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1.3. Caratteri morfologici e biologici  
È una coltura erbacea e perenne, sebbene venga coltivata come coltura annuale o 
poliennale (5-6 anni); è diffusa prevalentemente nel Bacino del Mediterraneo dove 
trova condizioni ottimali per il suo accrescimento. Per quanto riguarda il suo ciclo 
vitale il cardo viene seminato in estate, germoglia in autunno, passa l’inverno come 
rosetta (stadio in cui risulta massima la resistenza al freddo) e sviluppa lo scapo fiorale 
in primavera. In estate, a causa delle scarse precipitazioni e delle elevate temperature, 
si ha l’arresto vegetativo dell’apparato aereo ed il suo disseccamento. 
Contemporaneamente, nella zona ipogea, il potente apparato radicale sopravvive in 
stato di dormienza. La vegetazione riprende con le prime piogge autunnali sviluppando 
nuove foglie dalle gemme latenti alla base del fusto, dando inizio a un nuovo ciclo 
vitale. La pianta di cardo è costituita da un grosso organo sotterraneo rizomatoso di 
riserva (ceppaia) da cui si dipartono 3-5 radici carnose del diametro di circa 2 cm che 
possono raggiungere oltre il metro di profondità (fino a 7 metri secondo Fernandez, 
2006); questo permette alla pianta di sopravvivere in condizioni di carenza idrica in 
quanto capace di esplorare senza problemi gli orizzonti più profondi del suolo, ricchi di 
umidità. In autunno le gemme radicali producono una nuova rosetta di foglie mentre 
in primavera si ha la fioritura con il disseccamento dei fiori stessi in estate. La plantula, 
nel primo anno di vita, produce un profondo fittone, la rosetta basale di foglie e, 
successivamente, lo scapo fiorale con i capolini. Le foglie a rosetta muoiono 
generalmente durante la prima estate e ricrescono nei periodi più piovosi. Dalla radice 
principale si sviluppano le radici secondarie orizzontalmente, a diverse profondità. Il 
fusto è  inizialmente di consistenza erbacea ma durante l’accrescimento assume una 
consistenza semi-legnosa; presenta una sezione circolare di diametro fino a 8-10 cm, 
può raggiungere un’altezza talvolta superiore a 100-250 cm e ramifica nel momento in 
cui la pianta entra nella fase riproduttiva (fioritura); è robusto, striato in senso 
longitudinale e fornito di foglie alterne. Durante il primo anno di vita il fusto si sviluppa 
normalmente per 1 metro, per poi raggiungere 1,5 e 2,5 metri l’anno successivo 
(Fernàndez e Muller, 2004).
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Il fusto principale e le sue ramificazioni portano, in posizione terminale, le 
infiorescenze. Gli steli fiorali disseccano dopo la fioritura e possono rimanere eretti per 
diversi mesi così come i vecchi fiori, che possono persistere per lungo tempo. Le foglie, 
che costituiscono la parte edibile, sono portate su internodi molto ravvicinati in 
particolare nella parte basale del fusto e fanno assumere alla pianta un aspetto 
cespuglioso; esse sono lobate o pennatosette, caratterizzate da una grossa nervatura 
centrale, abbastanza spessa. Le foglie più adulte possono raggiungere una lunghezza 
superiore al metro; la lamina fogliare è di color verde-grigiastro per la presenza di 
numerosissimi peli, in particolare nella parte inferiore. Alcune cultivar presentano 
talvolta vere e proprie spine ai margini della grossa nervatura centrale e nei punti di 
attacco, su di essa, dei setti della lamina fogliare. 
 
Figura 1.3 – Foglia adulta spinosa di Cynara cardunculus 
 
 
 
 
 
 
 
Fonte: http://fioridisicilia.altervista.org
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La spinosità delle foglie è una caratteristica della specie, oltre che della varietà, ed è 
regolata da una coppia di geni complementari dominanti per l’assenza di spine. Le 
foglie sottostanti il capolino sono lanceolate e a lamina intera così come le prime foglie 
dei carducci, specialmente nelle varietà precoci nelle quali l’eterofillia è una 
caratteristica significativa; al contrario le varietà tardive si possono considerare a 
media o lieve eterofillia. Le foglie della rosetta sono peziolate, larghe (oltre 50 x 35 
cm), subcoriacee, profondamente fessurate, mentre quelle del fusto sono alterne e 
sessili. Il portamento della pianta è determinato dalla diversa angolazione di attacco 
delle foglie sul fusto e può essere espanso o assurgente (Dellacecca et al., 1976). I fiori, 
ermafroditi e tubulosi, vengono detti “flosculi”; essi sono riuniti in una infiorescenza a 
capolino detta anche “calatide”, di forma tendenzialmente ovale o conica. I capolini 
sono di forma, numero e grandezza diverse a seconda delle specie e della varietà. 
Possono superare anche i 400 grammi ciascuno ed essere presenti sulla pianta in 
numero di 20-30 o anche 60 (più numerosi rispetto al carciofo). Sono portati 
singolarmente, hanno un diametro di 3-8 cm e possono presentare una corolla di 
diverse colorazioni (blu, lilla, glauca). L’infiorescenza comprende una parte basale, il 
ricettacolo carnoso, sul quale sono inseriti i fiori; inframmezzati ai fiori sono presenti, 
sul talamo, numerose setole bianche e traslucide che formano il cosiddetto “pappo”. 
Sul ricettacolo si inseriscono le brattee o squame involucrali, a disposizione embricata 
l’una sull’altra, le più interne tenere e carnose, quelle più esterne consistenti e fibrose, 
di colore verde, violetto o brunastro. La presenza di spine all’apice delle brattee è una 
caratteristica legata alla specie e alla varietà, così come la colorazione delle brattee 
interne e di quelle esterne (Foti et al., 1999). L’emissione dei capolini è scalare e la 
durata del periodo di fioritura può essere molto ampia o alquanto ridotta, in funzione 
della precocità. La fioritura è proterandra quindi maturano prima gli organi maschili; la 
fertilità del polline dura sino a tre o quattro giorni dopo l’antesi e lo stigma  diventa 
recettivo in un periodo di tempo che varia, a seconda delle specie e della varietà, tra i 4 
e gli 8 giorni dopo l’antesi, quando cioè il polline dello stesso fiore ha perso la facoltà di 
germinazione. La fioritura si ha generalmente tra aprile e giugno.
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La morfologia fiorale ed il meccanismo di antesi impediscono normalmente 
l’autoimpollinazione per cui la fecondazione avviene normalmente per opera degli 
insetti bottinatori. Il frutto, impropriamente chiamato seme, è un achenio 
tetragonocostato (cipsele) di forma oblunga lievemente ricurva, di colore grigiastro 
scuro e screziato e talvolta punteggiato o striato dal nero al verde scuro; misura 
intorno agli 8 mm di lunghezza per 3 mm di larghezza ed è saldato al calice il quale è 
trasformato in pappo setoloso per favorire la disseminazione. I “semi” di colore più 
scuro sono quelli formatisi più precocemente nelle parti periferiche del talamo 
(capolino); sono più pesanti e presentano migliore germinabilità. Il peso dei mille 
acheni può oscillare tra i 20 e i 50 g a seconda della varietà; 1 g ne comprende 
solitamente circa 20-30. 
  
Figure 1.4 e 1.5 – Semi e pappi di Cynara cardunculus 
 
 
 
 
 
 
Fonte: http://fioridisicilia.altervista.org
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1.4. Esigenze  
Il cardo è una pianta rustica e presenta caratteristiche tali da consentire l’allevamento 
a zero input idrici, cioè senza apporti di acqua durante tutto il suo ciclo. I taxa 
appartenenti a C. cardunculus richiedono un decorso termico mite senza eccessi 
termici e una sufficiente umidità; per questo il loro ciclo biologico naturale, nelle 
condizioni di clima del bacino del Mediterraneo, si svolge nel periodo autunno-
primaverile. Recenti studi condotti sulla biologia di popolazioni siciliane di cardo 
selvatico hanno mostrato una buona tolleranza di questo a condizioni di stress idrico e 
salino durante le fasi di germinazione degli acheni (Raccuia et al., 2007). Nel complesso 
C. cardunculus  presenta una spiccata adattabilità all'ambiente mediterraneo, la quale 
si concretizza fondamentalmente in una stagione di crescita che coincide con il periodo 
in cui si hanno i maggiori apporti idrici naturali e si ha l'accumulo, nelle radici, di 
sostanze di riserva in grado di sostenere la ripresa vegetativa dopo la quiescenza 
estiva. Il cardo è una specie termofila anche se nel periodo invernale tollera senza 
problemi temperature anche di –5°C; temperature ancora inferiori (fino a –10°C) 
apportano di norma danni limitati alle foglie senza compromettere la vitalità degli 
organi sotterranei utili per il ricaccio primaverile. Resiste abbastanza bene sino a 
temperature di 0 °C, mostrando alle più basse temperature lievi danni da freddo sul 
capolino con distacco della cuticola delle brattee, da 0°C a -4°C i danni da freddo 
diventano più gravi per l’infiorescenza; da -4 a -7°C vengono danneggiate le foglie . Al 
di sotto di -7 °C tutta la vegetazione è colpita , mentre a partire da - 10°C possono 
essere compromesse anche le gemme del fusto rizomatoso. La germinazione dei semi 
(acheni) trova l’optimum fra 15 e 20°C; a 10°C è notevolmente rallentata, mentre a 
35°C e al buio si notano anomalie morfologiche delle radichette. La luce sembra inibire 
la germinazione con diversa intensità fra le cultivar; a 35°C, in presenza di luce, i semi 
non germinano affatto (Basnizki, 1985). Le temperature ottimali per l’accrescimento 
della pianta sembrano essere 12-14°C durante la notte e 20-22 °C durante il giorno.
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La plantula di poche settimane, fino allo stadio di rosetta con almeno quattro foglie, 
risulta però sensibile alle gelate ed è per questo che la semina va di norma effettuata 
in modo da garantire almeno 1-2 mesi di sviluppo vegetativo prima dell’arrivo delle 
basse temperature. Dal punto di vista delle esigenze pedologiche il cardo rifugge i 
terreni in cui vi è un forte rischio di ristagno idrico e i suoli poco profondi, mentre dal 
punto di vista granulometrico si adatta bene a una vasta gamma di terreni, da quelli 
argillosi ma ben strutturati a quelli sciolti; predilige comunque i suoli calcarei, profondi 
e permeabili e tollera pH oscillanti da subacidi a subalcalini. La combinazione ideale è 
data da un suolo caratterizzato da una buona riserva idrica accumulata con le 
precipitazioni invernali tale da consentire un regolare sviluppo primaverile-estivo della 
coltura specialmente durante il primo anno dell’impianto. Il vigoroso sviluppo della 
parte epigea e dell’apparato radicale perennante, infine, rendono il cardo 
particolarmente indicato in ambienti a rischio di erosione; risulta essere una pianta 
molto rustica che ben si adatta ad areali con scarse risorse idriche e nutritive e difficili 
da valorizzare. 
 
1.5. Rusticità ed adattabilità all’ambiente mediterraneo  
Numerose specie e varietà oggi coltivate nei paesi del Bacino del Mediterraneo sono il 
risultato di un adattamento mesoxerofitico, sono cioè in grado di mantenere 
l’equilibrio idrico limitando il rilascio di acqua nell’atmosfera utilizzando “dispositivi” 
morfologici e fisiologici. Tra gli adattamenti morfologici ricordiamo ad esempio: la 
riduzione della superficie traspirante e delle dimensioni delle cellule, la riduzione delle 
dimensioni degli stomi, l’aumento del numero dei peli, l’ispessimento della cuticola. Gli 
adattamenti di tipo fisiologico riguardano invece la regolazione della resistenza 
stomatica e della pressione osmotica dei succhi cellulari e delle membrane cellulari. 
Alcune specie riescono, invece, a completare il loro ciclo biologico prima che vengano a 
determinarsi condizioni di deficit idrico evitando in tal modo le ripercussioni dovute a 
questa avversità.
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Un esempio di adattamento alle condizioni di stress ambientale è rappresentato, 
infatti, dalla precocità di fioritura e di maturazione comune a molti dei biotipi oggi 
coltivati. Un altro esempio di adattamento alle condizioni ambientali che si riscontra in 
ambiente mediterraneo è la “dormienza”, termine con cui viene indicato il 
rallentamento dell’attività biologica durante i periodi sfavorevoli; la ripresa dei normali 
livelli di attività avverrà soltanto quando verranno a ristabilirsi le condizioni ambientali 
favorevoli. Per questo motivo le piante del genere Cynara, che nel nostro ambiente 
interrompono l’attività vegetativa nei mesi estivi per riprenderla dopo le prime piogge 
autunnali, sono un tipico esempio di adattamento all’ambiente mediterraneo 
(Fernàndez e Muller, 2004). 
 
1.6. Tecnica colturale  
1.6.1. Impianto  
La lavorazione principale del terreno non differisce da quella prevista per le comuni 
colture cerealicole e/o industriali. Trattandosi di una specie poliennale, in taluni casi, in 
funzione del tipo del terreno e del posto occupato nell’avvicendamento, può essere 
opportuno effettuare un’aratura a 30 cm; analogo risultato può essere raggiunto 
impiegando un ripuntatore. La preparazione del letto di semina viene di norma 
realizzata con una o più erpicature. La densità di impianto va stabilita soprattutto in 
funzione della disponibilità di acqua sulla quale è possibile fare affidamento. A fronte 
di un investimento ottimale medio di 15.000 piante ad ettaro conviene ridurre la 
densità fino a 10.000 nel caso in cui la riserva idrica del suolo sia sistematicamente 
modesta. Per contro, la densità d’impianto può essere aumentata fino a circa 20.000 
piante ad ettaro in terreni sufficientemente freschi e profondi. L’operazione della 
semina viene eseguita a file con l’impiego delle normali seminatrici di precisione, 
opportunamente regolate per la distanza interfilare (da 75 cm ad 1 m) e per la distanza 
sulla fila (da 5 a 10 cm); sono indicativamente necessari dai 3 ai 5 kg ad ettaro di seme. 
La profondità di semina deve attenersi ai 2 – 4 cm (Fernàndez e Muller, 2004).
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Alcune esperienze condotte in Spagna suggeriscono anche la semina “a postarelle” con 
la deposizione di 2 o 3 semi per volta. Il tempo necessario per la germinazione è di 4-5 
settimane. In ogni caso è possibile intervenire successivamente con una o più 
sarchiature quando le plantule hanno raggiunto uno sviluppo accettabile. Sempre dalla 
stessa sperimentazione condotta nella penisola iberica emerge che in fase di impianto 
della coltura, al fine di facilitare l’esecuzione dei trattamenti di controllo fitosanitario, è 
opportuno prevedere dei corridoi non seminati di circa 2,5 metri di larghezza ogni 30-
50 metri, così da permettere il passaggio delle macchine operatrici anche dopo che si è 
sviluppata la coltura senza arrecare danni alle piante. L’epoca di semina è abbastanza 
diversificata in rapporto agli ambienti agro-pedoclimatici considerati. E’ infatti 
possibile effettuarla sia nel periodo autunnale che in quello primaverile. Nel primo 
caso viene eseguita nel mese di settembre o, comunque, non appena si verificano 
quelle condizioni di temperatura e umidità che consentono alla pianta di accrescersi 
velocemente e di raggiungere uno sviluppo tale da resistere alle prime gelate (fase di 
rosetta). Nelle condizioni in cui il rischio di gelate precoci risulta elevato, è consigliabile 
rimandare la semina alla primavera successiva, indicativamente nel mese di marzo. 
Alcune prove sperimentali condotte nel nostro meridione in merito alla scelta 
dell’epoca di semina, hanno quasi sempre evidenziato una migliore risposta iniziale 
della coltura alla semina autunnale rispetto a quella primaverile; le differenze 
produttive registrate tendono comunque a diminuire dal terzo anno in avanti 
(Fernàndez e Muller, 2004).