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Il fascismo in Sicilia e il suo rapporto con la mafia: l'operato di Cesare Mori

La propaganda fascista aveva celebrato entusiasticamente le vittorie della campagna contro la mafia operata dal regime. La complessità e problematicità delle relazioni tra mafia e fascismo rendono inaccettabile questa visione, alla stessa stregua di quelle rigide posizioni che presentano il fascismo come acerrimo nemico della mafia e che affermano risolutamente che il fascismo sarebbe riuscito a distruggere la mafia se fosse rimasto in piedi per più di vent’anni; non possono essere accettate nemmeno quelle visioni che affermano che il fascismo si sarebbe limitato a colpire per scopi propagandistici solamente i tratti più delinquenziali del sistema mafioso, la cosiddetta “bassa mafia”, consentendo alla mafia vera e propria di prosperare mimetizzata nel regime. Queste interpretazioni sommarie non rendono giustizia alla “ambigua tessitura” che si venne a creare tra mafia e fascismo.
Il presente lavoro si sofferma proprio dagli aspetti più significativi di questa “ambigua tessitura”, nell’evoluzione che si è verificata in particolare negli anni 1919-1929, dal dopoguerra all’allontanamento del Prefetto Mori. La ricerca si conclude con riferimenti alla situazione in Sicilia negli anni successivi ed a come il fascismo abbia operato nella regione dopo la stagione di lotta e repressione condotta dal “Prefettissimo”.
La “campagna anti-mafia” condotta da quest’ultimo, mandato da Mussolini nel 1925 in Sicilia appositamente per fronteggiare la criminalità organizzata, è particolarmente significativa per comprendere l’”ambigua tessitura”. Per questo viene dedicato ampio spazio all’operato del prefetto: il suo modus operandi, le sue linee direttrici, il suo pensiero, i risultati e le conseguenze che hanno caratterizzato la permanenza ed il suo lavoro nell’isola.
Da questo lavoro emerge la rappresentazione di un personaggio controverso, dalla personalità ricca e complessa, che non aveva ridotto la sua azione alle operazioni di polizia e di repressione, ma aveva tentato strategie educative e culturali per promuovere un clima collettivo favorevole all’azione dello Stato contro il fenomeno mafioso per tentare di debellarlo per sempre dalla coscienza e dalla memoria dei siciliani.

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Introduzione Questo lavoro ha per oggetto l’evolversi dei rapporti tra il fascismo e la mafia nel periodo 1919-1929, a partire, cioè, dalla nascita dei Fasci di combattimento, fino all’anno delle dimissioni del prefetto Cesare Mori, per un quinquennio “simbolo” della lotta fascista al fenomeno mafioso. La questione del rapporto tra il fascismo e la mafia è assai complessa, sicuramente non semplificabile in formule che vedono, da una parte, il regime come implacabile persecutore del fenomeno mafioso – quest’ultimo sopravvissuto solo grazie alla caduta di Mussolini – e, dall’altra, lo stesso regime impegnato in una lotta “di facciata” contro la mafia, perseguita solo nei tratti di bassa delinquenza (la cosiddetta “bassa mafia”, il brigantaggio). La complessità di questo argomento conduce a significativi nodi problematici. La tesi di fondo di questo lavoro è che tra mafia e fascismo vi sia stato un fitto e complesso intreccio di rapporti, contrasti e interessi, che, utilizzando un’efficace immagine di Giovanni Raffaele, può essere definito “un’ambigua 1 tessitura”. L’analisi di questa “ambigua tessitura” impone una contestualizzazione, seppur sintetica, delle vicende politiche locali in relazione agli sviluppi della politica nazionale, soprattutto nel momento di trapasso tra la fine dello Stato liberale e l’affermazione del regime fascista. 1 Cfr. G. Raffaele, L’ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti, Milano, Franco Angeli, 1993 2

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Ridolfi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Fabrizio Amore Bianco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 57

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Parole chiave

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