9 
 
Riguardo al quotidiano presente nella diocesi di Milano dal 1912, “L’Italia”, occorre dire che 
Montini lo ha sempre sostenuto e seguito con vivo interesse in prima persona: sia con monsignor 
Ernesto Pisoni che con Giuseppe Lazzati, i due direttori avvicendatisi durante il suo mandato 
milanese, il futuro papa Paolo VI aveva colloqui settimanali per discutere sulla vita del giornale. 
Il Vescovo ambrosiano, se da una parte incoraggiava la testata milanese, dall’altra comprendeva 
l’importanza per la Chiesa italiana di avere un unico quotidiano. Queste riflessioni trovarono 
un’organizzazione nel messaggio inviato da Montini alla diocesi in occasione dei cinquant’anni di 
vita de “L’Italia”. 
In esso si legge:  
 
Il quotidiano cattolico ha una funzione molteplice. ha il suo primo momento nella 
formulazione del giudizio sui fatti e sui problemi della vita contemporanea. Il giornale 
cattolico, come ogni altro giornale, è innanzitutto informativo. […] Ma il giornale cattolico 
non è solo informativo ; esso è anche intenzionalmente formativo. Cioè tende a classificare 
fatti e problemi al confronto di principi ideali, a giudicarli, renderli pensabili e riferirli, a 
tradurli così in elementi attivi di opinione pubblica. 
Questa trasformazione della notizia in pensiero è il compito precipuo del giornalista; e se il 
giornalista è cattolico l’informazione apparirà permeata di senso e sapore cattolico, diventerà 
l’idea cattolica fusa nella notizia, ossia nella vita vissuta. […] Il giornale cattolico è voce di 
una testimonianza che merita di essere ascoltata. […] Ma sappiamo: al merito non 
corrispondono i mezzi; spesso la voce della verità è debole e fioca. Qui il compito non è più 
del giornalista, ma dell’organizzazione economica e pratica del giornale da un lato, del 
pubblico dall’altro. […] Il giornale cattolico è una cattedra sempre parlante, è una scuola 
sempre viva. […] L’importanza del giornale cattolico si commisura con la missione dei 
cattolici del nostro tempo: saggio chi la comprende, lodevole chi la soccorre
7
. 
 
                                                     
7
 GIOVANNI BATTISTA MONTINI, La grande funzione del quotidiano cattolico, “L’Italia”, 20 giugno 1962, citato 
in ANGELO MAJO, La stampa cattolica in Italia, Casale Monferrato, Piemme,1992, p. 215 ss. 
 10 
I.1.3. La stampa cattolica nel 1968 
La tensione presente in Montini di unificare in un foglio globalmente interpretativo la visione del 
mondo cattolico era, verso la fine degli anni ’60, ormai diventata una necessità, ma non si era 
riuscita ancora a concretizzare proprio per la contemporanea presenza di diverse testate con lo 
stesso indirizzo
8
. 
Ancora nel 1968, anno di nascita di “Avvenire”, erano presenti in Italia sei quotidiani cattolici, tutti 
editi al nord: “L’Italia”, stampato a Milano, e “L’Avvenire d’Italia” di Bologna avevano una tiratura 
interregionale; c’erano poi testate locali come “Il Cittadino” di Genova, “L’Ordine” di Como, 
“L’Eco di Bergamo” e “L’Adige” di Trento.  
Un caso a parte è quello de “Il Quotidiano”, diffuso a Roma e con una tiratura interregionale, che 
però cessò le pubblicazioni nel 1964 e fu assorbito da “L’Avvenire d’Italia” di Bologna
9
. 
La vita economica di queste testate, ed in particolare di quella milanese e di quella bolognese, non 
era mai stata molto florida. La loro diffusione, poi, era fortemente radicata nel territorio, ma scarsa 
era la loro incidenza sull’opinione pubblica; entrambi i quotidiani contavano numerosi lettori legati 
alla vita della diocesi e affezionati al loro giornale. Quello dei lettori era un ulteriore problema che 
si veniva ad inserire nel cammino dell’operazione “Avvenire”. 
Quando Giovanni Battista Montini salì al soglio pontificio nel 1963 i tempi per un cambiamento del 
giornalismo cattolico italiano, evidentemente, non erano ancora abbastanza maturi: si trattava di 
convincere i direttori dei quotidiani esistenti che l’operazione di unificare tutte le testate in un unico 
giornale sarebbe stata fruttuosa.   
Questi e altri problemi rimandarono di qualche anno l’attuazione dell’idea di Paolo VI. Nel 
frattempo diversi segnali rafforzarono la convinzione del pontefice della necessità di un’unica voce 
per i cattolici italiani.  
Il contesto culturale e politico italiano, poi, stava mutando: per la Chiesa erano gli anni del Concilio 
Vaticano II e nella nazione si andavano profilando possibili governi di centro-sinistra
10
. 
Diversi furono i fatti che prepararono la nascita di “Avvenire”, sancita il 27 gennaio 1967 dalla 
Conferenza Episcopale Italiana, che proprio in quegli anni muoveva i suoi primi passi 
11
. 
“Avvenire” doveva sorgere non dalle ceneri de “L’Italia” e de “L’Avvenire d’Italia”, ma dalla loro 
fusione
12
. Con questo nuovo quotidiano non si voleva cancellare tutta la tradizione che del 
giornalismo cattolico italiano, ma se ne voleva scrivere un nuovo capitolo. 
 
I.2. Il passato di “Avvenire” 
Due sono gli ordini di avvenimenti che il 4 dicembre 1968 portarono in edicola la prima copia di 
“Avvenire”: le riflessioni che venivano condotte all’interno della Chiesa, in particolare quelle 
emerse dal Concilio Vaticano II, e la situazione generale delle due principali testate cattoliche, cioè 
de “L’Avvenire d’Italia” e de “L’Italia”. 
Se la Chiesa con l’evento conciliare si interrogava sulla sua missione e sugli strumenti più efficaci 
da utilizzare, il giornalismo cattolico non viveva quello che potrebbe essere definito un periodo 
felice: a Bologna era in atto una profonda crisi dovuta alle dimissioni, giunte nel 1966, del direttore 
Raniero La Valle al quale succedette Giampiero Dore, incaricato di condurre la fusione con la 
testata milanese. A “L’Italia” di Milano, dopo la direzione di Giuseppe Lazzati, direttore voluto 
dallo stesso cardinal Montini, era stato nominato monsignor Carlo Chiavazza, già vice di Lazzati, 
che guiderà il glorioso quotidiano milanese sino al giorno della fusione con il giornale bolognese. 
                                                     
8
 GIACOMO DE ANTONELLIS, voce “Avvenire” in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Milano, Nuova Edizioni 
Duomo, 1987, p. 313 ss. 
9
 ANGELO MAJO, La stampa cattolica in Italia, Casale Monferrato, Piemme, 1992, pp. 211-233. 
10
 Ibidem. 
11
 SERGIO BALISTRIERI, Cuore lombardo anima emiliana, Venticinque anni con “Avvenire”, supplemento di 
“Avvenire”, 4 dicembre 1993, p. 29. 
12
 Ibidem. 
 11 
 
I.2.1. Il Concilio Vaticano II 
La grande riflessione che ha coinvolto la Chiesa negli anni dal 1962 al 1965, il Concilio Vaticano 
II, ha preso in seria considerazione gli strumenti della comunicazione sociale come la stampa, il 
cinema, la radio e la televisione  
 
destinati a raggiungere e ad influenzare non solo i singoli individui ma, per la loro stessa 
natura, moltitudini di persone, e l’intera società; essi possono chiamarsi con ragione: 
strumenti della comunicazione sociale
13
. 
 
Secondo il documento Inter Mirifica, datato 4 dicembre 1963 e quindi uno dei primi editi dal 
Concilio, gli strumenti della comunicazione sociale non solo diffondono con rapidità notizie, ma si 
pongono come decisivi per la formazione dell’opinione pubblica e del costume
14
. In breve tempo i 
mezzi di comunicazione sono diventati i veicoli di una nuova cultura, la cultura di massa la quale è 
in grado di raggiungere sempre più persone offrendo loro una pluralità di messaggi e proponendo 
nuovi modelli di comportamento
15
. 
Il documento conciliare pone come fondamentale il diritto all’informazione laddove afferma che  
 
c’è nella società umana il diritto all’informazione su quanto, secondo le rispettive condizioni, 
si addice alle persone così singole come associate. Tuttavia il retto esercizio di questo diritto 
richiede che la comunicazione, nel suo contenuto, risponda sempre a verità e nel rispetto della 
giustizia e della carità sia integra
16
. 
 
Il decreto, che unito ad un discorso del neoeletto Paolo VI chiude la seconda sessione del Concilio, 
pone in luce quale debba essere la funzione dell’opinione pubblica e di una stampa che si auspica 
cattolica. 
 
Allo scopo poi di formare a un genuino spirito cristiano i lettori, si crei e si diffonda una 
stampa specificamente cattolica, tale cioè che – dipenda essa, o sia promossa, direttamente 
dall’autorità ecclesiastica, oppure personalmente da cattolici – venga esplicitamente redatta e 
pubblicata per formare, rafforzare e promuovere opinioni pubbliche rispettose della legge 
naturale, della morale cattolica e per far conoscere nella giusta luce fatti e cose che riguardano 
la Chiesa; mentre ai fedeli sia richiamata l’esigenza di leggere e di far conoscere la stampa 
cattolica per abituarsi a giudicare cristianamente di ogni avvenimento
17
. 
 
Con questo documento, che troverà compimento nell’istruzione pastorale Communio et Progressio 
del 23 maggio 1971, la Chiesa indica un nuovo modo di fare giornalismo. Pian piano si sta cercando 
di uscire dagli schemi di eccessiva cautela nei confronti dell’autorità ecclesiastica e di affrontare gli 
eventi in modo diretto e sempre più responsabile
18
. 
 
                                                     
13
 Concilio Vaticano II, Decreto su Gli strumenti della comunicazione sociale - Inter mirifica del 4 dicembre 1963 in 
Tutti i documenti del Concilio, Milano, Massimo, 1996, p. 484. 
14
 ANGELO MAJO, La stampa cattolica in Italia, cit. 
15
 Ibidem. 
16
 Concilio Vaticano II, Decreto su […], cit. p. 487. 
17
 Ibidem p.491. 
18
 ANGELO MAJO, La stampa cattolica in Italia, cit. 
 12 
I.2.2. “L’Avvenire d’Italia” 
Il quotidiano bolognese  “L’Avvenire d’Italia” nasce il 1 novembre 1896, avendo come direttore 
Filippo Crispolti. Ampliata la testata nel 1902, fu affidato, nell'ordine, alla direzione di Cesare 
Algranati, Paolo Cappa (1915), Enrico Bolognesi (1923), Raimondo Manzini (1927)
19
. 
Il 1961 fu un anno di svolta per i due quotidiani che nel 1968 avrebbero dato vita ad “Avvenire”: 
nel mese di aprile Giuseppe Lazzati succede, per volere del cardinale di Milano Giovanni Battista 
Montini, a monsignor Ernesto Pisoni nella direzione de “L’Italia”.  
Nel febbraio dello stesso anno Raniero La Valle, proveniente da “Il Popolo”, viene nominato 
direttore responsabile de “L’Avvenire d’Italia”, carica ricoperta per trentadue anni dal suo 
predecessore Raimondo Manzini, arrivato alla redazione bolognese nel 1928. Manzini, nel 1961, era 
stato chiamato da papa Giovanni XXIII a Roma per dirigere “L’Osservatore Romano”. 
 
I.2.2.1. Raniero La Valle: una grande stagione e una crisi fatale 
La Valle aveva ereditato da Manzini un giornale con una vasta diffusione e con una buona tiratura: 
“L’Avvenire d’Italia” veniva distribuito in Emilia Romagna e in Veneto. 
La tiratura aumentò negli anni per il prestigio e per la linea coraggiosa che La Valle seppe 
imprimere alla testata; nel 1964, poi, la scomparsa del “Il Quotidiano” di Roma fece aumentare le 
vendite del giornale bolognese: questo avvenimento incoraggiò la diffusione de “L’Avvenire 
d’Italia” nel centro Italia
20
. 
Secondo una stima Iad la tiratura del quotidiano nel 1966 raggiungeva le settantamila copie
21
.  
“L’Avvenire d’Italia” era nato nel 1897 e, come affermava nel 1967 Federico Tortorelli 
all’indomani delle dimissioni di La Valle, non era un giornale ufficiale dei cattolici italiani né 
l’espressione della gerarchia ecclesiastica: nella testata del quotidiano, infatti, non si faceva 
riferimento a nessuna ufficialità ed era scomparsa anche la dicitura “quotidiano religioso” che per 
anni aveva campeggiato sulla prima pagina
22
. Comunque sussisteva uno stretto rapporto tra i vertici 
della Chiesa e i dirigenti del quotidiano bolognese. 
“L’Avvenire d’Italia” si era distinto negli anni ’60 per l’ampio risalto che aveva dato al Concilio 
Vaticano II: diversi erano gli inviati presenti a Roma, oltre ai due corrispondenti fissi che erano 
Guglielmo Degli esposti e lo stesso La Valle; numerosi, poi, erano i servizi che all’avvenimento 
erano dedicati. Accanto a questo erano presenti articoli dello stesso direttore che, come testimonia 
personalmente Sergio Balistrieri, aveva il pregio della chiarezza e interpretava in modo radicale il 
Concilio
23
. 
I servizi romani erano diventati dispendiosi e il deficit, che già negli anni precedenti si aggirava 
intorno ai duecento milioni, arrivò a toccare il miliardo nel 1967.  
Per far fronte al deficit con il mese di aprile dello stesso anno si arrivò ad abolire il numero del 
lunedì
24
. Un trafiletto di prima pagina datato 31 marzo 1967 indica le ragioni di questa scelta, 
ragioni che erano non solo di ordine economico, ma anche sociale e religioso.  
 
Il giornale del lunedì - si legge – si pubblica sacrificando il riposo settimanale per una 
notevole aliquota di addetti al giornale e contravvenendo al precetto del riposo festivo
25
. 
 
                                                     
19
 Voce “Avvenire d’Italia (L’)” in Grande enciclopedia De Agostini, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1995. 
20
 Ibidem. 
21
 ANGELO MAJO, Storia della stampa cattolica in Italia, Milano, Nuova Edizioni Duomo, 1987, p. 207. 
22
 FEDERICO TORTORELLI, Stampa cattolica e crisi a “L’Avvenire d’Italia”, “Il Tetto” n° 23-24/1967 p. 28 s.  
23
 SERGIO BALISTRIERI, Intervista condotta appositamente per questo lavoro 
24
 ANGELO MAJO, Storia della stampa cattolica in Italia, cit. p. 208. 
25
 “L’Avvenire d’Italia”, 31 marzo 1967. 
 13 
Questa situazione economica, alla quale si dice che lo stesso direttore con l’aiuto del cardinal 
Giacomo Lercaro cercava di far fronte, comune, per altro, anche ad altre testate cattoliche, 
preoccupò i vertici della Chiesa che decisero di nominare un nuovo consiglio di amministrazione 
presieduto da Giampietro Dore e del quale facevano parte tra gli altri Vittorio Bachelet, Angelo 
Salizzoni, Vittorino Veronese
26
. 
Accanto a ciò va fatto registrare, grazie ai lucidi ricordi di Balistrieri, come la gestione La Valle 
avesse creato degli screzi tra Roma e Bologna: la linea politica adottata, tendenzialmente di sinistra, 
non piaceva a Paolo VI e al Vaticano
27
; se si aggiunge la gestione rigida dei rapporti da parte del 
direttore e alcuni interventi critici nei confronti del Papa si può ben comprendere la tensione che si 
era venuta a creare. 
Queste due situazioni preoccuparono seriamente la Chiesa di Roma che subito creò una 
commissione di tecnici, presieduta da Silvio Golzio, incaricata di studiare un possibile progetto di 
ristrutturazione dei quotidiani cattolici italiani; particolare attenzione doveva essere prestata, in 
merito alla loro ampia diffusione, a “L’Avvenire d’Italia” e a “L’Italia”
28
.  
La Conferenza episcopale italiana, interessata ad una possibile fusione delle due testate, accolse 
benevolmente le conclusioni della commissione che sancivano l’impossibilità di mantenere in vita 
due quotidiani oltre alla necessità di un giornale unico per i cattolici italiani; si suggeriva di 
scegliere come sede del nuovo foglio Milano
29
. 
Sempre Balistrieri, che era entrato nella redazione de “L’Avvenire d’Italia” nel 1966, sottolinea 
come Raniero La Valle, quando si ventilava la possibile fusione del quotidiano bolognese con 
“L’Italia”, non allentò la sua linea e, pur di non scendere a compromessi, il 1 agosto 1967 rassegnò 
le sue dimissioni
30
. 
Questo atto non mancò di trascinare con sé perplessità e diede adito a vivaci polemiche all’interno 
del mondo cattolico. Un esempio può essere l’appassionato articolo apparso su “Il Tetto” nel 1967 a 
firma di Federico Tortorelli nel quale si riconduce la crisi de “L’Avvenire d’Italia” a quella più 
generale che in quegli anni investiva la stampa e le istituzioni cattoliche italiane. In alcuni passaggi 
Tortorelli non si mostra benevolo nei confronti della gerarchia della Chiesa e giunge ad affermare 
che  
 
le dimissioni di La Valle costituiscono un fatto oggettivo doloroso e grave. Tutti i cattolici, 
anche quelli che non condividono l’impostazione ideologica di La Valle, non possono e non 
devono desiderare il suo silenzio, altrimenti potrebbe tornare ad accreditarsi l’opinione antica 
di un cattolicesimo italiano gretto di mente, angusto d’animo, pauroso dell’espressione libera 
e rigorosa del pensiero
31
. 
 
Lo stesso Tortorelli individua le cause della crisi de “L’Avvenire d’Italia”, oltre che in questioni di 
carattere finanziario e di impostazione, nel rapporto di un quotidiano cattolico con la gerarchia, nei 
rapporti tra i gruppi dirigenti e la linea del giornale
32
. 
Le dimissioni di Raniero La Valle suscitarono vivo interesse nella stampa laica preoccupata di dare 
la propria interpretazione sul fatto. Riportarono anche la notizia testate d’oltralpe come “La Croix”, 
“Le Monde” e “Tèmoignage Chrètien”. Si insinuava il sospetto che La Valle fosse stato costretto a 
dimettersi da ambienti conservatori del Vaticano che non gradivano i suoi orientamenti di sinistra e 
alcune sue interpretazioni dei documenti del Concilio
33
. 
                                                     
26
 ANGELO MAJO, La stampa cattolica in Italia, cit. 
27
 SERGIO BALISTRIERI, Intervista cit. 
28
 Ibidem. 
29
 ANGELO MAJO, Storia della stampa cattolica in Italia, cit. p. 208. 
30
 SERGIO BALISTRIERI, Intervista cit. 
31
 FEDERICO TORTORELLI, Stampa cattolica […], cit. p.27. 
32
 Ibidem. 
33
 ANGELO MAJO, Stampa ed editoria, in AA.VV., Storia di Milano vol. XVIII - Novecento, Milano, Treccani, 1996, 
p. 696-713. 
 14 
Nel 1975 Massimo Isenghi scrisse, commentando l’avvenimento, «morte per omicidio premeditato 
ad opera degli uomini di Chiesa e di partito»
34
. 
Ma Raniero La Valle, nell’articolo di commiato dal giornale, pubblicato il 1 agosto 1967, cerca di 
non dare spunti per ulteriori polemiche, nonostante la presenza di riflessioni spiccatamente 
autobiografiche e un riferimento, laddove si auspica un futuro per la testata, alla ventilata possibilità 
di fusione. 
 
L’augurio che faccio a “L’Avvenire” è che esso viva come sale che non svanisce. Sono 
convinto che esso può essere questo sale; e ce ne siamo sempre più convinti in questi anni, 
nell’accorgerci, con sorpresa, che non era tanto importante l’influenza politica, che pure esso 
aveva, il poter spostare delle opinioni e delle forze, il partecipare, al suo giusto posto, al 
dialogo ecclesiale durante e dopo il Concilio, quanto era importante il fatto che il giornale 
mettesse in tensione delle coscienze, che potesse essere atteso e ricevuto come un elemento 
non ultimo del proprio itinerario formativo, come un segno della Chiesa, e che ci fosse 
qualcuno che per “L’Avvenire” giungeva fino ad offrire la propria sofferenza, i propri dolori, 
e addirittura potesse includerlo, come pure è accaduto con i figli e gli altri affetti più cari, 
nella offerta della propria vita. Per questo ci sembra che esso non sia solo un giornale fra 
tanti, un fatto editoriale, un oggetto di polemica politica, ma sia qualcosa di più, di più e di 
diverso di quanto ci si potesse mettere dentro, una cosa da trattare con delicatezza e con 
rispetto. E proprio qui ci sembra il segreto del suo futuro
35
. 
 
Alle dimissioni di La Valle seguì il licenziamento di alcuni giornalisti vicini al direttore e nella 
redazione bolognese vennero fatte alcune assunzioni, nonostante il giornale avesse i giorni contati. 
Comunque bisognava uscire nelle edicole e per questo servivano giornalisti
36
. 
 
                                                     
34
 MASSIMO ISENGHI, Giornali e giornalisti. Esame della stampa quotidiana in Italia citato in ANGELO MAJO, La 
stampa cattolica in Italia, cit. 
35
 RANIERO LA VALLE,  “L’Avvenire d’Italia”, 1 agosto 1967. 
36
 SERGIO BALISTRIERI, Cuore lombardo […], cit. p.31. 
 15 
I.2.2.2. Giampietro Dore: in cammino verso la fusione 
A sostituire il direttore dimissionario fu chiamato Giampietro Dore, già presidente del consiglio di 
amministrazione, nominato dall’assemblea dei soci che , in parte, era controllata dalla diocesi di 
Bologna. 
Dore era un uomo di cultura e, sempre grazie al ricordo di Balistrieri, possiamo dire che la sua 
funzione, nell’anno di permanenza a “L’Avvenire d’Italia”, fu quella di curatore fallimentare
37
. 
In Continuità di un impegno, articolo di presentazione di Dore apparso il 2 agosto 1967, in neo 
direttore analizza quella che si presentava come la crisi della stampa cattolica, dovuta soprattutto al 
fatto che i cattolici desideravano essere veramente indipendenti. Dore vede, accanto alle difficoltà 
di natura economica, quelle derivanti dalla volontà di rinnovamento dei contenuti e sottolinea che  
 
il cattolico ha bisogno di un’ampia informazione religiosa nazionale e internazionale, ed ha 
anche bisogno di un’uguale informazione in tutti i settori nei quali si articola la vita del nostro 
tempo
38
. 
 
Giampietro Dore lasciò molta libertà al caporedattore Gaetano Nanetti e a tutti i giornalisti che 
«seppero confezionare ancora per circa un anno un prodotto dignitoso e leggibile, pieno di grinta e 
di idee»
39
. 
Dore guidò la testata bolognese sino alla chiusura. L’ultimo numero uscì nelle edicole domenica 1 
dicembre 1968. 
 
I.2.3. “L’Italia” 
Se “L’Italia”, nelle intenzioni di Paolo VI era destinata a fondersi con “L’Avvenire d’Italia”, non si 
allontanava molto da quelle che erano state le sue origini. La testata milanese, infatti, nacque il 25 
giugno 1912 succedendo a “L’Unione”, che il cardinal Andrea Ferrari aveva voluto sorgesse dalla 
fusione dei due giornali milanesi “L’Osservatore Cattolico” e “La Lega Lombarda”
40
. 
 
I.2.3.1. Giovanni Grosoli: la vicenda del trust 
In tutti i suoi cinquantasei anni di vita il quotidiano milanese passò attraverso vicende avventurose a 
partire dal 1912 quando il conte Giovanni Grosoli fondò una catena di quotidiani, il cosiddetto trust, 
del quale “L’Italia” faceva parte. Questa operazione incontrò difficoltà di tipo ideologico e 
finanziario. La Santa sede, intervenendo in tale questione sconsigliò ai cattolici la lettura delle 
testate che rientravano nel trust poiché le riteneva responsabili di non trattare il tema della libertà e 
dell’indipendenza della Chiesa e, con questo, di contribuire alla confusione delle idee in proposito. 
Questo pronunciamento della santa sede provocò una consistente diminuzione delle copie de 
“L’Italia”. Ma i vertici della Chiesa avevano a cuore la sorte del quotidiano della diocesi di Milano 
e incaricarono l’avvocato Luigi Colombo, allora presidente dell’Azione Cattolica italiana, di salvare 
la testata milanese. Tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923 Colombo riuscì a sganciare “L’Italia” dal 
trust
41
. 
 
                                                     
37
 SERGIO BALISTRIERI, Intervista cit. 
38
 GIAMPIETRO DORE,  “L’Avvenire d’Italia”, 2 agosto 1967. 
39
 SERGIO BALISTRIERI, Cuore lombardo […], cit. p.31. 
40
 NATAL MARIO LUGARO, Mons. Giuseppe Bicchierai e il quotidiano cattolico, “Civiltà ambrosiana” n° 4/1987, p. 
298. 
41
 NATAL MARIO LUGARO, voce “Italia (L’)” in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Milano, Ned, 1987, p. 1643.