9 
 
Introduzione 
 
 
“Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better”
1
, così scriveva 
Samuel Beckett nella sua novella del 1983 “Worstward Ho” e la frase è divenuta una sorta di 
mantra motivazionale in molti ambiti imprenditoriali. E non può non esserlo soprattutto per 
chi fa – o aspira a fare – il traduttore, per il quale provare e fallire, riprovare e fallire ancora 
nella ricerca di quelle parole che meglio esprimano l’immagine e il pensiero dell’autore del 
testo di partenza, costituisce il pane quotidiano di un lavoro spesso mal retribuito e poco 
nobilitato, ma che riempie la vita di passione, consapevole di essere un ponte tra culture e 
pensieri differenti. 
La traduzione è ormai un settore di studi autonomo – i cosiddetti Translation studies, 
tradizionalmente chiamati “teoria della traduzione” - laddove, fino agli anni Settanta, era 
considerata un’appendice della linguistica testuale. Ma approcciarsi alla traduzione dal punto 
di vista lessicale significa spesso concentrarsi su dettagli quasi eterei, come la (in)traducibilità 
della cultura, del contenuto sottinteso e dei referenti culturali impliciti. Il famoso saggio di 
Jakobson “On linguistic aspects of translation”, fondamentale per chiunque voglia avvicinarsi 
alla traduzione nella sua completezza, venne pubblicato nel 1959, periodo in cui le ricerche in 
questo ambito erano scarsamente produttive e gli studiosi non furono in grado di coglierne 
l’importanza perché era un’attività da sempre considerata quasi secondaria, opposta al 
processo creativo dell’autore
2
, contribuendo così alla dicotomia tra orator e interpres
3
, 
esistente fin dai tempi di Cicerone nel suo De optimo genere oratorum. Egli stesso affermava 
di tradurre come oratore piuttosto che come interpres, termine la cui accezione era legata più 
al mondo giuridico e indicava il ruolo di mediatore. Anche Miguel de Cervantes scrisse, con 
riguardo alla traduzione, ne El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha 
 
 
 
  
mettendo proprio in evidenza quanto tradurre equivalga a riprodurre, ma non creare.
4
 Non si 
può quindi negare che esistano delle lacune di tipo teorico, proprio per questo ruolo marginale 
                                                      
1 “Avete sempre provato. Avete sempre fallito. Non importa. Provate ancora. Fallite ancora. Fallite 
meglio” (Samuel Beckett) N.d.T. 
2 Bruno Osimo, Manuale del traduttore, Hoepli, Milano, 2011 
3 Gianfranco Folena, Volgarizzare e tradurre, Einaudi, Torino, 1991, pag. 3  
4 “[...]tutti quelli che pretendono di tradurre in altra lingua i libri in poesia che, per quanta cura ci 
mettano e per quanta abilità dimostrino, non arriveranno mai alla perfezione che quei libri hanno 
nell’originale” N.d.T. 
“[...]lo mesmo harán todos aquellos que los libros del verso quisieren volver en 
otra lengua, que, por mucho quidado que pongan y habilidad que muestren, jamás 
llegarán al punto que ellos tienen en su primer nacimiento”
10 
 
e poco riconosciuto rivestito dalla traduzione, pur avendo una notevole diffusione se 
consideriamo che ogni forma di comunicazione si fonda su di essa: anche quando parliamo 
traduciamo i nostri pensieri in parole, e così in ogni relazione quotidiana. 
Fortunatamente, le ricerche sulla traduzione riescono ormai a evidenziare dei principi 
teorici e metodologici comuni, pur rimanendo all’interno di un ambito molto vasto improntato 
all’interdisciplinarietà, comprendente una varietà enorme di applicazioni, alcuni poco 
conosciuti e di recente indagine, come il voice over. Durante i miei studi inerenti alla 
trasposizione linguistica ho imparato che il nucleo fondamentale è la visione del tradurre come 
atto comunicativo, dove il ruolo basilare viene giocato dalle parti coinvolte, mittente e 
destinatario, dal messaggio, dagli effetti che si vogliono ottenere e, soprattutto, dal contesto. 
E questo è solo una delle molteplici prospettive dalle quali possiamo osservare i fenomeni 
traduttivi e i numerosi ambiti nei quali si fa ad essa ricorso: dalla letteratura alla saggistica, 
alla comunicazione pubblicitaria e, in generale, in tutto il campo della multimedialità che va 
dalla localizzazione di videogiochi e pagine web alla traduzione audiovisiva, oggetto di questo 
lavoro.
5
 In ognuno di questi ambiti, ancora una volta, la trasposizione linguistica non può che 
sottostare alle regole della comunicazione, verbale e non, perché è poi ciò che spinge un 
traduttore a lavorare: essere un mezzo di diffusione della cultura, del pensiero, di continuo 
confronto con l’Altro, ma anche di approfondimento della conoscenza della propria lingua, 
andando al di là di quei soliti lemmi usati nella quotidianità.
6
 
Questa è la motivazione che mi ha spinta nella scelta dell’argomento di questa tesi: il 
poter unire, ancora una volta, due passioni, quella per la traduzione e quella per il cinema. 
Non si può prescindere dal riconoscere i potenziali comunicativi dei prodotti audiovisivi come 
mezzo di diffusione di valori – talvolta negativi –, culture, abitudini e sogni, ma la crescente 
diffusione di tali prodotti provenienti da Paesi esteri pone, da sempre, il problema di come 
superare le barriere linguistiche. Talvolta si ricorre a professionisti del settore, come nel caso 
del doppiaggio – benché negli ultimi anni la qualità sia andata scemando
7
, così come gli 
investimenti in doppiatori di professione – e altre volte, complice la richiesta pressante del 
prodotto finito nel minor tempo possibile, si ricorre a sottotitolatori amatoriali, per esempio, 
il fansubbing o, peggio, ai traduttori automatici. Il problema della traducibilità di tali prodotti 
non è legato solo alla loro commercializzazione, ma a un’operazione più ampia, poiché il film 
è un sistema semiotico complesso, che comprende un codice verbale, uno visivo e uno sonoro: 
il primo è sicuramente l’elemento strutturale fondamentale per comprendere l’opera 
audiovisiva e veicolarne il messaggio, dato che il suo significato nasce dal contesto generale 
espresso dal film, ma soprattutto dal rapporto dialettico tra immagini e parole.  
Come qualunque testo che necessita di una trasposizione linguistica per poter essere 
diffuso oltre i confini determinati dalla lingua di partenza, anche per un prodotto audiovisivo 
                                                      
5
 AA.VV., a cura di Giuseppe Palumbo, I diversi volti del tradurre, collana dell’Università di Modena e 
Reggio Emilia, 2006 
6
 Franca Cavagnoli, La voce del testo, l’arte e il mestiere di tradurre, Feltrinelli, Milano, 2012 
7
 Elisa Perego, La traduzione audiovisiva, Roma, Carocci, 2005
11 
 
come il film, il ricorso a un traduttore diviene basilare per poter superare gli ostacoli di tipo 
linguistico e per riconoscergli altresì il compito di conservare la coerenza della comunicazione 
ai destinatari dell’opera. Il traduttore è un ponte che permette l’interscambio comunicativo e 
contribuisce a diffondere quella magia che un film crea per la sua dimensione pragmatica e 
semiotica: se è vero che l’immagine è comprensibile al di là di qualunque lingua si parli, il 
codice verbale non lo è, poiché occorre intenderlo all’interno dello stesso sistema cui 
appartiene ed è questo il compito della traduzione audiovisiva. Una delle grandi magie che da 
sempre mi ha affascinata della traduzione è il rispetto di quel principio di verosimiglianza che 
ci permette di credere che il testo che leggiamo, e il film che guardiamo, siano veri come lo 
sono i testi di partenza, e benché il nostro inconscio sia consapevole che i personaggi di un 
film come “Il Padrino” non parlino effettivamente italiano, siamo comunque portati ad 
assumere le figure dell’enunciazione traduttiva come quelle dell’enunciazione originale. 
Occorre aggiungere che lo sviluppo tecnologico più recente nell’ambito delle industrie 
cinematografica e televisiva ha portato alla moltiplicazione di canali televisivi nazionali e 
internazionali, gratuiti e a pagamento, compreso lo streaming su internet, e quindi alla 
richiesta sempre maggiore, come evidenziato, di traduzioni – anche a buon mercato – che 
consentano il superamento delle barriere linguistiche e culturali, essendo cinema e televisione 
i mezzi di comunicazione di maggior utilizzo nel mondo. La traduzione audiovisiva ha 
conquistato in questo modo ambiti sempre più numerosi, mettendo in evidenza la sua 
dimensione multisemiotica, che ha portato alla nascita e crescita di figure professionali in un 
mercato in costante espansione, per quanto non certo agevole. 
Queste sono state alcune delle motivazioni che mi hanno spinta a privilegiare la 
traduzione, in particolare quella audiovisiva, anche grazie ai corsi della Laurea Magistrale delle 
professoresse Daniela Zizi, Michela Giordano e Maria Cristina Secci dalle quali ho cercato di 
apprendere il più possibile e grazie alle quali ho potuto fare molte esperienze traduttive 
pratiche, cimentandomi nella traduzione degli spot pubblicitari, di biografie di alcuni autori, 
italiani e non, per il festival “Isola delle Storie” di Gavoi, fino a un racconto facente parte di 
una raccolta di autori boliviani “Calles”
8
, di recente pubblicazione. Anche per questo non 
potevo prescindere dal cercare di fare un lavoro che potesse permettermi di coinvolgere le 
lingue oggetto di studio, inglese e spagnolo, e sfruttare quanto imparato per tradurre da e 
verso l’italiano.  
La necessità di lavorare con diverse tipologie testuali è stato il motivo per il quale si è 
scelto di ricorrere a dei cortometraggi, il cui mercato è in costante espansione, e che 
utilizzassero linguaggi differenti, comprendenti l’ironia come in “Is this free?” (testo di 
partenza in inglese e testi di arrivo in spagnolo e italiano), la fiaba di “La leyenda del 
espantapájaros” (dallo spagnolo all’inglese e all’italiano), il linguaggio formale ma figurato di 
                                                      
8
 AA.VV. Calles, Gran Via Edizioni, Terni, 2018
12 
 
“Piccole cose di valore non quantificabile” (dall’italiano allo spagnolo e all’inglese) e infine 
“Vale” (dallo spagnolo all’inglese e italiano) che è uno spot pubblicitario un po’ anomalo che 
mischia, allo spagnolo e all’inglese standard, uno spanglish buffo in una situazione realistica. 
Infine, ho realizzato i sottotitoli i cui vincoli spazio-temporali influenzano la traduzione e 
spesso comportano omissioni soprattutto di intercalari e ripetizioni. La creazione di apposite 
tabelle per ogni cortometraggio mi è stato di grande aiuto per poter evidenziare le criticità 
traduttive e traduttologiche e valutare come la lunghezza cambi in rapporto alle lingue 
utilizzate. Ho potuto anche apprezzare come lo sviluppo tecnologico metta ormai a 
disposizione diversi programmi open source, indispensabili per chiunque voglia lavorare nel 
mondo della traduzione e dei sottotitoli, permettendomi di fare ricorso a diversi strumenti 
multimediali di uso piuttosto intuitivo.  
Questi sono gli argomenti che vengono affrontati nella seconda parte della tesi. La 
prima, invece, ha un carattere più teorico, poiché affronta il tema della traduzione, con un 
breve excursus storico a mio parere necessario, per poi descrivere l’ambito specifico della 
traduzione audiovisuale, la sottotitolazione e i vincoli che la caratterizzano. La parte finale 
offre delle riflessioni sul lavoro affrontato, le sue criticità e le sue sfide, le differenze nel 
tradurre dall’italiano verso lo spagnolo e l’inglese, e dalle lingue straniere verso la propria 
lingua madre, dato che una delle maggiori insidie è proprio la prima lettura del testo di 
partenza, momento in cui avviene già una prima traduzione – dal testo scritto o audiovisivo a 
quello mentale che ci appartiene: alle volte, l’immagine che viene proiettata nella nostra 
mente dalle parole presenti nel testo di partenza potrebbe non coincidere con quella 
dell’autore e questo costituisce il mio più grande scoglio. Come superarlo? Esistono diverse 
strategie, alcune specifiche per i sottotitoli, e altre per la traduzione letteraria ma che, a ben 
vedere, possono essere applicate a qualunque tipo di traduzione. Quello che è necessario fare 
è individuare il destinatario della nostra traduzione: riconoscere a che pubblico ci dirigiamo è 
fondamentale per poter poi stabilire che tipo di traduzione vogliamo realizzare, se vogliamo 
ottenere un effetto di straniamento che permetterà al fruitore di immergersi in un’altra 
cultura, o se vogliamo addomesticare il testo di partenza perché la dominante è quella della 
massima fruibilità. Il processo del tradurre è come un gioco dove ogni passo che scegliamo di 
fare influenza tutti passi che faremo in seguito. Così ogni parola che scegliamo di usare, stando 
ben attenti a motivarla senza lasciare nulla al caso, influenzerà le parole successive e questo 
è molto importante tenerlo bene a mente, perché il traduttore ha un grande potere: 
permettere la circolazione nello spazio delle opere d’arte e garantire la loro vita nel tempo. 
Per questo motivo, il più importante tra tutti, deve rispettare le intenzioni del creatore 
originario.
13 
 
 
 
  
    Parte prima
14 
 
 
1. Il mondo della traduzione 
 1.1 Alcuni cenni sulla storia della traduzione                               
 
 
 
 
Sulla base dei tantissimi libri sull’argomento, ricostruire una storia della traduzione 
risulterebbe un processo molto lungo e, chissà, forse non sarebbe neppure esaustivo, ma è 
comunque indispensabile fare un viaggio attraverso i secoli per evidenziare come il ruolo della 
traduzione – e perciò del traduttore come professionista – sia cambiato nel tempo, anche per 
capire l’importanza che riveste nella storia letteraria e culturale mondiale.  
La nascita della traduzione, come la poesia orale e le arti figurative, rimonta alla notte 
dei tempi, se consideriamo che le prime traduzioni risalgono all’Antico Regno Egizio, intorno 
al 3000 a.C., e successivamente si passa a quella in greco dell’Antico Testamento che risale 
agli inizi del II secolo a.C. I primi studi teorici importanti appartengono a Marco Tullio Cicerone, 
quando l’Impero romano aveva ormai assimilato elementi di grande spessore della cultura 
greca che voleva diffondere grazie a costanti traduzioni.
9
 Ma nonostante questo, gli studi 
teorici in questo ambito furono piuttosto scarsi e poco rigorosi, almeno fino al XIX secolo, 
quando cominciano degli studi di indagine ermeneutica per poi giungere alla teoria 
contemporanea negli anni Quaranta del XX secolo. Saranno poi le ricerche sulla traduzione 
automatica a gli sviluppi della linguistica a cercare di fare della teoria della traduzione una 
scienza autonoma. Tale modello sostanzialmente linguistico ha spinto ad affrontare la 
tematica sotto prospettive nuove, dando il via ai Translation Studies che prendono in 
considerazione anche aspetti legati alla cultura e alla storia. Nella letteratura sulla storia e la 
teoria della traduzione gli interrogativi e i problemi riguardo la sua natura sono da sempre gli 
stessi: cosa è tradurre e come bisognerebbe tradurre? 
Cicerone
10
 fu il primo a sostenere, nel lontano I secolo a.C., che occorresse tradurre 
secondo il senso – compito dell’orator -, piuttosto che parola per parola
11
 - l’interpres -, 
generando un ambito di discussione che sarà centrale in tutti gli studi teorici: l’opposizione tra 
una traduzione orientata verso la lingua di arrivo (detta anche target oriented) e una invece 
fedele alla lingua di partenza (o source oriented). Così anche Orazio riteneva che tradurre 
                                                      
9
 Bruno Osimo, Il manuale del traduttore, Hoepli, Milano, 2011 
10
 Marco Tullio Cicerone, Libellus de optimo genere oratorum 
11
 "[Non] verbum de verbo, sed sensum exprimere de sensu"  
“L’esperienza mi ha poi insegnato che 
traduzione e compromesso sono 
sinonimi” (Primo Levi)
15 
 
significasse interpretare il testo di partenza al fine di produrre una versione di arrivo che fosse 
basata sul senso espresso dall’autore.  
Nel periodo di maggior diffusione del Cristianesimo la traduzione venne utilizzata con lo scopo 
di divulgare il vangelo di Cristo, dovendo rispondere a precisi criteri estetici e religiosi. È San 
Girolamo, patrono dei traduttori, che alla fine del III secolo d.C. traduce una parte della Bibbia 
seguendo il pensiero di Cicerone e Orazio, prediligendo quindi il senso più “liberale” a quello 
strettamente “letterale”. La sua versione passerà alla storia col nome di Vulgata.
12
 Dopo la 
caduta dell’Impero romano, nasce l’esigenza che anche il popolo possa comprendere, per 
questo, accanto alle lingue della cultura, il greco e il latino, si crea un binomio con i volgari che 
porta al fenomeno della volgarizzazione, particolarmente sentito da Sant’Agostino. Egli dà una 
definizione ante litteram dell’interpretante come entità mentale che funziona da ponte tra 
pensiero e parola, quando scrisse che «la nostra sola ragione di [...] produrre segni, è quella di 
rendere chiari e di trasferire nello spirito altrui ciò che porta nel proprio spirito chi produce il 
segno».
13
 Si distingue quindi tra “traduzione orizzontale”, ossia tra lingue di pari dignità – i 
volgari – e la “traduzione verticale” tra latino e volgare.
14
 
 Altra grande influenza ebbe Dante Alighieri, il quale conferì uno status più elevato alla 
lingua volgare, facendo del bilinguismo – il volgare come lingua naturale e il latino come lingua 
artificiale -, tipico degli intellettuali italiano del Trecento, strumento della comunicazione. 
Anche Giovanni Boccaccio, nel Trecento, utilizza il volgare per rivolgersi a un pubblico sempre 
più vasto, traducendo un gran numero di classici e teorizzando la traduzione libera rispetto 
alla letteralità. È però con Leonardo Bruni e il suo De interpretatione recta del Quattrocento 
che si afferma una visione più autonoma della traduzione, quale esempio sia di trasferimento 
linguistico che di attività creativa. Infatti, sempre in questo secolo, il termine traductio verrà a 
ricomprendere un intero processo che va dalla imitazione, alla conversione, alla rielaborazione 
e al rendere, introducendo una specificità nel termine che designa l’attività del tradurre.  
 Altri eventi fondamentali modificano il ruolo della traduzione: l’invenzione della 
stampa, sempre nel Quattrocento, che consente una diffusione ad ampio raggio del sapere, 
l’affermazione delle lingue nazionali, i primi studi sulla traduttologia, in particolare quella 
francese grazie a Estienne Dolet: una nota dolente su quest’ultimo è che venne accusato di 
blasfemia e condannato al rogo per aver modificato una frase sull’immortalità dell’anima nella 
traduzione dell’Assioco della morte di Platone. Egli sottolinea l’importanza della leggibilità di 
un testo tradotto e la necessità di semplificare testi troppo complessi per un pubblico medio, 
consentendo una lettura agevole ma di contenuto. 
 Anche la riforma protestante di Martin Lutero che nel Cinquecento traduce la Bibbia in 
tedesco, oltre ad altri testi sacri, porta a una profonda trasformazione sia della cultura che 
della religione. Egli, dopo le numerose critiche per aver tradotto la parola di Dio discostandosi 
dal testo originale, scrisse la Lettera circolare sulla traduzione dove difende le proprie scelte 
traduttologiche secondo il criterio dell’accettabilità, portando il testo di partenza verso la 
cultura di arrivo
15
 poiché la sua intenzione è quella di privilegiare la comprensibilità da parte 
di un numero il più elevato possibile di lettori.  
                                                      
12
 Georges Mounin, Teoria e storia della traduzione, Einaudi, Torino, 1965 
13
 Agostino, De doctrina cristiana, II, 3, citato in Bruno Osimo, Storia della traduzione, Hoepli, Milano, 
2002, pag. 16 
14
 Bruno Osimo, Storia della traduzione, Hoepli, Milano, 2002  
15
 Bruno Osimo, Il manuale del traduttore, Hoepli, Milano, 2011
16 
 
  Un altro tassello fondamentale per la storia della traduzione viene posto in Francia, 
quando durante l’epoca di Luigi XIV, si diffonde l’idea che la perfezione formale della società 
e dei costumi francesi regnasse sovrana, e pertanto qualsiasi prodotto culturale che non fosse 
all’altezza dovesse esservi adeguato, adattando e modificando qualunque tipo di testo che 
non rispettasse quei canoni, eliminando forestierismi ed esotismi che facessero riferimento a 
culture straniere e che potessero turbare il lettore, pur restando la grande ammirazione per 
le lingue e le culture classiche. È in questo momento che si sviluppano le cosiddette “belle 
infedeli”, traduzioni abbellite nel lessico e nella forma che si opponevano alle versioni fedeli 
al testo originale ma meno belle esteticamente, privilegiando in tal modo la cultura di arrivo. 
I testi tradotti vengono quindi adattati e localizzati per piacere di più al lettore, a scapito di 
qualunque studio filologico dell’originale, legando così queste traduzioni a un’interpretazione 
del testo che non tenesse conto della storia, della cultura e della lingua del luogo di 
provenienza, ma venisse tradotto e inserito nella cultura ricevente come fosse una propria 
opera originale.
16
 Questo genere di traduzione regnerà per circa trent’anni, considerandola 
una riscrittura del testo originale. Prova di questo pensiero furono le traduzioni epurate di 
espressioni volgari della Divina Commedia e dell’Iliade che solo nell’Ottocento, grazie alla 
nuova importanza data al testo originale e alla creatività dell’autore durante il Romanticismo, 
prendono a circolare in traduzioni più fedeli, insieme a tantissime altre opere le cui 
trasposizioni influenzano le lingue di arrivo.  
In questo secolo, soprattutto in Germania, la traduzione viene studiata sia sotto 
l’aspetto linguistico che filosofico, valorizzandola come fonte di arricchimento della propria 
cultura e della propria lingua. Sono importantissime le riflessioni di Goethe, per il quale il 
traduttore dovrebbe orientare la propria lingua verso quella di arrivo e spetterebbe al lettore 
muoversi verso il testo originale.
17
 La parola viene ora considerata come strettamente 
dipendente dal pensiero, nata dalla fantasia dell’artista, come qualunque opera figurativa, ed 
è per questo motivo che non vi può essere una perfetta univocità fra le lingue, fatta eccezione 
per le parole che designano oggetti fisici. Ciononostante, il tradurre dà la possibilità, a chi non 
conosce le lingue, di leggere opere classiche altrimenti sconosciute e anche di arricchire il 
proprio vocabolario, accogliendo l’elemento estraneo come occasione di crescita culturale. 
Siamo quindi agli albori del source-oriented text: non si può eliminare la vaghezza e la 
stranezza del testo originale e non si possono rendere tutte le sfumature del linguaggio, 
occorre accettarne l’incomprensibilità, come riteneva Schlegel.
18
 Il lettore deve avere la 
possibilità di interpretare, anche se non di capire, gli elementi oscuri di un’opera: per 
Humboldt la traduzione deve riuscire a trovare il giusto equilibrio tra l’accoglienza di culture 
diverse e il requisito imprescindibile della leggibilità.
19
 
 Di nuovo in Francia, ma nel XIX secolo, ha una grande importanza lo sviluppo delle 
teorie sulla traduzione che coinvolgono sia linguisti che grammatici: oltre alla tendenza, 
ancora viva, a considerare la traduzione come puro processo meccanico, si diffonde anche 
quella per cui la si considera come categoria del pensiero e il traduttore viene visto come un 
genio creativo, portatore di nuovi stimoli per la cultura di arrivo. Si sviluppa il pensiero di 
Benedetto Croce al riguardo, il quale ritiene che ogni atto linguistico sia senza precedenti e 
                                                      
16
 Georges Mounin, op. cit, pag. 21. 
17
 Ibid. 
18
 Bruno Osimo, Il manuale del traduttore, pag. 5 
19
 Ivi, pag. 6
17 
 
ogni traduzione, in qualche modo, sminuisca l’originale perché nasce dall’unione 
dell’espressione nel testo di partenza con il pensiero del traduttore: una buona traduzione 
può solo approssimarsi all’opera originale e rimanere autonoma essa stessa.
20
 Croce postula 
una possibilità di traduzione differente rispetto ai vari generi, ritenendo che tradurre un testo 
settoriale – di tipo scientifico, ad esempio – sia più semplice perché la terminologia è univoca, 
laddove risulta impossibile tradurre la poesia. Del resto, tantissimi autori in epoche diverse, 
da Dante a Jakobson, l’hanno ritenuta intraducibile. Al tempo stesso il concetto di traduzione 
abbraccia qualunque tipo di trasferimento testuale, comprese le illustrazioni nei libri, i testi 
teatrali e la traduzione pittorica di poesie. Si discute anche sul compito del traduttore, il quale 
deve saper cogliere l’essenza dell’opera originale, instaurando un rapporto di necessità tra 
prototesto e metatesto, poiché il primo è la sorgente da cui deriva la traduzione, la quale 
mantiene in vita lo stesso spirito dell’opera.
21
 La traduzione non deve essere soltanto una 
copia, ma deve riuscire a farsi invisibile, trasparente, non deve coprire l’opera originale, poiché 
il traduttore dev’essere in grado cogliere l’essenza del testo di partenza e riporla nelle proprie 
parole. Poiché, al contrario, non vi può essere una totale coincidenza tra le lingue, nel 
momento in cui riflettiamo sul fatto che la lingua dell’autore del testo di partenza sia primaria 
e intuitiva, mentre quella del traduttore è derivata, ci rendiamo conto che il suo compito è 
quello di liberare la lingua dalle costrizioni superficiali di un’altra. 
 Negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie alla comparsa dei computer e dei primi 
traduttori automatici, si apre un nuovo capitolo nella “scienza della traduzione” basata sulla 
grammatica generativo-trasformazionale e sul modello di struttura profonda e superficiale di 
Noam Chomsky che conferì credibilità alla scienza della traduzione di Eugene Nida, fondata 
sulla traduzione della Bibbia.
22
 Quest’ultimo ritiene che il testo tradotto debba produrre nel 
lettore del testo di arrivo una reazione che sia simile a quella prodotta nei fruitori originari e, 
qualora questo non avvenga, occorra modificare il testo.
23
 In questi anni si capisce che la 
traduzione è comunicazione interlinguistica, dato che il linguaggio è fatto di segni, oggetto di 
studio della semiotica che diviene fondamentale per la teoria della traduzione, in particolare 
la sociosemantica che si occupa della lingua come codice (chiamata parole da Saussure e 
competence da Chomsky) e della lingua nel suo contesto (chiamata langue da Saussure e 
performance da Chomsky). Anche la linguistica viene applicata allo studio della traduzione, in 
particolare da Vinay e Darbelnet che codificano sette tecniche traduttologiche: equivalenza, 
adattamento, calco, traduzione letterale, trasposizione, modulazione, traslitterazione, che si 
vedranno dettagliatamente nel corso di questo lavoro. 
Alcuni altri nomi che influenzano le ricerche sulla traduzione sono Roman Jakobson, 
Yuri Lotman, Georges Mounin e Umberto Eco (fino agli anni Duemila). Nasce quindi un 
approccio scientifico, basato su regole matematiche, insieme a studi a livello di parola, 
influenzati soprattutto dalla struttura di langue e parole di De Saussure. Approccio che 
sostiene l’universalità delle strutture basilari delle diverse lingue e la convinzione che non 
debbano essere tradotte le parole nel loro contesto culturale, ma i termini dotati di 
                                                      
20
 Benedetto Croce, Estetica come scienza dell’espressione e della linguistica generale, Laterza, Bari, 
1922, pp. 75-82 
21
 Siri Nergaard, Teorie contemporanee della traduzione, Bompiani, Milano, 1995 
22
 Georges Mounin, op. cit. 
23
 Questo è il concetto di “equivalenza dinamica” espresso da Euguene Nida in “Toward a science of 
translating: with special reference to principles and procedures involved in Bible translating”, 1964