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I dividendi e gli interessi attivi


L’art. 89 regola l’inclusione nel calcolo del reddito d’impresa degli utili derivanti dalla partecipazione in società e degli interessi attivi.
In ordine ai primi (utili) conviene distinguere due categorie: gli utili derivanti dalle società tassate per trasparenza e quelli derivanti dalle altre.
Quanto agli utili tassati per trasparenza occorre mettere in evidenza come la tassazione per trasparenza sia in alcuni casi obbligatoria, in altri opzionale. Sono tassate per trasparenza in via obbligatoria le società di persone residenti e le organizzazioni queste assimilate e gli enti, controllati o collegati, residenti nei paradisi fiscali. Sono tassate per trasparenza in via opzionale, invece, le società di capitali residenti che hanno esercitato l’opzione nonché le società e gli enti non residenti inclusi nel cosiddetto consolidato mondiale.
La tassazione per trasparenza implica che il reddito della partecipata sia imputato alla partecipante, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, e perciò assume rilevanza in capo a questa in via immediata, pur se con modalità diverse: se trattasi di società di persone, la quota del reddito della partecipata deve essere inclusa tra i componenti positivi del reddito della partecipante; se trattasi di società che ha esercitato l’opzione di cui all’art. 115 (opzione per trasparenza), detta  quota si somma al reddito della partecipante; parimenti si somma al reddito della partecipante, se trattasi di società non residente inclusa nel consolidato mondiale; se trattasi di società residente in un paradiso fiscale, invece, detta quota è soggetta a tassazione separata. Ma implica inoltre, pena una loro doppia imposizione, l’integrale esclusione, mediante variazioni in diminuzione al risultato del C/E, dal calcolo del reddito della partecipante degli utili posti in distribuzione dalla partecipata.
Gli utili derivanti dalle altre società concorrono alla formazione del reddito della partecipante solo se, e nella misura in cui, vengono distribuiti. Concorrono secondo il principio di cassa e cioè nell’esercizio in cui sono percepiti.
L’utilizzo di tale criterio crea un problema di sfasamento temporale tra l’esercizio a cui gli utili in questione sono aggregati al reddito in base alle regole civilistica-contabili e quello a cui sono aggregati al reddito in base alla normativa tributaria.
Scomparso il credito d’imposta, la riforma del 2003 ha adottato, quale rimedio alla doppia imposizione economica sugli utili societari, il metodo dell’esclusione: i dividendi sono esclusi nella  misura del 95 % dalla formazione del reddito della società partecipante. L’esclusione diventa integrale (mediante una rettifica in diminuzione al reddito di gruppo per il residuo 5%) quando la partecipante e la partecipata, essendo legate da un rapporto di controllo, esercitavano l’opzione per il consolidato nazionale. Questa possibilità è venuta meno per effetto delle modifiche alla disciplina del consolidato introdotte dalla legge finanziaria per il 2008.
Il concorso del residuo 5% è motivato dal mantenimento della possibilità di includere nel calcolo del reddito i costi legati alla gestione della partecipazione, i quali altrimenti, in quanto riferibili a proventi non partecipanti al reddito, avrebbero dovuto essere recuperati a tassazione.
L’esclusione interessa sia gli utili provenienti dalle società e dagli enti commerciali residenti, sia gli utili provenienti dalle società e dagli enti non residenti.
Ai sensi dell’art. 59, se un socio è un imprenditore individuale o società di persone l’esclusione spetta invece nella misura del 60% per gli utili prodotti sino al 2007, del 50,28 % per quelli prodotti a partire dal 2008 (il minor prelievo in capo alla società è stato controbilanciato incrementando quello in capo ai soci).
Alla medesima disciplina sono soggette le remunerazioni dei titoli e degli strumenti finanziari assimilati alle azioni.
In caso di aumento gratuito del capitale (ossia mediante l’utilizzo delle riserve), le nuove azioni o l’aumento del valore nominale delle vecchie azioni non costituiscono utili per i soci.
Per quanto concerne gli interessi attivi, l’art.89 c. 5, si limita a stabilire che, se la loro misura non è determinata per iscritto, essi si computano al saggio legale.
La presunzione di fruttuosità dei crediti al tasso legale opera dunque soltanto nel caso in cui difetti al riguardo un’indicazione convenzionale rivestita della forma scritta.
Viene disposto che alla formazione del reddito partecipino gli interessi derivanti dai titoli acquisiti nell’ambito di operazioni di pronti contro termine che prevedono l’obbligo di rivendita a termine dei titoli medesimi. Concorre alla formazione del reddito la differenza positiva tra il corrispettivo pattuito per la vendita a termine dei titoli in questione e il corrispettivo pagato per il loro acquisto a pronti.
Devono infine essere annoverati tra gli interessi anche gli eventuali scarti di emissione delle obbligazioni e dei titoli similari che costituiscono beni relativi all’impresa.
Per quanto concerne l’imputazione temporale degli interessi di mora si ricorre al criterio di cassa.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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