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Vincere il silenzio. L'apprendimento delle lingue nel bambino sordo

Cosa succede nella mente di una persona che non sente e dunque non può acquisire spontaneamente il linguaggio verbale?
Perché definire sordomuto un soggetto il cui apparato fonatorio è perfettamente integro?
Perché continuare a ignorare che la lingua dei segni è una vera e propria lingua e vietarne l’uso, quando essa è l’unica lingua che può svolgere, per una persona sorda, le funzioni di una madrelingua?
Il lavoro affronta il tema dei rapporti tra sordità e acquisizione del linguaggio con un’ottica da linguista, che si contrappone a quella, esclusivamente medico-riabilitativa, del logopedista classico.
Nel primo capitolo vengono descritti i vari tipi di sordità e le diverse problematiche che essi comportano per quanto concerne l’acquisizione del linguaggio. Si sottolinea la scorrettezza del termine sordomuto: nel soggetto sordo l’apparato fonatorio è perfettamente integro, così come lo è la facoltà del linguaggio. Infine, per mostrare quanto possano essere devastanti gli effetti di una mancata esposizione al linguaggio, vengono citati i casi dei cosiddetti bambini selvaggi o bambini lupo.
Il secondo capitolo affronta il tema dei rapporti tra pensiero e linguaggio nel sordo.
Il sordo è un soggetto con le stesse capacità intellettive di un udente, da cui però si differenzia nella modalità di acquisizione delle informazioni: mentre l’udente utilizza l’udito come senso principale per orientarsi nel mondo, il sordo usa la vista.
Si sottolinea la necessità di superare la sterile ottica medico-riabilitativa per abbracciarne una di più ampio respiro, che guardi al bambino sordo nella sua interezza e non solo alla sua capacità di parlare.
Si auspica con forza la scelta per il bambino sordo di un’educazione bilingue: essa comprenderà sia l’uso della lingua dei segni che di quella orale e scritta. Tale scelta è l’unica a poter permettere il pieno sviluppo - sia a livello cognitivo, che emotivo e sociale - della persona sorda.
Poiché la lingua dei segni sfrutta il canale integro - quello visivo - essa è l’unica lingua che può svolgere, per un sordo, le funzioni di una madrelingua: diversamente dalla lingua orale, che viene appresa dal sordo con enorme difficoltà e in ritardo rispetto all’udente, essa potrà essere padroneggiata fin dalla più tenera età, in modo naturale e spontaneo. L’uso della lingua dei segni permetterà al sordo di esprimere con la massima naturalezza la più piccola sfumatura del proprio pensiero e di acquisire il massimo numero d’informazioni nel modo più naturale, veloce ed efficace. Il raggiungimento di una buona competenza linguistica nella lingua orale e scritta permetterà, da parte sua, l’integrazione in un mondo di udenti. Si sottolinea che l’apprendimento della lingua dei segni in tenera età non solo non ostacolerà, ma al contrario favorirà quello della lingua parlata e scritta.
Al contrario, se il bambino verrà privato della possibilità di apprendere la lingua dei segni e costretto ad utilizzare solo la lingua orale e scritta - così come previsto dal modello di educazione oralista - egli sarà sempre esposto ad un input linguistico estremamente povero - perché fornito attraverso il canale deficitario, quello uditivo - e accumulerà un grave ritardo nella competenza linguistica, nei contenuti appresi, nella conoscenza del mondo, nelle esperienze.
Il terzo capitolo tratta il processo di acquisizione del linguaggio nel sordo con un approccio più tenico. Vengono individuate le analogie tra il processo di acquisizione di lingue segnate e quello di lingue parlate. Si analizza il babbling manuale del piccolo sordo, con una descrizione degli errori tipici nella produzione dei primi segni. Vengono esplicate le particolari strategie di comunicazione visiva utilizzate dalle madri sorde con i loro bambini sordi, nonché gli importanti adattamenti comunicativi messi in atto dalle madri udenti. Si descrivono inoltre le tappe fondamentali della terapia logopedica.
Vengono poi esplicati gli errori tipici dei sordi, le caratteristiche del loro lessico e le parti della lingua più complesse da padroneggiare proprio a causa del deficit uditivo.
La tesi contiene inoltre alcuni suggerimenti su come impostare una lezione se in classe è presente un alunno sordo. Infine viene citato il felice caso della scuola elementare di Cossato (Biella), in cui si è raggiunta un’integrazione perfetta tra bambini sordi e udenti grazie all’adozione del modello di educazione bilingue.

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5 Introduzione È stato il profondo amore per le lingue a spingermi a scegliere come argomento della mia tesi di laurea il processo di acquisizione del linguaggio nel bambino sordo. I miei studi linguistici, infatti, mi hanno portata a guardare con vivo interesse alla condizione del soggetto audioleso. Cosa succede nella mente di una persona che non sente e dunque non può acquisire spontaneamente il linguaggio verbale? Perché definire sordomuto un soggetto il cui apparato fonatorio è perfettamente integro? Perché continuare a ignorare che la lingua dei segni non è una mimica ma una lingua a tutti gli effetti e vietarne l’uso, quando essa è l’unica lingua che può svolgere, per un sordo, le funzioni di una madrelingua? Per noi udenti è estremamente complesso immaginare cosa significhi essere sordo, vivere immersi nel silenzio; non avere mai ascoltato una voce, neppure la propria. Normalmente gli udenti, quando si parla di disabilità, tendono a pensare ad un cieco o ad un paraplegico piuttosto che ad un sordo. Ogni volta che affrontavo l’argomento con qualche conoscente, notavo un’espressione di grande meraviglia. In qualche caso mi è stato addirittura chiesto, con stupore: “Perché, cosa c’è da dire sui

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Informazioni tesi

  Autore: Mariasole Portale
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi della Tuscia
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere Moderne
  Corso: Lingue (indirizzo per le imprese)
  Relatore: Barbara Turchetta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 117

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Parole chiave

bilinguismo
logopedia
sordità
sordo
sordi
lingua dei segni
oralismo

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