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Le società estere comunitarie


Quando una società estera è costituita in uno Stato dell’Unione le norme analizzate nel precedente paragrafo devono essere lette e interpretate alla luce dei principi dell’ordinamento comunitario.
In particolare con il principio della libertà di stabilimento.
Alcune recenti pronunce della Corte di Giustizia CE hanno affrontato il problema se sia compatibile con il principio della libertà di stabilimento la disciplina dei singoli Stati:
- che imponga l’applicazione di regole nazionali alle società costituite in un altro Stato membro che intendano svolgere l’attività economica al loro interno;
- che impedisca o limiti alle società costituite in altro Stato membro di svolgere secondo il proprio statuto attività economica tramite sede secondaria.
La risposta è stata, in linea di principio, negativa.
Le limitazioni al riconoscimento della libertà di stabilimento delle società comunitarie poste dai singoli Stati non possono mai essere di carattere generale, devono essere specifiche, motivate e proporzionate rispetto agli interessi che si intendono proteggere e fondate su “ragioni imperative di interesse generale”.
Gli esiti cui è giunta la giurisprudenza comunitaria suscitano, in una situazione di imperfetta uniformità della disciplina societaria, il fenomeno della c.d. concorrenza fra ordinamenti all’interno dell’UE: è dunque legittima la ricerca da parte degli operatori economici del diritto che ritengono più vantaggioso e severo è lo standard richiesto dalla giurisprudenza perché in tale ambito possa parlarsi di “frode alla legge”.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE di Stefano Civitelli
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