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L'evoluzione storica del diritto del lavoro: la fase della legislazione sociale

L'evoluzione storica del diritto del lavoro: la fase della legislazione sociale 

Volendo tracciare un percorso storico del diritto del lavoro italiano, possiamo individuare 3 fasi, intrecciate tra loro e spesso sovrapposte all'interno degli stessi periodi di tempo: 
la fase della legislazione sociale, periodo in cui le leggi in materia del lavoro si configurano come norme eccezionali rispetto al diritto privato; 
la fase dell'incorporazione delle norme sul lavoro nel diritto privato comune e quindi nella codificazione civile; 
la fase della costituzionalizzazione del diritto del lavoro. 

Nella prima fase la "legislazione sociale" si presenta come risposta dell'ordinamento alla questione sociale sorta in forza della rivoluzione industriale: i lavoratori, aggregati nelle fabbriche e divenuti operai, incominciano ad avere degli interessi specifici di classe che andrebbero tutelati, mentre il codice civile del 1865 non prevedeva una disciplina del contratto di lavoro, ma la sola "locazione di opere e servizi". Si riteneva che dovesse essere l'autonomia privata a prevalere nel campo della regolamentazione del lavoro industriale e che dovesse essere il mercato a fissare salari e condizioni di lavoro. Addirittura in Francia era vietata la coalizione con fini di rivendicazione ed in Inghilterra venivano represse le libertà sindacali. Verso la metà del 1800 si incomincia a capire, anche sotto la spinta del problema della questione sociale, che bisogna intervenire, anzitutto non vietando l'operato dei sindacati, i quali iniziano a porre in essere la propria funzione di resistenza economica e di promozione politica, e soprattutto salvaguardando tutta una serie di diritti dei lavoratori, quali la differenziazione di trattamento dei fanciulli e delle donne o il diritto all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni: inizia, così, la legislazione sociale. Tuttavia vengono presi in considerazione solo e solamente i diritti degli operai, perchè meritevoli, secondo il legislatore, di una maggiore tutela dettata dalla loro particolare condizione. Si ha quindi una "legislazione di classe", che non abbraccia la disciplina del contratto di lavoro, ma solo talune condizioni economico-sociali. 
Al metodo legislativo si accompagnava anche quello contrattuale o dell'autotutela collettiva, grazie all'operato dei sindacati, che portava allo sviluppo di contratti collettivi, seppur solo a livello locale: rilevanti, quindi, divennero le consuetudini in materia di diritto del lavoro. Con la L. 295/1893, tra l'altro, vennero istituiti i "Collegi dei probiviri" (in cui sedevano magistrati, rappresentanti degli imprenditori e degli operai), i quali avrebbero dovuto dirimere le controversie tra lavoratori ed industriali, il che, in assenza di una disciplina legislativa, sarebbe stato pressocchè impossibile. Per tal motivo i Collegi si limitavano ad avere la funzione di conciliatori delle controversie, avviando però una formazione extralegislativa del diritto del lavoro. La giurisprudenza è così diventata fonte materiale per la disciplina del lavoro, introducendo norme che in seguito sarebbero state recepite anche dal legislatore. 

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Alessandra Infante
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