visto impegnati i maggiori quotidiani italiani a fianco dello schieramento 
governativo
1
, è turbata pesantemente dalle passioni e dai veleni che scatena la 
misteriosa morte di una giovane donna romana, Wilma Montesi, che presto 
diventerà un caso giudiziario, politico e giornalistico di eccezionale portata, tale 
da coinvolgere in un vortice di intrighi e polemiche i centri vitali e vividi del 
potere della neonata repubblica italiana
2
. E nemmeno il nodo di Trieste e 
dell’Istria, irrisolto e lasciato aperto dagli esiti della seconda guerra mondiale, 
contribuisce a raffreddare il clima preelettorale.  
 In un contesto così poco sereno, nei più alti gradi del potere giudiziario si 
fa sempre più strada una volontà repressiva nei confronti della stampa, che si 
vede notevolmente aumentati i rischi di caduta nei capi d’imputazione per 
vilipendio, contemplati dal discusso Codice Rocco (datato 1930). 
Uno dei casi più clamorosi è senza dubbio quello dell’arresto, ordinato dai 
giudici militari, di due giornalisti: il direttore della rivista “Cinema nuovo”, 
Guido Aristarco e Renzo Renzi, accusati - e poi condannati dal Tribunale 
Militare - per vilipendio nei confronti delle Forze Armate italiane, dopo aver 
ricostruito cinematograficamente le avventure amorose dei soldati italiani 
durante l’occupazione della Grecia. Ci vorranno circa due anni e mezzo per 
cancellare l’assurdità giuridica di tale condanna. 
                                                           
1
 I quotidiani “Il Corriere della Sera”, “La Stampa” e “Il Messaggero” pubblicano i resoconti dei comizi degli 
esponenti del governo sempre in prima pagina, quelli di Nenni e di Togliatti - leader del fronte dell’opposizione - 
in seconda; 18 sono le fotografie dedicate a De Gasperi, nessuna per i gli esponenti dei partiti avversari. 
2
  Per una ricostruzione chiara della vicenda si veda Paolo Murialdi,  La stampa Italiana del dopoguerra, Bari, 
Laterza, 1978, vol. I, p. 261s.  
  
 
 C’è tuttavia un altro episodio che catalizza l’attenzione del mondo 
giornalistico e politico, ormai sempre più strettamente legati da un fiorire 
impressionante di interessi di natura economica in grado di ledere il sottile 
equilibrio che sottende la libertà di stampa, nel vacillante rapporto tra editori e 
direttori: la rottura, consumata per motivi politici ed editoriali, fra Arrigo 
Benedetti, direttore di “L’Europeo”, ed Angelo Rizzoli, da poco più di un anno 
proprietario di questo settimanale dalle simpatie liberal - democratiche. 
Il drammatico scontro tra direttore e proprietà porta Benedetti alla fondazione di 
un nuovo settimanale, “L’Espresso”, per il quale egli si avvale della preziosa 
collaborazione di una nuova firma del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, 
dell’amicizia dei suoi vecchi colleghi, tra i quali: Cancogni, Moravia, Fusco, 
Gorresio, nonché delle mire espansionistiche ed innovatrici del magnate 
industriale più aperto alle cose nuove che l’Italia conti, Adriano Olivetti. Il 
nuovo settimanale, pensato in origine come un quotidiano, esce nelle edicole il 
2 ottobre 1955, e con esso Benedetti può finalmente riprendere il discorso 
politico interrotto, con toni più impegnati. Lo riprende a Roma, capitale 
indiscussa della politica. E la prima iniziativa del giornale di Benedetti e 
Scalfari suscita immediatamente una vasta eco di polemiche: la denuncia delle 
speculazioni edilizie, della corruzione legate alla compravendita di aree 
edificabili, in cui sembra implicata anche la Società Immobiliare controllata dal 
Vaticano. Il titolo - slogan (primo di una lunga serie, che faranno la fortuna, 
fino a diventare il segno distintivo del nuovo modello giornalistico pensato ed 
  
 
attuato da ”L’Espresso”) ha un effetto esplosivo: “Capitale corrotta = Nazione 
infetta”, è firmato da Manlio Cancogni. La vicenda si trascina nelle aule di 
giustizia, in quanto la Società Immobiliare intenta contro il direttore ed il suo 
columnist una querela per diffamazione: in primo grado, Benedetti e Cancogni  
sono assolti, per insufficienza di prove, ma in appello, una volta placati gli 
animi, i due giornalisti sono condannati: otto mesi di reclusione e  70.000 di 
ammenda. 
 
Nel circolo di intellettuali liberali e di giornalisti del settimanale “Il 
Mondo” - che insieme a “L’Espresso” è ormai la voce d’espressione del neonato 
partito radicale - matura la decisione di lanciare un appello in favore della 
libertà di stampa, ora più che mai, messa a rischio dalla prepotenza della 
politica. La provocazione si concreta in una dichiarazione firmata da oltre mille 
uomini di cultura e giornalisti e nel progetto di un convegno intitolato Stampa 
in allarme
3
 da tenersi a Roma , nel febbraio del 1958. 
Svoltosi nei giorni del 22 e del 23 febbraio , con gran successo di pubblico 
comune cioè non addetto ai lavori, il Convegno degli amici del ”Mondo” si 
articola su quattro relazioni: Stampa e democrazia, di Vittorio Gorresio;  Leggi 
sulla stampa, di Franco Libonati;  Stampa e giustizia, di Achille Battaglia e I 
presupposti economici di una stampa libera, di Ernesto Rossi. 
                                                           
3
  Gli atti sono raccolti nel volume Stampa in allarme, a cura di Achille Battaglia, Bari, Laterza, 1958.  
  
 
 Gorresio rileva come l’allarme, giustamente lanciato oggi, sembrava 
comunque scritto in altri tempi più remoti, precisamente alla seduta del 
Parlamento Subalpino del 15 febbraio 1850, in cui si discusse l’invettiva di un 
alto prelato contro al libertà di stampa. Oggi, sembra dire Gorresio, non viene 
messa in discussione la libertà della stampa, ma viene posta sotto sequestro la 
sua autonomia, attraverso le cosiddette “agenzie di informazione” appartenenti a 
determinati potentati politici, anzi spesso alle diverse correnti interne dello 
stesso partito, che capitano la sera sul tavolo dei redattori e pretendono di 
manovrare, influenzare, dirigere il loro lavoro. 
«Siamo in allarme per il gran numero di processi che si stanno intentando 
contro la stampa», incalza Battaglia. I reati più comunemente perseguiti contro i 
giornalisti sono quelli per diffamazione, le pubblicazioni oscene ed i reati di 
vilipendio; il risultato di tanto accanimento è evidentemente quello di un non 
poco teorico bavaglio sulla stampa perpetrato dalla magistratura, spesso in 
pericoloso accordo col potere politico. 
Ma tra tutte, è la relazione di Rossi a destare le maggiori preoccupazioni 
e, al contempo, quella in grado di offrire una più equa ed etica soluzione allo 
spinoso problema delle proprietà e dei finanziamenti. 
  
 
Le ponderate parole di Rossi, pur scritte nel ’58, sembrano valere proprio per 
questo scorcio di fine millennio: «La libertà di stampa può diventare anche nei 
paesi democratici una semplice lustra se il potere economico si concentra nelle 
mani di pochi, che si mettono facilmente d’accordo tra di loro»
 4
.  Per questo la 
via d’uscita da lui indicata sta essenzialmente nella distribuzione plurale di 
imprese giornalistiche, indipendenti le une dalle altre; nel rendere trasparenti le 
operazioni di finanziamento della carta stampata; nel permettere un più facile 
accertamento, da parte dei lettori, della verità delle notizie pubblicate. 
 
 Nonostante la gravità e la novità delle questioni dibattute, la presenza al 
convegno da parte dei giornalisti è piuttosto limitata, come limitati e di tono 
minore sono i resoconti ed i commenti che i maggiori quotidiani nazionali 
danno all’avvenimento. Tra i punti dolenti per la libertà di stampa toccati nel 
corso del convegno, ce n’è uno che si trascina da tempo in sede politica e 
legislativa: la riforma dell’articolo 57 del Codice penale, in base al quale la 
responsabilità del direttore in un ipotetico reato a mezzo stampa è oggettiva, 
mentre la Costituzione dichiara all’articolo 27 che la responsabilità penale è 
personale. Dopo un dibattito lungo e contrastato si arriva a un compromesso: la 
nuova norma, entrata in vigore con la legge  4 marzo 1958 n. 127, distingue 
meglio la responsabilità del direttore da quella dell’autore dell’articolo e 
stabilisce che il primo è «punito a titolo di colpa se un reato è commesso».  
                                                           
4
  Ibidem 
  
 
 
1.2  Spunta “Il Giorno” 
Quando si compie questo parziale e modesto passo avanti, è già in 
circolazione da ormai due anni il quotidiano che ha rappresentato un vero e 
proprio atto di rottura con le formule giornalistiche tradizionali e che quindi 
rappresenta uno scossone imprevedibile per il mondo dell’editoria italiana del 
secondo dopoguerra. E sarà proprio in quest’ottica, ovvero per i suoi elementi di 
assoluta novità in campo editoriale, grafico e di impostazione, che esso verrà 
puntualmente preso in considerazione, in vista di quel disegno originario che ci 
condurrà all’elaborazione di un progetto strutturale sui nuovi modelli 
giornalistici contemporanei, all’interno dei quali “Il Giorno” costituisce un 
primo nodo costitutivo. 
“Il Giorno”
5
 compare a Milano il 2 aprile 1956. Tre sono la circostanze che ne 
hanno determinato la nascita: da un lato l’intraprendenza di Gaetano Baldacci 
(già inviato speciale per “Il Corriere della Sera”) di creare un prodotto tutto suo; 
dall’altro la necessità del Presidente dell’ENI, Enrico Mattei, di poter disporre 
di un proprio strumento giornalistico e, da ultimo, il desiderio che anima 
l’editore Cino Del Duca, conosciuto in Francia come il re incontrastato della 
presse du coeur, di ritornare in Italia con un’iniziativa di prestigio. 
Dalla “misteriosa” combinazione di questi tre personaggi, di queste tre personali 
e singolarissime storie, matura un quotidiano di battaglia politica e, al 
                                                           
5
  Per le notizie su “Il Giorno” si veda in particolare Gaetano Baldacci, Parliamo del Giorno e di  Mattei, in 
ABC, 11, 18, 25,settembre; 2, 9, 23, 30 ottobre; 6 novembre 1960.  
  
 
contempo, latore di istanze editoriali e giornalistiche radicalmente innovatrici, 
in grado di sfidare sul proprio terreno, la città di Milano, l’egemonia politico - 
culturale de “Il Corriere della Sera”. 
Dal punto di vista dell’assetto politico, il nuovo quotidiano di Baldacci si 
schiera alla sinistra di “La Stampa” e, ovviamente de “Il Corriere della Sera”, 
puntando alla collaborazione strategica fra democristiani e socialisti, difendendo 
l’intervento pubblico nell’economia in contrapposizione al conservatorismo 
rigido ed allo strapotere della CONFINDUSTRIA, sostenendo la politica della 
distensione internazionale e le legittime aspirazioni all’indipendenza dei Paesi 
del Sud del Mondo. La presenza di Del Duca dà inoltre al suo duplicemente 
nuovo giornale un’impostazione editoriale diversa, da foglio di larga diffusione 
popolare, con un’edizione al mattino ed una al pomeriggio, con l’impiego del 
rotocalco e un lancio pubblicitario mai visto prima. La veste grafica scelta dal 
direttore è quella tipica dell’inglese “Daily Expess”, che offre un’impaginazione 
molto vivace, con una prima pagina a vetrina, cioè con molti titoli e notizie di 
varietà.  Le pagine poi sono divise in otto colonne, anziché nelle tradizionali 
nove ed in prima c’è sempre anche una “Situazione” giornaliera, breve, svelta, 
legata all’attualità che sostituisce il lungo articolo di fondo. La tradizionale terza 
pagina è abolita: gli articoli di intrattenimento culturale vanno nell’inserto in 
rotocalco, completato da quella che costituisce la novità più ardita per un foglio 
del mattino: una pagina intera di fumetti e di giochi. 
  
 
Compongono la redazione giornalisti giovani, brillanti e di provenienza politico 
- culturale assai diversa (tra i quali si distingue il braccio destro del direttore 
Baldacci, l’infaticabile caporedattore centrale, Angelo Rozzoni): tutti comunque 
consci di voler costruire, sotto la direzione di Baldacci, qualcosa di 
radicalmente nuovo. 
 
 Se a tutto questo si aggiunge che “Il Giorno” si presenta come un giornale 
di tendenza progressista, che riporta notizie e punti di vista solitamente 
minimizzati, quando addirittura non scartati, dalla stampa d’informazione, 
meglio si comprende la sua carica di novità, che persino l’autorevole “Times” 
non stenta a riconoscere: con il titolo “Rottura con la tradizione” 
6
 si definisce 
l’uscita de “Il Giorno” come «un importante passo nella storia del giornalismo 
italiano, perché è il primo quotidiano del mattino che rompe lo schema 
tradizionale, imposto da cinquant’anni di Corriere della Sera».  
Insomma se c’erano, com’è evidente, dei grandi spazi vuoti nel giornalismo 
quotidiano del nostro Paese molti li ha riempiti “Il Giorno”: la frequenza e la 
particolarità delle inchieste, la pagina dedicata a notizie ed articoli finanziari; 
quella degli spettacoli, mai prima d’allora veramente presi in considerazione dai 
quotidiani; pagine tematiche per la letteratura, la scienza e la tecnica, per la 
                                                           
 
 
 
 
 
 
6
  L’articolo citato è di Paul Nichols, “The Times”, 7 ottobre 1968. 
  
 
moda, lo sport (nelle quali andava allora contraddistinguendosi il genio 
letterario di Gianni Brera) e le rubriche personali. Così, grazie alle novità insite 
nella sua struttura, “Il Giorno” riesce via via a reclutare lettori di idee 
progressiste, nonché quella schiera del pubblico tradizionalmente considerata 
inaccessibile per un quotidiano, perché portata alla lettura più comoda e 
distensiva dei rotocalchi settimanali: il target femminile. Ed il successo di 
vendita è incoraggiante, almeno agli inizi: nonostante i costi superino di poco i 
ricavi, la risposta del mercato è sicuramente superiore a quella ottenuta da altri 
giornali, come il “Corriere di Milano” o dal “Tempo di Milano”, che avevano 
invano cercato di affermarsi nel capoluogo lombardo. Nell’estate del 1959 “Il 
Giorno” raggiunge la quota fissa delle 150.000 copie, riuscendo a collocarsi al 
terzo posto delle vendite, subito dietro i maggiori quotidiani nazionali: il 
“Corriere” (che vende dalle 350.000 alle 400.000 copie) e “La Stampa” 
(250.000 - 350.000 copie). Nello stesso anno, la presenza di Mattei come vero 
ed unico proprietario del quotidiano milanese si concretizza ufficialmente, 
palesando dichiaratamente come vere le voci e gli attacchi delle destre, bene 
incarnate da don Sturzo, dal leader liberale Malagodi e dai quotidiani economici 
in quota a CONFINDUSTRIA. Per il giovane quotidiano si apre una fase 
delicata e critica.
7
 Il Ministro delle Partecipazioni Statali, sollecitato dai deputati 
delle destre, apre un’inchiesta di tale portata in base alla quale si annuncia che 
“Il Giorno” appartiene per il 49% all’ENI, per il 49% all’IRI e per il 2% al 
                                                           
7
  Nicola Tranfaglia, La polemica del “Giorno”, in Nord e Sud, n. 57, 1959. 
  
 
Ministero delle Partecipazioni. Il segreto è stato ormai svelato ed il quotidiano 
di Baldacci viene apertamente accusato di svolgere una politica contraria a 
quella del governo, dal quale, in ultima analisi, esso dipende; di più, tramite 
questi attacchi portati contro il quotidiano, si mira concretamente a colpire 
l’iniziativa pubblica in economia ed a frenare la laboriosa gestazione dello 
schieramento del centro - sinistra. 
Giunge così l’ora di Baldacci, suonata durante il Congresso DC di Firenze 
(ottobre 1959), da cui l’on. Amintore Fanfani, leader di riferimento del giornale, 
esce sconfitto. Baldacci è costretto alle dimissioni, nonostante il suo giornale 
stia raggiungendo una vendita consistente e stabile: 150.000 copie di base, con 
picchi di 180.000 quando al quotidiano si accompagnano i supplementi 
settimanali a colori - altra notevole novità creata all’interno del laboratorio del 
nuovo quotidiano: quello della domenica, di impressionante forza trainante, e 
quello dei ragazzi. Mattei sceglie il successore, che prenderà in mano il giornale 
nel primo giorno dell’anno 1960: è Italo Pietra, ex comandante partigiano, 
socialista, già collaboratore de “Il Corriere della Sera”. 
 Quella qui sommariamente tratteggiata, a partire dalla messa a tema delle 
novità insite nelle pagine di “Il Giorno”, è la situazione, nell’insieme 
contraddittoria e complessivamente fragile, della stampa italiana, nel momento 
in cui anche in Italia prende a brillare il nuovo astro delle comunicazioni di 
massa: la televisione. 
  
 
 1.3   Il  Telegiornale  
 Ultimata rapidamente la ricostruzione degli impianti ripetitori sul 
territorio nazionale, abbattuti o danneggiati durante la guerra partigiana (nella 
quale la Radio aveva svolto un ruolo decisivo nella propaganda, 
nell’informazione e nello scambio di direttive tra i partigiani e le numerose 
frange della popolazione collaboratrice), la radio aveva conosciuto un nuovo 
boom. Nel 1953, alla vigilia delle prime trasmissioni TV, gli abbonamenti 
sottoscritti alla radio di Stato
8
 superano i 4 milioni e mezzo, e per qualche 
tempo vanno ancora crescendo.  
Siccome la radio si ascolta quasi esclusivamente in casa, senza che siano 
richieste agli utenti abilità e conoscenze particolari se non quella dell’ascolto, 
sembra quanto meno ovvio che il Giornale Radio della sera rappresenti lo 
strumento di informazione, il più forte e seguito. Ma le trasmissioni informative 
del Monopolio Pubblico sono ancora avvolte in un’aura di ufficiosità e di 
moralismo fortemente intransigente: le poche “dirette” sono riservate ad eventi 
di prammatica, rare e scontate sono invece le inchieste, che prendono avvio 
soltanto quando un problema ha ormai assunto una rilevanza ufficiale difficile 
da ignorare.
9
 
 Lo stesso criterio di programmazione è applicato anche alle trasmissioni 
sperimentali del Telegiornale, le cui telecronache cominciano nel 1952: gli 
argomenti scelti hanno sintomaticamente il timbro dell’ufficiosità: per le 
                                                           
8
  Sulla storia della radio si segnala A. Papa, Storia politica della radio in Italia, vol. II, Napoli, Guida,  1978. 
 
9
  Nel 1953 la radio attacca una serie di conversazioni tra esperti sullo spinoso problema della disoccupazione, 
solo perché la Camera dei deputati ha deciso di dare corso ad un’indagine sul fenomeno. 
  
 
Orbi impartita da Pio XII, mentre nel primo telegiornale sperimentale del 10 
settembre trovano posto la Regata storica di Venezia, i funerali di Stato concessi 
al conte Sforza, già Ministro degli Esteri, gli aspetti curiosi della campagna 
elettorale americana, il Gran Premio di automobilismo corso a Monza. L’inizio 
ufficiale delle trasmissioni avviene la domenica 3 gennaio del 1954. Lo stesso 
giorno, Sua Santità Pio XII invoca pubblicamente da piazza S. Pietro la 
tempestiva emanazione di norme opportune e dirette a far servire la televisione 
alla sana ricreazione dei cittadini italiani, contribuendo altresì alla loro 
educazione morale
10
. L’appello papale non viene disilluso, almeno per i primi 
due anni di trasmissioni televisive, sulle quali vigila con ferrea intransigenza 
l’apparato democristiano dell’Azione Cattolica. Lo stesso Consiglio di 
Amministrazione aveva comunque provveduto alla “tutela morale” degli utenti, 
emanando nel 1953 un codice di autoregolamentazione deontologico
11
 per i 
giornalisti ed i personaggi dello spettacolo, da seguire puntigliosamente durante 
le trasmissioni informative e durante quelle di varietà: divieto tassativo di 
pronunciare la parola divorzio, l’argomento e il termine “adulterio” messo al 
bando, esattamente come il concetto stesso ed il problema della prostituzione 
siano banditi, affinché venga al contrario messa ben in evidenza la condanna dei 
disordini pubblici e dei conflitti con la polizia. Non sembra difficile capire 
come, al di là del loro contenuto letterale, queste norme potessero esercitare, in 
                                                           
10
  Il monito del Papa sarà poi ribadito nel 1957 con l’enciclica Miranda prorsus, dedicata al cinema, alla radio e 
alla televisione. 
11
  Cfr. F. Chiarenza, Il cavallo morente, Milano, Bompiani, 1978, che a p.59 riporta l’intero testo del codice di 
autodisciplina. 
 
 
 
telecronache, l’inaugurazione della Fiera di Milano e la benedizione Urbi et 
  
 
una situazione di grande e squilibrato fermento politico - economico - sociale 
che il Pese sta attraversando, una pressione censoria praticamente senza limiti. 
 Il telegiornale va in onda alle 20.30, letto da speaker e replicato, tale e 
quale, in tarda serata. Primo direttore è Vittorio Veltroni, al quale succederanno 
in soli cinque anni - un po’ come succede a tutt’oggi, quando le reiterate e mai 
durature nomine RAI, sia per la composizione del C. d. A., che per la direzione 
delle testate giornalistiche,  divengono occasione di aspri scontri politici in 
Parlamento, benché siano immancabilmente rimarcate da un’ipocrita intenzione 
di equidistanza dalle forze politiche - due rappresentanti democristiani: Redina 
prima e Piccioni poi. 
Alla fine del 1954, la popolazione in grado di captare il segnale televisivo 
è pari al 48,3%: gli abbonati alla televisione sono più di 88.000; il dato, senza 
dubbio poco incoraggiante, dipende essenzialmente dal prezzo ancora troppo 
elevato del magico scatolone luminoso, tanto che intere famiglie preferiscono 
godersi le trasmissioni nei punti di ritrovo pubblici e privati: al bar, in 
parrocchia presso i cinema degli oratori, dagli amici (quasi come avviene oggi 
durante le partite della Nazionale di calcio...). Ed per intrattenere gli italiani la 
RAI manda in onda uno strepitoso quiz condotto da Mike Bongiorno, “Lascia o 
raddoppia”, lanciato il 19 novembre 1955.  Il successo è garantito, tanto che 
l’Ente di stato si vede costretto ad estendere progressivamente i ripetitori su 
tutto il territorio nazionale per far fronte alle richieste del segnale da parte delle 
numerose famiglie che, approfittando di un ribasso dei prezzi del televisore, 
  
 
hanno finalmente acquistato lo scatolone luminoso e seguono con punte record 
di 10 milioni la fortunata e popolare trasmissione di Bongiorno.  
 In questo biennio si completa inoltre anche l’informazione di massa: il 
telegiornale, nonostante tutti i condizionamenti a cui sopra si faceva riferimento, 
è comunque una delle trasmissioni più seguite. E’ un telegiornale che trasmette 
cerimonie di ogni genere, parziale e non certo super partes in campo politico, 
privo o quasi di notizie di cronaca nera e giudiziaria, ma possiede lo strabiliante 
potere della passività: non richiede altro sforzo che quello di essere seguito; le 
immagini che scorrono sullo schermo (il bello della diretta), in grado di 
partecipare a milioni di italiani eventi che i giornali commenteranno 
necessariamente con un giorno di ritardo, la voce degli speaker che parlano al 
pubblico, evitandogli così lo sforzo della concentrazione alla lettura, 
determinano la scelta ed i gusti delle stesse famiglie: il telegiornale ora entra in 
molte case dove mai, statisticamente, era entrato un quotidiano. 
 Nel 1961, a sette anni dall’inizio delle trasmissioni RAI, entra in funzione 
una seconda rete, ma il Tg resta saldamente una prerogativa del primo canale, 
secondo quelle logiche di controllo accentrato che hanno da sempre - e a 
tutt’oggi la situazione non può dirsi sostanzialmente diversa - contraddistinto la 
gestione dell’informazione pubblica sia radiofonica che televisiva. Il 
telegiornale sembra diventare, sia pure per una breve stagione, più brillante e 
vivace: ciò succede quando il nuovo e abile direttore generale della RAI, il 
fanfaniano Ettore Bernabei, chiama Enzo Biagi a dirigerlo.