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Registrazione e tutela del marchio

Novità del marchio (art. 12 C.P.I.)

La norma elenca una serie di situazioni nelle quali il marchio non si può considerare nuovo. Il concetto della novità, come l’originalità, è una qualità intrinseca nella funzione distintiva del segno il quale, per essere distintivo, deve essere originale e nuovo. La novità si gioca nel contesto merceologico di riferimento, ci si distingue rispetto ai concorrenti. Il marchio per essere nuovo deve essere diverso dai marchi che già esistono riguardo a prodotti identici o affini per i quali può crearsi la confusione. Il marchio può essere registrato o solo usato; l’ordinamento offre la possibilità agli operatori di registrare i loro marchi. La registrazione è un vantaggio enorme, perché registrando il marchio si acquista immediatamente una protezione che vale per tutto il territorio nazionale, anche se il marchio non è stato ancora utilizzato. Si ottiene una patente di esclusiva. Il C.P.I. assicura che, una volta registrato il marchio, si ha il diritto di prevalere su tutti i segni identici o simili al soggetto. È possibile anche che un operatore decida di non registrare il marchio; la scelta di registrare è lasciata alla valutazione dei pro e i contro. Il vantaggio di non registrare il marchio è di non sopportare i costi della registrazione. Oggi come oggi, in una società dove il contatto con il cliente è virtuale e dove le imprese hanno la possibilità di acquisire le risorse finanziarie tramite agevolazioni e prestiti, è strana l’idea di non registrare un marchio. In passato, molti marchi non venivano registrati e adesso sono una minoranza i marchi non registrati; i marchi non registrati esistono ed hanno una loro protezione. Un marchio può essere considerato nuovo soltanto se si distingue da marchi precedenti già registrati per prodotti che siano simili a quelli del registrante, ma se c’è un marchio che non è stato ancora registrato però è usato ed ha raggiunto una notorietà a livello nazionale, preclude la registrazione di un altro marchio. Se è vero che il marchio è il segno distintivo dei prodotti, vero anche che i segni distintivi tendono ad essere utilizzati tutti insieme; spesso un imprenditore registra come marchio un segno che ha in se anche la ditta oppure nell’insegna ripropone gli aspetti del marchio, ed è per questo che la novità è preclusa quando il segno è confondibile con un altro segno usato come ditta o insegna.
Questa regola è espressa come applicazione del principio di unitarietà dei segni distintivi, ossia per quanto ciascuno di essi assolva una funzione diversa (la ditta identifica l’impresa, l’insegna i locali, il marchio prodotti o servizi), tra questi segni c’è un collegamento; sono segni già usati simili per imprese che offrono prodotti simili. Quando il legislatore identifica i requisiti della novità, costruisce tali caratteristiche con severità, cioè non basta essere diversi da marchi simili, bisogna essere diversi anche da altri segni distintivi, e guardando al passato non basta differenziarsi da segni registrati che possono essere marchi, ma differenziarsi da segni che non stati registrati però sono di fatto usati. Il marchio di fatto, ad esempio, è un segno distintivo del prodotto che il soggetto non registra, ma il legislatore tutela ugualmente, perché laddove questo segno abbia una diffusione, una notorietà di tipo nazionale, preclude la novità dei segni che possono essere confondibili con il segno pre usato.


Marchio debole e marchio forte

Affinché il marchio possa essere contestato da un punto di vista della novità, occorre che ci sia un rischio di confusione. Un caso di marchio che è stato considerato nullo, privo del requisito della novità, è il segno Feire, che doveva essere utilizzato per attività di abbigliamento, è stato considerato un marchio non nuovo poiché confondibile con il marchio celebre Ferrè. Quando la giurisprudenza interpreta ed applica questa norma, lo fa con rigore, per evitare che in una lettura disattenta, il soggetto possa confondere i segni. Il segno non deve far creare il rischio di associazione tra i prodotti. Il marchio Ferrè, inoltre, non è descrittivo ed evocativo del prodotto, ma si tratta di un marchio forte in quanto cognome di una persona. Un altro esempio se si mette a confronto il caso dei marchi Feire – Ferrè con i marchi TiscaliNetPhone – Net2Phone, e in quest’ultimi due segni c’è similitudine; ma Net2Phone ha fatto un marchio debole, dove l’elemento distintivo è il numero 2. Ecco perché è conveniente avere marchi forti, perché con un marchio debole si rischia di non potersi lamentare qualora un altro operatore utilizzi un segno forte.
Il marchio non deve essere formato da parole di uso comune, che riguarda la vendita dei prodotti (esempio: termini come standard, super ed extra); quando si descrive un prodotto o servizio, non ci si può appropriare di queste espressioni. Espressioni utilizzate nel linguaggio quotidiano, in modo tale da poter precludere ad altri operatori la possibilità di descrivere i loro prodotti.

Marchio celebre

Tutela dei marchi celebri, istituto particolare che per molto tempo non ha fatto parte della disciplina dei marchi. Nel tempo, è stata sempre più messa in rilievo la considerazione che, in un epoca come la nostra in cui gli scambi sono sempre a distanza, il marchio può diventare strumento fondamentale per l’impresa di posizionamento nel mercato, alcuni marchi diventano valori enormi per le imprese che ne sono detentrici, perché affermandosi come marchi di prodotti di particolare qualità e pregio diventano in sé attrattivi della clientela. Il principio del marchio celebre è che lo stesso marchio non deve essere riprodotto in nessun settore produttivo. La tutela richiede anche che, l’uso da parte di un altro operatore possa consentirgli di trarre un indebito vantaggio. Se un marchio è celebre, nessun soggetto può registrarlo per prodotti simili o affini per i quali il marchio è utilizzato, ma anche per prodotti o servizi che non hanno nulla a che vedere. Questa regola sulla tutela dei marchi celebri, introdotta negli anni ’90, mette in risalto oltre alla funzione distintiva anche la funzione attrattiva del marchio, ossia la capacità del segno di attrarre in sé la clientela; quando il marchio possiede questa capacità, promette rispetto a prodotti che non erano stati conosciuti dal consumatore, la funzione attrattiva riceve una protezione forte quanto la funzione distintiva.

Liceità (art. 14 C.P.I.) - tutela del marchio

Quando si parla di questo requisito, si fa riferimento a un qualcosa che il legislatore ha deciso che il marchio deve essere per essere tutelato. Il segno non deve essere contrario alla legge, al ordine pubblico e al buon costume. Il marchio non deve essere potenzialmente ingannevole, ossia non deve ingannare sull’origine e la qualità dei prodotti; se il marchio non garantisce che il prodotto avrà una certa provenienza o certe qualità, non deve indurre a pensare che le possiede soprattutto se non ce la. Quando si parla di non ingannevolezza del marchio, bisogna tener presenti i prodotti per i quali il marchio è registrato.
Non c’è un marchio ingannevole in sé
, bisogna vedere come utilizzare questo marchio e a quali prodotti s’intende riferirlo.
Il diritto all’uso del marchio si consegue con la registrazione, la quale può essere chiesta da chiunque. Il marchio nasce come segno distintivo di prodotti dell’impresa, però nel momento in cui viene registrato potrebbe, in teoria, non essere stato ancora registrato direttamente dall’imprenditore che lo utilizzerà, perché il segno può essere registrato anche da un soggetto che lo darà in licenza. Questo, ad esempio, permette ad una società di registrare il segno, che poi sarà utilizzato dalle controllate. La registrazione non deve essere effettuata direttamente dall’imprenditore, titolare di prodotti o servizi, che saranno contraddistinti con quel segno distintivo. Quando si registra un marchio, bisogna tener presenti alcuni limiti che esistono, disciplinati dal C.P.I. e che riguardano la possibilità di utilizzare l’immagine e il nome di altre persone.

Ritratti di persone, nomi e segni celebri (art. 8 C.P.I.)

Non si può prendere il volto di nessuno e metterlo come marchio, senza che questa persona mi abbia autorizzato; il ritratto implica sempre il consenso del titolare, che deve essere tutelato. La normativa sul marchio distingue i nomi non celebri e i nomi e segni celebri. Il legislatore muove dal presupposto che alcuni segni hanno una funzione in sé attrattiva, e il divieto di utilizzo senza il consenso del titolare, quando si tratti di segni o nomi celebri, non nasce dall’esigenza di tutela dell’individuo, ma dall’esigenza di evitare che registrando quei nomi o segni si possa trarre un indebito vantaggio e sfruttare la funzione attrattiva dei segni.

Procedura di domanda di registrazione di marchio (art. 156 C.P.I.)

L’ufficio di riferimento della registrazione del marchio nazionale è l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM). La registrazione è un procedimento amministrativo che serve a verificare che la domanda di marchio possa essere accolta; domanda che deve contenere il nome di chi avrà diritto al marchio, la descrizione del segno, priorità delle protezioni internazionali e le classi di prodotti per i quali si registra il marchio. Da tempo, sono stati stipulati degli accordi internazionali, che hanno stabilito dei sistemi di classificazione. L’UIBM controlla la regolarità formale della domanda, verifica che il marchio sia coerente con i requisiti che lo contraddistinguono (originale, lecito e non recettivo), tranne la novità che è un impedimento relativo alla registrazione; la mancanza di novità può essere fatta valere da soggetti, il cui diritto precedente è usurpato (impedimenti relativi).
Se il marchio è stato registrato o usato prima o è stato utilizzato lo stesso segno come ditta, ciò non è controllato dall’UIBM quando verifica il marchio, perché per la verifica ci sono altri meccanismi e uno di questi è l’attivazione del titolare. L’ufficio pubblica la domanda per attivare eventuali reazioni ipotetiche di coloro che hanno usurpato i diritti del soggetto, e se c’è una richiesta di priorità, ovvero il diritto che si ha poiché è stata presentata domanda in uno dei paesi aderenti alla Convenzione di Parigi e dal quel momento si hanno 6 mesi di tempo per registrare il segno (esempio: se uno dei richiedenti ha già registrato il marchio in Francia o in Spagna, si deve verificare se la sua domanda è destinata a retroagire al momento del primo deposito). La legge pretende una certa diligenza da parte dei titolari dei marchi, perché la domanda viene pubblicata e scatta un periodo di tempo entro il quale chi ha il diritto può opporsi alla registrazione; questo può far sorgere una sorta di procedimento contenzioso che si svolge davanti all’ufficio, in cui se la conciliazione delle parti non va a buon fine, ognuno presenterà le sue memorie all’UIBM per far valere la propria posizione. Questa procedura di opposizione, e qui il vantaggio di avere il marchio registrato e non usato, la può fare solo chi ha registrato il marchio; si possono opporre soggetti che hanno titoli formali da far valere come la registrazione del marchio o la titolarità del nome celebre, mentre non si possono opporre quei individui che dovrebbero dimostrare fatti materiali come l’uso effettivo del segno in ambito nazionale. Questi sono rinviati a un altro giudizio. La verifica dei requisiti da parte dell’ufficio è però incompleta, perché è un compromesso tra l’esigenza di velocità della procedura di registrazione e la possibilità di un titolo incrollabile; quando si registra un titolo, la registrazione deve riguardare un titolo valido, e la verifica serve ad evitare che si abbia un fregio che non vale niente perché il marchio è nullo. Accoglimento e rigetto della domanda: queste decisioni possono essere impugnate, la procedura può andare avanti, l’UIBM respinge la domanda di marchio o di opposizione, non si è d’accordo e s’impugna in un organo interno che è la Commissione dei Ricorsi; commissione di esperti, formata da professori universitari esperti in proprietà industriale, che fa una valutazione ulteriore sulla domanda. Se non si è d’accordo nemmeno con questa decisione, questa va impugnata in Cassazione.

Effetti della registrazione

La registrazione del marchio non ha efficacia sanante di eventuali vizi che non si devono avere. Se l’UIBM ha sbagliato la sua valutazione su un marchio che ha ritenuto originale e invece non era  come un multi utility, ha sbagliato il confronto con un altro marchio presentato in giudizio d’opposizione, o addirittura non ha avuto modo di fare una verifica perché riguardava un pre uso di un segno preesistente, se il segno non è valido, l’invalidità potrà essere sempre fatta valere in giudizio di nullità del marchio davanti al Giudice.
Sin dall’Ottocento, le imprese avevano l’esigenza di poter usare i loro segni non in un solo stato, ma dappertutto. Esportando un prodotto, l’impresa ha l’interesse che il suo segno venga tutelato anche all’estero, e questo implica che il segno venga registrato all’estero. Le convenzioni internazionali hanno creato delle procedure che semplificano la possibilità di registrare un segno in più paesi. La prima forma di semplificazione, il diritto di priorità, è molto rudimentale, pensato più di un secolo fa; consiste in un periodo di tempo che si conquista se si registra il marchio presso l’ufficio di un paese che, come l’Italia, ha diritto alla Convenzione di Parigi. Se si registra in Italia, conquisto 6 mesi di tempo per registrare in tutti i paesi aderenti alla convenzione, ma il segno decorrerà in tutti quei paesi sempre al giorno in cui ho depositato la domanda di marchio. Convenzione sottoscritta da tutti i paesi occidentali, circa 200. Questo pre-uso si ha in un amplio raggio di paesi. Nel tempo, ci si è accorti che questa priorità di 6 mesi non era un vantaggio incredibile, perché il titolare doveva girare per il mondo a fare la domanda e per le imprese questo è un costo notevole. Sono poi state concluse altre convenzioni, note come Accordi di Madrid che hanno dato luogo al Sistema di Madrid, il quale prevede che si può chiedere all’ufficio brevetti e marchi di girare la domanda su un altro ufficio, competente alla registrazione internazionale interno all’Organizzazione mondiale per la protezione della proprietà industriale (OMPI). Questo ufficio internazionale, con sede a Ginevra, estende automaticamente la procedura di registrazione in tutti i paesi che hanno aderito a questo sistema. Le due opzioni esistono entrambe, poiché il numero di paesi aderenti al Sistema di Madrid è inferiore ai paesi che riconoscono il pre uso.

Diritti conferiti dalla registrazione (art. 20 C.P.I.)

Una volta registrato, con il marchio si ha il diritto di uso esclusivo e si può apporre a un qualcosa che vogliono fare i terzi, ma l’esclusiva è il diritto di impedimento nei confronti dei terzi; si può impedire di copiare il marchio, di fare un segno simile a quello di un altro soggetto, non utilizzare marchi che non sono nuovi. Il marchio è un segno che può essere rinnovato, la registrazione può essere rinnovata senza limiti di tempo. Altro diritto che si acquista, rientra nel principio di unitarietà dei segni distintivi (art. 22 C.P.I.): chi registra il marchio, non ha solo il diritto di precludere l’uso di marchi simili ad altri, ma anche la possibilità di opporsi all’uso di ditte, insegne, ragioni sociali se possano creare un rischio di confusione con i suoi prodotti. La protezione che si ottiene è assoluta, così come non si deve vedere un marchio contraffatto in un marchio analogo, non lo si deve vedere neanche contraffatto in una ditta, in un nome di dominio o in una ragione sociale. Ciò per evitare che un consumatore possa essere indotto a ritenere che c’è un collegamento tra l’impresa e il suo concorrente. Il rischio di confusione, riferito dalla legge, viene interpretato in due modi: confusione in astratto e in concreto; la prima, se c’è un marchio deve essere utilizzato solo dal titolare, e non importa se poi in concreto il segno è svilito al punto tale che nessuno crede che quel prodotto è veramente originale. Non ci deve essere la contraffazione del segno, laddove i segni sono tra di loro confondibili. La seconda, formata nell’ambito della giurisprudenza comunitaria, è una teoria che riduce notevolmente la protezione del marchio e guarda all’effettivo disorientamento del consumatore.

Tratto da DIRITTO INDUSTRIALE di Valerio Morelli
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