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La concorrenza nel settore agroalimentare

Concorrenza monopolistica e l’oligopolio

Le forme di mercato che descrivono i casi più frequenti di differenziazione del prodotto, sono due: la concorrenza monopolistica e l’oligopolio. Entrambe sono forme rilevanti nella realtà, la maggior parte dei mercati risponde ai caratteri di tali forme. Per quanto riguarda il settore agroalimentare, la concorrenza monopolistica ricopre un ruolo maggiore rispetto all’oligopolio. Questi due modelli sono famiglie di modelli, perché sia la concorrenza monopolistica, sia l’oligopolio possono essere configurati in diversi modi. Nella concorrenza monopolistica, le imprese, come nella concorrenza perfetta, sono molte e piccole, e c’è libertà di entrare e uscire dal mercato, le barriere all’entrata e all’uscita sono poco rilevanti. I prodotti, rispetto alla concorrenza perfetta, sono disomogenei, differenziati, tra loro sostituibili. Ciò significa che, la singola impresa, in concorrenza perfetta, è l’unica produttrice di quel bene di quella specifica qualità. La funzione di domanda che l’impresa si trova a corrispondere, è una funzione di domanda inclinata negativamente. La sostituibilità tra la variante del bene che quell’impresa offre, è elevata con le varianti di quel bene che offrono le altre imprese.

Concorrenza perfetta concorrenza imperfetta

Il grafico dell’impresa in concorrenza perfetta, mostra un’elasticità infinita, è una funzione di domanda orizzontale, il che significa che l’impresa assume il prezzo determinato dall’equilibrio di mercato.
Nella concorrenza imperfetta, in funzione dei diversi livelli del prezzo che l’impresa può decidere di applicare, la quantità che può vendere varia, ma c’è ne vuole prima che s’annulli. Vale il trade off, la relazione negativa tra quantità e prezzo per il singolo produttore, che non è price taker. Non è price maker con potere di mercato illimitato, ma può avere un margine decisionale.
L’equilibrio sul mercato di concorrenza imperfetta, tra domanda e offerta, implica che il livello del prezzo a cui l’impresa riesce a vendere il prodotto, è superiore al costo marginale e l’impresa può realizzare profitti positivi. La differenza tra ricavi totali di vendita e costi totali di produzione è positiva nel breve periodo. Nel lungo periodo, invece, non ci sono barriere all’entrata e all’uscita, nuove imprese possono entrare in un settore/mercato di un prodotto differenziato, dove osservano profitti positivi dei concorrenti. Una delle proprietà principali del mercato concorrenziale, è realizzare la massima efficienza economica possibile. Questa proprietà è una conseguenza del fatto che, tutti gli scambi avvengono ad un valore che corrisponde al costo marginale di produzione, e questo vale sia per materie prime, che per beni, se tutti i mercati sono concorrenziali. Si ha un’allocazione efficiente delle risorse produttive e dei beni. Se il mercato non è concorrenziale, e le imprese detengono un certo potere di mercato, e il prezzo di vendita è maggiore del costo marginale di produzione, tanto che realizzano profitti positivi, si ha una perdita di benessere e la quantità prodotta in quel mercato, è subottimale. Tuttavia, se nella struttura delle preferenze dei consumatori, la varietà dei beni consumati è importante, il fatto che su quel mercato siano presenti tante varietà di beni, genera un vantaggio in termini di benessere. S’arriva a formare un oligopolio quando i processi produttivi manifestano rilevanti economie di scala, c’è una tendenza alla concentrazione, le imprese sono poche o, perlomeno, c’è ne sono poche che detengono la maggior parte del mercato. Un mercato di questo tipo può persistere nel tempo, se vi sono forti barriere all’entrata. Mentre nel mercato concorrenziale, le imprese sono price taker, le uniche decisioni che le imprese devono prendere, riguardano le quantità da produrre, la combinazione degli input da usare, l’impresa ha un semplice comportamento di tipo adattativo, ossia assume il prezzo e a quel prezzo ci deve stare, invece, nella concorrenza imperfetta e nell’oligopolio, quando l’impresa ha un certo potere di mercato, ha la possibilità di decidere se vendere a un prezzo o a un altro, in certi intervalli, il comportamento delle imprese viene definito di tipo strategico, perché la leva del prezzo è strategica per il livello di competitività dell’impresa, per il suo piazzamento sul mercato, nel determinare che quota di mercato avrà oppure no.
Anche le decisioni sul prezzo, come quelle sul tipo di attributi qualitativi, sulla base dei quali impegnare il proprio prodotto, fanno parte della strategia competitiva dell’impresa, la quale cercherà di determinare qualità e prezzo a proprio vantaggio, per massimizzare i propri profitti e sfrutterà questa leva come deterrente rispetto all’entrata di nuovi concorrenti; l’entrata di nuovi concorrenti, nel lungo periodo, può compromettere i propri profitti. Le decisioni che l’impresa deve prendere su qualità e prezzo, non sono banali, perché oltre a considerare la situazioni in termini statici, l’impresa dovrà studiare una serie di ipotesi, su come i concorrenti, le altre imprese che vendono il prodotto per il mercato differenziato, per i quali c’è sostituibilità, deve immaginare come quelle imprese reagiranno alle sue azioni. La vita di un’impresa, che deve vivere in un ambiente, dove la qualità è importante, c’è un margine per catturare il proprio segmento di mercato, riducendo la pressione dei concorrenti, è molto complessa. Ciononostante, qualsiasi imprenditore ha l’obiettivo di sfuggire da una posizione di concorrenza perfetta. Se le caratteristiche sono così tanto importanti per le imprese, sono la chiave per sfuggire dalla condanna della concorrenza perfetta, per l’impresa è rilevante capire qual è la natura delle caratteristiche dei prodotti, rispetto alla possibilità degli agenti di fare le proprie scelte, sulla base delle diverse caratteristiche dei beni. Primo aspetto da considerare è: come prendono consapevolezza gli agenti economici della natura del bene, come capiscono qual è il contenuto di qualità delle diverse varianti di un bene, presente sul mercato? Questo riguarda il modo in cui un bene svela la propria natura, connotazione qualitativa; alcuni attributi sono determinabili, altri lo sono meno oppure o non lo sono per niente. Nelson è stato il primo economista che si è occupato di ragionare in tali termini, e di capire le implicazioni che derivano dalla natura diversa degli attributi qualitativi.
Ricostruzione del grado di visibilità delle caratteristiche, da parte degli agenti. Alcune caratteristiche non sono conoscibili alle imprese; il consumatore non è sempre il consumatore finale, ma può essere un cliente della filiera che acquista materie prime o semilavorato, potrebbe essere un’impresa che deve reclutare nuova manodopera e non è in grado di conoscere da subito le qualità dei diversi candidati. Al punto zero della scala di visibilità, le caratteristiche completamente invisibili, come il tipo di manodopera o contratto che è stato fatto, oppure l’aver usato sostanze OGM nel processo produttivo di un certo bene. Altre caratteristiche, come i nippoli su un golfino, sono determinabili con l’utilizzo del bene, dopo che l’acquisto è stato effettuato. Altre caratteristiche ancora, invece, sono determinabili prima d’acquisire il bene, immediatamente. Su alcuni attributi si può effettuare la propria scelta, su altri no, e non è detto che gli attributi invisibili siano meno rilevanti di quelli visibili. In generale è vero che, tutti gli attributi qualitativi che rientrano nella sfera della salubrità, tendono ad essere invisibili e sono di importanza cruciale. Le caratteristiche immediatamente visibili, sono definite caratteristiche ricerca, perché anche nel caso di caratteristiche immediatamente visibili, per le quali sembrerebbe che, la scelta dei consumatori avviene facilmente senza problemi, in realtà c’è un costo di ricerca che, nei prodotti indifferenziati, non c’è.

La scelta dei consumatori

La scelta d’acquisto, anche nel caso delle caratteristiche ricerca, implica dei costi che nel mercato perfettamente concorrenziale non esistono, e possono essere dei costi rilevanti. Nelle caratteristiche esperienza, oltre al costo di ricerca, c’è anche il costo di acquisizione di informazioni. Visto che al momento di effettuare l’acquisto, una parte rilevante dell’informazione manca, bisogna sostituire questa informazione mancante, ricorrendo ad esperienze passate nostre o di altri, a consigli, ma resta tuttavia un margine d’incertezza, rischiando di non acquistare ciò che veramente si sta cercando d’acquistare. Viceversa, nelle caratteristiche fiducia, una sorta di atto di fede, ci si deve credere o no che quel bene ha quel tipo di attributo. Per far si che, i consumatori effettuino le proprie scelte in mercati, dove la differenziazione è rilevante, e riguarda caratteristiche per cui non c’è libera circolazione di informazioni, occorre generare l’informazione, informare i consumatori e che questi la ritengano attendibile. Altrimenti, i mercati funzionano male, possono fallire.
Questa schematizzazione mostra la complessità del processo che, nei consumatori, porta alle scelte d’acquisto, quando i beni non sono omogenei, e l’informazione a disposizione dei consumatori, è parziale, il grado di affidabilità dell’informazione non è sempre rilevante. Se rimuoviamo le ipotesi base del comportamento dei consumatori in concorrenza perfetta, dove la scelta d’acquisto è una determinante automatica della struttura delle preferenze dei consumatori, data e immodificabile nel tempo, e del vincolo di bilancio. Questo agisce nella scelta dei consumatori. Se, invece, rimuoviamo questi aspetti semplificatrici, la struttura delle preferenze dei consumatori dipende dal profilo socioeconomico di ciascun consumatore, da una serie di parametri che ne determinano la tipologia di persona, come il reddito, il livello d’istruzione, ecc.
Dal livello d’istruzione, ad esempio, dipende un senso di appartenenza a un gruppo sociale, una certa struttura di preferenze, il bisogno di affermare un certo sistema valoriale, tramite le proprie azioni di consumo, oppure dipende anche la capacità di decodificare, comprendere l’informazione sulla qualità dei beni. I consumatori sono caratterizzati dalle abitudini d’acquisto, da una certa inerzia nei consumi; spesso si consuma un qualcosa, già consumato in passato. Questo vale per i consumi alimentari, dove il gusto, la struttura delle preferenze ha una componente innata, soggettiva, però possiede anche una componente legata all’abitudine, molto forte. Abitudine che influenza la capacità di acquisire e comprendere l’informazione rilevante, rispetto agli acquisti. Altro elemento importante nella formazione delle preferenze, e del bagaglio conoscitivo sulla qualità dei beni, è l’informazione che circola sul mercato; informazione che le imprese rilasciano sui beni, attraverso campagne informative, pubblicità, politiche di marchio, infinita serie di segni di qualità. Akerlov, attraverso l’articolo “Il mercato dei bidoni”, ha mostrato come si giunge al fallimento del mercato, costruendo un modello che riguarda un bene, dove la caratteristica qualitativa rilevante è di tipo experience. Il mercato riguarda prodotti differenziati, i costi di produzione, come spesso accade, sono funzione diretta della qualità, ossia produrre un bene di qualità superiore (differenziazione verticale) costa di più, rispetto a quanto costa produrre un bene di qualità inferiore. Quindi, in mancanza di informazioni aggiuntive sulla qualità del bene, i consumatori, osservando il prezzo di vendita del bene, si fanno un’idea di quale sia il suo livello qualitativo. Prezzo utilizzato come indicatore di qualità. Questo è un mercato con acquisti ripetuti nel tempo di quel bene. In questo mercato, i produttori producono beni di qualità differenziata, ma hanno un incentivo economico a produrre un bene di un certo livello qualitativo, e venderlo a un prezzo maggiore, perché se lo vendono a un prezzo elevato, i consumatori fanno inferenza sulla qualità, ritenendo che sia di un livello di qualità superiore e sono disposti a pagare quel prezzo. I consumatori, inoltre, per i quali i prodotti delle diverse imprese sono indistinguibili, osservano i prezzi e si fanno l’idea che, la qualità media presente sul mercato è un po’ testimoniata dal livello medio dei prezzi osservato.
Quando hanno fatto le proprie scelte d’acquisto, al momento 1, i consumatori verificano con l’uso la qualità effettiva del bene, che è più bassa. Le loro aspettative qualitative, quando riandranno sul mercato per acquistare, saranno più basse, come la loro disponibilità a pagare. Le imprese, pertanto, per rimanere sul mercato, devono diminuire il prezzo, non trovano nessuno disposto a pagare un prezzo più alto. Paradossalmente, se anche ci fosse stato un produttore che offriva un prodotto di qualità elevata, a un suo prezzo, nessuno sarebbe più disposto ad acquistare, perché le aspettative qualitative si sono abbassate e il prodotto delle diverse imprese non è più distribuibile sul mercato. Tutti i produttori devono abbassare il prezzo, e diminuendolo, dovranno abbassare anche la qualità, per continuare a guadagnare quel margine tra costo di produzione e prezzo. Prende avvio un meccanismo perverso, di progressiva erosione della qualità dei beni presenti sul mercato. Meccanismo che può essere così intenso, da far cessare l’esistenza del mercato stesso, perché si può arrivare a un livello del prezzo, al quale i consumatori sono talmente scettici sulla qualità del bene, che non più disposti ad acquistarlo. Questo risultato del fallimento del mercato, è la conseguenza dell’asimmetria con la quale l’informazione sulla qualità del bene è distribuita tra gli agenti, nel senso che l’informazione non è completa, è carente, e questa informazione è distribuita anche in un modo asimmetrico, perché le imprese che gestiscono il processo produttivo e sanno quanto stanno spendendo per produrre quel bene, utilizzano il margine di conoscenza in più che hanno per adottare un comportamento scorretto (azzardo morale) ai danni dei consumatori. S’innesca un meccanismo di selezione avversa, che è il concretizzarsi del proverbio “la mela marcia scaccia la mela buona”, perché un imprenditore, seppur avesse voluto produrre un bene di elevata qualità, o un bene di qualità corrispondente al prezzo che chiedeva, viene scacciato dal mercato, in quanto non trova nessuno disposto a pagare quella qualità. Vengono danneggiati sia consumatori, sia produttori onesti che non riescono più a stare sul mercato.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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