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Giudizi e limitazioni sull'uso del marchio

Giudizio di confondibilità del marchio

Complessità del giudizio di confondibilità del marchio: giudizio difficile; se un marchio risulta confondibile può danneggiarne un altro. Valutazione che implica una certa discrezionalità. Quando la giurisprudenza è chiamata a verificare questo tipo di problemi, cerca di elaborare parametri standard convincenti. Sentenza dopo sentenza, si creano orientamenti giurisprudenziali, che sono rilevanti poiché forniscono una guida interpretativa di norme che si aprono a possibili situazioni interpretative. Nel giudizio di confondibilità fra marchi, inoltre, la giurisprudenza ha avuto degli orientamenti diversi nel tempo, espressivi di epoche culturali differenti. Se si è troppo severi nel giudizio di confondibilità fra marchi, si consente al titolare del segno di ostacolare continuamente l’attività di altre imprese, bloccando i loro prodotti e offerte, anche quando tale giudizio non è così inequivocabile. Il giudizio di confondibilità si deve svolgere in astratto, ossia prescindere dal contesto in cui la vendita dei prodotti contraffatti è destinata ad avvenire. Secondo un’altra ricostruzione, in ambito comunitario, valutazione che deve essere fatta in concreto, cioè non può prescindere dal modo in cui il prodotto è venduto. Il motivo per cui il giudizio di confondibilità in concreto non piace, è il salvare dei prodotti simili, screditare il marchio. Ecco perché, in linea di principio, la confondibilità deve essere fatta in astratto ed è più sicura, perché non si può sapere che tipo di evoluzione può avere la distribuzione un prodotto. Il giudizio di confondibilità riguarda due aspetti: il primo, è la confondibilità tra segni; se i segni non sono confondibili, la confondibilità tra prodotti potrebbe dar luogo a una violazione di una privativa industriale di altra natura, la tutela dei disegni e modelli industriali, viceversa, se i segni sono diversi non c’è contraffazione del marchio. I segni devono essere confondibili. Tale valutazione è scontata quando la contraffazione avviene tramite una copiatura del marchio; i problemi nascono quando il marchio ha elementi di similitudine e di scostamento che, nella prospettiva di chi è accusato della contraffazione, dovrebbero servire a differenziare il marchio. Se un soggetto vuole agire in contraffazione, questi elementi di differenziazione risulteranno marginali. In certi casi è facile capire se c’è contraffazione, perché il marchio si presenta molto forte, mentre in altri casi è più difficile proteggere il marchio perché nasce come debole.
La valutazione di confondibilità tra segni può essere effettuata in contesti diversi. Durante il procedimento di registrazione del marchio, i soggetti legittimati a contestare la mancanza di novità di un segno che si vuole registrare, corrispondente al proprio, possono fare azione d’opposizione. Una volta registrato il marchio, una delle opzioni disponibili è di contestare il tentativo di altri soggetti di registrare un marchio simile per prodotti simili; la difesa si può fare a titolo preventivo, stroncando in radice il tentativo di registrazione di un altro soggetto nel procedimento d’opposizione che si può svolgere di fronte all’UIBM. Più il marchio è originale, distintivo, è più facile dimostrare che un qualcosa che gli s’avvicina leggermente, va in contraffazione. La legge consente al titolare di un marchio di proteggerlo attraverso la registrazione dei marchi satellite. Sono segni simili al marchio che si registra, che si differenziano per particolari come colori, grafica, e si possono solo registrare a fini di protezione e non usare. Servono per sventare le ipotesi di contraffazione. Il diritto d’esclusiva sul marchio non si ha sull’uso del segno stesso, la legge muove dal presupposto che la confondibilità non è solo tra segni, ma anche tra prodotti che, con quei segni, devono essere identificati. Se il diritto di marchio vale su un prodotto, la valutazione di confondibilità deve essere fatta rispetto a quel preciso prodotto. La legge ci dice che la violazione del marchio può avvenire ogni qualvolta un soggetto usi un segno simile ad un altro individuo, per prodotti identici o affini a quelli per i quali si utilizza il marchio. La giurisprudenza per fare la valutazione dell’affinità, scendeva molto nel dettaglio e pretendeva che la valutazione fosse centrata sull’uso finale di destinazione del prodotto. Questa teoria, però, non era applicata con rigore; la valutazione di sostituibilità dei prodotti, dal lato della domanda, è un’analisi che si svolge quando s’applicano le norme concorrenziali. Il diritto della concorrenza applica un test economico rigido, valutare se il consumatore, di fronte all’aumento di prezzo del prodotto significativo e durevole, cambierebbe marca. La giurisprudenza, quando parla di affinità, basa il test sulla riconducibilità all’impresa del prodotto contraffatto. Diritti conferiti dalla registrazione (art. 20 comma 1/c e 2* C.P.I.): la rinomanza rende forte il marchio nell’invalidare altri marchi.
L’istituto della tutela della rinomanza del marchio è nato con riferimento ai marchi più famosi, rispetto ai quali risultava l’iniquità dell’imitazione anche per l’uso nella vendita di prodotti lontani. Questa esigenza è stata, inizialmente, molto sentita dalla giurisprudenza, ma una vera protezione di questo diritto del titolare del marchio, che gli altri non si approfittino della notorietà che il suo marchio è riuscito ad avere, ha richiesto l’introduzione di una norma ad hoc. Quando questa norma è stata introdotta, ha preso vita nell’ordinamento giuridico. La norma parte dal test di rinomanza: ci si può opporre all’uso di marchi simili a quello del titolare, se il marchio gode di rinomanza nello stato, e se l’uso da parte di un’altra impresa, anche per prodotti non affini, da all’impresa un indebito vantaggio o un svantaggio al titolare. Il test della rinomanza deve essere associato al test del potenziale pregiudizio/vantaggio indebito del terzo. La ratio della tutela del marchio celebre è il fatto di evitare che, in concreto, l’uso di un marchio per prodotti non affini con quello del marchio originario, possa assicurare dei vantaggi ingiusti a chi utilizza questo segno, oppure una perdita al titolare. La contraffazione nei prodotti affini non presuppone che il marchio sia noto nel mercato; quando c’è affinità tra prodotti, si può contestare l’uso del segno simile al titolare, anche se il marchio non è stato ancora utilizzato e non è conosciuto. La tutela del rischio di confusione prescinde dal fatto che il marchio sia noto e da quanto lo sia; la tutela del marchio celebre presuppone che il marchio sia conosciuto solo che, quando si valuta il test della rinomanza, la legge non impone che il marchio deve essere noto a n persone e che il suo uso possa determinare un ingiustificato vantaggio per chi copia il marchio ed un ingiustificato svantaggio per il titolare, ma impone che si deve avere una notorietà del segno, e questa notorietà deve essere tale da creare un effetto finale. *Per quanto riguarda la contraffazione, s’impedisce qualsiasi forma di uso di un segno che possa risultare simile a quello del titolare. Il titolare del marchio, non solo si può opporre che altri commercializzino prodotti con il suo segno, ma può vietarne l’uso nella pubblicità oppure la detenzione. Si ha una tutela molto ampia, e si propone un intervento di tipo preventivo.
Forme di tutela alle quali può ambire il titolare del marchio, tutela conferita anche al titolare della ditta, dell’insegna e di tutti i segni distintivi perché questa tutela, conferita dal C.P.I., ha tutti i diritti della proprietà industriale. Se si deve far valere un segno che non è stato ancora registrato, bisogna dimostrare che è valido; mentre, se si agisce a tutela di un marchio registrato, la validità si presume e sarà convenuto in contraffazione ad doverne eccepire l’invalidità del segno. Sanzioni civili (art. 124 C.P.I.): con l’azione di contraffazione, si può interrompere quello che si sta facendo contro il titolare del segno, tramite l’azione inibitoria, ossia chiedere al Giudice di ordinare la cessazione dell’uso della fabbricazione del commercio dei prodotti in relazione ai quali c’è la contraffazione (esempio: bloccare la copiatura del marchio da parte del contraffattore). La legge consente che il Giudice ordini la distruzione delle cose con le quali si è provveduto alla violazione del diritto, chiedere il risarcimento del danno subito (che il titolare deve dimostrare), e ottenere un provvedimento di pubblicazione della sentenza che accerta la contraffazione. Quando è in gioco la violazione di un diritto della proprietà industriale, il legislatore ha introdotto una forma di particolare protezione, dell’interesse ad avere le prove. La regola dei giudizi civili è chi vuol far valere un diritto, deve dimostrare le ragioni per cui c’è l’ha. Riguardo a ciò, la legge propone l’istituto della discovery, importato dal diritto anglosassone che consente al Giudice di ordinare l’esibizione delle prove a chi le ha. Ripartizione dell’onere della prova (art. 121 C.P.I.): se si hanno in mano fondati indizi di una possibile azione di contraffazione, il Giudice può ordinare alla controparte di fornire le prove dell’avvenuta contraffazione. La tutela inibitoria si consegue prima che il giudizio sia concluso; strumenti presente nei processi e procedimenti d’indagine extraprocessuali. Quando ci sono indizi evidenti del fatto che, chi sta agendo ha ragione, il Giudice non può adottare immediatamente la decisione finale, perché il processo hai suoi tempi tecnici. Presupposti dell’azione cautelare: quando ci sono questi indizi, chiamati fumus boni iuris, c’è un diritto fondato che si sta facendo valere, si può chiedere un provvedimento temporaneo, solo se si dimostra che (periculum in mora) l’attesa del completamento del giudizio si tradurrebbe in un danno grave ed irreparabile che, nel caso del marchio, si crea un livello di confusione da parte del pubblico e il rischio che il segno, a causa di una contraffazione durevole contraddistinta da pubblicità e produzione di prodotti, perda definitivamente la sua funzione distintiva.
Il titolare del diritto del marchio ha dei limiti. Due tipologie: da una parte, limiti che servono a salvaguardare interessi che possono avere terze persone e che non sembra giusto sacrificare per l’esistenza del marchio, e il legislatore li mette in evidenza per evitare dubbi; dall’altra, limiti di natura diversa che riguardano l’onera di una corretta utilizzazione del segno. Queste previsioni sui limiti del diritto del marchio sono importanti, perché danno un confine chiaro delle prerogative del titolare del segno.

Limitazioni del diritto di marchio (art. 21 C.P.I.)

Prescindono dalla contraffazione, si può impedire la copiatura di un segno, ma non si può impedire che gli altri usino il nome, l’indicazione geografica della provenienza, non si possono limitare le persone nell’indicazione dell’origine storica dei prodotti (esempio: si può utilizzare una data nel marchio, ma se ci sono dei prodotti che corrispondono a quella data, non si può impedire agli altri di indicare questi elementi). Anche se tale coincidenza può tradursi in un rischio di confusione, la legge pone un limite e ciò deve indurre a riflettere nel momento in cui si sceglie il marchio. Non si può pretendere l’esclusiva che vada su certi elementi, che non sono nella disponibilità di altri soggetti che li utilizzerebbero. Uso integrale del marchio per pezzi di ricambio: vi sono molti prodotti assemblati o vengono usati componenti prodotti da altri produttori; chi produce una componente, è importante dire che quella componente si può montare su determinati prodotti, e per farlo va richiamato il marchio nell’indicazione del prodotto. Questa possibilità, per chi produce il pezzo di ricambio di poter attestare come elemento di valore del prodotto, è consentita. Gli altri limiti che incontra il titolare del marchio, sono di uso corretto del segno, che eviti la confondibilità e si tratti di un uso non ingannevole. Il marchio non deve essere usato in modo tale da creare inganno sulle caratteristiche dei prodotti; un tipico uso del marchio, con finalità recettiva, si ha nella pubblicità. Altra situazione in cui il marchio potrebbe diventare ingannevole, è quando si vende il marchio ad un altro soggetto che non mantiene il livello produttivo al quale il pubblico si era abituato. Altra ipotesi è che si cambia drasticamente il sistema di produzione e, senza comunicare ciò al pubblico, si continua a usare il marchio. Il problema di sopravvenuta ingannevolezza dipenda dal fatto che, nel passaggio del marchio da un titolare all’altro, l’acquirente scava nella produzione rispetto al livello originario.
Il titolare utilizza il marchio non conforme al suo diritto. Col tempo si può incorre nella decadenza del segno. Dal punto di vista della durata, il marchio può essere rinnovato continuamente, ma non è un segno eterno, in quanto può venir meno. Il marchio si estingue sempre per ragioni patologiche, spesso caratterizzate dal sopravvenire di elementi che, se sussistenti al momento della registrazione, avrebbero impedito la registrazione stessa; oppure, dipende dal fatto che il marchio è stato registrato ma non viene utilizzato per la sua funzione fisica. Le ipotesi di decadenza sono la volgarizzazione, il non uso per almeno 5 anni e la sopravvenuta illiceità del marchio.

Sopravvenuta illiceità

Se il legislatore impone al titolare del marchio di utilizzare il marchio correttamente e non da ledere diritti altrui, la prolungata attività non corretta del segno né comporta la decadenza (esempio: si può chiedere la decadenza, se si è convenuti in giudizio per ipotetica contraffazione e si eccepisce la decadenza, oppure si è interessati a eliminare un marchio, si chiama in giudizio il titolare affinché il Giudice accetti la decadenza perché il segno è ingannevole).

Non uso

Il marchio può essere registrato anche senza essere mai stato usato. La registrazione può essere chiesta preventivamente, la legge consente di registrare il segno e di non utilizzarlo immediatamente. Questa situazione legittima il titolare del segno registrato ad agire in contraffazione subito. Questo, però, implica che il titolare utilizzi il segno in modo effettivo. La legge da un periodo di tolleranza, corrispondente a 5 anni che, una volta trascorsi, comporta la decadenza del segno. Questa regola non vale per i marchi di protezione, perché si possono registrare marchi simili a quelli che si usano, con il solo fine di proteggerli. Questi marchi non si è obbligati a usarli. La regola dei marchi di protezione non si estende alle liste di protezione, a quelle categorie di prodotti per i quali si registra il marchio. Si può registrare un marchio anche per mille prodotti ma, trascorsi 5 anni, il marchio resterà solo per quei prodotti per i quali è stato usato. Si avrà una decadenza parziale.

Volgarizzazione

Fenomeno che descrive l’uso di un marchio inflazionato e improprio che, quello che nasceva come il nome di un prodotto specifico che nulla aveva a che vedere con la descrizione del prodotto, finisce per diventare la descrizione generica di quel prodotto (esempio: la penna Biro). La volgarizzazione è un fenomeno problematico, perché quando il titolare del marchio non sta attento ad un uso eccessivo del segno come descrizione del prodotto, il segno non è più idoneo a svolgere la sua funzione perché non indica più un prodotto specifico, bensì un genere, e non può essere più protetto dalla legge. La volgarizzazione implica una responsabilità del titolare; nonostante i tentativi di volgarizzazione del segno, se il titolare continua a difenderlo e propone le azioni di contraffazione, la volgarizzazione non può essere pronunciata. Volgarizzazione che richiede una sorta di disinteresse, e ciò succede quando l’impresa si accorge che è una partita persa, perché ormai è diffuso l’uso del marchio come descrizione generica del prodotto, che non avrebbe senso continuare a difenderlo. La volgarizzazione è l’esatto opposto dell’utilizzo a fini distintivi di una denominazione generica, al punto tale da trasformarla in un segno distintivo.

Tratto da DIRITTO INDUSTRIALE di Valerio Morelli
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