Vulnerabilità degli edifci ecclesiastici lucani - Introduzione 
Introduzione
L’importanza delle strutture che fanno parte del nostro patrimonio artistico e 
culturale  è  indubbia,  in quanto espressione della  nostra società,  della nostra 
storia,  della nostra creatività.  In particolare,  le  chiese e gli edifci  di culto in 
genere (che, tra le altre cose, rappresentano oltre l’80% del patrimonio culturale 
nazionale) sono quelli che probabilmente più di qualsiasi altro, appartengono 
più univocamente all’immaginario collettivo comune. Infatti esse hanno spesso 
determinato la crescita e l’affermazione dei piccoli borghi sorti attorno a loro, e 
lo  sviluppo  del  territorio  e  delle  comunità,  è  stato  spesso  legato  alla  loro 
presenza. 
È  evidente  che  per  conservare  tali  “testimonianze”  è  necessaria  un’attenta 
analisi  condotta  non soltanto  al  restauro,  ma anche puntando alle  cause che 
portano al declino del costruito, in primo luogo con riferimento agli eventi più 
negativi  per  essi,  i  terremoti.  Infatti  l’esperienza  mostra  come sia  questa  la 
causa più probabile del decadimento di tali costruzioni. Anche sismi di limitata 
intensità determinano stati fessurativi evidenti e possono provocare, in alcuni 
elementi architettonici della chiesa, situazioni d'instabilità con crolli locali. 
Questo  soprattutto  per  una  propria  vulnerabilità  intrinseca,  dovuta  alle 
caratteristiche per niente duttili della muratura (“l’ingrediente” principale) ed 
ad una  vulnerabilità  aggiunta dovuta al  naturale  degrado dei materiali;  senza 
contare le contromisure prese che, per mancanza di esperienza, si sono rivelate 
il  più delle volte erronee,  causando, spesso, danni  maggiori di quelli che si 
volevano curare. 
Sarebbe  pertanto  necessaria  una  attenta  indagine,  al  fne  di  individuare  le 
soluzioni strutturali di rafforzamento antisismico opportune. Esiste quindi per 
questi  manufatti  un  problema  di  sicurezza,  ovvero  occorre  garantire  alla 
struttura una capacità di resistere all'azione sismica confrontabile con quella che 
viene richiesta alle nuove costruzioni.  Questa esigenza è legata, come detto, al 
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Vulnerabilità degli edifci ecclesiastici lucani - Introduzione 
mantenimento  del  bene  architettonico,  per  le  sue  valenze  culturali  ed 
economiche, ma soprattutto alla salvaguardia dell'incolumità pubblica, dato che 
una chiesa può essere soggetta  a  grande affollamento (anche se per  periodi  
limitati). Il punto di partenza nella valutazione della sicurezza di un manufatto 
storico  è  considerare  la  sua  storia  come  collaudo dell'opera.  Nell’ambito 
dell’ingegneria strutturale è quindi fondamentale conoscere la sequenza degli 
eventi sismici signifcativi che hanno interessato il manufatto dall'epoca della 
sua  costruzione  ed  acquisire  notizie  sui  danni  subiti.  La  sintesi  di  queste 
informazioni,  unitamente  alla  scelta  di  un  modello  del  comportamento 
strutturale,  porta  alla  formulazione  della  diagnosi,  ovvero  consente  di 
determinare il livello di sicurezza del manufatto o, equivalentemente, con un 
termine utilizzato in ambito sismico, la sua vulnerabilità. 
È questo l’oggetto del presente lavoro, che propone un criterio di valutazione 
della vulnerabilità sismica degli edifci di culto lucani, indirizzata ad acquisire 
una conoscenza degli edifci presenti sul territorio ed a stimare il danno che si 
verifcherebbe a seguito del terremoto atteso nella regione, partendo dal danno 
osservato in una precedente crisi post-sismica. 
Come  terremoto  di  riferimento  si  assume  in  genere  il  massimo  storico  sul 
territorio. Nel nostro caso si considerano i danni subiti da un campione di 82 
chiese  monumentali  durante  il  terremoto  che  ha  colpito  la  Basilicata  il  23 
novembre 1980 (magnitudo 6.9 sulla scala Richter).
In particolare, si faranno in primis delle valutazioni sul comportamento degli 
edifci ecclesiastici in zona sismica, evidenziando l’assenza di un comportamento 
scatolare e  il  conseguente  verifcarsi  di  collassi  parziali,  introducendo quindi 
come la risposta sismica di tali edifci possa essere interpretata considerando 
singolarmente gli elementi architettonici che costituiscono la fabbrica, defniti 
macroelementi (facciata, cupola, arco trionfale, abside, ecc.). Si andranno quindi 
ad esaminare i danni tipici per ognuno di questi e i fattori che ne infuenzano la  
vulnerabilità.
In base a queste considerazioni sarà possibile una stima del  danno atteso per i 
principali  meccanismi  di  collasso  a  seguito  di  un  evento  sismico  di  data 
intensità  attraverso  le  matrici  di  probabilità  di  danno.  Inoltre,  l’utilizzo  di 
regressioni multiple, permetterà poi di ricavare delle indicazioni sulla capacità 
sismica dei macroelementi fondamentali sottolineando quale di quei fattori che 
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Vulnerabilità degli edifci ecclesiastici lucani - Introduzione 
condizionano  la  vulnerabilità  specifca  per  quel  macroelemento  risulta  più 
infuente.
Si  cercherà,  infne,  una  possibile  correlazione  tra  i  differenti  meccanismi  di 
collasso.
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1Le chiese in muratura in zona sismica
Capitolo 1 - Le chiese in muratura in zona sismica
I sistematici  danni osservati  a seguito di eventi sismici testimoniano come le 
chiese  siano,  tra  i  manufatti  a  carattere  monumentale,  la  tipologia 
maggiormente vulnerabile; in particolare, per tutti gli edifci ecclesiastici storici, 
realizzati  sulla  base  dell’esperienza  costruttiva  acquisita,  il  terremoto  è  da 
sempre la principale causa di danno. Infatti, nel passato le chiese, come tutte le 
costruzioni  in  muratura,  erano  realizzate  sull’intuizione  del  comportamento 
strutturale,  considerando  unicamente  le  azioni  statiche  (principalmente 
connesse al peso proprio degli elementi strutturali e alle spinte statiche di volte 
e archi), e senza tener presente delle azioni sismiche orizzontali. Inoltre c’è da 
considerare il naturale degrado dei materiali,  che può essere aggravato dalla 
scarsa  manutenzione,  come  pure  ai  dissesti,  i  cui  effetti  vanno  spesso  a 
sommarsi nel tempo se non opportunamente contrastati. A questo và aggiunto 
che  molti  interventi  di  consolidamento,  effettuati  in  assenza  di  metodologie 
operative  scientifche,  hanno spesso prodotto  effetti  peggiori  di  quelli  che si 
volevano contrastare. In effetti, gli interventi sul patrimonio monumentale negli 
ultimi decenni sono stati caratterizzati dall’ignoranza delle tecniche costruttive 
che, unita alla mancanza di metodi di calcolo adeguati, ha prodotto operazioni 
volte a modifcare l’effettivo schema statico (in genere di grande complessità 
per  ovviare  alla  pressoché  nulla  resistenza  a  trazione  della  muratura)  per 
adeguarlo  a  modelli  più  facilmente  riconoscibili  e  trattabili.  I  risultati  sono 
spesso stati disastrosi. 
In particolare, l’osservazione dei danni causati da recenti terremoti ha mostrato 
come  l’applicazione  acritica di  certe  metodologie  d’intervento  (peraltro 
prescritte  dalla  Normativa  vigente  [D.M.  del  16  gennaio  1996]),  sia  stata 
fallimentare,  non  avendo  determinato  un  reale  incremento  di  sicurezza. 
Soluzioni quali il rifacimento della copertura in cemento armato, l'inserimento 
di cordoli in breccia eccessivamente rigidi in sommità alle murature, l'uso di 
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1Le chiese in muratura in zona sismica
cuciture armate in alternativa ai tradizionali tiranti metallici, hanno determinato 
un  aumento  di  massa  e  di  conseguenza  l’incremento  dell’azione  sismica 
generando  danni  spesso  superiori  a  quelli  che  l'originale  struttura  avrebbe 
probabilmente presentato. 
Tuttavia  le  campagne  di  rilievo  dei  danni  e  della  vulnerabilità  condotte  a 
seguito  dei  principali  eventi  sismici  sul  patrimonio  monumentale,  hanno 
permesso di valutare l’effcacia non solo di certe metodologie d’intervento, ma 
anche  di  comprendere  la  risposta  sismica  delle  strutture  ecclesiastiche 
monumentali,  evidenziando  come  tali  manufatti,  seppure  nelle  differenze 
tipologiche  in  cui  si  presentano,  manifestino  una  fenomenologia  di  danno 
diversa dal classico comportamento scatolare ma riconducibile a meccanismi di 
collasso  ricorrenti.  In  effetti,  il  sisma  và  a  “selezionare”  le  parti  strutturali, 
provocando danni o collassi mediante meccanismi defnibili anticipatamente. A 
differenza di quanto avviene negli edifci concepiti e costruiti come un’unica 
struttura continua,  come gli  edifci  moderni  in acciaio o in cemento armato, 
nelle  chiese  storiche,  come  nella  totalità  delle  strutture  in  muratura,  la 
mancanza di connessione tra le parti permette il verifcarsi di collassi parziali: 
spesso la parte più debole della costruzione cede al sisma senza trascinare con 
sé le porzioni adiacenti. 
Il  comportamento  sismico  di  tali  costruzioni  è  quindi  valutabile,  in  via 
semplifcativa,  attraverso  la  scomposizione  del  manufatto  in  più  elementi 
architettonici  detti  macroelementi  e  defniti  come  "parte  costruttivamente  
riconoscibile e compiuta del manufatto, che può coincidere con una parte identifcabile  
anche sotto l'aspetto architettonico e funzionale (es. facciata, aula, navate laterali, 
arco trionfale, abside, transetto, cappelle, torre campanaria, etc.); … solitamente è  
formata da più pareti ed elementi orizzontali connessi tra loro a costituire una parte  
costruttivamente unitaria (fg.1.1) …pur se in genere collegata e non indipendente dal  
complesso della costruzione" [Doglioni 1994]. 
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1Le chiese in muratura in zona sismica
Figura 1.1 – Schematizzazione per macroelementi
Per ciascun macroelemento vengono quindi individuate le modalità di danno 
ed  i  meccanismi  di  collasso  attivati  dal  terremoto,  deducendole 
approssimativamente sulla scorta di considerazioni che emergono da terremoti 
passati.
Questa metodologia facilita l'interpretazione qualitativa dei danni prodotti dal 
sisma, poiché opera a livello di macroelemento, evitando di considerare l'intera 
fabbrica;  ciò rende anche possibile  la  comparazione tra manufatti  diversi,  in 
quanto  i  problemi  legati  alla  complessità  e  originalità  di  una  chiesa  (stili 
architettonici  diversi,  evoluzione  storica)  sono  parzialmente  superati, 
considerando l'edifcio come composizione di elementi semplici.
D’altro  canto,  una  suddivisione  in  elementi  fortemente  discretizzati  rispetto 
all’intero manufatto (setti, parti murarie, campi, ecc.) rischiava di non rendere 
percepibile in modo effcace la specifca funzionalità e il comportamento della 
parte rispetto all’organismo architettonico nel suo complesso.
In  realtà,  nella  defnizione  dei  macroelementi  il  criterio  utilizzato  è  solo 
parzialmente  di  natura  architettonica  e  strutturale;  infatti,  il  principio 
fondamentale adottato per la suddivisione in macroelementi costituisce già il 
risultato di una prima osservazione del comportamento sotto sisma degli edifci 
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1Le chiese in muratura in zona sismica
e  del  loro  modo di  discretizzarsi  in  parti  macroscopiche  (comportamento  a 
grandi blocchi). Perciò per macroelemento si intende anche la parte dell’edifcio 
nell’ambito nella quale, a seguito di azioni sismiche, si può osservare - e quindi 
descrivere - un comportamento unitario. 
Infatti,  pur  nella  varietà  delle  tecniche  costruttive,  delle  proporzioni  e  delle 
forme,  i  diversi  macroelementi  mostrano  in  genere  un  comportamento 
dinamico sostanzialmente autonomo, proprio in virtù della tipologia di questi 
manufatti.
Partendo  da  questa  impostazione,  si  può  dunque  associare  ogni  elemento 
strutturale costituente l’edifcio ecclesiastico con i meccanismi di danno da cui è 
interessato in caso di terremoto, prevedendo che questi siano gli stessi che si  
verifcano in macroelementi dello stesso tipo. Pertanto si vanno ad isolare le 
zone entro le quali sono rappresentabili compiutamente i meccanismi di danno. 
Prima di  esaminare  gli  elementi  più  signifcativi,  che  si  possono estrapolare 
dall’edifcio globale, con i relativi meccanismi di danno, è necessario fare una 
considerazione sull’interazione tra i vari macroelementi stessi. A condizionare 
in maniera signifcativa il comportamento di più macroelementi convergenti tra 
di  loro,  intervengono  le  tecnologie  costruttive  e  l’effcacia  delle  connessioni, 
unita alla presenza di provvedimenti locali (catene, tiranti, pietre angolari, ecc.). 
Pertanto, i fenomeni che si verifcano nelle zone contigue o, di sovrapposizione, 
saranno descritti due - o più – volte, in ciascuno dei macroelementi interessati.  
Segue  l’analisi  dei  meccanismi  di  danno  più  frequenti  nei  principali 
macroelementi.
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1Le chiese in muratura in zona sismica
1.1. Macroelemento facciata
Il  macroelemento facciata è costituito dal pannello murario di facciata ed ha 
come zone di sovrapposizione una parte delle pareti laterali, in caso di chiese 
ad aula unica, a cui si aggiunge parte delle pareti della navata centrale in caso 
di chiese a tre navate. 
I  meccanismi  di  danno  in  facciata,  che  più  frequentemente  si  osservano  in 
occasione di un evento sismico, sono imputabili ad azioni fuori dal piano ed 
interessano, il più delle volte, le zone di estremità delle pareti laterali e ad azioni 
nel  piano  che  si  presentano  come  lesioni  da  taglio,  scorrimento  e/o 
pressofessione.
L'elemento di facciata varia notevolmente da una chiesa all’altra per la forma, la 
presenza  di  elementi  adiacenti,  la  presenza  di  contrafforti  o  speroni,  la 
percentuale  e  la  distribuzione  delle  aperture,  le  discontinuità  presenti  nella 
muratura, variazioni di altezza all'innesto con le navate laterali per le chiese a 
tre navate, presenza del campanile. La presenza di questi elementi distintivi tra 
i vari tipi di facciata infuenza, ovviamente, anche i meccanismi di danno e la 
distribuzione  delle  lesioni  all'interno  del  macroelemento.  In  generale,  è 
possibile  effettuare  la  seguente  divisione  in  classi  tipologiche  dell'elemento 
facciata (fg.1.2):
Per le chiese a navata unica:
A. facciata con assenza di fori oltre il portale di ingresso;
B. facciata con fori allineati lungo l'asse di simmetria principale;
C. facciata con presenza di volta strutturale nel corpo dell'aula;
D. facciata con presenza di volta strutturale all'interno dell'aula.
Per le chiese a tre navate:
E. facciata con fori allineati lungo l'asse di simmetria principale;
F. facciata con fori in asse e fori a quota inferiore.
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Figura 1.2 - Diverse tipologie di facciate
Per ognuna delle tipologie sopra elencate è possibile descrivere i più frequenti 
meccanismi  semplici  che  si  verifcano  quando  la  chiesa  è  interessata  da 
un’azione sismica.  Per  elementi  più complessi  il  meccanismo di  rottura può 
sempre ottenersi come assemblaggio di più meccanismi semplici. 
Si prendono quindi in esame i meccanismi di collasso per ribaltamento fuori dal 
piano, relativi all'intera facciata o al solo timpano, e per taglio, scorrimento e/o 
pressofessione, in presenza di azioni nel piano.
1.1.1.Rotazione fuori piano globale o parziale intorno ad un asse orizzontale
È lo spostamento fuori piano per fessione dell’intera facciata (fg.1.3a) o della 
parte di sommità, corrispondente al timpano (fg.1.3b).
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(a)                   (b)
Figura 1.3 - Meccanismo di rotazione della facciata intorno ad un asse orizzontale
1.1.2.Rotazione fuori piano della parte sommitale della facciata. 
Spostamento fuori dal piano, per fessione, della parte superiore della facciata 
con lesioni oblique, convergenti in asse; i massimi spostamenti sono localizzati 
nella parte centrale (fg.1.4). 
Figura 1.4 - Meccanismo di rotazione del timpano
1.1.3.Rotazione fuori piano con formazione di una cerniera cilindrica ad asse  
orizzontale alla quota dei fori. 
Formazione di una cerniera orizzontale alla quota dei fori con distacco netto 
all’intersezione e spostamento fuori piano del grande blocco discretizzatosi e 
crollo  della  vela.  La  discontinuità  costituita  dai  fori  costituisce  una  linea 
preferenziale per la formazione della lesione (fg.1.5).
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1Le chiese in muratura in zona sismica
Figura 1.5 - Meccanismo di sommità della facciata
1.1.4.Meccanismi nel piano
Formazione  di  lesioni  per  taglio  (fg.1.6a),  scorrimento  (fg.1.6b)  o 
pressofessione (fg.1.6c) dovute ad un’azione agente nel piano della facciata.
 
     (a)                                          (b)            (c)
Figura 1.6 - Meccanismi nel piano della facciata
1.1.5.Rotazione dell'angolo
Separazione di parte dell’angolata dovuta all'interazione delle forze agenti su 
pannelli  murari  ortogonali:  ciò  determina  la  rotazione  fuori  dal  piano 
dell’angolata con punto di cerniera a quota inferiore (fg.1.7).
Figura 1.7 - Rotazione dell'angolo della facciata
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1.2. Macroelemento aula
I  meccanismi  di  danno  riguardanti  il  macroelemento  aula  interessano  le 
eventuali volte presenti, ma soprattutto le pareti laterali (risposta trasversale e 
risposta longitudinale) oltre alle pareti centrali, e al colonnato, nelle chiese a più 
navate.  È importante  sottolineare  come  l'azione sismica  orizzontale  produca 
effetti diversi sulle pareti, a seconda che agisca ortogonalmente al piano medio 
o nel proprio piano.
1.2.1.Risposta trasversale dell’aula
Le pareti dell’aula sono sottoposte ad azioni fuori dal piano. Il comportamento 
di un muro sollecitato fuori dal proprio piano fu indagato già da Rondelet nel 
1802;  egli,  facendo  riferimento  a  modelli  sperimentali  realizzati  con  blocchi 
regolari a secco, individuò tre possibili modalità di collasso (fg.1.8). 
  
Figura 1.8 - I tre meccanismi di collasso di Rondelet 
Il primo dei tre meccanismi prevede per il muro soggetto a forza orizzontale, il 
ribaltamento attorno a una cerniera cilindrica posta in corrispondenza del piano 
di appoggio del muro sul terreno: il ribaltamento avviene rigidamente, ovvero il 
muro durante l'atto di moto mantiene la sua confgurazione geometrica iniziale 
comportandosi  come  un  monolite.  Il  secondo  meccanismo  è  relativo  ad  un 
muro  vincolato  da  un  solo  lato:  in  tale  situazione  il  collasso  avviene  per 
ribaltamento attorno a una cerniera cilindrica posta lungo un asse individuato 
dal rapporto tra base e altezza degli elementi della muratura. Il terzo è relativo 
ad  un  muro  vincolato  da  entrambi  i  lati;  per  questa  situazione  Rondelet 
riconosce un collasso che avviene per separazione di due porzioni triangolari; la 
formazione delle cerniere è consentita solo se si verifcano spostamenti laterali 
delle connessioni angolari e se all'interno della parete si hanno scorrimenti nei 
giunti  tra  gli  elementi,  a  causa  dell'ingranamento  sulla  linea  di  frattura 
verticale.
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1Le chiese in muratura in zona sismica
In particolare, l’aula di una chiesa, in genere suddivisa in campate delimitate da 
paraste o colonne, presenta nei riguardi di un'azione sismica trasversale al suo 
asse due elementi piuttosto rigidi alle estremità: la facciata, sollecitata a taglio 
nel proprio piano e l'arco trionfale, spesso irrigidito dal transetto o da corpi di 
fabbrica aggiunti (sacrestia, canonica); la parte centrale è invece certamente più 
deformabile,  per la snellezza delle pareti  laterali.  Se l'aula è suffcientemente 
allungata,  è  ragionevole assumere che la  campata  centrale  non risenta  degli 
effetti di bordo e quindi possa essere analizzata autonomamente. La differenza 
dei  meccanismi  di  collasso  che  possono  aversi,  a  seguito  di  un’azione 
trasversale,  dipendono  principalmente  dalla  tipologia  di  copertura  adottata 
(vedi fg.1.9).  
Figura 1.9 – a) Capriata su muri laterali; b) Capriata, arcone e volta; c) Arcone in muratura
In particolare,  nel caso di presenza della sola capriata, occorre distinguere se 
questa è semplicemente appoggiata o è collegata alle pareti, attraverso bolzoni 
metallici, barre iniettate nella muratura o cordolo. Nel primo caso sono possibili 
due  distinti  meccanismi  (fg.1.10):  a)  parete  che  ribalta  verso  l'esterno,  per 
l'azione inerziale conseguente al proprio peso ed a quello dall'intera porzione di 
copertura,  che  anche se  non collegata  trova  contrasto  nella  parete  stessa;  b) 
parete  che  ribalta  verso  l'interno,  solo  per  la  propria  azione  inerziale.  Si  ha 
invece un meccanismo globale se la capriata è collegata alle pareti (fg. 1.10c).
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1Le chiese in muratura in zona sismica
Figura 1.10 – Meccanismo di risposta trasversale dell’aula con capriate: a) ribaltamento parete 
verso l’esterno; b) ribaltamento parete verso l’interno; c) ribaltamento globale
Nel  caso  sia  presente,  oltre  alla  capriata,  una  volta  in  muratura  si  possono 
verifcare diversi meccanismi, ottenuti come combinazione della tecnologia in 
copertura  (collegamento  capriata-parete)  e  dei  meccanismi  di  collasso 
dell'arcone,  che comporta il  ribaltamento di uno o di entrambi  i piedritti.  In 
fg.1.11a e 1.11b sono mostrati i cinematismi nel caso di assenza di collegamento 
della capriata; siccome la formazione di due cerniere nell'arco porta ad un lieve 
allontanamento delle sommità delle due pareti, nel caso di collegamento occorre 
considerare un'ulteriore cerniera nella parete, al di sopra dell'imposta dell'arco. 
Se  la  capriata  è  collegata  alle  pareti  si  ha  un  cinematismo  che  interessa  la 
capriata e le pareti per la sola parte al di sopra dell'imposta (fg. 1.11c). 
Figura 1.11 - Meccanismi di collasso dell'aula con volte e capriate: a) ribaltamento di un 
piedritto; b) ribaltamento di entrambi i piedritti; c) ribaltamento superiormente alle volte.
La terza tipologia considerata (fg. 1.9c) coincide nella geometria e nei carichi 
all’arco trionfale. I relativi meccanismi di collasso meritano un discorso a parte, 
e verranno trattati nel paragrafo 1.3.
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1Le chiese in muratura in zona sismica
1.2.2.Risposta longitudinale dell’aula
Come  già  accennato  all’inizio  del  paragrafo,  quando  l’aula  è  sottoposta  ad 
un'azione  sismica  longitudinale  al  suo  asse  sono  le  pareti  laterali  (e  quelle 
centrali negli edifci a più navate) a subire gli effetti maggiori. Queste sono in 
genere  collegate  lateralmente  alla  facciata  e  all’arco  trionfale  e,  a  volte,  alla 
copertura. Anche qui è possibile redigere un elenco delle diverse tipologie di 
parete che si distinguono per la distribuzione dei fori, per la presenza all'interno 
di volte strutturali e  per la presenza di contrafforti o eventuali corpi adiacenti. 
In particolare per le chiese a navata unica possiamo distinguere:
A. parete laterale in assenza di fori e corpi annessi;
A. parete laterale con presenza di uno o più fori piccoli isolati ed in assenza di 
corpi annessi;
A3. parete laterale con presenza di due o più fori e assenza di corpi annessi;
B. parete laterale con presenza al suo interno di volte strutturali e possibilità di 
corpi annessi;
C. parete laterale con presenza di corpi annessi e in assenza di fori;
C2. parete laterale come sopra e presenza di un foro o piccoli fori isolati;
C3. parete laterale come sopra con presenza di un sistema di due o più fori.
Nelle chiese a più navate le tipologie delle pareti laterali sono le stesse di cui si è  
detto sopra per le chiese ad aula unica; bisogna però considerare la presenza 
della parete  della navata centrale  che è  caratterizzata  da una parte  inferiore 
dotata di  ampie aperture  e  da una parte superiore dotata  invece di  pochi  e 
piccoli fori. Anche in questo caso si possono esaminare i meccanismi di collasso 
più frequenti.
1.2.3.Rottura per taglio
Nella denominazione “rottura per taglio” si includono solitamente meccanismi 
fessurativi  di  diversa  natura,  dovuti  all’effetto  delle  tensioni  tangenziali 
originate  dalle  azioni  orizzontali,  in  combinazione  con  le  componenti  di 
tensione normale. 
Questo  tipo  di  rottura  è  fra  i  più  frequenti  nelle  costruzioni  in  muratura 
semplice. 
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