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Premessa  
 
Il presente lavoro nasce da un bisogno molto concreto, ossia si 
prefigge lo scopo di approfondire ed elaborare il “mare magnum” di 
informazioni e di studi che si è venuto a creare nelle relazioni tra 
Brand ed il nuovo profilo della rete negli ultimi anni. 
Come è stato detto e scritto già più volte, il concetto di Brand non è 
un qualcosa di monolitico ma è un caleidoscopio dove i nuovi input 
che nascono all’esterno di esso,  vengono assorbiti, fatti propri dalla 
marca e riconsegnati al contesto sociale con innumerevoli nuove 
tonalità e sfumature. 
In un periodo caotico come quello che si stà delineando, dove la crisi 
finanziaria globale ed i nuovi assetti geopolitici su cui il mondo si sta 
poggiando e contemporaneamente ridefinendo sé stesso, stanno 
vorticosamente modificando i contesti sociali e le abitudini degli 
individui. Ascoltare i segnali provenienti da internet, il “non luogo” 
per eccellenza dove tutte queste informazioni si concentrano, diventa 
essenziale. 
Ovviamente per dare un quadro teorico esaustivo non basterebbero 
risme e risme di fogli, per questo ciò che questo lavoro si pone come 
ragion d’essere, dando un taglio che permetta di esaurire una di 
queste molteplici sfumature, è che cosa stia succedendo al fenomeno 
brand, rapportato alla “realtà” della rete, in questo contesto cosi 
poliedrico ed in constante divenire.
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Nel corso del tempo abbiamo assistito a come i prodotti, inizialmente 
connotati da una mancanza di peculiarità che ne consentissero la 
diversificazione nelle rispettive categorie merciologiche , abbiano via 
via assunto sempre maggiori caratteristiche che hanno mutato 
l’essere stesso del concetto di prodotto. Il prodotto non è più un 
qualcosa che si limita alla mera soddisfazione del bisogno primario, 
ma è un qualcosa che dove essere totalizzante ed appagante sotto 
ogni aspetto, dove farsi antropomorfo per dialogare con il 
consumatore ed essere fonte di esperienza e generatore di relazioni.  
Contemporaneamente, dal versante opposto, Il web ha vissuto un 
fenomeno diverso nelle espressioni, ma fondamentalmente similare. 
Superata la prima fase dove il “Web 1.0”, instaurava un  dialogo 
unidirezionale, ad una sola voce, la livrea del Web ha subii 
molteplici cambiamenti. Tolta la vecchia pelle, esso ha visto nuova 
luce nella sua multimedialità, nella sua ritrovata capacità di dire ma 
con la nuova sensibilità del saper ascoltare generando un nuovo 
concetto di partecipazione tra persone appartenenti alle più 
diversificate tipologie 
La domanda fondamentale che questo lavoro si è posto verte su 
questi due aspetti: “ Cosa è successo quando il brand, con il suo 
nuovo approccio relazionale, ha incontrato la nuova forma del web, 
con la sue voglie di dialogo, partecipazione, ed inclusione?” 
Ripercorrere alcune tappe di questo percorso è fondamentale per 
poter comprendere a pieno ciò che è accaduto, e che sta tutt’ora
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accadendo, a due elementi inizialmente distinti che si sono incontrati 
su un territorio di confine.  
Il taglio che si è voluto dare è all’elaborato è decisamente inusuale e 
si discosta dall’approccio canonico di un elaborato di tesi di laurea 
sul piano dell’espressione. I capitoli non son enumerati 
canonicamente ma hanno una divisione in “giornate” con 
sottodivisioni in ore di lezione. Questo perché? Perché 
principalmente bisogna sempre trovare il lato ludico in tutto, 
specialmente nella cultura. Contemporaneamente,per delineare un 
percorso di senso, l’elaborato si è fatto taccuino, quaderno di appunti 
e patchwork di senso incarnato dall’utilizzo dei post-it. Tali post-it 
vogliono incarnare quella voglia di approfondimento che, propria di 
ogni studente, rende il taccuino l’emanazione del percorso 
dell’individuo essendo la somma delle annotazioni contestuali, dei 
pensieri in fase di costruzione e degli inevitabili scarabocchi. Tale 
linea logica, non solo ha reso la strutturazione del percorso logico più 
semplice e divertente, ma principalmente mi ha permesso di 
ripercorrere tutto il mio percorso di studi immaginando un’ideale 
ciclo di tre giorni di lezioni dove il concetto di Brand viene 
scomposto ed analizzato in un approccio multidisciplinare.  Per 
questo il lavoro si articola in tre parti distinte dove vengono 
presentati gli elementi fondativi della domanda. 
La prima “giornata di lezione” Introduce le origini della marca, le 
sue evoluzioni ed i principali studi che sono stati fatti sulla sua natura
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e gestione descrivendo le componenti propedeutiche principali 
essenziali per la comprensione del fenomeno. 
Il secondo incontro mantiene la medesima impostazione concettuale 
ed introduce al lettore il Web nella sua proto forma, seguendo e 
descrivendone le varie evoluzioni sul piano della forma e dei 
contenuti approdando, passando per le dinamiche aggregative, alla 
sua capacità di collante sociale. 
La terza giornata è il cuore dello studio. Fa suoi i concetti 
precedentemente espressi e descrive l’attuazione di questa unione 
basata sui reciproci bisogni di relazione. Come accadde per i 
sincretismi antropologici, facendosi osservatore discreto ed a volte 
partecipante, osserva e delinea le nuove figure nate da questo atipico 
sodalizio.  
In questa linea analitica assurgono i nuovi Brand che, lasciate cadere 
le presunzioni da demagoghi, si fanno “Wiki” aprendosi ad un 
dialogo bidirezionale dove il consumatore si veste dei panni del 
“consumAttore” e non è più percepito come funzionale alla mera 
produzione di profitto, ma come componente ineluttabile per la 
produzione del valore e la continuità della marca stessa. 
In questo nuovo approccio la marca continua ad esercitare la sua 
funzione di appagamento dei bisogni, ma contemporaneamente 
acuisce tutti i sensi per far suo ciò che il contesto le offre. 
L’elaborato, in ultima battuta, si concentra sull’astrazione dei 
concetti prendendo ad esempio, caso per caso, le esperienze più
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significative  senza soffermarsi su un caso specifico per rispondere a 
quel bisogno di  esaustività e messa di ordine di quel “mare 
magnum” fulcro dell’analisi stessa. 
Per questo motivo, nell’ultima parte dell’elaborato, si è preferito 
optare per un intervista face-to-face con una specialista del settore.  
La descrizione esaustiva del fenomeno è ancora lontana 
all’orizzonte, quindi per sua natura non vuole essere un punto di 
arrivo, ma un punto di inizio solido e coerente per le successive 
riduzioni d’astrazione. 
Fatta questa doverosa introduzione e spiegate le motivazioni alla 
base di questo percorso di senso non mi resta che augurarvi, a voi 
miei venticinque lettori, buona lezione.
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Giorno I 
Cos’è un brand: Concetti 
semiotici, teorici e di gestione
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Prima ora: Un approccio semiotico 
 
In questa prima ora si vorrà fornire il lettore degli strumenti adatti 
per muovere i primi passi nel vastissimo mondo concettuale del 
Brand. Per far questo occorrerà utilizzare un approccio 
multidisciplinare che permetterà di avvicinare concetti in prima 
battuta apparentemente semplici che diventeranno man mano sempre 
più  ricchi di sfumature fino ad esaurire il concetto stesso. 
Per attuare un percorso logico e coerente, la scelta migliore è iniziare 
ad analizzare i concetti da un punto di vista semiologico.  
Gli elementi minimi costruttivi di ogni comunicazione od “atomi 
comunicativi” sono i segni, ed ogni messaggio è costituito da una 
molteplicità di segni che si sovrappongono e si confondono per la 
pluralità delle funzioni che li connota. Tali trame comunicative sono 
detti testi. 
L’analisi sui segni che ha avuto maggior influenza nel corso del 
nostro secolo è stata quella proposta da Ferdinand de Saussure
1
 il 
quale descrive il segno come: 
 
“il totale risultante dell’associazione di un significante a un 
significato. […] il segno linguistico  unisce non una cosa e un nome, 
ma un concetto ed un immagine acustica. […] La lingua è 
paragonabile a un foglio di carta: il pensiero è il recto e il foglio è il 
verso; non si può ritagliare il recto senza ritagliare allo stesso tempo 
il verso; similmente nella lingua non si potrebbe separare né il suono 
dal pensiero, né il pensiero dal suono; 
2
 
Il segno è “alquid pro aliquo”, ossia un qualcosa che è riconosciuto 
da un soggetto come indicazione di qualcos’altro e diviene quindi 
                                                      
1
 Saussure F., Corso di linguistica generale, Trad It. Laterza, Bari 1916 
2
 Ibidem. pp. 83
15 
 
“un’entità a due facce” inseparabili come quelle di un foglio di carta 
dove da un lato troviamo il “significante” e dall’altro il “significato”. 
Nel caso del linguaggio si tratta di un pensiero e di un immagine 
acustica ma esistono anche dei segni non linguistici , in cui il 
significante è composto diversamente: come nei Brand. Ma 
procediamo per gradi. 
I Segni sono caratterizzati dal concetto di “arbitrarietà”, vale a dire 
che non esiste nessuna ragione intrinseca per cui un certo significato 
sia legato visceralmente ad un certo significante. Il segno, continua 
Sassure: 
“il legame che unisce il significante al significato è arbitrario,poiché 
intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un 
significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il 
segno linguistico è arbitrario[…] La parola arbitrarietà richiede un 
ulteriore osservazione, non deve dare l’idea che il significante 
dipenda dalla libera scelta del soggetto parlante. Vogliamo dire che è 
immotivato, vale a dire arbitrario al significato col quale non ha nella 
realtà alcun aggancio naturale.”
3
 
- POST IT: per approfondire:Malmberg, Comunicazione e 
linguistica srtrutturale, Einaudi, Torino 1975; Benveniste, 
Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano 1994; 
Prieto, Pertinenza e pratica, Feltrinelli, Milano 1974 
Continuando sulla riga dell’analisi di Sassure, Luis Hjelmslev ha 
proposto un ulteriore livello di approfondimento della questione 
spiegando che i segni non sono caratterizzati solamente da una 
distinzione tra significante e significato (rispettivamente piano 
dell’espressione e del contenuto) ma da un ulteriore categorizzazione 
riconducibile ai piani della “forma” e della “sostanza. 
                                                      
3
 Ibidem. pp 85,87