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Le leggi sul salario minimo


Tali leggi fissano un minimo legale ai salari che le imprese possono corrispondere ai dipendenti. Per la maggior parte dei lavoratori questo minimo non è vincolante dal momento che guadagnano più del minimo stesso; ma per alcuni, soprattutto quelli meno qualificati e privi di esperienza (es giovani) il salario minimo innalza la retribuzione al di sopra di quella di equilibrio, riducendo cosi la quantità di lavoro domandata loro dalle imprese.
I sostenitori del salario minimo lo considerano uno strumento per elevare il reddito delle fasce più deboli. I detrattori del salario minimo sostengono che non si tratta di un mezzo efficace, dato che, oltre a ridurre l’occupazione, si tratta di un provvedimento scarsamente mirato.
Per mitigare gli effetti sulla disoccupazione giovanile, alcuni economisti e politici sostengono da tempo la necessità di escludere i giovani lavoratori dai benefici della legge sul salario. Chi si oppone a questa esclusione afferma che in tal modo si offrirebbe alle imprese un incentivo a  sostituire con giovani inesperti e non qualificati, lavoratori adulti esperti e qualificati aumentando la disoccupazione in questo gruppo.
Molti economisti e politici sono convinti che il credito d’imposta (somma che alle famiglie lavoratrici povere sarebbe consentito detrarre dalle imposte dovute; se il credito eccede le tasse, la famiglia riceve un sussidio dallo stato)  sia un modo più efficace per elevare il reddito dei lavoratori delle fasce più deboli.
Diversamente al salario minimo, il credito d’imposta sul reddito non fa aumentare il costo di lavoro per l’impresa e, perciò, non riduce la quantità di lavoro domandata; ha però lo svantaggio di ridurre le entrate tributarie.

Tratto da MACROECONOMIA di Alessia Chiovaro
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