano certo in condizioni di svolgere.
20
 La situazione dei fondatori 
(Zanchini e Bastia) non era proprio facile. Per quanto ben visti dalla 
Santa Sede ed incoraggiati ad operare, essi si rendevano conto che, in 
un momento tanto difficile, non potevano permettersi passi falsi. I 
primi atti del giornale, dunque, furono ispirati alla prudenza. Ossia, 
posizione intransigente nei confronti delle autorità italiane, difesa a 
spada tratta della legittimità cattolica, ma rispetto delle norme alle 
quali certamente non potevano evitare di attenersi coloro che 
intraprendevano una attività pubblica, diciamo pure politica, in uno 
Stato in fermento.  
                                                           
20
 F. Leoni, L’Osservatore Romano, origini ed evoluzione, Napoli 1970